tag:blogger.com,1999:blog-85015274290060471392024-03-16T09:31:13.096+01:00CollasgarbaAdriano Mainihttp://www.blogger.com/profile/09465917157661723606noreply@blogger.comBlogger772125tag:blogger.com,1999:blog-8501527429006047139.post-77535669120459829892024-03-16T09:29:00.005+01:002024-03-16T09:30:24.756+01:00A detta della Luce, infatti, il Piano Vanoni non era efficace contro il comunismo<div><p style="text-align: justify;"><a href="http://storiaminuta.altervista.org/lunico-modo-per-controllare-il-comunismo-era-attraverso-la-libera-impresa/" target="_blank"></a></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEitj4akFG1CcC4RPleLx6XlGTM1a0bH_jA3-hIAKp5fC1Lu7BytadcvetNxRNNmpoR7xf9xJz0sLAHDgWTpb7VmVlkEXMh2QutlBdmPODTe697Y0NIcjbUMEbLT6FsV61wZQ7IYgPaedPSolq7sy_duDTITRE_t8BXtI6cNNMxZjoMJqRncLCQOtRsSsWA/s2560/mdp3.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2560" data-original-width="1769" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEitj4akFG1CcC4RPleLx6XlGTM1a0bH_jA3-hIAKp5fC1Lu7BytadcvetNxRNNmpoR7xf9xJz0sLAHDgWTpb7VmVlkEXMh2QutlBdmPODTe697Y0NIcjbUMEbLT6FsV61wZQ7IYgPaedPSolq7sy_duDTITRE_t8BXtI6cNNMxZjoMJqRncLCQOtRsSsWA/w276-h400/mdp3.jpg" width="276" /></a></div><br /></div><div style="text-align: justify;">Arrivata a Roma, Clare Boothe Luce trovò un clima di grande attesa in vista delle elezioni politiche, che si sarebbero tenute nel mese di giugno e nei cui confronti a Washington c’era una grande fiducia. Si riteneva infatti che la Dc godesse di un buon seguito dopo i risultati deludenti del 1952. Inoltre, Washington confidava nella nuova legge elettorale, la cd. “legge truffa”, ritenuta capace di assicurare la continuità di governi centristi autorevoli e di azzerare tutti i vantaggi delle sinistre. La legge aveva modificato il sistema elettorale proporzionale, assegnando un premio (il 65% dei seggi) al partito o alla coalizione che avesse raggiunto il 50% + 1 dei voti. In base alle previsioni, i partiti della coalizione di governo avrebbero ottenuto la maggioranza assoluta di voti necessaria per far scattare il premio previsto dalla nuova legge elettora, riuscendo a svincolarsi dalle opposizioni <502. Queste valutazioni, unitamente alla necessità di evitare interferenze palesi nella politica interna italiana, spinsero gli Stati Uniti a influenzare l’esito delle elezioni soltanto in misura modesta, limitatamente all’impiego di Voice of America, al ricorso a gruppi privati, e ad azioni di propaganda in favore dei partiti di centro. Il Dipartimento di Stato invitò inoltre la Luce a non prendere posizioni aperte nei confronti della Dc per evitare accuse di ingerenza e colonialismo. L’ambasciatrice non rispettò questa indicazione e decise di intraprendere un tour nazionale allo scopo di enfatizzare l’importanza delle elezioni per la stabilità del paese. A Milano, in un discorso del 29 maggio, la Luce arrivò persino a minacciare la sospensione degli aiuti americani in caso di vittoria delle sinistre, generando un grande imbarazzo sia da parte del partito di governo che del Dipartimento di Stato <503. Anche la Chiesa partecipò alla campagna elettorale contro il Pci, minacciando la scomunica dei suoi elettori.<br />I risultati delle elezioni furono però lontani dalle aspettative di Washington <504. La Dc recuperò voti rispetto alle amministrative, ma non riuscì a raggiungere la soglia necessaria per ottenere il premio di maggioranza. Come avvenuto nel 1951-1952, inoltre, i voti persi dalla Dc andarono ad ingrossare le liste di estrema destra, ovvero di monarchici e missini, che riscossero un successo senza precedenti soprattutto nel Mezzogiorno <505. Le elezioni del 1953, inoltre, segnarono la fine politica di De Gasperi e l’inizio di una fase convulsa per la Dc, segnata da un lato dalla necessità di governare il paese con una maggioranza risicata e con pochi seggi di scarto, e dall’altro dall’urgenza di individuare una figura in grado di succedere al leader democristiano <506. Oltre che per la situazione politica italiana, il 1953 rappresentò un anno di riorganizzazione anche per gli equilibri internazionali. La morte di Stalin, la firma dell’armistizio tra le due Coree, e il nuovo corso avviato da Malenkov, segnarono l’inizio di una fase di distensione internazionale e dimostravano la necessità di rivalutare il problema del comunismo, sia nell’ambito della strategia americana che nel contesto politico italiano, dove l’impossibilità di formare maggioranze di governo solide imponeva l’urgenza di cooptare nuove forze politiche e allargare il consenso. Queste valutazioni rendevano quanto mai urgente una revisione dei programmi statunitensi per la lotta al comunismo in Italia. Alla Luce sembrava chiaro che, in assenza di azioni concrete contro il comunismo e senza i finanziamenti americani, nel giro di un paio d’anni l’Italia sarebbe diventata la prima nazione ad essere governata dal partito comunista attraverso vie legali <507. Le iniziative dell’amministrazione Eisenhower per combattere il comunismo in Italia si limitarono a riproporre linee guida già esposte nel Piano Demagnetize, introducendo alcune novità di fondo come una maggiore rigidità nell’applicare le attività di carattere psicologico e nel vincolare l’erogazione degli Osp a interventi concreti da parte delle aziende beneficiarie.<br />In ambito politico, uno degli strumenti cui l’ambasciatrice fece più ricorso fu l’incoraggiamento incondizionato della formazione di un governo di centrodestra, che escludesse i socialisti di Nenni e arrivasse in ultima istanza alla messa fuori legge del Pci. Nella realizzazione di questo progetto la Luce trovò un interlocutore, il Primo ministro Mario Scelba, “privo di emozioni o convinzioni” rispetto al comunismo e preoccupato unicamente di sopravvivere “in uno qualsiasi dei due campi” <508. La Luce esercitò pressioni perché il governo in carica si aprisse alla destra monarchica, con cui gli Stati Uniti avevano intensificato i rapporti proprio a partire dal 1954, e perchè portasse lo scontro con il Pci sulle piazze italiane, inasprendo le misure contro il partito comunista e la Cgil. Il Presidente del Consiglio fu tuttavia molto cauto nell’accogliere le richieste statunitensi. Da un lato, Scelba non riteneva così imminente la presa del potere da parte comunista, e quindi predilesse una linea più moderata nei confronti del Pci. Dall’altro, l’esigenza di accreditarsi a Washington come legittimo successore di De Gasperi e di continuare a beneficiare degli aiuti statunitensi comportarono alcune limitate azioni nei confronti di Cgil e Pci <509. La Luce intendeva invertire rotta anche rispetto al tema dei finanziamenti. Fino a quel momento il governo italiano aveva avuto tutto l’interesse nel mantenere viva la minaccia comunista, mancando di attuare misure concrete contro il Pci. Grazie ad un partito comunista forte e in continua crescita, le istituzioni riuscivano infatti ad assicurarsi un flusso costante di aiuti finanziari da parte degli Usa in funzione anticomunista <510. Per l’ambasciatrice era necessario cessare di accogliere indistintamente le richieste economiche provenienti dagli ambienti politici italiani, e iniziare a subordinare l’erogazione dei finanziamenti al raggiungimento di obiettivi concreti nella lotta al comunismo. In base a questo presupposto, l’ambasciatrice respinse l’ipotesi di sostenere il Piano Vanoni, un programma di sviluppo economico elaborato dal Ministro del Bilancio e fondato sul rafforzamento degli investimenti pubblici per conseguire una diminuzione della disoccupazione e del deficit di bilancio. A detta della Luce, infatti, il Piano Vanoni non era efficace contro il comunismo <511.<br /><span style="font-size: x-small;">[NOTE]</span><br /><span style="font-size: x-small;">502 La “legge truffa” fu accolta con grande disapprovazione da numerose componenti della politica italiana. Nell’ambito antifascista, ad esempio, la nuova legge ricordava molto la legge Acerbo e le conseguenze che questa aveva prodotto in termini di violazione delle libertà costituzionali. M. Del Pero, Stati Uniti e “legge truffa”, in “Contemporaea”, 6, 3 (2003): 503-518; G. Quagliariello, La legge elettorale del 1953, Bologna, Il Mulino, 2003; M. S. Piretti, La legge truffa: il fallimento dell'ingegneria politica, Bologna, Il Mulino, 2003.</span><br /><span style="font-size: x-small;">503 Frus, 1952-1954, vol. VI, The Ambassador in Italy (Luce) to the Special Assistant to the President (Jackson), Rome, 18 giugno, 1953, pp. 1612-1613, disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/Frus1952-54v06p2/pg_1612.</span><br /><span style="font-size: x-small;">504 Frus, 1952-54, vol. VI, p. 2, The Ambassador in Italy (Luce) to the Secretary of State, Rome, 12 giugno, 1953, pp. 1609-1612, disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/Frus1952-54v06p2/pg_1609; M. Del Pero, American Pressures and their Containment in Italy during the Ambassadorship of Clare Boothe Luce, 1953–1956, in “Diplomatic History”, 28, 3 (2004): pp. 407-439.</span><br /><span style="font-size: x-small;">505 S. Colarizi, Storia politica della Repubblica, cit. p. 60.</span><br /><span style="font-size: x-small;">506 L. Nuti, The United States, Italy, and the Opening to the Left, in “Journal of Cold War Studies”, 4, 3 (2002): pp. 36–55.</span><br /><span style="font-size: x-small;">507 Frus, 1952-1954, vol. VI, Memorandum by the Ambassor in Italy (Luce). Estimate of the Italian Situation, Rome, 3 novembre, 1953, pp. 1631-34, disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/Frus1952-54v06p2/pg_1631; Per l’importanza accordata dal governo italiano al proseguimento degli aiuti statunitensi, si veda il resoconto dell’incontro tra De Gasperi e la Luce: Frus, 1952-54, vol. VI, The Ambassador in Italy to the Department of State, Rome, 21 giugno, 1953, pp. 1614-1617, disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/Frus1952-54v06p2/pg_1614.</span><br /><span style="font-size: x-small;">508 Frus, 1952-1954, VI, p. 2, The Ambassador in Italy (Luce) to the Department of State, Rome, 20 novembre, 1953, pp. 1640-1642, disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/Frus1952-54v06p2/pg_1640.</span><br /><span style="font-size: x-small;">509 M. Del Pero, L’alleato scomodo, cit. p. 223.</span><br /><span style="font-size: x-small;">510 M. Del Pero, The United States and "Psychological Warfare" in Italy, 1948-1955, cit. p. 1326; Id., American Pressures and Their Containment in Italy during the Ambassadorship of Clare Boothe Luce, 1953–1956, in “Diplomatic History”, 28, 3 (2004): pp. 407-439; Frus, 1952-1954, vol. VI, p. 2, The Ambassador in Italy to the Under Secretary of State (Smith), Rome, 8 aprile, 1954, pp. 1671-1675, disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/Frus1952-54v06p2/pg_1671.</span><br /><span style="font-size: x-small;">511 Frus, 1952-54, VI, p. 2, The Ambassador in Italy (Luce) to the Assistant Secretary of State for European Affairs (Merchant), Rome, 22 novembre, 1954, pp. 1709-1711, disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/Frus1952-54v06p2/pg_1709.</span><br /><b>Letizia Marini</b>, <i>Resistenza antisovietica e guerra al comunismo in Italia. Il ruolo degli Stati Uniti. 1949-1974</i>, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Macerata, 2020</div><p></p>Adriano Mainihttp://www.blogger.com/profile/09465917157661723606noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8501527429006047139.post-14754737074713571562024-03-10T13:05:00.007+01:002024-03-10T13:06:53.042+01:00Radio Trieste intraprese in quegli anni un vero e proprio indirizzo culturale<div><p style="text-align: justify;"></p><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjiCUT14nV0fFw4umQ4tDhWs5ojYMnuReSuo-gpL86ME-8cAX_X1rTxf19CdInkuE52QmB6vuqX0JSwGVvklG1LFHrIqSosFiQg6tV9IWjaMVpLpmNwm5d_OXTGgujr3Uj7mibOwfVf5Wmw-f_-8KKtW836dFNE8BmhWucyCkpDyjCuY3YUsjAPZDDrdRM/s4000/rai.ts2.jpeg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="2248" data-original-width="4000" height="360" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjiCUT14nV0fFw4umQ4tDhWs5ojYMnuReSuo-gpL86ME-8cAX_X1rTxf19CdInkuE52QmB6vuqX0JSwGVvklG1LFHrIqSosFiQg6tV9IWjaMVpLpmNwm5d_OXTGgujr3Uj7mibOwfVf5Wmw-f_-8KKtW836dFNE8BmhWucyCkpDyjCuY3YUsjAPZDDrdRM/w640-h360/rai.ts2.jpeg" width="640" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Trieste: la sede della RAI. Foto di Laky 1970 su Wikipedia<br /></td></tr></tbody></table><br /></div><div style="text-align: justify;">Radio Trieste durante il Governo Militare Alleato (1945-1955)<br />Fra il 1945 e il 1946 le messe in onda riguardarono alcune rubriche politico-informative, i notiziari in tre edizioni e alcuni programmi di musica.<br />L’impostazione generale dei programmi si modificò sull’onda di un rinnovato clima democratico che si respirava e per la pari dignità assicurata alle trasmissioni di lingua italiana e slovena, nonostante quest’ultima fosse orientata politicamente per la maggior parte in ottica filo-titina e non dimostrasse particolare interesse per un’emittente che non poteva essere usata come proprio mezzo di propaganda.<br />Fu ampliata la parte dedicata alla musica, particolarmente gradita agli ascoltatori, unendo musica sinfonica, lirica, da camera, operettistica e leggera, canzoni e musiche popolari e da ballo, cori e jazz. Si diede spazio, poi, alla riproduzione di opere già esistenti in possesso della RAI e alla creazione di musica prodotta nella sede di Trieste da parte della Compagnia di prosa di lingua italiana di Radio Trieste, guidata da Giulio Rolli.<br />Furono introdotti anche alcuni allestimenti in lingua slovena, la recita di poesie, una sempre più fiorente produzione drammatica e nuove conversazioni in lingua italiana, sotto la responsabilità di Aldo Giannini. Anche la parte slovena si sviluppò con un numero crescente di opere mandate in onda, in cui si cimentarono anche alcuni insegnanti delle scuole slovene di Trieste e diversi intellettuali sloveni triestini non comunisti.<br />Insomma, Radio Trieste intraprese in quegli anni un vero e proprio indirizzo culturale e divenne sempre più lo strumento preferenziale della conoscenza e dell’informazione locale.<br />La collaborazione e i collegamenti con la RAI crebbero moltissimo fino al 947, mentre fra il 1948 e il 1949, a causa delle difficoltà economiche in cui versava l’emittente triestina, i programmi artistici, culturali e ricreativi in lingua italiana prodotti dalla stessa dovettero subire una sensibile riduzione.<br />Con l’entrata in vigore del Trattato di Pace del 1947, per ragioni di contabilità pubblica, tutto il personale dipendente del GMA e quindi anche quello in servizio all’ERT fu liquidato e riassunto il giorno seguente: infatti non esisteva alcun rapporto ufficiale, fino all’ottobre 1948, fra l’ERT e la RAI, la quale considerava con preoccupazione l’eventualità di un ritorno di Radio Trieste, poiché questa si era trasformata in poco tempo da piccola emittente locale di riproduzione dei programmi radiofonici centrali a centro di produzione radiofonica di importanza europea, dotata di un rilevante organico di personale e di vari complessi artistici. <br />Roma mal sopportava questa possibile concorrenza sia per evidenti ragioni economiche, sia per la volontà di accentrare nella capitale e in poche altre sedi privilegiate la propria produzione radiofonica.<br />Nel 1954 la sigla del Memorandum d’intesa italo-jugoslava di Londra con cui si sancì il ritorno di Trieste all’Italia fece cessare il presidio alleato e i poteri su Radio Trieste passarono al generale Edmondo De Renzi e poi al prefetto Giovanni Palamara, nominato Commissario Generale del Governo per il Territorio di Trieste. <br />Ma il ricongiungimento di Trieste alla Madrepatria non portò al contemporaneo rientro della stazione radiofonica locale in seno all’organizzazione della radiodiffusione nazionale (la cui denominazione era stata mutata nell’aprile 1954 in RAI), sia per ragioni di politica aziendale della RAI, sia perché questa non aveva ancora giurisdizione sul Territorio di Trieste, sia perché era necessario chiarire alcune delicate ma importanti questioni prima di procedere alla soppressione dell’Ente Radio Trieste.<br />L’ERT continuò così la sua attività sotto una nuova gestione fino al 1957, presieduta dall’ing. Vittorio Malinverni, allora amministratore delegato dell’ERI, nominato dal Commissario Generale del Governo italiano. Furono chiamati a dirigere l’ERT il direttore Guido Candussi e il vicedirettore Luigi Fonda. L’ERT fu riorganizzata per un breve tempo introducendo la messa in onda di alcuni programmi della RAI, ampliando le trasmissioni di lingua slovena con le opportune traduzioni dall’italiano ed estendendo la ricezione dei servizi giornalistici a tutto l’Isontino e al Friuli. <br />Si avviò così un lungo e complesso iter che portò a una gestione commissariale dell’ERT e, contemporaneamente, alla stesura di una convezione fra ERT e RAI, con cui si sanciva l’abolizione dell’ERT e la nascita ufficiale di Radio Trieste.<br />Nell’agosto 1957, Radio Trieste, inserita nel circuito RAI ma con il riconoscimento di particolari esigenze data dalla sua funzione complessa e impegnativa nel territorio, rientrò così nella grande famiglia della RAI, ma questo “non significa disconoscimento delle particolari esigenze a cui le stazioni radiofoniche triestine devono continuare a rispondere per la difesa della italianità del territorio e per l’allacciamento di fecondi e pacifici rapporti con le popolazioni d’oltre confine” <81.<br /><span style="font-size: x-small;">[NOTA]</span><br /><span style="font-size: x-small;">81 “È sorta Radio Pola su AP”, anno I, n. 7 del 5 agosto 1945, in G. Candussi, Storia della radiodiffusione… cit., p. 595, nota n. 6.</span><br /><b>Caterina Conti</b>, <i>Letteratura al microfono. I programmi letterari di RAI Radio Trieste fra il 1954 e il 1976</i>, Università degli Studi di Trieste, Tesi di dottorato, Anno Accademico 2013-2014</div><p></p>Adriano Mainihttp://www.blogger.com/profile/09465917157661723606noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8501527429006047139.post-5677815094220391612024-03-02T10:55:00.002+01:002024-03-02T10:56:26.553+01:00Solo se ciò che si vede sullo schermo appare credibile, e quindi evoca un mondo, le Langhe come metafora possono avere un senso e un’efficacia<div><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjcsTnWYKpYpG9F8JGH4SUU8bjols9IeC01LsuZHcZiTtlC3p_1-rpGK2svLugRmLpXyXMgxh11u_mUeWQo__soaT8VtyanNGGUIwtSBivnlRWSkE3c3pNH2mF6fV5ZdUaADOy6x8zAzWJ-phzVHkJeKBeFmqfXqZJzAWyQBOoX-nFJXO2RbeX7NHLFtVc/s1440/gcpj2.jpeg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1440" data-original-width="960" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjcsTnWYKpYpG9F8JGH4SUU8bjols9IeC01LsuZHcZiTtlC3p_1-rpGK2svLugRmLpXyXMgxh11u_mUeWQo__soaT8VtyanNGGUIwtSBivnlRWSkE3c3pNH2mF6fV5ZdUaADOy6x8zAzWJ-phzVHkJeKBeFmqfXqZJzAWyQBOoX-nFJXO2RbeX7NHLFtVc/w426-h640/gcpj2.jpeg" width="426" /></a></div><br /></div><div style="text-align: justify;">L’idea di un’intervista a Guido Chiesa, regista e sceneggiatore della versione cinematografica del "Partigiano Johnny" di Beppe <a href="http://storiaminuta.altervista.org/la-dimensione-partigiana-dipinta-da-fenoglio-non-e-per-niente-edulcorata/" target="_blank">Fenoglio</a> (nonché di molti documentari sulla Resistenza), è nata dalla riflessione sul fatto che è difficile collocare la figura dei partigiani della guerra civile italiana nell’immaginario collettivo. Un evento storico straordinario che ha determinato il corso della storia d’Italia, in cui il protagonista principale è lo stesso popolo italiano, sembra una condizione fertile per cui creare - nella storia del costume - un’idealizzazione del periodo e di chi lo condusse. Chiaro è che la mitizzazione di un periodo storico non è di per sé positiva, rischia, anzi, di veicolare il messaggio di una nuova retorica, impoverendo i numerosi e diversi significati che la Resistenza ha assunto; ma senza intendere che fosse auspicabile una vera e propria mitologia della Resistenza, è significativo sottolineare che nell’immaginario collettivo sia assente (o quasi) l’immagine dei partigiani, che hanno contribuito non solo alla Liberazione dell’Italia da un punto di vista politico, ma anche intellettuale, contribuendo alla nascita di una cultura nuova e libera, che ancora oggi ci appartiene.<br />È strano pensare che quella parte di popolo che si ribellò spontaneamente all’invasione dei tedeschi e dei fascisti di Salò, che portò avanti una guerriglia tra boschi e montagne, che riuscì a mantenere una rete di collegamenti con i gruppi clandestini delle città, che riuscì a resistere fino all’arrivo degli alleati, che contribuì decisivamente alla Liberazione di tutti non ha mai ottenuto una rappresentazione precisa.<br />Se poi si pensa al fatto che la guida partitica arrivò solo in un secondo momento e che fu una realtà eterogenea, composta da più fronti politici, uniti sotto la bandiera antifascista, sembra proprio che ci fossero tutti gli elementi, perché la figura del “partigiano” diventasse una figura nazionale riconosciuta evitando la strumentalizzazione di una sola parte politica o di una sola realtà sociale. Invece, il risultato è quasi il contrario.<br />Forse perché i partigiani non appartengono a quella categoria di personaggi “illustri”, facilmente identificabili, o forse perché dopo la Resistenza non trovano un posto particolare nella politica della neo-Repubblica; certo è plausibile pensare che l’esperienza italiana degli anni Settanta, i cosiddetti anni di piombo, in cui il principale gruppo terroristico, le BR, dichiarava esplicitamente di avere raccolto il testimone dai partigiani, potrebbe essere (ma occorrerebbe un’analisi più approfondita) una delle principali ragioni che spiegano l’oblio calato su questa figura storica, umana e civile.<br />[...] Non è toccato quindi alla narrativa il compito di offrire all’immaginario collettivo la figura del partigiano, che, oltretutto, è così preziosa per indagare sull’identità del nostro popolo. <br />Dopo la Liberazione ci fu un tentativo, fin troppo azzardato, da parte di alcuni partiti e movimenti politici, di strumentalizzare la guerra partigiana e di “appropriarsi” di una sorta di “eroe positivo” da trasformare in mito nazional-popolare, rischiando la nascita di una retorica nuova. Le pagine di letteratura si mostrarono però talmente sfaccettate e complesse, distanti dall’idea di creare “un eroe a tavolino”, che non emerse mai una figura standardizzata.<br />Il cinema, in questo senso, rappresenta un terreno di confronto estremamente interessante con la narrativa, essendo una forma d’arte per immagini più accessibile al grande pubblico. La figura del partigiano e il suo mondo possono così assumere contorni più definiti e riconoscibili. Ma la guerra civile italiana non sembra avere stimolato particolarmente (se non in alcuni casi) la produzione cinematografica.<br />Guido Chiesa è una delle eccezioni e la sua filmografia rivela, al contrario, un interesse specifico per l’argomento. Per il suo lungometraggio sceglie un modello letterario di partigiano, ma al tempo stesso fornisce una nuova interpretazione per restituire luoghi e protagonisti.<br />Il regista traduce in immagini il testo più complesso e in qualche modo rappresentativo di tutta la produzione letteraria della Resistenza. Mostra la regione collinare delle Langhe, i suoi elementi naturali, cerca le ambientazioni descritte nel testo e attribuisce loro un’immagine reale. Chiesa cerca, inoltre, di mantenersi estremamente fedele alla pagina scritta, considerando le Langhe non soltanto come luogo storico e geografico, ma soprattutto come paesaggio esistenziale, metafora dell’eterno conflitto dell’uomo con la Natura. In questo modo realizza la sua analisi per immagini del testo fenogliano, e fornisce un confronto tra la natura letteraria e quella cinematografica della realtà sensibile ma anche introspettiva del mondo partigiano di Johnny. Ai fini della mia analisi, l’incontro con Guido Chiesa è stato un utile confronto per comprendere meglio il processo rielaborativo di Fenoglio sull’esperienza resistenziale, per identificare la figura di Johnny in spazi specifici del territorio italiano, e per interpretare i significati esistenziali che questi spazi assumono.<br />Come mi spiega il regista: "Paradossalmente, per ottenere questo risultato era necessario un impianto scenico e antropologico di grande autenticità: solo se ciò che si vede sullo schermo appare credibile, e quindi evoca un mondo, le Langhe come metafora possono avere un senso e un’efficacia".<br /><i>Incontro Guido Chiesa il 30 marzo 2007 a Roma</i><br /><b>1) Il Partigiano Johnny è un romanzo incompiuto, edito in più versioni, come si è mosso rispetto al caos filologico del testo?</b><br />Mi sono basato essenzialmente sull’edizione a cura di M. Corti, che considero la più completa anche se non condivido la datazione delle opere proposta dalla Corti, ma forse questa è materia per fenogliani puri… L’edizione Isella pur importante, per me, è ancora densa di contraddizioni, per esempio al capitolo 21 quando Johnny entra ad Alba occupata, non và a trovare i suoi genitori. Come può improvvisamente ignorare la presenza della casa paterna? Nell’edizione a cura di M. Corti - come pure nel mio film - questa scena infatti è presente e significativa.<br /><b>2) Ha avuto qualche problema nel tradurre il testo in immagini, nel rintracciare una narratività che per la verità è sfuggente nel romanzo?</b><br />Sotto certi aspetti il passaggio dal libro alla sceneggiatura è stato più facile del previsto. Quando per la prima volta si legge il romanzo si è travolti dal suo <i>magma</i> linguistico: intraducibile sullo schermo e assai poco <i>cinematografico</i>. Invece, ad una lettura più attenta, ci si rende conto che la struttura narrativa del romanzo è molto forte, precisa, quasi di <i>genere</i> nella sua iterazione di fatti ed eventi funzionali alla costruzione del personaggio e del senso dell’opera. È una struttura classica, archetipica, come quella dell’<i>Odissea</i>, a cui il testo fenogliano è stato da molti messo in relazione. Anche se credo che uno dei punti di riferimento-chiave fosse per Fenoglio "Il viaggio del pellegrino" di John Bunyan, un libro poco conosciuto in Italia, ma che rappresenta uno dei testi fondamentali del mondo protestante. È la storia di un pellegrino che, abbandonata la città e la famiglia, parte alla ricerca di Dio e si avvicina alla santità attraverso il superamento di prove sempre più dure. Fenoglio lo cita più volte e all’inizio del romanzo è lo stesso Johnny a leggerlo. Una volta individuata la struttura narrativa, si trattava di <i>compattarla</i> nei tempi e nei modi di una sceneggiatura cinematografica: se Johnny compie tre volte la stessa azione, ne abbiamo tagliate due; se ci sono tre personaggi che svolgono la stessa funzione narrativa, ne abbiamo lasciato solo uno. E via dicendo. Certo abbiamo dovuto sacrificare degli episodi a cui tenevamo molto, ma ci interessava soprattutto che la sceneggiatura funzionasse, più della mera fedeltà alla pagina scritta. In questo senso abbiamo <i>tradito</i> il romanzo, anche perché, senza false modestie, eravamo convinti che il libro di Fenoglio sarebbe stato sempre e comunque più bello, complesso e sfaccettato del film. Considerando il romanzo come un’avventura epica ho scelto le “prove” che Johnny doveva superare, le imboscate, le fughe, gli attacchi frontali, la pioggia, il fango, la neve e infine la solitudine: in cui emerge la vera essenza del partigiano: un uomo di fronte a se stesso. È stato invece difficile raccontare un personaggio che non subisce cambiamenti da un punto di vista psicologico; rendere l’idea di un antieroe eterno.<br /><b>3) Come ha selezionato i luoghi in cui girare?</b><br />Il romanzo, da questo punto di vista, poneva problemi enormi. In prima battuta, vi sono narrati tantissimi luoghi (paesi, colline, cascine, ecc.) e, per forza di cose, abbiamo dovuto tagliare e ridurre il numero dei posti in cui girare. In seconda istanza, questi luoghi sono descritti con molta precisione e questa precisione non è puramente descrittiva, ma funzionale all’atmosfera e al significato della storia. Penso ad esempio ai bastioni di Mango da cui Johnny vive la drammatica attesa del rastrellamento tedesco: non sono dei semplici bastioni, sono un osservatorio morale sul mondo. Quattro <i>location scout</i>, Enrico Rivella, Nicola Rondolino, Gianpiero Vico e Lia Furxhi hanno per mesi battuto le Langhe paese per paese, collina per collina, alla ricerca dei luoghi richiesti dalla sceneggiatura. In alcuni casi, la ricerca di luoghi autentici e non intaccati dall’edilizia moderna li ha portati a sconfinare fuori dai tradizionali confini geografici delle Langhe, per trovare, ad esempio, Montechiaro d’Acqui, uno dei paesi meglio conservati del Basso Piemonte (in cui è ambientata la parte di Mombarcaro con i <i>rossi</i>). Altre volte, la scoperta di <i>location </i>come la cascina di Bossolaschetto, che ha funto da Cascina della Langa (nell’impossibilità di trovare una replica adeguata alla vera Cascina della Langa situata nei pressi di Manera) ci ha spinto a modificare la sceneggiatura in funzione del luogo reale. Lo scenografo Davide Bassan ha quindi operato su questi ambienti naturali secondo tre coordinate: evitare ogni intervento che riveli l’artificio tecnologico (ruspe, seghe elettriche, pitture a spray), prediligendo lavorazioni manuali; scegliendo materiali d’epoca o comunque di fabbricazione artigianale; arredamenti e suppellettili scelti dopo un accurato lavoro di ricerca su fonti iconografiche dell’epoca e su fonti orali. Sono rari, in tutte le Langhe, centri storici che non siano stati rovinati dall’edilizia e dalla cementificazione. Ad esempio, era impossibile usare Mango stesso. Della Mango descritta nel romanzo non vi è quasi più traccia. Ci eravamo quasi rassegnati ad utilizzare Monforte o Serralunga, paesi molto belli e abbastanza ben tenuti, ma molto distanti dalla topografia dei paesi descritti nel romanzo (ad esempio, privi dei bastioni all’ingresso del paese). Un po’ per disperazione, un po’ per testardaggine, siamo andati a vedere Neive, un paese che avevamo sempre scartato, essendo troppo vicino ad Alba e alla zona turisticamente più nota. Ma qui, con nostro grande stupore, abbiamo scoperto che Neive alta è ancora intatta: non un piccolo angolo, ma strade intere. Per noi rappresentava un risparmio di fatica e di lavoro enormi. Neive ci ha risolto tantissimi problemi, mentre per il resto ci siamo arrabattati in lungo e in largo. Durante le riprese ci siamo spostati in oltre 80 set, un numero altissimo per 54 giorni di ripresa. In totale abbiamo girato in oltre 30 comuni.<br /><b>4) Ha preferito attenersi ai luoghi reali o ha cercato di raccontare i luoghi letterari?</b><br />Naturalmente i luoghi che racconta l’autore, quelli che ci restituisce attraverso i suoi occhi, quindi i luoghi letterari e cercando - quando era possibile - di identificarli con quelli reali. La lettura dei libri di Fenoglio mi ha spinto a vedere nelle Langhe di allora (cioè quelle antecedenti o contemporanee alla scrittura, e comunque anteriori al boom economico), non tanto un luogo geografico determinato, bensì una sorta di paesaggio esistenziale, un teatro ideale per la raffigurazione della tragedia umana (rapporto uomo/natura, conflitti tra le classi sociali). Così, quando ho iniziato realisticamente a pensare alla realizzazione del film sapevo che dovevo andare a cercare <i>quelle</i> Langhe, rinunciando a priori ad ogni tentativo ad ogni affresco globalizzante, a vantaggio dell’unità espressiva e dei significati. Vale a dire, la mia intenzione non era quella di fornire una visione realistica della zona e della sua storia, quanto di mettere in scena un mondo che fosse il più possibile adatto al dipanarsi del dramma umano e morale del protagonista. In questo senso, il film non parla delle Langhe, ma sceglie le Langhe perché offrono un terreno ideale a un certo tipo di discorso sull’uomo. Paradossalmente, per ottenere questo risultato era necessario un impianto scenico e antropologico di grande autenticità: solo se ciò che si vede sullo schermo appare credibile (e quindi evoca un mondo) le Langhe come metafora possono avere un senso e un’efficacia. Il direttore della fotografia Gherardo Gossi, oltre alla visione di molti documentari cinematografici dell’epoca, è stato da me indirizzato alla costruzione di un’immagine complessiva del film che fosse adeguata alla rappresentazione di un’Italia povera, buia, in guerra. In questo senso ci ha aiutato la scelta di girare in autunno, privilegiando così colori che vanno dal verde scuro al marrone fino al grigio. Negli interni, dove ha potuto, Gossi ha messo in scena fonti di luce reali (candele, lampade alogene, lumi a petrolio, ecc,), scegliendo di non illuminare le pareti, di creare forti contrasti di chiaroscuro, su una strada a noi indicata da pittori come Caravaggio. Non tanto in nome del realismo, ma per creare attorno a Johnny un mondo funzionale alla creazione di un determinato significato.<br /><b>5) È stato difficile “filmare” un paesaggio trasfigurato dallo sguardo di uno scrittore?</b><br />Fenoglio è uno scrittore per così dire “fenomenologico”: le vicende dei suoi libri progrediscono per fatti, non per motivazioni psicologiche. La psicologia dei suoi personaggi è quasi inesistente, eppure fortissima perché deriva dalle loro azioni, dal paesaggio e dalle azioni di cui sono testimoni. Tutti elementi squisitamente cinematografici proprio perché visibili, evidenti, filmabili. Inoltre, Fenoglio ha sempre l’accuratezza di scegliere un punto di vista (si pensi alle immagini finali di "Un giorno di fuoco" o "Una questione privata") che altro non è che quel che si chiama inquadrare, filmare. Come un regista, Fenoglio sceglie di guardare la realtà che intende raccontare da un certo punto di vista e solo da quello.<br /><b>6) Nel film si inquadra spesso lo sguardo del protagonista, questo indica che lo spettatore vede il paesaggio attraverso gli occhi di Johnny? Ha voluto mostrarci il rapporto tra il personaggio e il suo ambiente?</b><br />Sì, la bussola è lo sguardo di Johnny, e la grammatica interna del film non può che nascere da lì. La macchina da presa sta con lui, vede quel che lui vede, si muove quando lui si muove (o qualcosa si muove in lui), corre fugge scappa quando è Johnny a farlo. Ma anche quando aderisce al personaggio, lo rispetta e lo ama, mai rinuncia alla possibilità di uno sguardo critico su di esso. Se ciò accade è perché l’ideologia del film non è quella di Johnny, non si appiattisce su di lui, ne è consapevolmente distante benché appassionatamente vicina.<br /><b>7) È stato importante nel film restituire la presenza di una natura ostile e dei suoi elementi?</b><br />Molto. Il romanzo specifica i titoli delle stagioni perché è la Natura che governa il mondo in collina, e l’inverno è la più importante delle stagioni perché genera il conflitto maggiore, e soltanto nel conflitto l’uomo può esprimere se stesso. Lo stesso discorso vale per gli elementi naturali, Johnny sente la sua vera natura umana a contatto con il fango che lo svilisce ma al tempo stesso lo accoglie, testimonia in qualche modo la ricerca di un rapporto viscerale, originario con la Natura. Rapporto che è mancato all’autore nella figura materna.<br /><b>8) Secondo lei Fenoglio comunica, attraverso Johnny, un rapporto assente con la madre?</b><br />Quello che, probabilmente, ho capito solo dopo aver girato il film è l’importanza del rapporto di Fenoglio con la madre, un rapporto difficile che ha influenzato enormemente lo scrittore: spesso Johnny parla di “Madre Langa” e indica la collina con il termine “mammella”, questo - secondo me - è indice di un rapporto di dipendenza con la Natura che rimanda alla dipendenza del figlio con la madre. Il paesaggio lo accoglie nel suo seno e nonostante la Natura sia cieca e indifferente Johnny si affida a lei come fosse l’unica protezione possibile. Questa considerazione, oltretutto, è confermata dal rapporto problematico - che emerge nel romanzo - del personaggio con le donne (<b>Cita due momenti del romanzo, rispettivamente descritti nei capitoli 14 e 19</b>): "Come Johnny notò fin dal suo arrivo nei paraggi del quartier generale, le donne non erano piuttosto scarse nelle file azzurre […] Il latente anelito al puritanesimo militare, appunto, gli fece scuotere la testa a quella vista, ma in effetti, sul momento, appunto, le donne stavano lavorando sodo, facendo pulizia, bucato, una dattilografando… Il solo fatto che portassero un nome di battaglia, come gli uomini, poteva suggerire a un povero malizioso un’associazione con altre donne portanti uno pseudonimo <241. Sulla radura […] stavano donne, staffette, stavano facendo il bucato generale, con un’aria attiva e giocosa e l’allegra coscienza di star facendo il loro vero, naturale lavoro. In faccia a Johnny sbuffò l’odore della saponata, attraverso l’aria rarefatta portando il confortante senso di casalinghità all’aperto. Alcune guardie del corpo stavano vessando le lavandaie, con un’ironia sana e diretta" <242. La difficoltà di questo rapporto si osserva anche nella diffidenza che il personaggio mostra nei confronti di Elda. Infatti Johnny cerca di colmare la mancanza della figura materna, come figura protettiva, non nella donna - che ricorda ancora troppo la madre - ma nella Natura, che è l’unica vera forza generatrice. In questo senso è molto indicativo il momento in cui Johnny si fa il bagno nel fiume: "Notò ai margini della corrente principale una conchetta d’acqua, naturalmente azzeccata e felice. Johnny non ci resistè, si liberò del vestito e delle armi, e si immerse verticalmente, monoliticamente in quell’immobile vortice, fino alle spalle, con un lungo e filato fremito, equivalente perfetto, più perfetto di una carica sessuale" <243. Così Johnny/Fenoglio si ricongiunge alla sua esperienza prima nel ventre materno, ai nove mesi nel liquido amniotico. E nel fiume si sente accolto e consolato. Il rapporto tra Johnny e la Natura diventa simbiotico e il personaggio si affida a Lei nonostante le sue indifferenti ostilità: la neve, la pioggia, il fango, il freddo. Ho compreso tutto questo dopo avere girato il film, in cui si trovano solo alcune intuizioni a livello embrionale, perché durante la realizzazione la mia idea era più concentrata nel ritrarre il partigiano Johnny come “l’uomo autentico”, guidato da uno spirito razionale, pronto ad affrontare l’estrema solitudine invernale e tutta l’esperienza della Resistenza guidato dalla ragione. Lavorando al film ho cercato di comunicare quella che - secondo me - era l’intenzione dell’autore, cioè la ricerca di risposte esistenziali nella ragione, e una volta compreso che queste risposte non ci sono Johnny accetta che l’ultimo risultato della logica porta inevitabilmente al suicidio. Oggi invece, per leggere il personaggio, mi concentrerei di più sul rapporto madre-figlio dell’autore.<br /><b>9) Legge la morte di Johnny come un suicidio?</b><br />Assolutamente sì. Sia di Johhny, che di Milton, dove ancora più chiaramente si vede il partigiano abbandonarsi in un ultimo abbraccio alla Natura - unica fonte di vita - e come in un’esperienza panica si lascia andare ad una Natura che lo riprende a sé. Johnny rappresenta un’umanità che cerca conforto, ma non potrà mai averlo. Per questo il "Partigiano Johnny" è un romanzo che comunica una forte riflessione esistenziale. Considero Leopardi, Fenoglio e Pasolini i maggiori scrittori-filosofi della letteratura italiana. Infatti per Johnny la vita può esistere solo nella natura, nonostante sia una natura cieca, che fa male. Esattamente come per Leopardi.<br /><b>10) Quindi Johnny come emblema della condizione umana?</b><br />Esattamente. Johnny rappresenta l’uomo nella sua considerazione essenziale, e la dimensione unica nella quale può esprimersi pienamente è quella della guerra; perché la guerra è una condizione estrema dove l’uomo si trova di fronte a sé stesso, in una solitudine infinita che permette di affrontare le domande fondamentali sul significato dell’esistenza umana.<br />[NOTE]<br />241 B. Fenoglio, Il partigiano Johnny, cit., p. 159<br />242 Ivi, p. 211<br />243 Ivi, p. 220<br /><b>Anna Voltaggio</b>, <i>Spazi partigiani: il paesaggio letterario nella narrativa della Resistenza italiana</i>, Tesi di Laurea, Alma Mater Studiorum Università di Bologna, Anno accademico 2006-2007</div><p></p>Adriano Mainihttp://www.blogger.com/profile/09465917157661723606noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8501527429006047139.post-59082537840573645022024-02-22T11:50:00.003+01:002024-02-22T11:50:44.985+01:00L'accusa ai comunisti di usare gli scioperi come arma politica contro il governo, se non addirittura come atti preparatori alla insurrezione armata<div><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiHE6d5-8aWl0HBXd4wQyPP4U7IsmovI2UglWV4vJWKDlH_Ei3_2RYQ8bJvC1uokz4iye1a7R2XRVy2Z-uH9-DmcyTpA4Zt53Xc3L5cwjzV0GyFC8hd3UbB_u5TNLIDYOEfkwSX5IJe5wT-EAmYpoZX2I9-KMPZhLbKUXh0tDrfQoIo7jO3OLFagX_6KaQ/s640/lb1.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="640" data-original-width="392" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiHE6d5-8aWl0HBXd4wQyPP4U7IsmovI2UglWV4vJWKDlH_Ei3_2RYQ8bJvC1uokz4iye1a7R2XRVy2Z-uH9-DmcyTpA4Zt53Xc3L5cwjzV0GyFC8hd3UbB_u5TNLIDYOEfkwSX5IJe5wT-EAmYpoZX2I9-KMPZhLbKUXh0tDrfQoIo7jO3OLFagX_6KaQ/w245-h400/lb1.jpg" width="245" /></a></div><br /></div><div style="text-align: justify;">Solitamente la fiammata insurrezionale del luglio '48, seguita all'attentato a Togliatti, viene considerato l'episodio conclusivo del ciclo conflittuale iniziato con le agitazioni del marzo 1943. Secondo noi risulta invece più corretto, sia a livello nazionale che locale, comprendere anche i due anni successivi fino alle mobilitazioni del 1950: l'eccidio di Modena del 9 gennaio e il grande, ultimo, sciopero bracciantile della pianura padana dell'autunno rappresentano la definitiva chiusura di fase e l'inizio del decennio critico per il movimento dei lavoratori.<br />Vediamo brevemente i momenti più importanti della fase '47-'50 per quanto riguarda il contesto milanese: la vertenza estiva, luglio-agosto, sulle riunioni interne nelle fabbriche e sul radicale ridimensionamento delle Commissioni Interne; a fine agosto la CGIL nazionale lancia la 'crociata popolare' contro carovita e disoccupazione, che vede Milano in prima fila con un lungo sciopero di 48 ore dei metallurgici il 17 e 18 settembre; dal 7 al 20 settembre 1947 si verifica un grande sciopero bracciantile nelle campagne, di portata nazionale, che presto si estende ad altre categorie, quali anzitutto i mungitori che a dicembre incrociano le braccia; dalla fine di ottobre entrano in agitazione i principali stabilimenti industriali cittadini (Caproni, Lagomarsino, Isotta Fraschini), la cui avanguardia è rappresentata dalle Rubinetterie della Edison, contro i licenziamenti di massa che colpiscono l'industria meneghina e dove affiorano nuovamente le parole d'ordine dell'autogestione; le agitazioni (con proclamazione dello sciopero generale di 12 ore) e l'occupazione della prefettura del novembre '47 guidata dai dirigenti comunisti locali, per protestare contro la sostituzione del prefetto Ettore Troilo (azionista, molto amato dai lavoratori, l'ultimo di nomina CLN) con un funzionario di carriera, da parte di Scelba; gli scontri di piazza del 25 aprile 1948, culmine di un crescendo di violenza poliziesca nei confronti delle agitazioni sindacali e sociali; sciopero bracciantile del maggio-giugno '48, ben presto esteso anche ai mungitori, durante il quale osserviamo il ripresentarsi di antiche forme conflittuali radicali; le mobilitazioni operaie di giugno-luglio, che vedono oltre 250.000 lavoratori in piazza e, dal 2 luglio con la proclamazione dello sciopero generale, l'occupazione delle fabbriche (in particolare Falck, Bezzi, Motta) da parte dei lavoratori; il moto insurrezionale del 14-15 luglio (anche se a Milano assume caratteri decisamente meno radicali rispetto ad altre città, come ad esempio Genova), strettamente connesso con le agitazioni in corso, seguito all'attentato a Togliatti; nuovo sciopero bracciantile a novembre, contro la disdetta di massa che esclude i lavoratori legati alla Federterra; i lavoratori agricoli sono i principali protagonisti delle lotte sociali che dall'aprile '49 fino all'autunno del 1950 agitano la provincia e le campagne milanesi e lombarde; ad essi si affiancano, a Milano, le cosiddette 'lotte difensive' che in alcuni casi portano gli operai ad occupare le fabbriche in risposta alle serrate padronali.<br />È significativo che lo sciopero bracciantile dell'autunno '50 sia stato chiamato in seguito, dai protagonisti stessi, 'sciopero della sconfitta' <396; mentre gli ultimi episodi del conflitto operaio urbano, risoltisi anch'essi in un fallimento dal punto di vista vertenziale, preludono alla crisi di consenso che FIOM e CGIL conosceranno con le sconfitte storiche nelle elezioni delle commissioni interne, oltre che al completo ribaltamento dei rapporti di forza interni alle fabbriche, di cui i 'reparti confino' saranno la rappresentazione più odiosa. Dopo la fiammata dell'estate '48, l'andamento del conflitto sociale (numero degli episodi, lavoratori coinvolti, successo rispetto al piano rivendicativo) è discendente, fino poi a chiudersi.<br />È possibile individuare tratti comuni agli episodi di tutto il periodo, anche se dopo le mobilitazioni di luglio '48 il tratto essenziale dell'autonomia e del dualismo di poteri è ormai definitivamente tramontato. Se nel '45-'47 la politica del conflitto ruota attorno alla sopravvivenza e le condizioni di lavoro, i criteri della ricostruzione e l'epurazione antifascista, possiamo dire che nel periodo successivo la battaglia su questi piani è sostanzialmente persa, ma si continua a combattere: la politica economica centrale ha fissato sia la libertà padronale di licenziamento che il piano di sacrifici per i lavoratori, determinando in questo modo la gerarchia sociale del processo di ricostruzione.<br />Adesso le piattaforme e le modalità del conflitto assumono contenuto radicale e in alcuni casi rivoluzionario (sebbene in assenza di una situazione rivoluzionaria), si recuperano le istanze più estremiste e le aspirazioni classiste di rottura, nonostante il contesto sia nettamente più sfavorevole rispetto al '45.<br />Importante aprire una parentesi (che riprenderemo più avanti) sull'azione di Mario Scelba ministro degli Interni (dal febbraio '47), dopo la cacciata delle sinistre dal governo. Chi era Scelba? Uomo del circolo ristretto della Democrazia cristiana, esponente di quel filone democratico conservatore che rifiuta la cittadinanza politica alle 'classi pericolose', è sostenitore della necessità di stroncare preventivamente quei movimenti sociali e politici che dietro le bandiere del lavoro sono in realtà gli antichi portatori del germe della sovversione: "È insomma un esponente di primo piano del partito, una figura di rilievo dei governi De Gasperi e il cui impegno, prevalentemente indirizzato al rafforzamento dello Stato, alla riorganizzazione delle forze di pubblica sicurezza e alla protezione della democrazia, va perciò inquadrato nelle scelte e nell'azione della classe dirigente che guida il paese all'uscita dalla guerra e che affronta il problema dell'ordine pubblico 'anche eminentemente come problema politico'." <397<br />Da questo punto di vista, dunque, egli porta a compimento quel processo di assorbimento e rivalutazione democratico-conservatrice di elementi tipici della tradizionale cultura di governo italiana e di strumenti ereditati dal fascismo (a partire dalla sostanziale preservazione integrale del Testo unico sulle leggi di pubblica sicurezza - TULPS e il codice penale Rocco). Diciamo che lo porta a compimento perché, da quanto abbiamo anticipato nel paragrafo precedente, il processo è stato avviato nel primissimo dopoguerra; Scelba gli dà una dichiarata funzione pubblica, che recupera antiche credenze proprie delle classi dirigenti prefasciste e dandogli carattere di permanenza nei decenni successivi: "Fu soprattutto Scelba a dare alla polizia una chiara direzione politica contro i partiti politici e le organizzazioni collaterali del movimento operaio - condivisa da tutto il gabinetto e dal presidente del consiglio De Gasperi - con una crescente azione repressiva verso il sindacato e gli scioperi. Nel lavoro pratico della polizia ciò si traduceva in continui interventi nei conflitti sindacali per salvaguarda la 'libertà di lavoro'. Gli interventi sempre più duri erano giustificati con l'accusa ai comunisti di usare gli scioperi come arma politica contro il governo, se non addirittura come atti preparatori alla insurrezione armata". <398 Filosofia politica esplicitata inoltre dalla sua riserva nei confronti della Costituzione e dei diritti sociali in essa contenuti: "[…] per assecondare lo sforzo di ciascuno e della Nazione, avranno corso tutte le misure ritenute necessarie perché l'azione disgregatrice non abbia a prevalere, quale che sia il costo e il nostro impegno. Rispettosi della Costituzione, siamo peraltro convinti che essa non può diventare una trappola per la libertà del popolo italiano a cui garanzia è stata voluta". <399<br />L'epurazione (obiettivo mai realmente perseguito nemmeno sotto il governo Parri) è stata definitivamente bloccata e anzi il processo invertito, con l'allontanamento dagli apparati di sicurezza di uomini della sinistra antifascista e di nomina CLN, il reinserimento di quadri medi e alti del periodo fascista, l'annullamento del decreto di incorporamento di 15.000 partigiani nelle forze di polizia ed esercito. "Scelba, poi, procedette a un'accurata selezione del personale nelle posizioni di comando, allontanando per esempio gli ultimi prefetti di nomina politica. Emblematica delle scelte di Scelba fu la nomina nel 1948 di un militare, il generale Giovanni D'Antoni, già prefetto di Bologna, come nuovo capo della polizia. Degli 8.000 ex partigiani che aveva trovato ancora all'interno della polizia, Scelba fece, come dichiarò in un'intervista a 'il Resto del Carlino' (24/2/1971), 'piazza pulita', offrendo condizioni molto favorevoli a chi era disposto a lasciare volontariamente il corpo, ma facendo anche ricorso a un vero e proprio mobbing con trasferimenti punitivi nelle isole. Il punto più importante per caratterizzare la gestione di Scelba sembra però l'allineamento politico-ideologico della polizia e l'affermazione al suo interno di una mentalità che faticava a comprendere e ad accettare la portata dei diritti sanciti dalla costituzione. Più che di un'affermazione però sarebbe corretto di parlare di una riaffermazione che poteva contare su tendenze consolidate da più generazioni all'interno delle forze dell'ordine […]". <400 Aggiungiamo che Scelba si adopera anche per trasformare il reparto Celere da strumento di 'civilizzazione' della gestione dell'ordine pubblico di piazza, come voleva Romita, in mezzo di contenimento e repressione rapida di manifestazioni, scioperi, presìdi e di tutte le forme conflittuali pubbliche di massa.<br />Le conseguenze di questa azione politico-organizzativa furono determinanti per la futura composizione delle forze di polizia in Italia: "le tensioni politiche e sociali portarono, o costrinsero, molti ausiliari a non fare domanda per un regolare arruolamento nella Ps, con il risultato finale che all'inizio dell'anno 1950 dei ventimila ausiliari, poco più di 4000 erano rimasti in servizio, a differenza di praticamente tutti gli ex agenti della Pai rientrati. Il ricambio fu anche regionale: gli ausiliari essenzialmente d'origine settentrionale vennero sostituiti da una nuova leva di agenti meridionali, alla ricerca di una collocazione lavorativa e del tutto privi dell'esperienza politica della lotta di Liberazione". <401<br />Come già anticipato, è precisamente su questo terreno che l'azione dei comunisti al governo ha trovato dei limiti (esterni e interni) invalicabili: nella continuità tra Stato fascista e post-fascista, esplicitando un fenomeno che Renzo Martinelli ha definito 'autocefalia dell'esecutivo' <402, ovvero di separazione netta della dirigenza dai quadri intermedi e dalla base.<br />Ma qual è stata la premessa di tutto ciò? La fine dell'emergenza e dell'unità antifascista, con il passaggio del dopoguerra alla sua fase definita di 'guerra civile fredda'. Mario Venanzi, partigiano in Val Sesia e Val d'Ossola, deputato comunista e assessore all'urbanistica nella giunta Greppi, ricorderà anni dopo quel momento di passaggio che non si può dire fosse arrivato come un fulmine a ciel sereno: "Come presidente del Cln lombardo, dopo Sereni, posso dire di aver vissuto da vicino il processo di rottura dell'unità antifascista. Prima sono i liberali che se ne vanno, poi sono i democristiani che tentennano. Già con Romita ministro degli interni si era cominciato ad assistere ai primi tentativi di ricucire il vecchio tessuto statuale. Intanto, si cambiano i questori, e a uno a uno si tolgono tutti quelli nominati dal Cln. A Milano spediscono il questore di Modena, lo stesso che, nell'agosto del '43, era venuto nel carcere di Castelfranco Emilia assieme al procuratore del re quando noi detenuti politici avevamo iniziato lo sciopero della fame perché non si decidevano a liberarci. Ancora più che un affronto poteva sembrare una beffa. […] Ci mandano un altro questore, Vincenzo Agnesina, un vecchio volpone della questura romana che era stato capo della polizia speciale di Mussolini ma che, nel '43, aveva preso ad assumere degli atteggiamenti da antifascista. […] Sono proprio le elezioni [quelle amministrative, nda] l'ultimo golino, come dicono i toscani, l'ultimo colpo sotto la gola. Il Cln viene liquidato e il vento del Sud, che cominciava a risalire la penisola, intacca e sbreccia quell'unità antifascista che, a Milano, era ancora molto forte e sentita. Ma noi, da questo osservatorio, stentiamo a capire che quelle forze che la Resistenza sembrava avesse spazzato via riprendono a sollevare la testa. Solo dopo il 2 giugno cominciamo a renderci conto di qual è la scacchiera sulla quale ci muoviamo […] Noi non avevamo, come potevamo averlo a Roma, il polso reale della situazione. Certo, le volte che andavamo a Roma ci si accorgeva che, scendendo verso il Sud, la realtà cambiava sotto gli occhi. Altro linguaggio, altri comportamenti, altra mentalità. Ma solo le elezioni del 18 aprile ci diedero la misura di quel che era il paese". <403<br />La direzione PCI si trova in realtà costretta da due cause principali a lanciare la controffensiva con il rilancio a fondo delle lotte, a tutti i livelli: lo spostamento a destra dell'asse politico nazionale, in previsione delle elezioni generali del 18 aprile '48, e le direttive del neonato Cominform ai partiti comunisti occidentali di interrompere le politiche di compromesso. C'è poi anche una ragione economica legata alla crisi nera che vive il paese e che in alcuni centri (come Milano) è particolarmente dura, portando le Camere del Lavoro locali a superare la svolta moderata decisa dalla CGIL nazionale. In alcuni casi viene accolta con sollievo la nuova linea di Mosca e la fine dell'unità antifascista, vista come un costante compromesso al ribasso; anche a livello locale i dirigenti comunisti la interpretano positivamente, come l'uscita da una situazione ambigua: questo è ad esempio il giudizio espresso da Pajetta sull'uscita della DC dalla giunta di Milano guidata dal socialista Antonio Greppi. Nel capoluogo lombardo è Longo che coordina l'applicazione delle nuove direttive, che hanno nelle fabbriche il luogo privilegiato, affermando che la Direzione "denuncia l'offensiva padronale che, mirando ad avere mano libera nei licenziamenti, vuol gettare sul lastrico centinaia di migliaia o addirittura milioni di lavoratori… la Direzione invita pertanto tutti i compagni che ricoprono cariche sindacali e tutte le organizzazioni del partito a dare la massima attenzione alla preparazione e all'organizzazione della resistenza e del contrattacco […] Il partito riprenda la lotta fino in fondo, chi non intende impegnarvisi può andarsene". <404<br />Non potrebbe essere altrimenti: secondo il rapporto di Pietro Secchia, responsabile dell'organizzazione, alla fine del 1947 "nella provincia di Milano abbiamo nel partito il 71% di operai, poco più del 4% di artigiani, neppure l'1% tra intellettuali, studenti e tecnici. L'1,65% di coloni, piccoli proprietari e piccoli affittuari. Poco più del 7% di giornalieri, obbligati e salariati agricoli". <405<br />La svolta a sinistra del PCI milanese è data però anche da altri due cambiamenti: il passaggio di Giuseppe Alberganti dalla segreteria della CdL a quella della Federazione comunista; la maggiore forza acquisita da Pietro Vergani, esponente dell'ala dura del partito, come segretario d'organizzazione a Milano. Contemporaneamente, come già accennato, anche nel PSIUP si consolida a livello nazionale la svolta a sinistra data in particolare dal gruppo settentrionale e milanese (qui per un moto più spontaneo che imposto da direttive esterne, come nel caso del PCI), che culmina con l'uscita dei moderati e socialdemocratici interni guidati da Giuseppe Saragat, nella famosa scissione di Palazzo Barberini (11 gennaio 1947), che darà vita al Partito socialista dei lavoratori italiani - PSLI (successivamente Partito socialdemocratico italiano - PSDI) e porta i socialisti ad assumere la vecchia denominazione di Partito socialista italiano - PSI. A fine dicembre '47 PCI e PSI danno vita al Fronte democratico popolare in vista delle elezioni.<br />A settembre è lo sciopero di oltre 600.000 braccianti nel centro-nord a scuotere il paese: le tradizionali questioni dell'imponibile e del collocamento sono al centro delle agitazioni nelle diverse province padane, in particolare rivendicando la regolamentazione degli imponibili e la giusta causa nelle disdette dei lavoratori delle cascine, per cercare di limitare l'arbitrio degli agrari: "Agrari che sparano contro gli scioperanti sono segnalati nel Bresciano, nel Pavese, nel Padovano, mentre d'altro canto allarmi crescenti destano sia la tendenza a estendere lo sciopero ai mungitori sia gli 'scioperi alla rovescia' per imporre ai proprietari lavori di miglioria: proclamati in nome delle esigenze della produzione ma vissuti per la verità sia dagli agrari che dai braccianti come 'invasioni' od 'occupazioni' delle aziende (e una relazione sindacale segnala con preoccupazione 'qualche incidente, di cui qualcuno abbastanza grave come incendi di cascine, fucilate per le strade, atti di crumiraggio')". <406 Si richiede inoltre un contratto unificato che equipari la loro condizione a quella dei lavoratori industriali.<br />Nelle campagne il conflitto assume caratteri molto duri ed estremi: non solo per i braccianti che ripropongono antiche forme di lotte, quali il 'gallo rosso' e il sabotaggio, ma anche perché gli agrari rappresentano il principale sostegno del terrorismo neofascista che si sta riorganizzando in questi mesi e che colpisce, tra i diversi obiettivi, in particolare cooperative e case del popolo. Il 9 novembre, ad esempio, un gruppo di giovani comunisti sta rientrando a mezzanotte da una festa da ballo a San Giuliano Milanese e, mentre attraversa un ponte, vengono sparati alcuni colpi di rivoltella che ne feriscono tre. L'11, su invito del sindaco di Mediglia (un paesino nei pressi del capoluogo), alcune centinaia di operai della Breda e della Caproni raggiungono sui loro autocarri il paese dove si sarebbe tenuta una dimostrazione: viene presa d'assalto la casa dell'agrario Giorgio Magenes, ritenuto implicato sia nell'attentato del ponte sia nel lancio di alcune bombe contro un cooperativa sempre a San Giuliano e una trattoria popolare a Desio; Magenes spara contro i lavoratori, uccidendo l'operaio 21enne della Breda Luigi Gaiotti e ferendo Domenico Rivolta. Nonostante l'arrivo dei carabinieri che tentano di portarlo via, questi vengono soverchiati dalla folla che lincia a morte il proprietario terriero. Così un militante della Volante Rossa, presente a quella come ad altre dimostrazioni, ricorda l'episodio: "Abbiamo fatto l'assalto alla cascina. E quando sono arrivati i carabinieri con sei autoblindo è stato troppo tardi, l'avevamo già linciato. Due autoblindo dei carabinieri non ci hanno poi mollato fino a Milano, scortavano il nostro camion". <407<br /><span style="font-size: x-small;">[NOTE]</span><br /><span style="font-size: x-small;">396 G. Crainz, Padania. Il mondo dei braccianti dall'Ottocento alla fuga dalle campagne, p. 246, Donzelli 2007</span><br /><span style="font-size: x-small;">397 L. Bertucelli, All'alba della repubblica. Modena, 9 gennaio 1950. L'eccidio delle Fonderie Riunite, p. 26, Edizioni Unicopli 2012</span><br /><span style="font-size: x-small;">398 D. Della Porta, H. Reiter, op. cit., p. 73</span><br /><span style="font-size: x-small;">399 M. Scelba, discorso alla Basilica di Massenzio, Roma, 15 agosto 1950, cit. in ibidem, p. 70</span><br /><span style="font-size: x-small;">400 D. Della Porta, H. Reiter, op. cit., pp. 74-75</span><br /><span style="font-size: x-small;">401 P. Dogliani, La polizia alla nascita della Repubblica, p. 25, in P. Dogliani, M.A. Matard-Bonucci, op. cit.</span><br /><span style="font-size: x-small;">402 Cfr. R. Martinelli, op. cit., p. 233</span><br /><span style="font-size: x-small;">403 G. Manzini, op. cit., pp. 89-91</span><br /><span style="font-size: x-small;">404 L. Longo cit. in G. Galli, op. cit., p. 177</span><br /><span style="font-size: x-small;">405 P. Secchia, Il partito della rinascita (Rapporto alla Conferenza Nazionale d'organizzazione del Partito comunista italiano), p. 33, cit. in R. Martinelli, op. cit., p. 165</span><br /><span style="font-size: x-small;">406 G. Crainz, op. cit., p. 237</span><br /><span style="font-size: x-small;">407 C. Bermani, op. cit., p. 84</span><br /><b>Elio Catania</b>, <i>Il conflitto sociale: “motore della Storia” o “tabù” storico-politico. Il caso di Milano nel secondo dopoguerra</i>, Tesi di laurea magistrale, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Anno Accademico 2016-2017</div><p></p>Adriano Mainihttp://www.blogger.com/profile/09465917157661723606noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8501527429006047139.post-14909113821507844402024-02-16T12:52:00.004+01:002024-02-16T12:59:03.242+01:00La creazione dell'Alpenvorland rese appunto chiara la politica di Hitler nei confronti di questa zona<div><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhPX1YaXUUScxXtGKo_QIgJii6XsoVajDeXNrJVvBBv2D4_47l7GZtYo3mmyfNgtjd6axE6GXgBBZSM_TmhWJ4BuWAVfV3w1JQjCbU9b3Bx7iypVPcQWuSMMVBHUexEP2TWQcUcGWGbH1y5KtiVEq9QEB5EoLDszv6HBK3kuOtpiQaf_iJIUsJxdbA9VhQ/s640/ttpa5.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="640" data-original-width="464" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhPX1YaXUUScxXtGKo_QIgJii6XsoVajDeXNrJVvBBv2D4_47l7GZtYo3mmyfNgtjd6axE6GXgBBZSM_TmhWJ4BuWAVfV3w1JQjCbU9b3Bx7iypVPcQWuSMMVBHUexEP2TWQcUcGWGbH1y5KtiVEq9QEB5EoLDszv6HBK3kuOtpiQaf_iJIUsJxdbA9VhQ/w464-h640/ttpa5.jpg" width="464" /></a></div><br /></div><div style="text-align: justify;">Ciò che avvenne a <a href="http://storiaminuta.altervista.org/la-resistenza-vicentina-nella-primavera-estate-1944/" target="_blank">Malga Zonta</a> si inserisce dunque nel grande rastrellamento che, iniziato la notte tra l'11 e il 12 agosto [1944] si protrasse fino al 15 agosto. Questo rastrellamento puntava ad eliminare la presenza partigiana in tutta la zona di Posina e di Folgaria. Come già detto, nella Valle di Posina era stata creata una sorta di zona libera, ovvero una zona che era sotto l'organizzato controllo della Resistenza. I partigiani delle “Garemi” inoltre l'avevano eletta a zona nella quale impiantarvi i loro “uffici” dirigenti, non temendo alcun attacco nemico, così come per la zona di Passo Coe, dove c'era la base di Germano Baron.<br />Per i nazisti però queste zone erano troppo importanti: la creazione di “zone franche”, come quella di Posina, era così particolarmente combattuta dai tedeschi in quest'area del Veneto.<br />[...] Tutti i partigiani morti a Malga Zonta erano vicentini. La maggior parte di loro era nata a Malo e Monte di Malo, altri a San Vito, Bruno Viola a Vicenza. L'eccidio di Malga Zonta è avvenuto però a poca distanza da Folgaria, in provincia di Trento. Certo, molto vicino al confine con il Veneto. Ma in territorio trentino.<br />Ma non è questo il motivo per cui ho deciso di dedicare una parte di questa tesi alla Resistenza nel Trentino Alto Adige. Non è stata insomma una mera questione geografica a motivare la mia scelta, bensì il desiderio di capire più a fondo alcune questioni che sono nate durante lo svolgimento della tesi e che all'inizio dello studio non avrei pensato di dover affrontare.<br />In particolare sentivo la necessità di verificare quello che, durante le interviste, mi veniva detto da alcune persone, che esprimevano un sentimento di ostilità, di mal celato “rancore” nei confronti dei partigiani, fino a veri e propri giudizi negativi sul loro operato.<br />Si può giustamente obiettare che questi giudizi sono sicuramente presenti nella memoria di molte persone, non solo qui in Trentino.<br />Bisogna però considerare le grosse difficoltà che ebbe la Resistenza a nascere e diffondersi in questa parte dell'Italia. Ecco allora che le due questioni sembrano collegarsi e porre degli interrogativi ai quali rispondere.<br />Da questi presupposti infatti la mia intenzione era quella di capire il perché delle difficoltà organizzative della Resistenza e il tentativo di capire se il sentimento di “ostilità” di alcune persone nei confronti dei partigiani fosse motivato da questioni di carattere esclusivamente personale o se tale sentimento poggiasse su basi più “solide”, trovasse cioè qualche riscontro nelle vicende storiche; capire insomma per quale motivo siano nati tali giudizi negativi.<br />Il Trentino Alto Adige non rappresentava solamente una realtà a sè stante rispetto al resto d'Italia, ma anche al suo interno era notevolmente differenziato. Se l'Alto Adige era caratterizzato per il suo forte consenso alla Germania, il Trentino aveva carattere anti tedesco ma anche anti italiano, riconoscendo nell'Italia il regime fascista, arrivando quindi a tendenze autonomistiche.<br />Va detto infine che sebbene la Resistenza abbia avuto grosse difficoltà a svilupparsi in Trentino Alto Adige, le “Garemi” intervennero anche su questo territorio, congiungendo idealmente Resistenza veneta e trentina.<br />Per capire appieno ciò che successe in Trentino Alto Adige tra il 1943 e il 1945 bisogna fare una premessa, che ci porta indietro di qualche anno.<br />Il Trentino Alto Adige era stato sottratto all'impero asburgico e annesso al Regno d'Italia nel primo dopoguerra.<br />Il regime di Mussolini mantenne, nei confronti di questa regione, un comportamento che sarà causa di un grosso malcontento. Mussolini infatti procedette verso una italianizzazione forzata della regione, cercando di ridurre l'influenza della componente tedesca ad esempio vietando l'uso della lingua tedesca nelle scuole e in pubblico, modificando i cognomi delle persone da tedeschi a italiani o ancora ingrandendo l'area industriale di Bolzano e mandandovi a lavorare persone italiane. Altri malumori nacquero, soprattutto nella parte trentina, nel 1927, quando Bolzano e Trento vennero separate e furono create due province differenti. Il fascismo così non ebbe mai grosso seguito: “non perché la gente trentina fosse estranea per costituzione ad ideologie di questo tipo,ma perché mancavano le premesse politiche e sociali che consentissero il diffondersi dell'ideologia fascista.” <46<br />La borghesia industriale, come i grandi proprietari terrieri erano esigui numericamente. La gran parte della popolazione era formata da piccoli coltivatori diretti, inseriti nelle organizzazioni del clero e del movimento cattolico. Si può dire che le decisioni del fascismo “avevano alimentato nella popolazione un senso di rimpianto e di simpatia per la “buona” amministrazione austriaca...” <47<br />Ai motivi sociali si aggiungeva poi il fatto che il fascismo aveva creato, con la sua politica centralista, indifferente alle esigenze locali e autonomistiche, un malumore crescente nella popolazione trentina.<br />Anche la Germania puntava alla conquista del Trentino Alto Adige.<br />L'interesse di Hitler per questa regione era insito nell'idea che perseguiva, quella cioè di riunire in un'unica nazione tutto il popolo tedesco, e dunque anche le minoranze all'estero: “il 20 febbraio 1938 in un discorso al Reichstag Hitler rivendicava il diritto di tutelare e provvedere ai 10 milioni di tedeschi viventi all'estero, in un tono e in un contesto tale del discorso che non lasciava dubbi sul programma ultimo, quello di risolvere le questioni relative anche con la forza, modificando la carta politica dell'Europa.” <48<br />Questo nonostante le dichiarazioni come quella del 7 maggio 1938, in cui a palazzo Venezia, a colloquio con Mussolini, affermava il contrario: “È mia incontrollabile volontà ed è anche mio testamento politico al popolo tedesco che consideri intangibile per sempre la frontiera delle Alpi eretta fra noi dalla Natura.” <49<br />Una “soluzione” fu siglata il 23 giugno 1939. Gli accordi di Berlino regolamentavano l'opzione e il trasferimento nel Reich dei sudtirolesi: entro il 31 dicembre 1939 la popolazione di Bolzano e provincia, di Ampezzo e Livinallongo, nel bellunese, e della Val Canale, in provincia di Udine (ma anche altre genti della Val di Fassa, secondo accordi verbali) dovevano esprimere la loro preferenza, se assumere o meno la cittadinanza tedesca. Entro il 31 dicembre 1942, quindi nell'arco di tre anni, il trasferimento doveva essere completato.<br />“Vanno male le cose in Alto Adige. I tedeschi, in seguito agli accordi, si preparano a compiervi un vero e proprio plebiscito. E fin qui niente di male, se i tedeschi subito dopo aver optato, se ne andassero. Invece niente. Hanno la facoltà di rimanere fino a tre anni... Mussolini dice che non ci vede chiaro” scriveva nei suoi diari Galeazzo Ciano. <50<br />Il risultato di tali accordi però fu quello di dividere ancora di più la popolazione, tra dableiber, coloro i quali scelsero di rimanere in Italia, e optanten, che invece scelsero di “aderire” al Reich.<br />Si può stimare che dal 69% al 88% degli aventi diritto abbia scelto di optare per il Reich anche se gli espatri furono rallentati da molteplici fattori: lo scoppio della seconda guerra mondiale, difficoltà burocratiche dovute alla reale valutazione del patrimonio, le perplessità degli optanti per l'incertezza del loro destino (a volte si diceva che sarebbero stati portati sui monti Beskidi in Polonia, altre volte in Borgogna, altre in Crimea).<br />Così in tutto “gli espatriati effettivi furono circa 85.000, un terzo scarso della popolazione tedescofona, e di essi almeno 20.000 espatriarono perché essendo divenuti cittadini del Reich erano stati richiamati alle armi.”51Altre cifre ci vengono date da Hubert Mock. Mock dice che su 246.000 votanti, un numero compreso tra 188.978 e 201.336 persone scelsero di trasferirsi nel Reich. Circa 78.000 furono però gli optanti che effettivamente emigrarono. I non optanti e quanti optarono per l'Italia furono tra 44.600 e 57.000 persone. <52<br />L'iniziale rinuncia di Hitler al controllo del Trentino Alto Adige era stata dettata dall'alleanza con il fascismo allo scopo di raggiungere fini comuni in politica interna ed internazionale. Tali remore cadranno definitivamente in seguito all'8 settembre 1943 seguendo così in Trentino la strada già perseguita in Austria, Cecoslovacchia, Polonia. Insomma, l'interesse di Hitler per il Trentino era stato sempre dissimulato, latente, ma mai sopito. <br />L'8 settembre comportò dei cambiamenti anche da questo punto di vista: “Questa data fu come il disco verde per iniziare l'attuazione dei progetti annessionistici. Il Reich si sente più libero nei confronti dell'Italia che è uscita dall'alleanza militare...” <53<br />La creazione dell'Alpenvorland rese appunto chiara la politica di Hitler nei confronti di questa zona.<br />Il 10 settembre 1943 venne istituita la “Zona d'operazione delle Prealpi”, comprendente le province di Trento, Belluno e Bolzano, che venivano annesse di fatto alla Germania, sotto il controllo di Franz Hofer, Gauleiter di Innsbruck e del generale Joachim Witthöft. Il primo veniva nominato commissario supremo, il secondo comandante nella Zona d'operazione delle Prealpi.<br />Di fatto la Germania non tollerava l'ingerenza fascista in questi territori, avocando a sè la totale facoltà di amministrarli.<br />Tra il 25 luglio e l'8 settembre l'Alto Adige era già stato occupato da truppe tedesche, per lo più però di passaggio; l'occupazione militare era però un fatto compiuto anche prima dell'8 settembre.<br />“Fu il 17 settembre che giunse ufficialmente a Trento la nuova dell'avvenuto distacco politico-amministrativo delle tre province italiane (Belluno, Trento e Bolzano appunto, nda) dal resto del Paese e della loro riunione, per ordine del Capo nazista in un organismo denominato Zona d'Operazione delle Prealpi (Alpen Vorland), direttamente controllato dalle autorità germaniche d'occupazione al cui vertice era stato messo, col titolo di Commissario Supermo, il Gauleiter del Tirolo e Vorarlberg, Franz Hofer, di Innsbruck.” <54<br />La creazione “ufficiale” dell'Alpenvorland (Zona d'operazione delle Prealpi, detta anche OZAV da Operationszone Alpenvorland appunto) e della Adriatisches Küstenland (zona di operazioni Litorale Adriatico, OZAK, affidata al Gauleiter della Carinzia Friedrich Rainer, comprendente le province di Udine, Gorizia, Trieste, Pola e Fiume) risale dunque al 10 settembre 1943.<br />Numerosi furono i provvedimenti e le azioni mirate che resero chiaro che la Germania intendeva di fatto esercitare poteri sovrani sull'Alpenvorland.<br />Hofer invitava i dipendenti delle pubbliche amministrazioni a non prestare giuramento alla Rsi, poiché “i diritti sovrani del Governo italiano nella zona di Operazioni delle Prealpi sono attualmente sospesi” <55, si vietava a Mussolini di porre la sede della neonata Repubblica sociale in territorio trentino, si vietava nell'Alpenvorland la ricostruzione del Pfr, venne tolta alla Rsi la possibilità di nominare i prefetti (come ad esempio l'estromissione di Italo Foschi a Trento, poi “ripagato” con la carica a Belluno). L'arruolamento di nuovi soldati era di competenza del commissario supremo Hofer e le autorità militari italiane non potevano circolare liberamente, se non con il consenso delle truppe germaniche.<br /><span style="font-size: x-small;">[NOTE]</span><br /><span style="font-size: x-small;">46 Anna Maria Lona, Amministrazione, società e resistenza nel Trentino occupato (1943-1945), in Venetica. Rivista di storia delle Venezia, numero 2, luglio-dicembre 1984, Francisci Editore, Abano Terme, 1984 pag. 151</span><br /><span style="font-size: x-small;">47 ibidem</span><br /><span style="font-size: x-small;">48 Umberto Corsini, L'alpenvorland, necessità militare o disegno politico?, in AA.VV, Tedeschi, partigiani e popolazioni nell'Alpenvorland (1943-1945), Marsilio Editori, Venezia, 1984, pag. 18</span><br /><span style="font-size: x-small;">49 Cit in Umberto Corsini, op. cit., nota 6 pag. 12</span><br /><span style="font-size: x-small;">50 Galeazzo Ciano, Diario, in Umberto Corsini, op.cit., pag. 13</span><br /><span style="font-size: x-small;">51 Gustavo Corni, Spostamenti di popolazioni nella Seconda guerra mondiale. Una nuova fonte sulle opzioni in Sudtirolo (1939-1943) in AA.VV, Demokratie und Erinnerung. Südtirol Österreich Italien. Festschrift fur Leopold Steurer zum 60. Geburstag, StudienVerlag, InnsbruckWien 2006, pag. 169</span><br /><span style="font-size: x-small;">52 Hubert Mock, Geher e Bleiber. Concetti, eventi, esperienze, in Andrea Di Michele, Rodolfo Taiani (a cura di), La Zona d'operazione delle Prealpi nella seconda guerra mondiale, Fondazione Museo storico del Trentino, Trento, 2009, pag. 175</span><br /><span style="font-size: x-small;">53 Umberto Corsini, op. cit., pag. 31</span><br /><span style="font-size: x-small;">54 Antonino Radice, La Resistenza nel Trentino. 1943-1945, Collana del museo trentino del Risorgimento, Rovereto, 1960, pag. 57</span><br /><span style="font-size: x-small;">55 Umberto Corsini, op. cit., pag. 41</span><br /><b>Francesco Corniani</b>, <i>Un marinaio in montagna. Storia di Bruno Viola e dell'eccidio di Malga Zonta</i>, Tesi di laurea, Università Ca' Foscari Venezia, Anno accademico 2009-2010</div><p></p>Adriano Mainihttp://www.blogger.com/profile/09465917157661723606noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8501527429006047139.post-31467108232220182952024-02-09T09:47:00.004+01:002024-02-09T09:48:16.303+01:00Sarebbe stato l’ultimo atto del governo Forlani prima di essere sfiduciato<div><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhoRBY0h5j7W3LrBjJxK7vI1-Wd-QN525cY8agBHofN16whFUvscTXuWCsUwR3iluo5igZKxcGBBFfix0vZHQumrRzQVaBFVMx2Wl6jGynL25G70IxO2mS0RmDUQoFnUEOm9NOMS3aY6AcGZWRI5F1J_qd72hUIdOIwD09jbsL3eYiMV3QEeIkvLq3KDuM/s818/gt3.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="818" data-original-width="544" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhoRBY0h5j7W3LrBjJxK7vI1-Wd-QN525cY8agBHofN16whFUvscTXuWCsUwR3iluo5igZKxcGBBFfix0vZHQumrRzQVaBFVMx2Wl6jGynL25G70IxO2mS0RmDUQoFnUEOm9NOMS3aY6AcGZWRI5F1J_qd72hUIdOIwD09jbsL3eYiMV3QEeIkvLq3KDuM/w426-h640/gt3.jpg" width="426" /></a></div><br /></div><div style="text-align: justify;">Secondo il magistrato Giuliano Turone i documenti sequestrati all’aeroporto di Fiumicino furono deliberatamente fatti ritrovare da Gelli al fine di lanciare un messaggio chiaro sulla quantità e sulla qualità di informazioni che ancora erano in suo possesso. <66<br />In quest’ottica, il “PRD” sarebbe servito solamente a stimolare una reazione da parte di quei settori della classe politica più compromessi con la storia piduista; un canovaccio di idee atte a richiamare all’ordine tutti quei personaggi politici che sono legati a filo doppio alle logiche e ai ricatti del sistema P2. Quest’ultimo giudizio coincide parzialmente con quello dato da Teodori nella relazione finale, che giudica il “Piano” un “pezzo di carta […], un collage di ovvie e banali proposte di riforme costituzionali in circolazione negli ambienti politici ed accademici alla metà degli anni settanta”. In conclusione il “Piano di Rinascita Democratica” era un testo che lasciava presagire l’ipotesi di una istituzione totale chiusa all’impegno di cittadini consapevoli. Un trattato che se non destabilizzava il sistema democratico, certamente lavorava per mettere la sordina alle sue componenti più vitali.<br /><i>1.3 La legge istitutiva.</i><br />Nei giorni successivi alla perquisizione e al sequestro di Castiglion Fibocchi, il silenzio avvolgeva l’intera operazione della Procura della Repubblica di Milano. Niente era trapelato a livello ufficiale e l’affaire P2 occupava un posto marginale nelle redazioni dei giornali. Ma le voci insistevano nel mese di marzo, e i trafiletti diventavano articoli guadagnando il sempre più vivace interesse dell’opinione pubblica, tanto che nel mese di aprile già ci si domandava: “Quali segreti nelle carte di Gelli?” <67<br />All’inizio del maggio 1981 alcuni deputati del Movimento Sociale Italiano - Destra Nazionale avevano depositato un disegno di legge che estendeva i poteri della Commissione parlamentare che stava indagando sul caso del banchiere Sindona allo scopo di appurare i possibili collegamenti con le inchieste giudiziarie partite dalla Procura della Repubblica di Milano che interessavano il ruolo svolto dalle logge massoniche negli avvenimenti politici, economici e bancari, degli anni 1970-1980. <68<br />Mentre il Presidente del Consiglio Forlani definiva “fantasiosi” <69 i nomi dei presunti iscritti alla loggia P2 che i giornali continuavano a pubblicare, il settimanale “Panorama” si era spinto a divulgare un’intera lista di 82 personalità del mondo politico, delle forze armate, della magistratura, dell’editoria, del giornalismo e delle banche. Erano nomi importanti: vi si trovava il ministro del Commercio con l’estero, Enrico Manca <70, il senatore Gaetano Stammati, il capogruppo del Partito socialista alla Camera, Silvano Labriola, il segretario del Partito social-democratico, Pietro Longo.<br />Il Presidente del Consiglio Forlani aveva cercato invano di minimizzare la portata dello scandalo. A capo di una coalizione allargata a socialisti, repubblicani e socialdemocratici, composta da 13 ministri democristiani, 7 socialisti, 3 ciascuno ai repubblicani e ai socialdemocratici, l’indole di Forlani non sembrava reggere il peso di decisioni impellenti come quelle a cui il governo era chiamato in quella primavera del 1981 <71<br />Nel referendum indetto il 17 maggio il mondo cattolico non era riuscito a impedire che gli italiani aderissero a leggi ritenute dalla Chiesa contrarie all’insegnamento evangelico, tanto che il 68% dei votanti aveva espresso il suo assenso alla legalizzazione dell’aborto. Questa prova elettorale era stata preceduta di soli quattro giorni dall’attentato di Mehemet Ali Agca al Papa in una piazza San Pietro gremita di fedeli.<br />Contemporaneamente proseguiva lo stillicidio delle azioni sanguinarie dei brigatisti. Mentre si imponeva agli onori della cronaca lo scandalo P2, altri episodi di terrorismo politico si aggiungevano ai tanti del precedente decennio: il sequestro del magistrato Giovanni D’Urso e quello dell’assessore regionale in Campania, Ciro Cirillo. <br />Il 19 maggio a Montecitorio Forlani, rispondendo alle interrogazioni dei deputati, era chiamato a confermare o smentire quegli elementi di carattere mafioso, di affarismo internazionale e di collusione politica che sembravano essere l’architrave portante dell’ associazione segreta; e quali misure erano state adottate per impedire che queste attività potessero svolgersi in violazione della legge; ma soprattutto, chi erano i nomi contenuti nella lista e perchè il Parlamento non ne era stato informato. <72<br />I nomi riportati sui giornali non consentivano di temporeggiare dal momento che il danno più ingente nascosto dietro lo scandalo era la congettura, che devastava la realtà colpendo tutti indistintamente. Nel rispondere alle interrogazioni, Forlani aveva provato a coprire la propria prudenza con quella “ispirazione garantista e quel rispetto dei valori democratici” che dovevano presiedere ogni momento della vita del governo e che non gli consentivano di scendere in piazza con i forconi prima ancora che le responsabilità dei singoli fossero state accertate al di là di ogni ragionevole dubbio.<br />Racchiudere il proprio operato entro il perimetro della legittimità democratica non bastava però a spiegare i mesi di inerzia che il governo aveva lasciato trascorrere senza informare il Parlamento e il paese. Pochi giorni prima era stato affidato ad un gruppo di tecnici, detto il “Comitato dei tre saggi”, il compito di capire cosa fosse questa Loggia e quali finalità perseguisse. Composto da eminenti giuristi - Aldo Sandulli, Lionello Levi Sandri, Vezio Crisafulli - scelti per l’importante prestigio delle loro biografie, il comitato aveva concluso i propri lavori dopo poche settimane dall’inizio dell’indagine con un giudizio estremamente pesante sulla Loggia P2 <73. Ma ai più intransigenti che chiedevano l’immediata pubblicazione degli elenchi, Forlani ancora temporeggiava e ancora una volta la responsabilità di questo ritardo non era la sua: "Desidero dichiarare che sono ben lontano da voler opporre il segreto in parola alla conoscenza o alla pubblicazione degli elenchi di presunti affiliati alla loggia P2. Nessuno ostacolo sarà quindi frapposto dal governo. Condivido anzi l’auspicio di una sollecita pubblicazione degli elenchi. Tuttavia spetta alla stessa autorità giudiziaria disporre in ordine alla libera conoscenza del contenuto degli atti e dei documenti suddetti. <74<br />Tale strategia sembrava dettata più dal calcolo politico che dall’attitudine alla delega, dal momento che il terzo potere dello Stato non avrebbe potuto pubblicare l’elenco degli iscritti alla Loggia senza venire accusato di interferenza illecita. Come ricorda nelle sue memorie Gherardo Colombo: “Scriviamo una lettera a Forlani. Sosteniamo che non esistono controindicazioni da parte nostra alla pubblicazione del materiale. Nonostante la lettera inviata, il governo non decide”. <75 La situazione si era sbloccata grazie alla Commissione parlamentare sul caso Sindona, la quale, con un comunicato ufficiale, aveva annunciato che avrebbe provveduto essa stessa alla pubblicazione delle liste. Solo a quel punto, dal telegiornale della notte, usciva la notizia che il governo aveva deciso. La lista completa degli affiliati alla Loggia massonica P2 veniva pubblicata dall’ufficio stampa della Presidenza del Consiglio alla mezzanotte del 20 maggio 1981. <76 Sarebbe stato l’ultimo atto del governo Forlani prima di essere sfiduciato. Avrebbe lasciato il posto al primo presidente laico della storia repubblicana, Giovanni Spadolini. Nei giorni successivi alla pubblicazione delle liste, tra il 26 maggio e il 5 giugno 1981, venivano depositate alla Camera quattro proposte di legge per istituire una Commissione parlamentare d’inchiesta sulla loggia massonica P2: la prima su iniziativa della Democrazia Cristiana <77; la seconda del Partito Comunista <78; la terza e la quarta rispettivamente del Partito socialista <79 e del Partito socialdemocratico. <80<br />Le proposte di legge si presentavano tecnicamente simili. Tutte prevedevano una commissione bicamerale, che assicurasse la presenza di un rappresentante per ciascun gruppo esistente in almeno un ramo del Parlamento. <81 Inoltre per tutti i partiti, l’inchiesta doveva avere carattere sia di controllo - ossia finalizzata ad accertare i caratteri, la natura e le finalità dell’associazione massonica - che legislativa, proponendosi di mettere le Camere nelle condizioni di approntare quegli strumenti normativi e organizzativi necessari ad evitare la ricomparsa del fenomeno criminoso. <82<br /><span style="font-size: x-small;">[NOTE]</span><br /><span style="font-size: x-small;">66 G. Turone, Il contesto e la teorizzazione del golpe strisciante, op.cit., p. 15.</span><br /><span style="font-size: x-small;">67 S. Bonsanti, Trovato l’elenco supersegreto dei 1720 massoni della “P2”?, «La Stampa», 24.03.1981; la notizia della perquisizione a Castiglion Fibocchi trapela su un telgiornale della sera già il venerdì 20 marzo 1981; sabato 21 marzo sul «Giornale Nuovo»: “Nell’ambito delle indagini per l’affare Sindona, stasera si è appresa una doppia operazione compiuta dalla magistratura di Milano e da quella di Roma, nella villa aretina di Licio Gelli, “venerabile maestro” della loggia P2. Per conto dei giudici milanesi l’intervento sarebbe stato operato dalla Guardia di Finanza mentre Roma avrebbe partecipato agli accertamentei attraverso il sostituto procuratore Domenico Sica”; Su «L’Unità» di lunedì 23 marzo “Dopo il sequestro di materiale importantissimo relativo alla Loggia massonica P2 e alle sue attività economiche svolte tramite il bancarottiere Michele Sindona, dopo l’interrogatorio del deputato socialdemocratico Flavio Orlandi per il suo intervento diretto a evitare a Sindona l’estradizione, questa della Usiris, società svizzera, e di Filippo Micheli, segretario amministrativo della Dc, destinatario di ingenti some sottratte alle banche milanesi del Sindona appare un elemento di grande rilievo”. </span><br /><span style="font-size: x-small;">68 Atti parlamentari - Camera dei deputati - VIII legislatura - Disegni di legge e relazioni. Proposta di legge n. 2580 d’iniziativa dei deputati Tatarella, Pazzaglia, Menniti, Martinat, Rubinacci, Staiti di Cuddia Delle Chiuse. Integrazione della legge 22 maggio 1980, n. 204 istitutiva della Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Sindona mediante l’articolo unico 1-bis: “La commissione ha anche il compito di accertare ruoli e responsabilità di logge massoniche negli avvenimenti politici, economici, finanziari e bancari negli anni 70-80”.</span><br /><span style="font-size: x-small;">69 Smentita di Forlani sulla loggia di Gelli, in «Corriere della Sera», 12 maggio 1981.</span><br /><span style="font-size: x-small;">70 Furono altri due i ministri del governo Forlani i cui nomi erano stati ritrovati nelle liste della Loggia P2: il ministro di Grazia e Giustizia Adolfo Sarti e il ministro del Lavoro Franco Foschi.</span><br /><span style="font-size: x-small;">71 Definito da Alessandro Piazzesi il “coniglio mannaro”, secondo le suggestioni di Indro Montanelli: “Forlani era un uomo senza molti nemici. Non li aveva per il temperamento accomodante, per le enunciazioni politiche totalmente generiche e prive di qualsiasi concretezza. Mediocre nel comandare, sublime nel minimizzare”, in I. Montanelli, L’Italia degli anni di fango, Milano, Rizzoli, 1993, p. 170; per una coeva ricostruzione politica dei mesi immediatamente precedenti l’istituzione della Commissione d’inchiesta si veda E. Scalfari, Da Sindona a Gelli, in A. Barberi, L’Italia della P2, Milano, Mondadori, 1981.</span><br /><span style="font-size: x-small;">72 Camera dei Deputati - Discussioni - Seduta del 19 maggio 1981, p.29859 e sg. L’interpellanza a firma Bonino e altri chiede che la Presidenza del Consiglio “pubblichi per intero e immediatamente l’elenco di questa società segreta, lasciando poi ai magistrati e agli interessati il compito e l’onere di acclarare se la semplice appartenenza alla P2 si sia accompagnata per ciascuno di essi ad un comportamento illecito o no”. Nella medesima direzione si muovono le interpellanze degli altri gruppi parlamentari.</span><br /><span style="font-size: x-small;">73 Il Comitato amministrativo, cominciò i suoi lavori il 7 maggio 1981 consegnando la relazione finale il 5 giugno 1981. La P2 veniva definita “una formazione postasi fuori dall’ordinamento massonico [...] Il vertice della cosiddetta loggia P2 gelliana ha vissuto e si è proposto di operare in Italia come un luogo di influenza e di potere occulto insinuandosi nei gangli dei poteri pubblici e della società civile, e di ordinare in un unico disegno bisogni, aspirazioni, ambizioni e interessi individuali sì da convogliarli verso tutt’altri risultati che quelli della solidarietà umana intesa nel suo autentico significato. [...] Un’associazione occulta può diventare uno Stato nello Stato. E questo non può esser consentito nell’ordine democratico. Un’associazione occulta potrebbe non soltanto contribuire a snaturare il sistema rappresentativo della Repubblica, potrebbe altresì far deviare quegli organi pubblici che sono tenuti a far puntuale applicazione delle scelte del potere politico e ad osservare l’imparzialità nell’esercizio delle rispettive attribuzioni. Nè può essere taciuta la nefasta azione che i centri di influenza occulti potrebbero essere in grado di esercitare in tutta la società civile condizionando le attività economiche, l’informazione, la vita dei partiti e dei sindacati”.</span><br /><span style="font-size: x-small;">74 Camera dei Deputati - Discussioni - Seduta del 19 maggio 1981.</span><br /><span style="font-size: x-small;">75 Lettera di G. Turone e G. Colombo ad Arnaldo Forlani, 20 maggio 1981, in CP2, Allegati, Serie II, Vol. I, tomo IV, p. 56; mi sono avvalso di G. Colombo, Il vizio della memoria, Milano, Feltrinelli, 1997, p. 66. . Inoltre per tutti i partiti, l’inchiesta doveva avere carattere sia di controllo - ossia finalizzata ad accertare i caratteri, la natura e le finalità dell’associazione massonica - che legislativa, proponendosi di mettere le Camere</span><br /><span style="font-size: x-small;">76 Cfr. Barberi (a cura di), L’Italia della P2, op. Cit.; S. Flamigni, Trame atlantiche, op.cit.; G. Galli, La venerabile trama, Lindau, Torino, 2007; G. Mastellarini, Assalto alla stampa, Dedalo, Bari, 2004.</span><br /><span style="font-size: x-small;">77 Atti Parlamentari, Camera dei deputati, VIII Legislatura, Disegni di legge e relazioni, proposta di legge n. 2623 d’iniziativa dei deputati Carta, Del Rio, Fontana Elio, Grippo, Mora Gianpaolo, Padula, Segni, Silvestri, Zarro, Zurlo, presentata il 26 maggio 1981, Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulla Loggia Massonica P2.</span><br /><span style="font-size: x-small;">78 Ivi, proposta di legge n. 2632, d’iniziativa dei deputati Fracchia, Cecchi, Chiovini, Pochetti, presentata il 2 giugno 1981, Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulla loggia P2.</span><br /><span style="font-size: x-small;">79 Ivi, proposta di legge n. 2634, d’iniziativa dei deputati Casalinuovo, Seppia, Raffaelli Mario, Sacconi, Falisetti, Ferrari Marte, presentata il 3 giugno 1981, Costituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulla cosiddetta Loggia massonica Propaganda 2.</span><br /><span style="font-size: x-small;">80 Ivi, proposta di legge n. 2643 d’iniziativa dei deputati Reggiani, Rizzi, Cuojati, Madaudo, Furnari, Costi, presentata il 5 giugno 1981, Istituzione di una Commissione palamentare d’inchiesta sulla loggia massonica P2.</span><br /><span style="font-size: x-small;">81 Così come stabilito con legge istitutiva della “Commissione Moro”, 23 novembre 1979, n. 597, la quale prevedeva che, oltre a garantire la proporzionalità tra i vari gruppi si dovesse comunque assicurare la presenza di un rappresentante per ciascuna componente politica costituita in gruppo in almeno un ramo del Parlamento, Senato della Repubblica, “Bollettino delle Giunte e delle Commissioni”, 12 maggio 1977.</span><br /><span style="font-size: x-small;">82 La normativa delle Commissioni parlamentari era stata definita in Assemblea Costituente sull’onda della caduta del fascismo, dove era prevalsa la funzione di garanzia. L’articolazione del dibattito sviluppatosi nei decenni successivi intorno allo strumento dell’inchiesta parlamentare è ben descritto in G. De Vergottini (a cura di), Le inchieste delle Assemblee parlamentari,Rimini, Maggioli, 1985; per la distinzione tra inchieste legislative e inchieste di controllo mi sono avvalso di G. Troccoli, Le Commissioni parlamentari di inchiesta nella esperienza repubblicana, op. cit., p. 47; in G. Recchia, L’informazione delle Assemblee rappresentative, Napoli, Jovene, 1979, p. 252-257; in G. Maranini, Storia del potere in Italia, 1848-1967, Firenze, Vallecchi, 1968. Per una trattazione divulgativa delle Commissioni parlamentari come strumento di inchiesta ho consultato A. P. Tanda, Fondamenti normativi e prassi dell’inchiesta parlamentare, in Regione Toscana (a cura di), Le Commissione parlamentari di inchiesta, Regione Toscana, Firenze, 1997; per un raffronto storico sulle inchieste parlamentari negli ordinamenti europei e americani rimando a P. Avril, Le commissioni d’inchiesta in Francia, p. 313; B. Bercusson, Le commissioni parlamentari d’inchiesta nel diritto costituzionale britannico, p. 325 in G. De Vergottini; A. Reposo, L’ordinamento statunitense e Le inchieste negli ordinamenti socialisti, Padova, La Garangola, 1975.</span><br /><span style="font-size: small;"><b>Lorenzo Tombaresi</b>, </span><i><span style="font-size: small;">Una crepa nel muro. Storia</span> politica della Commissione d'inchiesta P2 (1981-1984)</i>, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Urbino "Carlo Bo", Anno Accademico 2014-2015</div><p></p>Adriano Mainihttp://www.blogger.com/profile/09465917157661723606noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8501527429006047139.post-67119591574059192852024-02-04T09:56:00.003+01:002024-02-04T09:57:25.571+01:00C'è anche un altro elemento da considerare rispetto al mancato consenso della classe operaia milanese verso il fascismo<p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgipVNRUfXdjyW1zRbSLPnm4bIxjPFFNj28k28OjOkp9Eh_SH2C3qbcQpvOTT3t_MhsywZxqAtW5QnxwOQMs6fTxWjp89x1FUl4GUx2blEuh2TrcVUNB9_ahEmoTZoev8_rgr7ppiNPyXhXup6P4Ptqx-TqWeB5W4xxOmE-VvlXnWzrQqo8oMYr5X4Qs1M/s535/lg2.GIF" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="535" data-original-width="339" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgipVNRUfXdjyW1zRbSLPnm4bIxjPFFNj28k28OjOkp9Eh_SH2C3qbcQpvOTT3t_MhsywZxqAtW5QnxwOQMs6fTxWjp89x1FUl4GUx2blEuh2TrcVUNB9_ahEmoTZoev8_rgr7ppiNPyXhXup6P4Ptqx-TqWeB5W4xxOmE-VvlXnWzrQqo8oMYr5X4Qs1M/w254-h400/lg2.GIF" width="254" /></a></div><br /><div style="text-align: justify;">Il rinascere della mobilitazione operaia nel triangolo industriale e in particolare a Milano è strettamente connesso con l'andamento generale della guerra e con il peggioramento delle condizioni di vita della popolazione. Il fascismo non era mai del tutto riuscito a rompere quella resistenza morale e ideologica che i lavoratori industriali avevano opposto negli anni del regime; questo non necessariamente per identificazione con gli sconfitti degli anni Venti (sebbene la memoria dell'origine antiproletaria del movimento mussoliniano permanesse soprattutto nelle generazioni più vecchie), quanto per quello che il fascismo aveva concretamente significato per le condizioni di lavoro in fabbrica: compressione salariale, negazione della rappresentanza e dell'autonomia dei lavoratori, la 'trappola' del corporativismo interclassista. Uno dei terreni su cui si svolgerà l'interpretazione operaia della lotta antifascista sarà appunto la questione della rappresentanza, come testimoniano le interpretazioni 'consiliariste' di molte organizzazioni operaie e della sinistra classista a Milano relativamente alle commissioni interne istituite dopo l'8 settembre, in parte mantenute anche sotto Salò, e ai CLN aziendali: "La richiesta dei consigli era comparsa nel 1942 in un giornale il cui titolo e sottotitolo erano già tutta una rimembranza: 'L'Ardito del popolo. Organo degli operai, contadini e soldati'. La Federazione comunista libertaria milanese si rivolse al CLN provinciale informando di aver partecipato 'con altri movimenti rivoluzionari alla creazione di un movimento per la costituzione dei consigli di fabbrica, riprendendo l'idea torinese dell'altro dopoguerra', e di avere conseguentemente formato le 'brigate dei consigli', che chiedevano di operare 'in accordo con quelle del CLN'. I bordighisti del Partito comunista internazionalista rivendicarono anch'essi i consigli come organo della rivoluzione. La marginalità di questi gruppi e la posizione minoritaria dei socialisti che facevano capo a Lelio Basso, anch'essi favorevoli ai consigli, suffragano il giudizio espresso di recedente da uno dei più sensibili, fra i protagonisti di quegli eventi, alla tematica consiliare. Vittorio Foa ha infatti escluso che durante la Resistenza sia davvero riemersa 'la linea rivoluzionaria dei consigli di fabbrica' […]: i consigli del periodo resistenziale furono, e non solo in Italia, 'strumenti di collaborazione di classe e di democratizzazione del sistema sociale'. […] Lo spirito consiliare e autonomistico che animava un'ala del Partito d'azione si riversò più che sui consigli, soprattutto sui CLN […]". <259<br />Tuttavia, come vedremo, questa interpretazione rivoluzionaria della rappresentanza operaia o comunque legata alla necessità operaia di autonomia e controllo, ha un seguito molto superiore ai soli gruppi dell'estrema sinistra, arrivando a contagiare buona parte della base operaia del Partito comunista. Quando i repubblichini e gli occupanti nazisti riconoscono infatti le commissioni interne badogliane, il PCI dà ordine di scioglierle e rifiutarle, ma molti simpatizzanti e militanti non accettano e manifestano critiche, dubbi: "Non si trattava di opposizioni poco qualificate. Le riserve vengono dagli stessi compagni della base, da fabbriche che hanno al loro attivo dure e recenti lotte. Nel novembre il comitato di fabbrica della Breda rivolge alla direzione del partito una lettera contenente ampie riserve sulla sua decisione: le commissioni interne, scrive il comitato comunista di fabbrica, garantiscono la sorveglianza della mensa e della mutua; controllarle può significare impedire il ritorno dei fascisti a posti di rilievo, porre i compagni al riparo da persecuzioni". <260<br />Su questo punto incontriamo il nodo dell'interpretazione 'istituzionale' critica che una parte della Resistenza esprimerà attraverso quella che Claudio Pavone ha definito 'ideologia consiliare' o 'ideologia dell'autonomismo' <261.<br />Ed è sul terreno sindacale che si consuma la prima significativa rottura tra il governo Badoglio e operai del nord nell'agosto ‘43: il nodo è quello della libertà di rappresentanza e della rottura con l'apparato fascista, attraverso nuovi organismi. Badoglio aveva infatti disposto il passaggio delle organizzazioni sindacali di regime alle dipendenze dei prefetti, ma il ministro delle corporazioni, Piccardi, aveva avviato contatti con esponenti del vecchio sindacalismo prefascista per nominarli commissari e vicecommissari alle diverse confederazioni: "L'operazione è diretta a blandire ed a rassicurare l'opinione pubblica antifascista, ma non si svolge senza contrasti. Ci sono delle ostilità all'interno del governo in primo luogo, provenienti dall'ala più vicina al re, attestata su una linea che vuole la continuità dell'apparato statale e che si illude di conservare un blocco di sane forze d'ordine attorno alla monarchia senza concessioni all'antifascismo o alle richieste popolari. Questa linea è perdente a tutti gli effetti, ma altri conflitti si annodano attorno alla questione sindacale". <262<br />Ciò cui fa riferimento Ganapini sono le richieste di libertà politica e sindacale, di cui gli scioperi estivi del '43 in particolare a Milano si fanno portavoce nazionali. I commissari sindacali diventano così, da strumento di legittimazione del nuovo governo, dimostrazione del limite invalicabile tra questo e l'antifascismo.<br />C'è anche un altro elemento da considerare rispetto al mancato consenso della classe operaia milanese verso il fascismo: la sua composizione e le caratteristiche dell'operaio meneghino e dell'hinterland di fine anni Trenta - inizio Quaranta. Alla vigilia della guerra, nel '40-'41, si verifica infatti un incontro importante che è generazionale e sociale al tempo stesso: i vecchi nuclei di lavoratori urbani, dove più forte è la tradizione operaista e l'identificazione con gli sconfitti degli anni Venti, si contaminano con i giovani operai di origine contadina e recente inurbamento. Sono figli di gruppi sociali poverissimi, provenienti dalla Brianza a nord o dalla vastissima area agricola a sud, che vivono le difficoltà dell'immigrazione e non usufruiscono di provvidenze e dopolavoro; inoltre sono i principali obiettivi di quella rivalità tra operai e contadini che la propaganda fascista ha sempre esaltato, fattore che alimenta il senso di emarginazione ed esclusione nei secondi. Non che la classe operaia fosse immune dal pregiudizio antirurale: a Milano il termine 'paolott', bigotto, si riferisce proprio agli immigrati di origine contadine, descritti come sottomessi e incapaci di ribellione <263.<br />Tuttavia lo scoppio della guerra, il suo andamento, la crisi economica e alimentare, la militarizzazione dell'industria portano a crepe importanti nell'apparato del regime che, alla fine del '42, aprono uno spazio significativo perché la vecchia e la nuova classe operaia esprimano il loro malcontento che presto sfocia in protesta a carattere sindacale. I bombardamenti angloamericani sulla città e nei dintorni rappresentano l'innesco per le prime ridotte, ma significative mobilitazioni già nel novembre-dicembre 1942: "Le masse operaie, che a differenza degli abitanti del centro non possono permettersi di seguire il sensato consiglio del dittatore [di sfollare fuori città, NDA], reagiscono come possono. Anche se i loro atti di indisciplina sono ancora contenuti e limitati (relazione del 25 novembre 1942) hanno sufficiente energia per manifestazioni di malumore alla Breda, all'Alfa Romeo, alla Magneti Marelli; mentre un ritardo nella corresponsione delle paghe provoca all'Isotta Fraschini una sospensione temporanea del lavoro (relazione del 26 dicembre 1942)". <264<br />Il peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro rappresentano un elemento unificante tra le diverse generazioni ed estrazioni di operai che, unitamente alla questione abitativa e dei trasporti (connesse direttamente ai danni dei bombardamenti e della guerra), trovano nella fabbrica e nella vita quotidiana i fronti delle loro vertenze. In particolare il fronte delle necessità quotidiane, esterne al posto di lavoro, come luoghi della battaglia sindacale e politica, diventerà importantissimo nella fisionomia della politica del conflitto a Resistenza avviata e nel dopoguerra.<br />Fino all'8 settembre possiamo individuare i seguenti episodi di conflitto: le già citate astensioni dal lavoro dell'inverno 1942 centrate, fuori dalla fabbrica sulla questione alimentare, abitativa e sanitaria, dentro la fabbrica sul regime di lavoro; gli scioperi del marzo 1943 in Alta Italia, che a Milano iniziano in ritardo a fine mese e che segnano l'inizio vero e proprio della prima parte del ciclo conflittuale di guerra, che durerà fino allo sciopero generale di un anno dopo: la mobilitazione scatena una dura repressione che renderà impossibile fino al 26 luglio qualunque altra manifestazione operaia <265; manifestazioni e scioperi che dal tardo luglio e per tutto agosto attraversano il paese e in particolare i poli industriali; a Milano in particolare il 2 agosto viene lanciato (sulla base dei contrasti già descritti) un ordine del giorno fortemente antibadogliano centrato su 'pane, pace, libertà'. La ripresa di intensi bombardamenti sui grandi centri del nord, tra l'8 e il 17 agosto scatena mobilitazioni e scioperi ancora più vasti. <266<br />Questione sindacale, questione politica, questione della pace si intrecciano in questa prima fase di politica del conflitto che si relaziona con due interlocutori governativi diversi (la dittatura fascista e il governo monarchico-militare di Badoglio) e dove cresce d'importanza la parola d'ordine dell'insurrezione antifascista fino al 25 luglio e centrale diventano quelle della pace e della libertà sotto Badoglio. I comitati unitari delle opposizioni che nascono nella prima metà del '43 hanno infatti nell'azione insurrezionale il principale elemento di divergenza; la soluzione legalitaria, il golpe di palazzo di luglio mette al riparo (momentaneamente) il fronte antifascista moderato da una prospettiva scomoda.<br />Le modalità con cui questi interlocutori interpretano e gestiscono il conflitto sociale che esplode in particolare nell'estate confermano la sostanziale continuità con il fascismo e mostrano la ricomparsa di antiche culture di governo, costitutive della classe dirigente italiana: "Attuali agitazioni assumono qua e là tendenza comunista. Masse operaie intenderebbero secondo notizie fiduciarie prossima notte oppure notti successive occupare mano armata uffici pubblici. Pregasi prendere opportuni accordi con autorità militare per stroncare con qualsiasi mezzo tentativi del genere". <267<br />E ancora: "Le autorità militari pensano di poter rispondere con la forza. Sui maggiori centri industriali vengono fatti affluire consistenti rinforzi. A Milano, in particolare, viene inviata 'una delle due divisioni dislocate sulle “posizioni d'arresto” della Toscana ed una parte delle divisioni di cavalleria rientrate dalla Russia (reggimento bersaglieri e l'artiglieria)'. Il comportamento cui devono ispirarsi le forze in servizio d'ordine pubblico è fissato dalla nota circolare Roatta: '…qualunque pietà et qualunque riguardo nella repressione sarebbe […] delitto: […] poco sangue versato risparmia fiumi di sangue in seguito' ". <268<br />86 morti e 329 feriti è il bilancio della repressione governativa; solo a Milano e provincia i morti sono 26. Era corretto il sospetto che avevano le vecchie e le nuove autorità di una presenza comunista dietro le agitazioni? Sicuramente è dalle pagine de l'Unità clandestina che partono gli appelli e le indicazioni sugli obiettivi delle proteste, ma le manifestazioni di strada e molte proteste di lavoro nascono spontaneamente. Il Partito comunista precedente alla svolta di Salerno <269 dell'agosto 1944 è ancora un partito a prevalente tendenza insurrezionalista e cospirativa, con (ridottissimi) nuclei di militanti clandestini nelle fabbriche, l'unico (assieme alle formazioni 'Giustizia e libertà') a non aver lasciato il paese nei duri anni della dittatura. Quando si presenta l'occasione, poche decine di volantini e le copie illegali de l'Unità servono a fornire un embrione di contenuto politico alle lotte economiche e di sopravvivenza. Ed è qui che comincia a formarsi l'immaginario operaio del 'nemico', dove si sovrappongono le figure del fascista, del padrone e, dopo l'8 settembre, dell'occupante nazista.<br /><span style="font-size: x-small;">[NOTE]</span><br /><span style="font-size: x-small;">259 C. Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, p. 315, Borlinghieri 2003 (Prima edizione 1991)</span><br /><span style="font-size: x-small;">260 L. Ganapini, Una città, la guerra (Milano 1939-1951), p. 69, Franco Angeli 1988</span><br /><span style="font-size: x-small;">261 C. Pavone, Alle origini della Repubblica. Scritti su fascismo, antifascismo e continuità dello Stato, p. 81, Bollati Boringhieri 1995</span><br /><span style="font-size: x-small;">262 Ibidem, p. 56</span><br /><span style="font-size: x-small;">263 Ibidem, pp. 43-44</span><br /><span style="font-size: x-small;">264 Ibidem, p. 37</span><br /><span style="font-size: x-small;">265 Oltre 350 sarebbero stati, secondo diverse fonti orali e testimonianza, gli arresti e le condanne che seguirono gli scioperi.</span><br /><span style="font-size: x-small;">266 Il 9 agosto alla Pirelli Bicocca di Milano, all'Elettromeccanica, alla Breda, alla Falck di Sesto San Giovanni oltre 15mila lavoratori entrano in sciopero contro la guerra; il 17 agosto il 20-30% degli addetti all'industria di Milano e provincia, circa 65mila persone, si astiene dal lavoro.</span><br /><span style="font-size: x-small;">267 Carmine Senise (capo della polizia) nel telegramma ai prefetti del 27 luglio 1943, cit. in L. Ganapini, op. cit., p. 51</span><br /><span style="font-size: x-small;">268 L. Ganapini, op. cit., pp. 52-53</span><br /><span style="font-size: x-small;">269 Quando il segretario PCI, Palmiro Togliatti, di rientro in Italia lancia la svolta politico-organizzativa definita del 'partito nuovo'.</span><br /><b>Elio Catania</b>, <i>Il conflitto sociale: “motore della Storia” o “tabù” storico-politico. Il caso di Milano nel secondo dopoguerra</i>, Tesi di laurea magistrale, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Anno Accademico 2016-2017</div><p></p>Adriano Mainihttp://www.blogger.com/profile/09465917157661723606noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8501527429006047139.post-26752217758931632822024-01-27T12:18:00.002+01:002024-01-27T12:19:03.718+01:00Fu catturata su iniziativa della polizia tedesca<div><p style="text-align: justify;"></p><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjJLG3GX8xHlmt_HAhQYN-Kaakhq6mWhuqd7WQNv3WCudGW2JMdA9414E7nL62jq_qxfZnEQiacqxGMJbcBv-yO2NkxnIJtnXX_SROGtg-FiI9GuVeIFxloCEOnHcQ3FwP2hyYGf-2QaeEzvr0c-JNsLAudUm4TdkZNqH_P6KubL6gG55Ixj6s6QbMGxn4/s1421/obpi5.jpeg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="852" data-original-width="1421" height="384" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjJLG3GX8xHlmt_HAhQYN-Kaakhq6mWhuqd7WQNv3WCudGW2JMdA9414E7nL62jq_qxfZnEQiacqxGMJbcBv-yO2NkxnIJtnXX_SROGtg-FiI9GuVeIFxloCEOnHcQ3FwP2hyYGf-2QaeEzvr0c-JNsLAudUm4TdkZNqH_P6KubL6gG55Ixj6s6QbMGxn4/w640-h384/obpi5.jpeg" width="640" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Pietra d'inciampo in memoria di Olga Blumenthal, posata il 22 gennaio 2018 nel cortile dell'Università Ca' Foscari di Venezia. Fonte: Wikipedia<br /></td></tr></tbody></table><br /></div><div style="text-align: justify;">Tornò [Olga <a href="https://digital-library.cdec.it/cdec-web/persone/detail/person-3141/blumenthal-olga.html" target="_blank">Blumenthal</a>] a Venezia solo il 4 dicembre 1943, quando si sentiva probabilmente al sicuro o sollecitata dalle forze dell’ordine che la tenevano sotto controllo.<br />Un’ordinanza della Questura ai Commissariati di P.S. ordinava che gli ebrei, diffidati dall’allontanarsi dalla loro residenza, fossero obbligati a presentarsi ogni giorno all’Ufficio di Pubblica Sicurezza o al Comando dei Carabinieri.<br />La rete intorno a Olga e a chi come lei aveva scelto di rimanere si stava stringendo senza lasciare alcun margine di scampo. “Gli ebrei più influenti et più pericolosi dovranno essere piantonate (sic.) nelle loro abitazioni.” <369<br />Olga Blumenthal era controllata dalla Polizia. Già nota per la sua insistente richiesta di riavere il proprio apparecchio radio, forse non era a conoscenza che la sua attività, come quella di altri professionisti ebrei, era seguita con attenzione dalla Questura e dalla Prefettura di Venezia. Già prima dell’8 settembre Olga faceva parte di un ristretto numero di persone, soprattutto medici, ai quali si stava tentando di vietare ulteriormente ogni tipo di lavoro. La Questura aveva avuto una segnalazione “sulle insegnanti ebree” ancora attive a Venezia e aveva chiesto notizie al Provveditore agli studi per “conoscere se anche alle insegnanti private ebree sia inibito l’esercizio professionale.” Per i medici e altri professionisti la cancellazione dall’albo inibiva l’esercizio della professione, ma per quando riguarda le lezioni private, individuali e sporadiche, il controllo risultava più difficile. Tanto da meritare una menzione particolare:<br />"Per quanto gli ebrei siano stati esclusi dall’insegnamento, privatamente si hanno ancora persone di questa razza che insegnano ad ariani. Vi è infatti la prof. Calimani Geltrude e la Prof. Blummental Secretal (sic.) che imperturbate insegnano la lingua tedesca a prezzi di concorrenza a persone ariane". <370<br />Infatti due mesi dopo, il Questore scriveva nuovamente al Prefetto per il caso delle due professoresse di tedesco, evidenziando un vuoto normativo che impediva alle autorità di intervenire:<br />"A seguito di precedente comunicazione in merito all’esposto presentato all’Ecc. Il Primo Presidente della Corte di Appello […] sulle attività professionale abusiva di elementi ebrei, comunico che per quanto riguarda l’esercizio dell’insegnamento privato da parte degli ebrei vige la circolare del 27-2-928 n. 22 del Ministero dell’Educazione Nazionale, con la quale si sottopone l’esercizio delle lezioni private a vigilanza e controllo della pubblica autorità, solo allorquando le lezioni private diventino qualcosa di pubblico e consuetudinario, organizzate con un corso regolare continuativo di istruzione, come in una specie di istituto, ciò non avviene nel caso delle segnalate professoresse Calimani Geltrude e prof.ssa Blumenthal Secretant, delle quali peraltro, la Calimani non impartisce lezioni ad elementi ariani, ma solamente ad ebrei". <371<br />Poiché mancavano appunto gli strumenti giuridici per intervenire nei confronti delle professoresse, la Confederazione fascista dei professionisti e degli artisti, scrisse al prefetto: “Se la posizione professionale delle insegnanti Galimani e Blumenthal Secretant è come nella vostra lettera definita, nulla in merito ha da aggiungere questa Unione. VINCERE!” <372<br />Possiamo immaginare come Olga abbia vissuto il suo ultimo periodo veneziano, dal ritorno in città da Maniago, il 4 dicembre del ’43 al 29 ottobre 1944, giorno della sua cattura. Undici mesi di terrore in cui si saranno alternati momenti di flebile speranza di venir risparmiata perché anziana, ad una impotente rassegnazione di fronte ad eventi che si susseguivano senza logica apparente.<br />La politica fascista nei confronti degli ebrei perseguitati era nuovamente cambiata. Due condizioni avevano reso possibile l’aggravarsi della politica antiebraica: la Repubblica Sociale e il nuovo patto con l’esercito tedesco che aveva di fatto assunto il controllo del nord. Nella caccia all’ebreo la polizia procedeva in accordo con il comando tedesco.<br />“Prendere accordi con autorità locali germaniche alle quali vanno spiegate le disposizioni impartite per ordine del Duce. Conseguentemente fate affluire campo concentramento tutti gli ebrei anche se discriminati et comunicate accordi raggiunti alt.” <373<br />La cattura dei “ventuno ultrasettantenni prelevati il 17 agosto del 1944 dalla Casa di ricovero di Venezia insieme al rabbino capo della comunità, Adolfo Ottolenghi, che aveva voluto condividere la loro sorte” <374, tolse ad Olga ogni speranza di salvezza.<br />Non è dato sapere chi Olga frequentasse nel periodo immediatamente vicino al suo arresto, a parte la sua domestica e i custodi di Palazzo di Robilant, adiacente alla sua abitazione, che vedremo saranno i depositari dei suoi ultimi averi. <375 Dalla corrispondenza tra la Querini Stampalia e il Presidente della Comunità israelitica risulta che Olga avesse mantenuto i rapporti con la Comunità e, in particolare, “Mi consta che la signora Secrétant era legata da vincoli di amicizia con la famiglia del dott. Bombardella, abitante in Campo Santo Stefano, e con la quale ebbe rapporti fino a poche ora prima dell’arresto”. <376<br />Alcuni mesi dopo toccò a lei. Fu catturata su iniziativa della polizia tedesca. Dalla fredda comunicazione tra le autorità italiane, irrispettosa anche del genere, è evidente il livello di indifferenza e di spersonalizzazione raggiunto nei confronti di una anziana donna ebrea:<br />“Per doverosa notizia informo che l’ebreo ultrasettantenne Blumenthal Olga, nato a Venezia il 26/4/1873, abitante a S. Marco 3347, il giorno 29 ottobre u.s. venne tratto in arresto dalla Polizia Germanica. Tanto è stato riferito dalla di lei domestica.” <377<br />Nei giorni immediatamente successivi all’arresto, nella casa e per gli averi di Olga si attuò il macabro rituale previsto dalla procedura di sequestro dei beni ebraici da parte degli ufficiali di polizia giudiziaria. Tre persone: un funzionario di pubblica sicurezza e due brigadieri lavorarono due giorni, il 10 e 11 Novembre per compilare l’inventario dei mobili e degli oggetti esistenti nell’appartamento di Olga. Un elenco lungo sei fitte pagine dattiloscritte dove tutto era stato elencato apparentemente senza ordine, categorie, valore. Banalmente gli oggetti erano divisi secondo le stanze dove si trovavano. Questo ci permette di leggerli come elementi che contrassegnavano gli ambienti dove Olga viveva ed assegnare loro la dignità degli oggetti e dei ricordi che racchiudevano la storia personale di Olga e della sua famiglia.<br />La stanza più importante della casa, quella dell’accoglienza degli ospiti, che viene denominata “salotto e libreria”, è arredato da un divano e quattro poltroncine, di cui una damascata a fiori; ancora fiori sui vivaci tappeti colorati che definiscono le zone della grande stanza, caratterizzata dai quattro grandi armadi con le ante a vetro pieni di libri e da ben nove librerie a muro, zeppe di libri in varie lingue. La stanza fungeva anche da studio di Olga perché in un angolo c’era un grande tavolo scrittoio con cassetti laterali e accanto un tavolino con una macchina da scrivere. Le pareti erano coperte di quadri di varie dimensioni e da una specchiera rettangolare. Con altri più piccoli oggetti d’arredo: tavoli con soprammobili, lampade, candelieri, Olga aveva completato l’arredamento della stanza di rappresentanza della sua casa. Un’ultima libreria a vetri, anch’essa piena di libri, separava dalla sala da pranzo. Secondo il consueto arredamento delle case borghesi del secolo scorso, un grande buffet in stile antico insieme al suo contro-buffet caratterizzavano la sala da pranzo; al centro della stanza c’era un grande tavolo ovale con sei grandi sedie coperte di pelle scura. Completava l’inventario della stanza un elenco minuzioso di tutte le stoviglie, piatti e bicchieri, numerate e descritte una per una, nel consueto indifferente disordine; ma questo elenco rappresenta anche con l’accumularsi di eredità familiari e di ricordi la storia di una famiglia. Tuttavia si tratta pur sempre della casa di un’intellettuale e anche qui, in sala da pranzo, c’è ancora lo spazio per un tavolo scrittoio a cassetti, con poltroncine rivestite di stoffa rossa e una poltroncina con alto schienale, accanto ad un’altra libreria a quattro scomparti. Ai muri le testimonianze più care: cinque quadri ovali con ritratti di famiglia e due con ritratti femminili. E ancora nove diversi telai a incorniciare fotografie di famiglia: alle pareti della casa di Olga era rappresentata tutta la vicenda familiare. Nella sua camera, come in tutte le altre stanze, pendeva al muro un grande orologio; tre angoliere incorniciavano il suo perimetro che deve essere stato piuttosto grande poiché conteneva diversi armadi, porta abiti, poltroncine e il letto di Olga. In un’altra camera aveva raccolto i libri e gli oggetti a cui teneva di più, conservati in due armadi libreria in legno sigillati con ceralacca e in una cristalliera che conteneva ancora libri, insieme ad oggetti in cristallo, anche questa sigillata con ceralacca; ai muri, anche qui, numerosi quadri con fotografie della famiglia e un quadro a olio del capofamiglia. Nei due cassoni contenenti “uno, tutta corrispondenza e documenti e nell’altro oggetti vari, bicchieri e vasi di vetro” sigillati con ceralacca, c’era in realtà l’archivio di Olga che sarà poi disperso a causa dei successivi eventi. <378 Questi contenitori che Olga aveva fatto per tempo sigillare dimostrano forse quanto fosse consapevole della precarietà della sua esistenza e, contemporaneamente, danno indicazioni di dove si trovassero la sua corrispondenza e le carte di casa, le testimonianze più utili per ricostruire la sua vita e quella della sua famiglia.<br />Olga sembra essersi spogliata di tutto al momento dell’arresto. Raccolse i suoi gioielli: anelli, collane e spilloni ma anche gli orologi di famiglia e forse quello a lei più caro, un medaglione in onice con ritratti e li consegnò affinché se ne prendesse cura a Luigi Rigo, persona con la quale lei era sicuramente in confidenza. Rigo e la moglie erano i custodi di Palazzo di Robilant, parte del complesso dei palazzi Mocenigo, quello prospicente la corte interna della casa di Olga. Subito dopo l’arresto, Vittoria Roman, la cameriera di Olga raccolse in fretta i suoi effetti di vestiario, prima che i tedeschi tornassero per mettere i sigilli all’appartamento, e tenne presso di sé il baule per riconsegnarlo ad Olga, quando fosse tornata. <379<br /></div><div><span style="font-size: x-small;"> </span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-size: x-small;"></span></p><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgwLC21hGyTc4F_C-ATqsRvv_zv5rr7q4RsOKnsqFJStWDW0ogVvT7p86ykJRKqucDgVDoYVMJWtLZ8nfvrBGA9Wjj-pK4U1XUD9ArozOLff31Bk5W1tEZAX_qtpqWSg2WdgumxyB-n3uQmk8y8c1vhHoUaV_x5L7zOmGAGXcQlgXUewKuqcV1Ku8eLJdg/s258/ob2.GIF" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="258" data-original-width="197" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgwLC21hGyTc4F_C-ATqsRvv_zv5rr7q4RsOKnsqFJStWDW0ogVvT7p86ykJRKqucDgVDoYVMJWtLZ8nfvrBGA9Wjj-pK4U1XUD9ArozOLff31Bk5W1tEZAX_qtpqWSg2WdgumxyB-n3uQmk8y8c1vhHoUaV_x5L7zOmGAGXcQlgXUewKuqcV1Ku8eLJdg/w305-h400/ob2.GIF" width="305" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Olga Blumenthal. Fonte: Emilia Peatini, Op. cit. infra<br /></td></tr></tbody></table><span style="font-size: x-small;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: x-small;">[NOTE]<br />369 ASVe, Gabinetto della Prefettura, b.7, f.4099, Ebrei. Invio in appositi campi di concentramento e sequestro beni. Circolare n. 023266, Venezia 1.12.1943.<br />370 ASVe, Fondo Gabinetto della Prefettura, b. 7, fascicolo 1500, Attività professionali ebrei. Lettera riservata alla persona Vaccari Marcello - Gli ebrei nel campo dell’insegnamento -, Prefetto di Venezia dal Questore, Venezia, 27 marzo 1942.<br />371 ASVe, Fondo Gabinetto della Prefettura, b. 7, fascicolo 1500, Attività professionali ebrei. Lettera al Prefetto di Venezia dal Questore, Venezia, 27 marzo 1942.<br />372 ASVe, Fondo Gabinetto della Prefettura, b. 7, fascicolo 1500, Lettera, Presidente dell’Unione Confederazione fascista dei professionisti e degli artisti al Prefetto, Venezia 16 maggio 1942.<br />373ASVe, Gabinetto della Prefettura, b.7, f.4099, Ebrei. Invio in appositi campi di concentramento e sequestro beni. Telegramma del Capo Provincia Cagetti al Questore di Venezia 26.I. 1944.<br />374 R. Segre, Gli ebrei a Venezia, cit. p. 160.<br />375 Palazzo di Robilant è una parte del complesso dei Palazzi Mocenigo, compresi tra le calli Ca’ vecchie e Ca’ nuova, prospicenti il Canal Grande e limitrofi con la grande residenza dei Blumenthal. I de Robillant avevano acquistato parte del complesso alla fine dell’Ottocento. Nei documenti del Recupero beni ebraici del 1945, viene nominato Palazzo Robillant e non più Mocenigo.<br />376 ACEV, busta 442, lettera del presidente della Comunità Israelitica, Vittorio Fano, al prof. Manlio Dozzi, direttore della Biblioteca Querini Stampalia, 15 novembre 1945.<br />377 ASVe, Gabinetto della Questura, Ebrei, fascicoli personali, b. 3, f. 113, Olga Blumenthal, Fonogramma in copia il Commissario di P.S. alla Questura.<br />378 ASVe, Gabinetto della Questura, Ebrei, fascicoli personali, b. 3, f. 113, Olga Blumenthal, Inventario della mobilia e degli oggetti esistenti nell’appartamento già occupato dall’ebrea Blumenthal Olga vedova Secrétant, San Marco 3347.<br />379 Il 28 maggio 1945, appena pochi giorni dalla fine della guerra, l’Avv. Giuseppe Dalla Torre di S. Marco 3716, chiese conto all’Ufficio Recupero Beni Ebraici della Questura di Venezia dei mobili, degli effetti di vestiario e dei gioielli, “di ingente valore”, di proprietà di Olga Blumenthal, indicando nei coniugi Rigo, custodi dei Palazzo de Robillant, e in Valeria Roman, domestica di Olga, i depositari temporanei dei beni. L’avvocato pare voglia rappresentare Olga Blumenthal o eventuali eredi, “Poiché da varie fonti mi vien riferito che detta cameriera (Valeria Roman) va, con alquanta leggerezza, parlando di detti gioielli con persone diverse, in modo da render non troppo sicuro il deposito suddetto, tanto più che la sig. Blumenthal, di cui non si hanno più notizie, tarda a darne, io sottoscritto ritengo mio dovere civico render noto a codesto Ufficio quanto sopra perché provveda al più presto al sequestro sia dei mobili che degli oggetti di vestiario, sia dei gioielli della predetta Sig. Blumenthal, presso chiunque si trovino, nominando un legale sequestratario che eriga un regolare inventario e ne risponda verso la legittima proprietaria (od eventuali eredi). L’Ufficio Recupero Beni Ebraici, provvede con sollecitudine: il 6 giugno, la cameriera dichiara “Per circa sei anni sono stata al servizio in qualità di cameriera presso la sig. Blumenthal Olga ved. Secrétant, di razza ebraica, la quale all’atto del suo allontanamento da Venezia per le note persecuzioni razziali, lasciò ogni cosa (gioielli e altra roba trasportabile) ai sig. Rigo Giuseppe e signora, mentre alcuni oggetti di vestiario sono stati da me recuperati nello spazio di tempo che la sig, Blumenthal fu arrestata dai tedeschi e quello in cui i tedeschi sono venuti a apporre i sigilli all’appartamento. Detti capi di vestiario li tengo tuttora a disposizione della sig. Blumenthal. Il giorno seguente comparve per essere interrogato anche il sig, Luigi Rigo: “All’atto in cui la signora Blumenthal venne arrestata dai tedeschi, dalla stessa, prima che fosse arrestata, mi fu consegnato un pacchettino dentro il quale la medesima vi aveva custodito i suoi gioielli personali. Tali gioielli sono tuttora presso la mia abitazione […]. Il giorno 18 gli agenti di Pubblica Sicurezza si recarono nell’appartamento di Luigi Rigo per controllare il pacchetto dei gioielli, se ci fossero tutti secondo la lista che Olga aveva lasciato all’interno. Anche in questo caso, i gioielli furono lasciati in custodia del sig. Rigo, secondo le volontà di Olga Blumenthal. Lo stesso giorno, gli agenti controllarono anche il baule del vestiario provvedendo ad un inventario. Si tratta del tipico corredo di una donna anziana e vedova: tutti gli abiti, in seta, sono neri come pure i guanti e i boleri. L’elenco comprende fin i più intimi indumenti di vestiario. Come i gioielli, il baule fu affidato al sig. Rigo. Il carteggio tra l’avv. Dalla Torre e la Questura-Ufficio Recupero Beni Ebraici di maggio e giugno 1945, in ASVe, Gabinetto della Questura, Ebrei, fascicoli personali, b. 3, f. 113, Olga Blumenthal.</span><br /></div><div><b> </b><p></p><p style="text-align: justify;"><b></b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhIRgAZPzhbVgtYsOsRMqRc2czh6pP77sx7aC8Vs-kIuaE0q9G_4LTPQxFTtN654qQulMY0YNFwPM5uiz541evypW4Z60cIhEK34BmaR2W0FuvR3V2hdk7Tjzlri2tNL4K7ACU-xM7aB7L2K2-Cx6v13AvplE-1sKIA9qXzumwMvuEzJVMSsKOMVEkVkmo/s1024/epob4.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1024" data-original-width="625" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhIRgAZPzhbVgtYsOsRMqRc2czh6pP77sx7aC8Vs-kIuaE0q9G_4LTPQxFTtN654qQulMY0YNFwPM5uiz541evypW4Z60cIhEK34BmaR2W0FuvR3V2hdk7Tjzlri2tNL4K7ACU-xM7aB7L2K2-Cx6v13AvplE-1sKIA9qXzumwMvuEzJVMSsKOMVEkVkmo/w390-h640/epob4.jpg" width="390" /></a></b></div><b><br /></b><div style="text-align: justify;"><b>Emilia Peatini</b>, <i>Olga Blumenthal (1873-1945). Storie di una famiglia e di una vita</i>, Tesi di Laurea, Università Ca' Foscari Venezia, Anno accademico 2018-2019</div><p></p></div>Adriano Mainihttp://www.blogger.com/profile/09465917157661723606noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8501527429006047139.post-54274798736849352342024-01-21T11:04:00.003+01:002024-01-21T11:10:38.171+01:00Washington era a conoscenza del tentativo di golpe ben prima che del Piano Solo si avessero le prime notizie<div><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiyESRfYH8YlIDNRGqXNmU-JbMNTAMMVZG-hMfQzzuc4RLWxBTUu_-HvXWOEbnqslH0iyiIp-L9wAbaLYuYXoRDNR4bodgJc26SVs8dOfQ5yNDr1AdGUkWvKlGdnYglXMPuvf6Zbyt452TgQa7Wekq36tjZfU9zK6G6HarVuWUwQNuN-bDBDTs6QizYciQ/s899/gb2.webp" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="899" data-original-width="577" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiyESRfYH8YlIDNRGqXNmU-JbMNTAMMVZG-hMfQzzuc4RLWxBTUu_-HvXWOEbnqslH0iyiIp-L9wAbaLYuYXoRDNR4bodgJc26SVs8dOfQ5yNDr1AdGUkWvKlGdnYglXMPuvf6Zbyt452TgQa7Wekq36tjZfU9zK6G6HarVuWUwQNuN-bDBDTs6QizYciQ/w410-h640/gb2.webp" width="410" /></a></div><br /></div><div style="text-align: justify;">Rispetto alla questione delle interferenze statunitensi nella lotta al comunismo in Italia, gli anni del mandato Johnson comportarono grandi cambiamenti rispetto al passato, a partire dalla realizzazione del primo governo di centrosinistra <709. Sin dai primi giorni del suo mandato, Johnson proseguì il cammino intrapreso da Kennedy in favore dell’apertura a sinistra e seguì con interesse le trattative di Moro e Nenni per la costiruzione del governo <710. Il primo incontro ufficiale di Johnson avvenne proprio in relazione alla situazione italiana. Il 25 novembre, Johnson incontrò alcuni esponenti del governo italiano: il presidente del Senato Cesare Merzagora, il Ministro degli Esteri Piccioni e l’ambasciatore italiano negli Stati Uniti Fenoaltea <711. Durante l’incontro, i rappresentanti del governo italiano rassicurarono gli americani che, nonostante la transizione in atto verso il centro-sinistra, i rapporti tra i due paesi avrebbero continuato ad ispirarsi ai principi della fedeltà atlantica e agli impegni derivanti. Tuttavia alcune questioni in particolare generavano perplessità a Washington. La prima era relativa agli scontri tra Dc e Psi nell’assegnazione degli incarichi ministeriali, che lasciavano presagire qualche difficoltà di collaborazione sulla strada delle riforme e dello sviluppo. Inoltre, a Washington preoccupavano le divisioni interne ai singoli partiti di governo, le cui ripercussioni avrebbero potuto produrre effetti negativi sulla stabilità del governo <712. Ciononostante, in questa fase gli Stati Uniti apparivano piuttosto fiduciosi sulle possibilità del centro-sinistra di isolare il Pci e promuovere una vasta attività di riforme, soprattutto nel Mezzogiorno <713. Per timore che la crisi economica e la necessità di adottare misure di austerità potessero compromettere la realizzazione delle riforme, a conferma della fiducia riposta nel gabinetto gli Stati Uniti erogarono un prestito di circa un miliardo di dollari <714. Questo intervento non va letto come il frutto di un assistenzialismo disinteressato, in quanto rientra nella logica anticomunista legata all’esigenza di evitare che l’Italia si avvicinasse al blocco comunista: un pericolo reso ancora più reale dall’accordo commerciale tra Italia e Cina per l’apertura di uffici commerciali nelle rispettive capitali e da alcune considerazioni allarmanti sul futuro della stabilità italiana provenienti dagli esponenti delle istituzioni italiane più allineati a destra. Uno dei questi, il Presidente della Repubblica italiana Antonio Segni, si diceva pronto a dare il suo contributo per porre fine all’esperimento il prima possibile <715. Anche il gen. De Lorenzo guardava con preoccupazione gli sviluppi italiani. L’imminente pericolo di disordini di piazza e di scioperi rendeva necessario adottare atteggiamento di grande fermezza da parte delle istituzioni e delle forze dell’ordine, che con determinazione (“backbone”) e una linea d’azione ben definita (“a definite line of action”), anche a costo di vittime avrebbero dovuto arrestare la deriva verso il comunismo <716. Il generale si dimostrava poi abbastanza fiducioso sul fatto che, attraverso i suoi contatti con le più alte sfere istituzionali, sarebbe riuscito a trovare un sostegno per delle “proposte eccezionali” da adottare contro le forze di opposizione.<br />I timori espressi nei documenti americani anticiparono i fatti che, nel giugno 1964, avrebbero segnato la fine del primo esperimento di centro-sinistra. Il 25 giugno infatti si aprì la crisi di governo a causa del mancato accordo dei partiti sui finanziamenti alle scuole religiose <717. Il governo venne così posto in minoranza e Moro fu costretto alle dimissioni. Nonostante la confusione generata dalla caduta del governo, tuttavia, nei documenti americani continuava ad emergere l’atteggiamento di fiducia nella figura di Aldo Moro, in cui gli Stati Uniti riponevano le speranze per un ruolo di guida della Dc e di mediazione con gli altri partiti, e un’avversione nei confronti della formazione di un governo di destra quale antidoto all’instabilità democratica italiana <718. La strada del centro-sinistra, per quanto ardua, continuava dunque ad essere l’unica alternativa percorribile per fronteggiare i cambiamenti sociali che l’Italia stava vivendo e che erano all’origine di un grande allarme comunista <719.<br />Se il centro-sinistra non sembrava governare i cambiamenti della società italiana in maniera efficace come alcuni esponenti delle forze dell’ordine e delle destre si sarebbero aspettati, questi stessi ambienti si convinsero che fosse giunto il momento di intervenire direttamente <720. La convinzione che l'esperienza del centro-sinistra determinasse una modificazione della collocazione atlantica della penisola e una deriva a sinistra della società, convinsero queste forze della necessità di un’eventuale azione di forza <721. In questo contesto, tra il 15 e il 19 giugno 1964 maturò l’ideazione di un progetto di golpe ad opera del Gen. De Lorenzo. Il nome del progetto, “Piano Solo”, derivava dal fatto che la sola Arma dei carabinieri (oltre 20.000 uomini) avrebbe preso parte alla sua attuazione, per ragioni di maggiore sicurezza e affidabilità. Concordato fra William Harvey, nominato direttore della stazione Cia di Roma nel giugno 1963, e il comandante generale dell’Arma Giovanni de Lorenzo, il piano fu studiato per fronteggiare una situazione emergenza determinata da un asserito complotto in preparazione da parte dei comunisti. Di tale complotto, peraltro inesistente, fu messo al corrente l’allora presidente della Repubblica Antonio Segni, per condizionarlo e ottenerne l’avallo. Il Piano era basato sull’adozione di misure eccezionali il cui scopo consisteva nel sovvertire l’ordine costituito attraverso l’esclusione dei socialisti dal governo o, quantomeno, un ridimensionamento dei progetti riformisti in atto (riforma regionale, legge urbanistica e patti agrari) e, in ultima istanza, nel mettere fuori legge il Pci e costituire un governo vicino alle forze di destra. Il progetto prevedeva l’occupazione di centri nevralgici del potere come prefetture, stazioni radio, sedi del partito e centrali telefoniche delle principali città italiane, nonché l’arresto e la deportazione nella base Gladio in Sardegna degli esponenti politici di primo piano <722. In caso di sommossa o avvenimenti gravissimi, i carabinieri sarebbero stati affiancati da militari in congedo, gruppi di civili ed ex militari arruolati e stipendiati dal Sifar in funzione anticomunista <723. Quest’azione di reclutamento clandestino era nota alla Cia sin dall’immediato dopoguerra e per certi versi incoraggiata dalla stessa agenzia statunitense con l’obiettivo di mettere a segno azioni illegali come piazzare bombe, compiere attentati o provocare incidenti da attribuire alle sinistre, in maniera tale da spingere il governo ad adottare misure eccezionali in difesa della sicurezza nazionale e bloccarne la deriva a sinistra <724 <725.<br />Il Piano Solo non fu mai attuato, forse perché non ricevette una accoglienza favorevole da parte delle istituzioni oppure, con maggiore probabilità, perché era stato pensato come una vera e propria “intentona”, con lo scopo di controllare il potere, non di conquistarlo <726. Un'involuzione autoritaria della politica italiana costituiva un esito estremo e non gradito dalle istituzioni. Il Piano Solo sarebbe stato quindi progettato con l’unico scopo di intimidire e avvertire le istituzioni delle possibili conseguenze di una deriva a sinistra del governo e di condizionare l’operato delle forze politiche italiane, quindi come uno strumento di pressione del “doppio stato” sulle istituzioni democratiche del paese per trovare una soluzione immediata alla crisi di governo <727.<br />In sostanza, il Piano si inserisce perfettamente nel quadro dei colpi di stato “regolarmente sventati al momento di divenire operativi e puntualmente occultati al momento di dover essere chiariti” grazie al costante appoggio e alla copertura delle istituzioni italiane e americane per esigenze politiche e istituzionali superiori. Allo stesso tempo, pur non riuscendo nelle loro finalità prettamente “militari”, connesse alla presa del potere, questi tentativi sono riusciti dal punto di vista politico, in quanto erano progettati per condizionare “verso il centro il sistema politico e ci si è riusciti anche quando l’intero continente era attraversato da un vento riformatore che ha fatto traballare strutture politiche e statali ben più salde della nostra” <728. Nel caso italiano, nello specifico, il tentato golpe serviva a bloccare il riformismo del governo Moro. Come è noto, infatti, la crisi fu subito risolta con la creazione di un nuovo governo (3 luglio 1964) sempre presieduto da Moro con la stessa base parlamentare del precedente, ovvero con la partecipazione del Psi, il cui programma riformatore risultava tuttavia notevolmente ridimensionato <729.<br />Quello che è importante rilevare è che il governo di Washington era a conoscenza del tentativo di golpe ben prima che del Piano Solo si avessero le prime notizie <730. Lo dimostrano tutta una serie di informative precedenti che forniscono dettagli sul pericolo imminente di un colpo di stato militare in Italia, da attuarsi in seguito ad una dimostrazione finanziata da industriali italiani e coordinata da Pacciardi. Si faceva anche riferimento al supporto dei Carabinieri nel caso di scontri o incidenti <731. Già si avvertiva, insomma, un gran “tintinnare di sciabole” come avrebbe scritto Nenni, ovvero un clima di grande tensione che era premonitore degli sviluppi cui la democrazia italiana sarebbe andata incontro nelle settimane successive. A questo proposito è interessante notare che dai documenti statunitensi sul Piano Solo non traspare un’ansia particolare per la gravità dei fatti eversivi in atto. Emerge invece un grande allarme rispetto al pericolo di infiltrazione comunista nelle istituzioni democratiche italiane, e l’identificazione nel gen. De Lorenzo dell’unica figura del panorama italiano in grado di gestire la complessità della situazione politica <732. Questa constatazione aiuta a definire meglio il quaadro di responsabilità degli Stati Uniti nel Piano Solo. Senz’altro, gli intenti dei golpisti corrispondevano pienamente agli interessi perseguiti da certi settori dell'amministrazione statunitense, contrari al centro-sinistra e in linea con ampi strati del ceto dirigente e imprenditoriale italiano. Pertanto è ipotizzabile gli Stati Uniti non solo sapessero, ma abbiano anche collaborato al progetto in quanto strumentale ai loro obiettivi in Italia. In quest’ottica, il Piano Solo si può collocare all'interno di un disegno strategico più ampio che, a livello nazionale, mirava a depotenziare la capacità riformista del governo di centro-sinistra e, a livello internazionale, puntava alla riduzione dell’influenza del comunismo nel mondo. <733<br />Il Piano Solo dimostra quindi l’annidarsi di forze sleali alla democrazia in settori molto delicati dell’apparato statale, nonché le simpatie da esse riscosse non solo nell’estrema destra, ma anche a livello internazionale. Il silenzio fatto calare sulla vicenda dell’estate 1964 è significativo del timore che venisse sollevato un velo su possibili e complicità di cui il generale De Lorenzo appariva sicuro al momento dell’ideazione del progetto.<br /><span style="font-size: x-small;">[NOTE]</span><br /><span style="font-size: x-small;">709 A. M. Schlesinger, I Mille giorni, cit., p. 873.</span><br /><span style="font-size: x-small;">710 U. Gentiloni Silveri, L’Italia e la nuova frontiera, cit. p. 228.</span><br /><span style="font-size: x-small;">711 Nara, Department of State, Central Files, Pol-It-US, Memorandum of conversation, Washington, 25 novembre1963,. Confidential.</span><br /><span style="font-size: x-small;">712 Frus, 1961-63, vol. XII, Telegram From Secretary of State Rusk to the Department of State, Paris, 16 dicembre, 1963, pp. 893-94, disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/Frus1961-63v13/pg_890; Cia Special Report, “The Moro Government’s program and prospects”, Office of Current Intelligence, 3 gennaio 1964; L. Nuti, Gli Stati Uniti e l’apertura a sinistra, cit. pp. 442-443; S. Romano, Lo scambio ineguale: Italia e Stati Uniti da Wilson a Clinton, Laterza, Roma-Bari, 1995, p. 44.</span><br /><span style="font-size: x-small;">713 Frus, 1961-63, vol. XII, Memorandum of Conversation,The Italian Political Situation, 14 gennaio 1964, pp. 175 e ss, disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/Frus1964-68v12/pg_175; Cia, Special Report, “Problems and Prospects in Southern Italy”, Office of Current Intelligence, 21febbraio 1964.</span><br /><span style="font-size: x-small;">714 Frus, 1961-63, vol. XII, Memorandum From Secretary of the Treasury Dillon to President Johnson, Financial Assistance for Italy, Washington, 13 marzo, 1964, pp. 183-184 , disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/Frus1964-68v12/pg_183.</span><br /><span style="font-size: x-small;">715 Frus, 1961-63, vol. XII, Telegram From the Embassy in Italy to the Department of State, Rome, 10 gennaio, 1964, pp. 173-75, disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/Frus1964-68v12/pg_173.</span><br /><span style="font-size: x-small;">716 Frus, 1964-68, vol. XII, Intelligence Information Cable,Washington, 13 marzo, 1964, pp. 185-188, disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/Frus1964-68v12/pg_185; Id., Airgram From the Embassy in Italy to the Department of State, Lt. Gen. De Lorenzo’s Comments on Security and Political Subjects, Rome, 26 maggio, 1964, pp. 189-192, disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/Frus1964-68v12/pg_188; M. Franzinelli, Il Piano Solo, cit. p. 86.</span><br /><span style="font-size: x-small;">717 G. Bedeschi, La prima Repubblica (1946-1993). Storia di una democrazia difficile, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2013.</span><br /><span style="font-size: x-small;">718 Cia, Special Report, Italian Christian Democratic National Congress, Office of Current Intelligence, 26 giugno 1964.</span><br /><span style="font-size: x-small;">719 U. Gentiloni Silveri, L’Italia e la nuova Frontiera, cit. p. 263.</span><br /><span style="font-size: x-small;">720 Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, Il terrorismo, le stragi ed il contesto storico-politico, Proposta di relazione, redatta dal Presidente della Commissione, senatore Giovanni Pellegrino, XII legislatura, 12 dicembre 1995, pp. 9-44, 74-76.</span><br /><span style="font-size: x-small;">721 Frus, 1964-68, vol. XII, Telegram From the Embassy in Italy to the Department of State, 10 gennaio, 1964, cit. p. 173.</span><br /><span style="font-size: x-small;">722 Commissione parlamentare d’inchiesta sugli eventi del giugno luglio 1964, Relazione di minoranza, Roma, 1971, pp. 88 e ss.; G. De Lutiis, Storia dei servizi segreti, cit. p. 82; S. Flamigni, Dossier Pecorelli, Milano, Kaos, 2005, p. 8.</span><br /><span style="font-size: x-small;">723 Commissione parlamentare d’inchiesta sugli eventi del giugno luglio 1964, cit. pp. 92-95, 267.</span><br /><span style="font-size: x-small;">724 Negli archivi della stazione Cia di Roma sono state ritrovate le liste di queste formazioni paramilitari addestrate in funzione anticomunista. G. De Lutiis, Il lato oscuro del potere, cit. pp. 68-69.</span><br /><span style="font-size: x-small;">725 R. Faenza, Il Malaffare, cit. 367; Commissione parlamentare d’inchiesta sugli eventi del giugno luglio 1964, cit. p. 281; F. Parri, Al fondo della crisi, in “L’Astrolabio”, 4 febbraio 1964; N. Tranfaglia, La strategia della tensione e i due terrorismi, in “Studi Storici”, 39, 4 (1998): pp. 989-998; M. Franzinelli, Il Piano Solo, cit. p. 35, 42.</span><br /><span style="font-size: x-small;">726 G. De Luna, Necessità storica, uno strano concetto, in “La Stampa”, 24 dicembre 1990, p. 3.</span><br /><span style="font-size: x-small;">727 U. Gentiloni Silveri, L’Italia e la nuova frontiera, cit. p. 270; A. Lepre, Storia della prima repubblica, cit. p. 207; P. Scoppola, La repubblica dei partiti, cit. p. 350; G. De Lutiis, Il lato oscuro del potere, cit. pp. 63-68; 93-100.</span><br /><span style="font-size: x-small;">728 A. Giannuli, P. Cucchiarelli, Lo stato parallelo, cit. pp. 227-228.</span><br /><span style="font-size: x-small;">729 Commissione Moro, 125; CS, 381-383; numerazione tematica 1, Memoriale Moro, La crisi del 1964: il Presidente della Repubblica Segni e il piano del Gen. De Lorenzo; Commissione parlamentare d’inchiesta sugli eventi del giugno luglio 1964, cit. pp. 206 e ss.</span><br /><span style="font-size: x-small;">730 L. Jannuzzi, Finalmente la verità sul SIFAR. 14 luglio 1964: complotto al Quirinale. Segni e De Lorenzo preparavano il colpo di stato, in “L’Espresso”, 14 maggio 1967; Id., Fatti del luglio 1964: ecco le prove, in “L’Espresso”, 21 maggio 1967.</span><br /><span style="font-size: x-small;">731 Frus, 1964-68, vol. XII, Telegram From the Consulate in Frankfurt to the Department of State, Frankfurt, 25 giugno, 1964, pp. 192-194, disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/Frus1964-68v12/pg_192; Frus, 1964-68, vol. XII, Telegram From the Commanding General, U.S. Army South European Task Force to the Commander in Chief, U.S. Army in Europe, Verona, 26 giugno, 1964, pp. 198-99, disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/Frus1964-68v12/pg_198; Frus, 1964-68, Intelligence Information Cable, Washington, 26 giugno, 1964, pp. 194-97, disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/Frus1964-68v12/pg_194; Incoming Telegram, spedito al Dipartimento di stato dal centro Setaf di Verona, al comando delle forze armate di heidelberg, 28 giugno 1964, in “L’Espresso”, 25 agosto 1995; U. Gentiloni Silveri, L’Italia e la nuova frontiera, cit. p. 309.</span><br /><span style="font-size: x-small;">732 R. Faenza, Il Malaffare, cit. p. 364; S. Lanaro, Storia dell’Italia repubblicana, cit. pp. 327-328.</span><br /><span style="font-size: x-small;">733 Frus, 1964-68, vol. XII, Airgram from the Embassy in Italy to the Department of State, The July Rumors on an Italian Coup d’Etat, Rome, 14 agosto, 1964, pp. 208 e ss., disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/Frus1964-68v12/pg_208.</span><br /><b>Letizia Marini</b>, <i>Resistenza antisovietica e guerra al comunismo in Italia. Il ruolo degli Stati Uniti. 1949-1974</i>, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Macerata, 2020</div><p></p>Adriano Mainihttp://www.blogger.com/profile/09465917157661723606noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8501527429006047139.post-63063880937532159002024-01-17T10:12:00.002+01:002024-01-17T10:13:38.591+01:00Mentre attaccano da Ponte d’Azzo e da Pianello, i nazisti hanno spinto una colonna anche oltre il fianco destro del Fastiggi<div><p style="text-align: justify;"></p><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiJqk-4fAd1nsbgihFGrxObFaM6YvQxHwDqw1ukdJdf02HQVPb7TpTDSWQhhCWhYDuNgJBBWRvB-hYReEoerTjxCIZpb3xFNTxbEbXHYxgH7AobFVt7Z_6gUT_Pnom35ukU37lQPPpa7bjIrbzEPH7fsEOz7JkKPzeAUf7hk8td-LygfIOs5vfhPnTvQFE/s768/bvc3.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="430" data-original-width="768" height="358" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiJqk-4fAd1nsbgihFGrxObFaM6YvQxHwDqw1ukdJdf02HQVPb7TpTDSWQhhCWhYDuNgJBBWRvB-hYReEoerTjxCIZpb3xFNTxbEbXHYxgH7AobFVt7Z_6gUT_Pnom35ukU37lQPPpa7bjIrbzEPH7fsEOz7JkKPzeAUf7hk8td-LygfIOs5vfhPnTvQFE/w640-h358/bvc3.jpg" width="640" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Cippo commemorativo della Battaglia di Vilano - Comune di Cantiano (PU) - collocato il 25 marzo 1984. Fonte: Luigi Balsamini, art. cit. infra</td></tr></tbody></table><br /></div><div style="text-align: justify;">Inverno 1944. Sulle montagne dell’Appennino marchigiano, nel territorio di Cantiano (PU), i partigiani della V Brigata Garibaldi danno filo da torcere a nazisti e fascisti, con operazioni e sabotaggi sempre più frequenti in direzione di Cagli e Piobbico. In risposta, il 25 marzo le forze nazifasciste avviano un rastrellamento nella zona partigiana: tre colonne si muovono simultaneamente dal ponte di Polea, da Pontedazzo e da Pontericcioli per accerchiare i distaccamenti Fastiggi e Pisacane, dislocati tra i monti Catria e Petrano.<br />I partigiani, avvertiti la sera prima dell’imminente attacco, si appostano nottetempo in punti strategici, comprese trincee scavate nel terreno. L’inevitabile scontro si protrae per l’intera giornata, sotto una tormenta di neve, e sarà ricordato come la “Battaglia di Vilano”, uno dei maggiori successi dal punto di vista militare dei partigiani nel pesarese. Circa cinquecento tra nazisti e camicie nere battono in ritirata, con numerose perdite. Tra i partigiani si contano un morto, Tommaso Cordelli boscaiolo ventottenne di Cantiano, e due feriti, Vittorio Poveromo e Nicola Paruccini, rispettivamente di venti e ventidue anni. Ulteriore vittima della giornata è un contadino del luogo, Francesco Battilocchio, ucciso da colpi vaganti mentre accudiva il bestiame nei pressi della sua abitazione; gli verrà ufficialmente riconosciuta la qualifica di “caduto per rappresaglia” <1.<br />Ricordiamo questa pagina di storia con un racconto intenso, dal titolo “Una grande vittoria partigiana. 25 marzo presso il Monte Petrano”, scritto a caldo da Giorgio De Sabbata, allora commissario politico del distaccamento Fastiggi. L’autore sarà successivamente sindaco di Pesaro (per undici anni, dal 1958 al 1970), poi consigliere regionale, deputato (dal 1972 al 1976) e senatore (dal 1976 al 1987) per il Partito comunista.<br />Il documento consta di cinque pagine dattiloscritte, con correzioni e annotazioni manoscritte. L’immagine digitale è visibile sul portale <i>Memorie di Marca</i> <2; l’originale è conservato nel fondo Giuseppe Mari, presso l’Istituto di storia contemporanea della provincia di Pesaro e Urbino (Iscop).<br />Il fondo Giuseppe Mari comprende prevalentemente documentazione (soprattutto relazioni, elenchi, carteggio, fotografie e articoli di giornali) prodotta e acquisita dal soggetto produttore durante le ricerche e gli studi da lui compiuti in materia di storia della Resistenza e del movimento partigiano nelle Marche. Mari (Urbino, 1911-Pesaro 2002) è stato comandante del II Battaglione della V Brigata Garibaldi Pesaro poi, dal 2 settembre 1944, comandante della Divisione Marche. Nel dopoguerra è stato attivo con autorevolezza e ruoli di primo piano nell’Anpi provinciale, oltre ad aver ricoperto incarichi nell’amministrazione del Comune di Pesaro e della Provincia (di cui è stato presidente dal 1957 al 1959). Ha scritto numerosi contributi storici, tra i quali si ricorda Guerriglia sull’Appennino. La Resistenza nelle Marche (Urbino, Argalia, 1965).<br />Gran parte della documentazione che costituisce il fondo Giuseppe Mari è stata versata dal soggetto produttore nel 1991, con ulteriori versamenti negli anni successivi. Nel 2011, il figlio Carlo ha formalmente donato il fondo del padre all’Iscop; due anni dopo la Soprintendenza archivistica delle Marche lo ha riconosciuto di notevole interesse storico (decreto n. 97, 30 aprile 2013). Nel 2014, su progetto redatto da Antonello De Berardinis, Ingrit Vjerdha ha effettuato una prima ricognizione del fondo, al termine della quale ha stilato un elenco sommario della documentazione. L’anno successivo Luigi De Palo ha prodotto un inventario analitico: il lavoro è stato coordinato da Matteo Sisti, che ha anche organizzato la successiva fase di parziale digitalizzazione, avviata nel 2016 grazie a un cofinanziamento della Regione Marche e conclusa con la pubblicazione delle immagini sulla piattaforma web Memorie di Marca.<br />I documenti digitalizzati - tra i quali la cronaca di Giorgio De Sabbata che qui viene riprodotta, con alcune riduzioni - sono stati selezionati sia in base alla loro rilevanza in riferimento al valore storico, sia in base allo stato di conservazione, dando priorità a quelli in condizioni più critiche al fine di poter escludere dalla consultazione gli originali analogici, garantendone conservazione e tutela.<br />1. Giorgio De Sabbata, “Una grande vittoria partigiana. 25 marzo presso il Monte Petrano”<br />Preludio<br />Al Cappone - il comando del Fastiggi - intorno a un camino si scaldano alcuni uomini. Fra loro c’è Imbriano Alessandri, che il 5 maggio cadrà nell’assalto alla caserma di Cagli. Argomento della conversazione è la possibilità da parte dei fascisti di compiere un rastrellamento. Tutti sono ottimisti e ritengono che i tedeschi abbiano da pensare al fronte, debbano prepararsi al prossimo urto, mentre i fascisti non avranno più il coraggio di tornare all’attacco dopo l’ultimo combattimento del 24 febbraio, che uno dei presenti ricorda.<br />Erano 130 fascisti raccolti dalle località delle Marche. Si era presentata al mattino, nera sulla neve bianca, una colonna. I partigiani ancora dormivano. Furono avvertiti, si alzarono e in dodici li posero in fuga dopo un combattimento di poco più di mezz’ora. La nebbia aveva salvato i fascisti che, giunti al piano in fuga, avevano richiesto munizioni a una colonna tedesca che passava in quel momento. Si narra che il comandante tedesco abbia risposto invitandoli a combattere con le palle di neve. Il discorso passa così dal serio al faceto. […]<br />La conversazione è interrotta. Imbriano si è alzato, si è portato in un angolo della stanza; parla sottovoce con uno arrivato da poco. L’espressione del suo viso non è delle più calme. Tutti sono intenti a guardarlo. Ecco, ora chiama il commissario politico. Effettivamente le notizie non sono troppo buone. A Cagli il presidio del luogo attende mille S.S. che l’indomani mattina compiranno il rastrellamento. Imbriano e gli altri discutono un po’ sulla attendibilità della notizia […], mentre il commissario invia due staffette per informare il “Pisacane” richiedendo il suo aiuto in caso di attacco e ordina la sveglia alle quattro per il giorno dopo.<br />A Pesaro<br />Al mattino seguente il nostro comando di Brigata viene a sapere che il rastrellamento è in corso. Il nervosismo è grande; il risultato di mesi e mesi di lavoro sta per essere collaudato. I fascisti a Pesaro sono di ottimo umore, sperano che una disfatta partigiana faccia arruolare i richiamati delle classi di leva nell’esercito repubblicano e indebolisca fortemente le file di coloro che non vogliono più sapere cos’è la tirannide.<br />Nicola, il comandante di Brigata, pensa: “Come potranno 80 uomini resistere? Ieri sera non hanno potuto sganciarsi perché non lo hanno saputo e, per bene che possa andare, subiranno molte perdite. E la gioia dei fascisti se potranno vantarsi di aver ottenuto qualche successo? Quella sì che sarà insopportabile!”.<br />Dal comando di Brigata parte una staffetta per avere le informazioni quanto prima.<br />In montagna<br />Audaces fortuna iuvat. E l’audacia impedì che le speranze dei fascisti divenissero realtà.<br />Dopo una notte di guardia rinforzata, alle quattro e mezzo tutti i partigiani sono nelle posizioni. Fa freddo, qualcuno ha la coperta, qualcuno il cappotto, la maggior parte nulla. Così fino alle sette. Alle sette, motori sulla Flaminia: a Ponte d’Azzo si sono fermati parecchi camion. La sentinella dà l’allarme. Poco tempo dopo arriva la notizia che anche a Pianello ci sono forze pronte per il rastrellamento. E il comandante manca. La sera prima il Pisacane, ricevuta la notizia, aveva subito mandato a chiamare il comandante del Fastiggi, ma il comandante non veniva.<br />Il tempo è minaccioso, si leva un vento che acquista forza ogni minuto di più. In breve si scatena una violenta bufera di neve. Non si vede più niente a cinque metri di distanza. In queste condizioni il nemico non può attaccare; il tempo ci asseconda. Mezz’ora, un’ora, un’ora e mezzo, poi il tempo si stanca di essere nostro alleato e lascia intravvedere un po’ di luce. Di nuovo riprende un vento violento, di nuovo nevica, ma è soltanto un breve pentimento, che tutto, dopo poco, ritorna calmo. Sono le nove circa e gli uomini delle trincee scorgono i tedeschi che iniziano gli attacchi. Procedono da Ponte d’Azzo e da Pianello in direzione del Cappone.<br />Alle nove e quarantacinque “canta la raganella!”, la Breda 37 apre il fuoco sul nemico che procede da Pianello, s’inceppa e, dopo 15 minuti, ripiglia a cantare. Immediatamente il nemico cambia direzione, si porta a Moria, dove piazza le mitragliatrici. Frattanto anche le altre posizioni hanno aperto il fuoco sui tedeschi provenienti da Ponte d’Azzo. […]<br />Il Pisacane<br />Mentre attaccano da Ponte d’Azzo e da Pianello, i nazisti hanno spinto una colonna anche oltre il fianco destro del Fastiggi, con lo scopo evidente di aggirare il distaccamento. Ma la manovra non riesce, perché i tedeschi urtano contro il Pisacane. Il comandante, Roberto, ha ricevuto un biglietto che gli diceva di portare il distaccamento a Ca’ Aiale, ma da chi è partito questo messaggio? Infatti, giunti in quel luogo si trovano in una posizione infelicissima in fondo a una conca. Un po’ per questo, un po’ per uscire dalla nebbia che, dopo la bufera, stagna ancora nelle quote basse, Roberto distende i suoi trenta uomini su un fronte di due km in posizioni più elevate.<br />Da una parte il commissario politico fa di una carbonaia una postazione da mitragliatore e, centrata una colonna nemica, ne respinge l’attacco con meno di venti colpi, dopo di che il mitragliatore s’inceppa e il combattimento prosegue con i moschetti e con colpi alternati di mitragliatore. Dall’altra parte il comandante respinge un altro attacco con il solo fuoco di fucileria. È qui che viene a ricongiungersi la squadra del commissario.<br />Il vicecomandante tiene la posizione più avanzata per impedire una manovra aggirante nemica. Il commissario politico ne tiene un’altra, pure avanzata, con Peppe, Nicola e Tommaso. Dopo qualche tempo però la scarica di un mitra nemico, centrata in pieno, ferisce Tommaso con due colpi alla testa e Nicola con un colpo alla gamba. Tommaso se ne va e il commissario aiuta Nicola a mettersi al sicuro.<br />Tommaso Cordelli è l’unico partigiano caduto il 25 marzo.<br />Il Fastiggi<br />Nella piazza di Cagli alcuni fascisti affermano che i tedeschi, dopo aver catturato tutti i partigiani, procedono alla fucilazione sul luogo.<br />Ma l’eroe che ha sopportato tanto carcere per la sua idea, l’eroe morto con l’arma in pugno a S. Angelo in Vado, Pompilio Fastiggi, è presente fra i partigiani. Mai e poi mai essi cadranno in mano al nemico.<br />La sera stessa, sulla stessa piazza di Cagli, un ufficiale delle S.S. esclamerà: “Ci vuole la 5a armata per prendere quelle posizioni!”.<br />E il Fastiggi resiste cantando “Bandiera rossa”. Il piombo nemico lacera l’aria, urla, fischia, ma si perde nel vuoto. È il nostro piombo che incontra la carne, perché è spinto dalla volontà di chi combatte. Non importa se l’olio manca e le armi s’inceppano per la poca esperienza di chi le maneggia. C’è Gianni che ogni tanto stende una coperta per terra, per smontare il mitragliatore quando s’inceppa. C’è il mitragliatore di Drago che non funziona più. Drago lo smonta e trova una molla indebolita, la sostituisce con un’altra che non è neppure della stessa misura: l’arma funziona di nuovo, ma solo a colpi alternati. Drago la rismonta e s’accorge di aver messo un pezzo rovesciato!<br />Il mitragliatore di Vincenzo è quello che funziona meglio. Vincenzo insegue a raffiche i tedeschi che si spostano di fianco procedendo a sbalzi. Poi vede alcuni uomini che camminano con delle fascine sulle spalle; anche quello è “nemico” e l’ingenua camuffatura non impedisce che su di lui si abbattano i colpi del Breda.<br />Presso la casa di “Dindi Boia” una capanna brucia: è ciò che costruisce la civiltà germanica. Un altro pagliaio, più lontano, brucia anche lui.<br />Frattanto il commissario invia una pattuglia al fianco destro per sincerarsi della partecipazione del Pisacane alla battaglia. Poco dopo arriva una donna di corsa che grida: “Il Pisacane ha fatto sessanta prigionieri e sta aggirando tutte le forze nemiche! Il comandante del Pisacane chiede che sospendiate il fuoco perché teme che colpiate i suoi uomini”. Il fuoco, sospeso un istante, riprende più violento contro il nemico che è giunto vicinissimo alle postazioni. Anche questa notizia era falsa.<br />Falso non è invece quanto ci dice un partigiano inviato da una posizione avanzata: “Sono in dodici contro 150 e chiedono rinforzi. Impossibile resistere oltre. È giocoforza farli ritirare sulle posizioni retrostanti. Il commissario e il capo squadra studiano la via della ritirata, tenendo sempre pronta una squadra per l’esplorazione di questa via. La squadra è agli ordini di Angelo. Ma Angelo è impaziente e improvvisamente si riporta sulle posizioni di combattimento. Scoprendo il petto per far fuoco sul nemico, resta colpito da due pallottole di mitra.<br />Nicola del Pisacane e Angelo sono gli unici nostri feriti di questa battaglia.<br />Il nemico è tanto vicino che per fargli fuoco Gianni è costretto a stare in piedi. Il Fastiggi resiste ancora, resiste fino a sera, fino a quando, condotto dal comandante appena giunto, si ritira dopo che il nemico ha desistito dall’attacco. Far la ritirata significa attraversare vasti campi di neve, significa impantanarsi portando a spalla le munizioni, i mitragliatori, le mitragliatrici (muli non ce ne sono, la popolazione si è ritirata prima dei partigiani), ma gli uomini vorrebbero combattere ancora, alcuni vogliono fucilare il commissario perché si era messo troppo presto a studiare la via della ritirata…!<br />Conclusione<br />Mentre a Ponte d’Azzo passano i morti e i feriti del nemico ritiratosi dopo nove ore di combattimento per l’accanita resistenza del Fastiggi, a Pontericcioli passano pure altri morti e feriti, quelli che hanno combattuto contro il Pisacane che ha salvato, col suo eroico comportamento, il fianco destro del Fastiggi; altre forze tedesche e fasciste devono ricordare i colpi ricevuti nella stessa giornata del 25 marzo dai distaccamenti Stalingrado e Gramsci a Frontone.<br />Le informazioni assunte dagli abitanti del luogo fanno presumere che le perdite tedesche di quel giorno ascendano a un centinaio di uomini.<br />Il giorno dopo Radio Londra riconosce il contributo portato alla lotta di liberazione d’Italia, con poche parole: “Aspri combattimenti nella zona fra Frontone e Perugia”. Radio Roma, dal canto suo, non può fare a meno di onorarci con una strabiliante bugia: “Mille tedeschi hanno affrontato 16.000 partigiani; perdite gravi da ambo le parti”.<br />Nella montagna il Fastiggi e il Pisacane, ricongiuntisi, sono pronti a combattere ancora.<br />Di questo sono capaci i partigiani.<br /><span style="font-size: x-small;">[NOTE]</span><br /><span style="font-size: x-small;">1 Cfr. Ruggero Giacomini, Ribelli e partigiani. La Resistenza nelle Marche 1943-1944, Ancona, Affinità elettive, 2008; Ivan Tognarini (a cura di), L’Appennino del ’44: eccidi e protagonisti sulla Linea Gotica, Montepulciano, Le balze, 2005; La 5° Brigata Garibaldi “Pesaro”, Pesaro, Provincia di Pesaro e Urbino, 1980; Lotta partigiana e antifascismo nel comune di Cantiano, Cantiano-Pesaro, Comune di Cantiano, Anpi Pesaro e Urbino, 1998; Francesco Lupatelli, Cronache partigiane. Luglio 1943-luglio 1944, Cagli, 2000. Sull’episodio di Vilano del 25 marzo 1944 si veda la scheda: http://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&amp;id_strage=743, ultima consultazione: 28 febbraio 2022.</span><br /><span style="font-size: x-small;">2 http://memoriedimarca.it/index.php/image-393. Memorie di Marca è una piattaforma web - basata sul software open source AtoM - nata per ospitare inventari e descrizioni di archivi e collezioni posseduti da istituti culturali, soggetti privati e pubbliche amministrazioni della Regione Marche.</span><br /><b>Luigi Balsamini</b>, <i>“Una grande vittoria partigiana”. Cronaca della Battaglia di Vilano, 25 marzo 1944, dal Fondo Giuseppe Mari</i>, <a href="https://doi.org/10.30682/clionet2206e" target="_blank">Clionet</a>. Per un senso del tempo e dei luoghi, 6 (2022)</div><p></p>Adriano Mainihttp://www.blogger.com/profile/09465917157661723606noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8501527429006047139.post-17100341885888511912024-01-07T09:46:00.005+01:002024-01-07T09:46:56.131+01:00In Italia, il secondo mandato Eisenhower non comportò modifiche sostanziali dal punto di vista delle politiche contro il comunismo<div><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhB0bL9kjjDoeIV2-GfIkwIU2OESRBx-zyJfYN6ZcmiYGNBVkQESjX36VkPxYVzwDJHguT-GLLAWZI_cN4pltb634RRFoxt22PEmAUGtbKET_V_fY9N3pi4sp5N7ahKnAESFMIiWL9srNhxOnvo9IiB0BTE1O6OOv_MA4Q610srE-BJCM3VbbtFjZQ4osA/s640/jlc4.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="640" data-original-width="434" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhB0bL9kjjDoeIV2-GfIkwIU2OESRBx-zyJfYN6ZcmiYGNBVkQESjX36VkPxYVzwDJHguT-GLLAWZI_cN4pltb634RRFoxt22PEmAUGtbKET_V_fY9N3pi4sp5N7ahKnAESFMIiWL9srNhxOnvo9IiB0BTE1O6OOv_MA4Q610srE-BJCM3VbbtFjZQ4osA/w434-h640/jlc4.jpg" width="434" /></a></div><br /></div><div style="text-align: justify;">Il secondo mandato Eisenhower (1956-1960) corrispose ad un periodo della politica estera americana caratterizzato dall’esigenza di fronteggiare alcuni mutamenti di carattere internazionale emersi sul finire degli anni Cinquanta: dalla crescita del potenziale nucleare sovietico alla necessità di inaugurare una fase di coesistenza pacifica tra i blocchi, dallo sviluppo economico dei paesi terzi al miglioramento dei rapporti con gli alleati europei. In questo periodo Usa e Urss avviarono i primi tentativi di dialogo, testimoniati dal vertice sul disarmo di Ginevra del 1955 <588. Allo stesso tempo la competizione bipolare continuò a manifestarsi secondo formule e in scenari sempre nuovi e differenziati. L’esigenza di combattere il movimento comunista internazionale rendeva necessario trovare nuovi strumenti, non più improntati esclusivamente sul piano della competizione militare o della demonizzazione dell’avversario <589.<br />Grazie ai successi riportati dall’Urss in ambito tecnologico e militare, simboleggiati dal lancio dello Sputnik (1957) e dal primo test di un missile intercontinentale sovietico (Icbm), i russi acquisivano la tecnologia necessaria per raggiungere e colpire qualsiasi parte del territorio americano attraverso l’impiego di vettori. Le cause dell’incremento dell’arsenale nucleare sovietico erano attribuite principalmente al conservatorismo fiscale di Eisenhower e alla tendenza a ridurre le spese militari durante il suo primo mandato. Questa situazione, pur non intaccando la superiorità nucleare statunitense, relegava gli Stati Uniti in una condizione di vulnerabilità dal punto di vista missilistico <590. Per colmare il missile gap, gli Stati Uniti potenziarono l’arsenale nucleare statunitense ed europeo, e avviarono l’allestimento di testate nucleari Thor e Jupiter in Inghilterra, Italia e Turchia, allo scopo di rafforzare il senso di protezione degli alleati in un momento di forte crisi della credibilità statunitense <591. Il rafforzamento degli arsenali nucleari di entrambi i blocchi contribuì a consolidare una condizione di “equilibrio del terrore”. In altre parole, diventava altamente improbabile ricorrere alle armi atomiche, sempre più tecnologicamente avanzate, in quanto i loro effetti distruttivi le rendevano inutilizzabili: scatenando infatti un attacco nucleare contro il territorio sovietico, gli Stati Uniti avrebbero provocato la loro stessa distruzione <592. La minaccia dell’impiego di armi nucleari assunse una funzione puramente deterrente per la sproporzione tra i danni dell’atomica e i suoi effetti strategici <593. Se infatti era poco credibile che un qualsiasi presidente americano fosse disposto a sacrificare New York per salvare Parigi o Berlino, il rischio di un’escalation dovuta ad errori di calcolo o a fraintendimenti reciproci rimaneva inestinguibile e sarebbe stato sufficiente a trattenere Mosca dallo sfidare la deterrenza americana.<br />L’uso dell’arma atomica fu scongiurato per i suoi effetti devastanti anche in momenti di grandi crisi internazionali. Ciò avvenne, ad esempio, durante la seconda crisi di Berlino del novembre 1958, quando il governo sovietico inviò un ultimatum alle potenze occidentali per costringerle a ritirare entro sei mesi le loro truppe da Berlino Ovest. L’intera capitale tedesca avrebbe dovuto essere trasformata in città libera sotto il controllo delle Nazioni Unite. In caso contrario, il governo sovietico avrebbe trasferito alla Repubblica democratica tedescale funzioni amministrative e di controllo della zona sovietica di Berlino. Il netto rifiuto delle potenze occidentali, e il timore che il ricorso alle truppe del Patto di Varsavia sfociasse in uno scontro diretto tra i due blocchi spinsero i sovietici a ritirare l’ultimatum. Lo stesso scenario si ripresentò durante l’incidente dell’U2-14 americano, abbattuto da un missile sovietico nel maggio 1960. Il pilota, Gary Powers, riuscì a salvarsi ma fu catturato dai sovietici. In risposta all’incidente, Chruščëv ritirò l’invito a Eisenhower a visitare l’Urss, e chiese al presidente americano di presentare le scuse per l’incidente, punire i responsabili e dare garanzie per il futuro che i voli non si sarebbero ripetuti. Eisenhower si dichiarò disposto ad assicurare che durante la sua presidenza le ricognizioni aeree sarebbero state sospese, ma rifiutò di esaudire le altre richieste. Anche in questo caso, i toni estremamente minacciosi assunti dal confronto tra le potenze rischiarono di generare un conflitto, scongiurato anche grazie alla consapevolezza che il ricorso alle armi nucleari avrebbe portato le potenze alla distruzione reciproca.<br />Oltre che a manifestarsi sul fronte del rafforzamento nucleare, la competizione bipolare si spostò al di fuori dell’Europa, in aree geografiche di recente indipendenza ed economicamente sottosviluppate. La grande capacità attrattiva esercitata dal modello di sviluppo sovietico in queste zone rispondeva meglio della strategia americana alle esigenze poste dalle trasformazioni in atto. Per essere maggiormente in grado di rispondere alla sfida del comunismo internazionale e per preservare un equilibrio di potenza globale favorevole all’Occidente, Eisenhower si propose di adottare un approccio più liberal e progressista che in America Latina, dove si espresse meglio la tendenza degli Stati Uniti ad abbandonare la linea precedente, passò attraverso l’adozione di un piano di aiuti finalizzato a promuovere lo sviluppo e l’appoggio a leader di loro gradimento <594. Anche nei confronti dell’Europa, un continente ormai avviato sulla strada dello sviluppo e della stabilità economica, era necessario stabilire una strategia completamente nuova, caratterizzata tra l’altro dall’accettazione delle forze progressiste e socialiste in continua crescita che sembravano le uniche in grado di garantire il bisogno di riforme e di stabilità dei paesi europei, e si prefiguravano inevitabilmente come i futuri interlocutori politici degli Stati Uniti <595. Infine, per completare il quadro dei maggiori avvenimenti che caratterizzarono il secondo mandato Eisenhower, bisogna ricordare che a partire dal 1959 si verificò un progressivo riavvicinamento tra Stati Uniti e Urss, testimoniato dal viaggio del vicepresidente Nixon in Unione Sovietica, e da quello di Chruščëv negli Stati Uniti. Nonostante i contrasti tra i due - negli Stati Uniti Chruščëv pronunciò un celebre discorso in cui ammoniva gli ascoltatori con la frase “Your children will live under communism” - il dialogo tra i due politici fu un primo e importante segnale dell’apertura reciproca e del cambiamento dei tempi in atto <596.<br />In Italia, il secondo mandato Eisenhower non comportò modifiche sostanziali dal punto di vista delle politiche contro il comunismo. Ci fu, invece, un consolidamento della linea inaugurata nel 1956, fondata su metodi di influenza meno vistosi e diretti che nel passato. Se da un lato questa tendenza rende più difficile interpretare le interferenze statunitensi durante il secondo mandato Eisenhower, non vi sono dubbi in merito al fatto che i problemi legati alla lotta al comunismo e alla necessità di ricercare alleati di sicura fedeltà atlantica rimangano costanti e assumano un rilievo tutto peculiare in un periodo della storia italiana caratterizzato da un grande fermento politico e sociale <597. I problemi principali che Eisenhower e Zellerbach si trovarono ad affrontare in Italia erano di due ordini principali. Il primo di questi era legato all’organizzazione delle elezioni politiche previste per il 1958 e alla predisposizione delle attività necessarie per influenzarne i risultati. Il secondo era invece relativo alla necessità di ostacolare le nuove tendenze che, dopo la crisi di Suez, la politica estera italiana sembrava assumere principalmente attraverso la politica espansionistica incarnata dall’Eni. In merito alla questione delle elezioni del 1958, in questa fase per gli Stati Uniti era importante monitorare gli sviluppi del processo di unificazione tra Psi e Psdi, che avrebbe facilitato l’apertura a sinistra del governo italiano permettendo al Psi, dalle posizioni molto vicine a quelle dei comunisti, di entrare a far parte del governo598. Allo stesso modo, era importante fissare quanto prima la data delle elezioni, al fine di cogliere l’ondata di sdegno generale suscitato dalla rivoluzione ungherese del 1956 che, si credeva, alle urne avrebbe sottratto consensi al Pci. A questo proposito, gli Stati Uniti osservarono le vicende legate al XXXII Congresso nazionale del Psi, svoltosi a Venezia dal 6 al 10 febbraio 1957, che avrebbe dovuto porre le basi per l’unificazione socialista ma che si chiuse con un risultato giudicato insoddisfacente dalle componenti politiche che speravano in una rottura netta con il Pci <599. Se da un lato Nenni sottolineò le differenze ideologiche con il Pci e la condanna all’Urss per l’atteggiamento tenuto in occasione della rivoluzione ungherese, impegnandosi ad accettare senza riserve i principi democratici sanciti nella Costituzione, dall’altro si pronunciò in favore di una “fascia di paesi neutrali”, e parlò di accettazione del Patto atlantico a scopo meramente difensivo: un’interpretazione che lo svuotava di ogni significato in quanto proponeva contemporaneamente il ritiro delle truppe americane dai paesi del blocco occidentale, seppure accompagnato da un simultaneo ritiro delle truppe sovietiche dai paesi del Patto di Varsavia. Inoltre, contribuì a conferire una certa ambiguità ai risultati del Congresso anche l’attribuzione di posizioni chiave ad alcuni esponenti della sinistra del Psi, che riducevano il margine di manovra di Nenni nel dialogo con i partiti di centro <600. Le vicende legate al Congresso di Venezia vennero trattate da un Progress Report dell’Ocb nel quale gli Stati Uniti, pur constatando le difficoltà fronteggiate dal Pci dopo la duplice crisi del 1956, rinnovavano le loro preoccupazioni circa la possibilità di interpretare in maniera univoca i risultati del Congresso e di fare delle previsioni sul futuro della situazione politica italiana e sugli effetti che un’eventuale riunificazione socialista avrebbe prodotto. Nonostante le rassicurazioni di Nenni, il Psi manteneva forti legami con il Pci nell’ambito delle attività sindacali. La linea di neutralismo in ambito internazionale e l’attribuzione di organi direttivi ad esponenti della sinistra del Psi facevano dubitare della reale capacità di Nenni di esercitare un controllo diretto sul partito e di assicurare la realizzazione dei principi esposti nella mozione approvata dal Congresso <601. Nonostante le aspettative statunitensi, il boom economico in cui l’economia italiana era entrata rendeva più che mai necessario coinvolgere il Psi nell’esecutivo. Il partito di Nenni rappresentava infatti una parte dei lavoratori delle industrie, consapevoli di essere stati i principali artefici della crescita economica e industriale del paese, che pertanto chiedevano un riconoscimento in termini di coinvolgimento e di rappresentanza nella vita politica del paese. In merito agli strumenti di lotta al comunismo, il Report dell’Ocb confidava nella continuazione di vecchie politiche e si esprimeva in senso favorevole nei confronti delle attività intraprese dal governo italiano attraverso le normali procedure legali ed amministrative. Scongiurava invece l’adozione di misure dirette da parte degli Usa e di iniziative speciali del governo italiano, in quanto avrebbero potuto essere controproducenti e avvantaggiare la propaganda di sinistra. Negli stessi giorni in cui il rapporto veniva divulgato, il 28 febbraio, il Pri si ritirò dalla maggioranza. Qualche settimana più tardi, Saragat attaccò pubblicamente il ministero di cui faceva parte il suo partito, uscendo dalla maggioranza al fine di allentare la pressione interna per la riunificazione con il Psi. Reduce da queste perdite, nel maggio 1957 il ministero Segni, che si era andato spostando sempre più a destra, cadde sulla questione dei patti agrari. Gli succedette un monocolore a guida Zoli (16 maggio 1957-19 maggio 1958) che fu appoggiato dai voti determinanti del Msi e si limitò in sostanza a preparare le elezioni politiche.<br /><span style="font-size: x-small;">[NOTE]</span><br /><span style="font-size: x-small;">588 E. Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali, cit. pp. 841 e ss.</span><br /><span style="font-size: x-small;">589 United States Senate, United States Foreign Policy, Hearings before the Committee on Foreign Relations, S. Res. 336, 85th Cong., and S. Res. 31, 86th Cong., Washington, U.S. Government. Printing Office, 1961, vol. II, pp. 1074-1075.</span><br /><span style="font-size: x-small;">590 G. Mammarella, Storia degli Stati Uniti dal 1945 a oggi, cit. p. 142.</span><br /><span style="font-size: x-small;">591 E. Ortona, Anni d’America, cit. pp. 261-62.</span><br /><span style="font-size: x-small;">592 La cosiddetta mutua distruzione assicurata, o Mad (MutualAssuredDestruction).</span><br /><span style="font-size: x-small;">593 Si tratta di quello che Gaddis ha chiamato il “dilemma della sproporzione”. J. L. Gaddis, The Long Peace. Inquiries into the History of the Cold War, Oxford, Oxford University Press, 1987, p. 146.</span><br /><span style="font-size: x-small;">594 A. F. Lowenthal, United States Policy Toward Latin America: "Liberal," "Radical," and "Bureaucratic" Perspectives, in “Latin American Research Review”, 8, 3 (1973): pp. 3-25; J. R. Benjamin, The Framework of U.S. Relations with Latin America in the Twentieth Century: An Interpretive Essay, in “Diplomatic History”, 11, 2 (1987): pp. 91-112; M. Gilderhus, An Emerging Synthesis? U.S.-Latin American Relations since the Second World War, in “Diplomatic History”, 16, 3 (1992): pp. 429-452; L. Bethell (a cura di), Latin America. Economy and society since 1930, New York, Cambridge University Press, 1998; R. Nocera Raffaele, Stati Uniti e America latina dal 1945 a oggi, Roma, Carocci, 2005.</span><br /><span style="font-size: x-small;">595 United States Senate, United States Foreign Policy, Hearings before the Committee on Foreign Relations, S. Res. 336, 85th Cong., and S. Res. 31, 86th Cong., Washington, U.S. Government. Printing Office, 1961, vol. II, pp. 1074-1075; 1401.</span><br /><span style="font-size: x-small;">596 W. Safire, The Cold War’s Hot Kitchen, in “The New York Times”, 24 luglio 2009; Better to See Once, Time, August 3, 1959; J. L. Gaddis, La guerrafredda, cit. pp. 80-81.</span><br /><span style="font-size: x-small;">597 L. Nuti, Gli Stati Uniti e l’apertura a sinistra, cit. p. 196; U. Gentiloni Silveri, L’Italia e la nuova frontiera. Stati Uniti e centro-sinistra 1958-1965, Bologna, Il Mulino, 1998, p. 33.</span><br /><span style="font-size: x-small;">598 L. Wollemborg, Stelle, strisce e tricolore. Trent’anni di vicende politiche tra Roma e Washington, Milano, Mondadori, 1983, cit. p. 72.</span><br /><span style="font-size: x-small;">599 A. Nardelli, Il XXXII Congresso del PSI e i presupposti dell'unificazione socialista (Venezia, 6-10 febbraio 1957), in “Aggiornamenti sociali”, 4/8 (aprile 1957): pp. 229-244. </span><br /><span style="font-size: x-small;">600 Aa. Vv., Atti del XXXII Congresso nazionale del Psi, Edizioni Avanti!, 1957; M. Degli Innocenti, Storia del Psi, vol. III, Dal dopoguerra ad oggi, Roma-Bari, Laterza, 1993, p. 225.</span><br /><span style="font-size: x-small;">601 Frus, 1955-57, vol. XXVII, Ocb, Progress Report on “United States Policy towars Italy”(NSC 5411/2), 13 febbraio, 1957, pp. 400-404, disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/Frus1955-57v27/pg_400.</span><br /><span style="font-size: small;"><b>Letizia Marini</b>, </span><i><span style="font-size: small;">Resistenza antisovietica e guerra al </span>comunismo in Italia. Il ruolo degli Stati Uniti. 1949-1974</i>, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Macerata, 2020</div><p></p>Adriano Mainihttp://www.blogger.com/profile/09465917157661723606noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8501527429006047139.post-21183259772534752022023-12-28T18:36:00.000+01:002023-12-28T18:36:13.997+01:00Illustrare senza aperti toni di condanna aspetti della vita statunitense che non sarebbe stato neppure lecito nominare se riferiti all’Italia<p style="text-align: justify;">Roberto Lopez, collaboratore di "Oggi" da New York nel 1947, lamentava che la libertà americana fosse concessa a tutti, indipendentemente dal colore della pelle, «purché non fosse nera», ma concludeva ricordando che l’aumento della criminalità da parte della comunità di colore non costituiva un contributo positivo alla completa emancipazione dei “negri” <1720. Pochi anni dopo, Gullace provò a ridimensionare ulteriormente le preoccupazioni per la vita dei neri d’America, raccontando delle loro nuove opportunità di arricchimento che ormai parevano non limitarsi alla boxe ed al jazz, ma andavano dal mercato dei cosmetici, alle banche orientate verso i clienti di colore, al business dei predicatori battisti.<br />"Ciò significa che nell’America di oggi a tutti è riconosciuto il diritto di arricchire e, indipendentemente dal colore della pelle, vengono ammirati e rispettati coloro che hanno saputo esercitare questo diritto". <1721<br />Dal canto suo Piovene, in un articolo del suo reportage dedicato al problema, mostrò che l’atteggiamento della cultura italiana verso i temi razziali non era affatto scevro di pregiudizi. Secondo lui «il negro», soprattutto se arricchito, «era poco democratico», e «per istinto la maggior parte della gente di colore era […] favorevole a una netta segregazione da cui finiva per ricavare una quantità di vantaggi»; tra essi, in particolare, era ricordato l’accesso ad università riservate a loro, dove i pochi neri che avevano un’intelligenza superiore alla media, a differenza della maggioranza che aveva un «cervello infantile, come dimostravano le prove scolastiche», potevano istruirsi e «fare casta» <1722.<br />Lo stesso autore si mostrava convinto che certi “vizi” particolarmente diffusi negli States fossero, in realtà, interpretabili come il rovescio della medaglia di quegli stessi tratti culturali che avevano permesso agli americani di conseguire i risultati per cui erano ammirati in tutto il mondo. La diffusione del gioco d’azzardo era da un lato preoccupante, soprattutto per il ruolo che nella sua organizzazione giocava la malavita organizzata, ma dall’altro era un’espressione di quello spirito avventuroso e amante del rischio che caratterizzava la cultura della frontiera <1723. Non era nascosto neppure il problema della dilagante criminalità: Mario Drusiani di "Oggi", in particolare, all’inizio degli anni Cinquanta si occupò con frequenza degli episodi di criminalità minorile <1724. Persino il fenomeno dei gangster, considerato per tutto il Novecento l’esempio più chiaro delle tare sociali americane per quanto riguardava la legalità e la sicurezza, era percepito come l’esplosione violenta di una vitalità fisica, di un’energia pulsante che pervadeva la vita sociale. In un tale contesto, Piovene poteva coniugare gli «aspetti mostruosi» di cui si aveva notizia in alcuni quartieri di Chicago, e l’«impressione complessiva di buon senso vitale, di equilibrio fisico, di tranquillità e chiarezza intellettuale» che la città forniva al visitatore fin dalla prima impressione <1725. Nel tentativo di chiarire i fattori socio-culturali che avevano portato al rigoglio della criminalità organizzata italo-americana, l’autore giungeva ad accenti di comprensione che raramente erano stati usati per i corrispettivi fenomeni avvenuti in Italia:<br />"Gli italiani […] erano allora oggetti d’obbrobrio razziale, dello sfruttamento industriale, della persecuzione dei rivali irlandesi. Colosimo [l’uomo alla cui scuola si formò Al Capone] fu tra quelli che seppero organizzarli, difenderli […]". <1726<br />L’ambito di discussione in cui era più chiara la tendenza ad affrontare le differenze degli USA dal modello culturale italiano senza nasconderle, ma moderando il giudizio, era quello delle abitudini sentimentali e sessuali. Nel 1948 furono pubblicate, negli Stati Uniti, le prime parti del celebre “<a href="https://www.oggi.it/attualita/notizie/2014/07/17/il-sesso-negli-anni-50-e-il-rapporto-kinsey-oggi-ne-parlava-cosi-sfidando-i-tabu/" target="_blank">Rapporto</a> Kinsey”, indagine statistica sui comportamenti sessuali; il quadro che ne usciva, e che fu fatto conoscere dai rotocalchi italiani al loro pubblico tra il 1948 ed il 1950, era lontano dai modelli di comportamento accettati dai lettori per il loro contesto sociale; gli italiani, del resto, erano da tempo consci del fatto che romanzi e film d’oltreoceano rappresentassero atteggiamenti verso il sesso inaccettabili nelle “buone famiglie” italiane. La tendenza dei giornalisti che trattavano della vita americana era quella di sdrammatizzare l’indubbio contrasto tra le convinzioni diffuse in Italia e la pratica di vita statunitense.<br />Sempre Piovene, in uno dei suoi molti articoli del 1951, invitava a non giudicare il comportamento delle ragazze americane secondo canoni di comportamento che sarebbero stati validi in Italia; esse potevano pure «fare qualcosa» con un ragazzo (con cui magari in seguito si sarebbero sposate), ma una simile esperienza non era traumatica come avrebbe potuto essere per le adolescenti italiane, e non a caso avveniva spesso il venerdì sera, dopo che le ragazze erano ubriache e non erano pienamente consapevoli delle loro azioni <1727.<br />I segnali più chiari di questa tendenza si potevano trovare sulle pagine dei rotocalchi: su Epoca, la didascalia alla fotografia di due ragazzi che si baciavano era significativa:<br />"Non è un fidanzato, ma è più di un amico […]. Il successo mondano di una fanciulla americana si misura dal numero dei “boy-friends” e dei “dates”, o appuntamenti, che colleziona. Non è un indice di immoralità: solo un maggior cameratismo tra i due sessi". <1728<br />Il rifiuto della comprensibile (nell’Italia del 1951) accusa di “immoralità” rivelava l’invito ai lettori alla comprensione per un ruolo sociale così distante dalle loro abitudini, che doveva essere introdotto con una parafrasi, senza possibilità di traduzione diretta.<br />Erano soprattutto gli articoli di "Oggi" a mostrare esplicitamente una profonda differenza nei giudizi morali su quanto accadeva oltreoceano. Il settimanale si rivolgeva ad un pubblico eminentemente conservatore, e negli interventi relativi alla società italiana rispecchiava un’opinione contraria ad ogni forma di comprensione della sessualità “illecita” e ad ogni apertura sul divorzio. La rubrica delle lettere al direttore, curata personalmente da Edilio Rusconi, costituiva l’osservatorio privilegiato di tale rigidità di giudizi. Quando però si parlava degli Stati Uniti, comportamenti simili a quelli condannati senza appello in Italia erano interpretati come un elemento si curiosità esotica per una società lontana, la cui vivacità intellettuale comportava sbavature morali che in tale contesto erano tollerabili.<br />Con un approccio simile furono accolte le notizie delle indagini sociali sul comportamento sessuale, sebbene si trattasse di argomenti che i giornalisti erano imbarazzati persino a tradurre. Nel 1948, ad esempio, si seppe che negli USA il 62% delle donne non arrivava vergine al matrimonio, e la notizia fu presentata da Amerigo Ruggiero con il titolo “Le ragazze americane scivolano sempre di più”, in cui il verbo scivolare pur essendo chiaramente metaforico non era neppure messo tra virgolette; una simile tendenza, però, non era presentata come sintomo di decadenza morale, ma come normale effetto di dinamiche socio-economiche che stavano conducendo ad una sostanziale indipendenza economica delle donne, e quindi ad una loro maggiore intraprendenza <1729. Un intervento di Maugeri del 1950 tornava su questi argomenti piuttosto scabrosi, riprendendo alcuni dettagli delle rilevazioni statistiche e mostrando ancora più chiaramente la difficoltà a tradurre in maniera esplicita temi che la società riteneva assolutamente estranei: la diffusione di inclinazioni omosessuali tra le donne americane era presentata come diffusione di «amicizie particolari», mentre la pratica del petting, assai comune tra i ragazzi prima del matrimonio, era tradotta in italiano con un eufemistico quanto incomprensibile «civetteria» <1730.<br />Era però già importante il fatto che si tentasse, per quanto goffamente, di illustrare senza aperti toni di condanna aspetti della vita statunitense che non sarebbe stato neppure lecito nominare se riferiti all’Italia: era il caso pure degli articoli di costume che cercavano di spiegare al pubblico la pratica tipicamente statunitense del dating, che vedeva coinvolti ragazzi e ragazze di dodici-tredici anni, una età in cui da noi sarebbe stato impensabile ogni rapporto con l’altro sesso, specialmente per le fanciulle. Gli appuntamenti erano descritti in termini leggeri, come «curiosi miscugli d’amicizia, amore, sesso», che «non avevano né la gravità di un convegno d’amore, né l’innocenza di un incontro tra bambini»: il ragazzo doveva cercare di ottenere il più possibile al fine di potersene vantare con gli amici, mentre la ragazza doveva imparare a dosare sapientemente le proprie concessioni, per non apparire né troppo severa, né eccessivamente “facile”. Pure in questo caso, il giudizio morale che per un caso italiano sarebbe stato assai allarmato era messo tra parentesi; gli appuntamenti erano innanzi tutto presentati come un utile esercizio attraverso cui tutti potevano imparare il proprio ruolo sociale, in una comunità in cui i bambini passavano troppo tempo con la madre e tendevano ad una femminilizzazione dei loro comportamenti <1731.<br /><span style="font-size: x-small;">[NOTE]<br />1720 “Libertà della pelle, purché non sia nera”, Oggi, III, 31, 3/VIII/1947, p. 10.<br />1721 G. Gullace, “La fede e le creme di bellezza procurano milioni ai negri d’America”, Oggi, VIII, 49, 4/XII/1952, p. 9.<br />1722 G. Piovene, “Sono buoni col negro se ammette la sua inferiorità”, Corriere della Sera, 29/V/1951, p. 3.<br />1723 Id., “Nell’incredibile Texas i miliardi sono nell’aria”, Corriere della Sera, 12/VI/1951, p. 3.<br />1724 L’argomento fu ripreso anche sulle pagine di Epoca (III, 69, 2/II/1952, pp. 42-47), con M. Monicelli, “Kids con il mitra. Il parco è jungla”.<br />1725 Id., “Nell’iperbolica Chicago ‘città di terrore e di luce’”, Corriere della Sera, 10/IV/1951, p. 3.<br />1726 Id., “Ma chi sono i ‘gangsters’?”, Corriere della Sera, 15/IV/1951, p. 3.<br />1727 Id., “Alcool e amore le sere del venerdì”, Corriere della Sera, 20/XII/1950, p. 3.<br />1728 Epoca, II, 30, 5/V/1951, p. 28.<br />1729 Oggi, IV, 9, 29/II/1948, p. 15. Un intervento di argomento affine apparve, due anni dopo, su Selezione dal Reader’s Digest (III, 16, Gennaio 1950, pp. 24-26), con il titolo “Critica all’uomo americano”. L’autrice, R. Barth, era una delle capofila della cultura femminista statunitense, e criticava i suoi connazionali maschi proprio per l’eccessiva arrendevolezza nei confronti delle loro donne.<br />1730 G. Maugeri, “In America entro il 1960 superflui i fiori d’arancio”, Oggi, VI, 12, 23/III/1950, p. 6.<br />1731 G. Gullace, “Cominciano a dieci anni a dare appuntamenti alle ragazze”, Oggi, VII, 45, 8/XI/1951, pp. 8-9.</span><br /><b>Andrea Mariuzzo</b>, <i>Comunismo e anticomunismo in Italia (1945-1953). Strategie comunicative e conflitto politico</i>, Tesi di Perfezionamento, Scuola Normale Superiore - Pisa, 2006 <br /></p>Adriano Mainihttp://www.blogger.com/profile/09465917157661723606noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8501527429006047139.post-51547563914225055472023-12-22T18:23:00.002+01:002023-12-22T18:23:52.241+01:00La liberazione di Borgotaro, Bedonia e degli altri centri abitati dell’alta valle alimentò anche qui l’entusiasmo tra i partigiani della valle<div><p style="text-align: justify;"></p><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj29TqAOmnjOogPEwpMw_wCNKu6pAuppmDWk2mxchgBMmOQ3F3PiVVJFo7HqlqtZLWscQ9uuxGym9I6CruXxzmmk_tnUWhgvc5Zv4s7Fxf24funRiT4aGQNmXK-Xb23B6PVpiuVi5sWvU1P-3BF5xkf7ciA-3e4qHL4iGpfd1lbGTiPMAwet9WZQEBU-L0/s1280/borgotaro.wk.jpeg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="960" data-original-width="1280" height="480" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj29TqAOmnjOogPEwpMw_wCNKu6pAuppmDWk2mxchgBMmOQ3F3PiVVJFo7HqlqtZLWscQ9uuxGym9I6CruXxzmmk_tnUWhgvc5Zv4s7Fxf24funRiT4aGQNmXK-Xb23B6PVpiuVi5sWvU1P-3BF5xkf7ciA-3e4qHL4iGpfd1lbGTiPMAwet9WZQEBU-L0/w640-h480/borgotaro.wk.jpeg" width="640" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Borgo Val di Taro (PR). Foto: Jean Pierre Gasparini su Wikipedia<br /></td></tr></tbody></table><br /></div><div style="text-align: justify;">A metà luglio 1944 il grande rastrellamento estivo travolse l’Appennino emiliano portandosi via le zone libere che avevano preso forma in quei mesi.<br />La completa liberazione dell’<a href="https://collasgarba.wordpress.com/2023/12/22/in-alta-val-taro-protagonisti-dellattivita-di-guerriglia-furono-i-gruppi-autonomi/" target="_blank">alta Val Taro</a>, Bedonia e Borgotaro compresi, era forse già alla portata di mano delle brigate partigiane. I comandi erano però ben consapevoli che l’esercito d’occupazione non si sarebbe mai rassegnato alla perdita di controllo di strutture strategiche quali il tratto finale nel Parmense della linea ferroviaria Parma-La Spezia, la stazione ferroviaria di Borgotaro e la galleria, anch’essa ferroviaria, del Borgallo che collegava il capoluogo della val Taro con Pontremoli e La Spezia. Una pronta reazione con intervento militare per riprendere il controllo, almeno delle infrastrutture ferroviarie, non avrebbe tardato ad arrivare.<br />Apparentemente più semplice la conquista dei centri situati in alta Val Ceno. Per tutta la primavera le formazioni partigiane avevano eliminato progressivamente presidi e strutture nemiche e distrutto ponti e vie di collegamento, isolando il più possibile l’alta valle dai territori circostanti.<br />Nei primi giorni di giugno i preparativi per l’assalto ai capisaldi nemici subirono un’accelerazione, sostenuti dall’entusiasmo dei partigiani garibaldini ansiosi di iniziare quello che poteva rappresentare l’avvio della liberazione. Sottrarre completamente a tedeschi e fascisti l’alta valle serviva non solo a dare sbocco a mesi di impegno e di sacrifici, ma soprattutto a fornire all’esercito alleato in avanzata un trampolino di lancio verso la pianura padana e la completa liberazione del paese.<br />Tutti comprendono che qualcosa di nuovo sta maturando - ricorderà uno di loro - Dario <1, con il suo gesto caratteristico, si frega le mani, solleva gli occhiali e dandosi una fregatina agli occhi esclama: «Ci siamo ragazzi. E’ giunto il momento di uscire dalle nostre tane e scendere a valle per occupare i paesi» [Comitato per le celebrazioni del ventennale della Resistenza (ed.) 1965].<br />Il piano era semplice: attacco simultaneo dei centri della zona compresa tra Bardi e Fornovo Taro - a valle - con eliminazione dei presidi fascisti nei comuni di Bardi, Varsi e Varano dei Melegari e quello nella polveriera a Rubbiano. Prima di procedere, secondo le fonti garibaldine, Dario volle incontrare i comandanti delle brigate insediate nell’adiacente Val Taro - le brigate Julia, Beretta e Monte Penna - per verificare le condizioni per la liberazione simultanea delle due valli. L’incontro si tenne in località Caffaraccia (Borgotaro) e al termine di una articolata e sincera discussione, ricordano i testimoni, si concluse con un nulla di fatto. Non tutti i comandanti delle formazioni autonome erano convinti dell’utilità dell’azione. Dario e il resto del suo comando decisero di proseguire comunque con i piani prestabiliti.<br />Il 10 giugno 1944, alle ore 3 del mattino, i reparti partigiani attaccarono le postazioni fasciste in tutta l’alta valle. A fine mattinata i presidi repubblicani erano stati espugnati. L’alta Valle del Ceno era libera. La gioia di quei momenti sarebbe rimasta a lungo nella memoria di quanti combatterono quella battaglia. Così Luigi Sbodia, partigiano “Mario”: "La battaglia si accende e divampa all’Ovest Cisa, ad uno ad uno cadono i presidi fascisti, verso l’imbrunire da Varano, Vianino, Varsi e Bardi si innalzano e dilagano per le valli i canti di vittoria che le pareti delle montagne rimandano in un’eco che sembra non voglia mai spegnersi: la Valle del Ceno è liberata" [Sbodio 1964, 60].<br />L’eco del successo garibaldino in Val Ceno pose in allarme i presidi tedeschi e fascisti dislocati a Borgotaro e convinse gli scettici in Val Taro a passare anche lì all’attacco. La mattina del 15 giugno i primi reparti partigiani <2 entrarono festosi a Borgotaro. Il grosso delle truppe tedesche e fasciste nei giorni e nelle ore precedenti aveva nel frattempo abbandonato il capoluogo, sfruttando il passaggio nella galleria del Borgallo che collegava la stazione di Borgotaro con il versante pontremolese. Un «informatore» della Rsi rimasto in città descrisse l’ingresso dei partigiani in un suo rapporto al Duce. Esagerando per eccesso il numero di partigiani, egli stimò in «300 ribelli» l’avanguardia che prese la cittadina con «bandiere tricolore in testa e al canto di inni sovversivi», percorrendo «le vie della città applauditi dalle poche persone presenti e quindi prendeva possesso degli uffici pubblici e della stazione ferroviaria». Disarmati i militi della Gnr e della Guardia di Finanza rimasti in città, Borgotaro venne dichiarata città liberata.<br />Nel corso della giornata altri reparti partigiani avrebbero fatto la loro comparsa a Borgotaro. Impressionò molto l’anonimo informatore "l’arrivo, alle 11.30, di [una] banda, della quale faceva parte certa ‘Rosetta’, professoressa di lettere di Borgotaro, vestita da uomo e armata di mitra […]. Salutano, alcuni militarmente ed altri col pugno chiuso. Sono dotati di armi automatiche pesanti e leggere, di pistole mitragliatrici, pistole automatiche, bombe a mano e pugnali. Il munizionamento è abbondante. Vestono abiti civili di tela kaki e divise militari di panno grigio-verde. Intorno al copricapo portano un nastro rosso; sulla visiera una stella a cinque punte od una coccarda tricolore. Indumenti e calzature sono, in genere, in buono stato. Quasi ogni notte aerei nemici riforniscono la banda di generi alimentari, armi, munizioni e indumenti. Sembra che la ‘Brigata Julia’, che ha fatto saltare vari tratti della linea ferroviaria Parma-La Spezia, abbia intenzione di occupare militarmente tutti i centri abitati della Valle del Taro" <3.<br />Nel corso della giornata che aveva visto i patrioti accedere all’abitato di Borgotaro fecero la loro comparsa in centro città inaspettatamente due autovetture tedesche, arrivate dal passo Centocroci ignare dell’avvenuta liberazione. Seguirono momenti di tensione seguiti da una intensa sparatoria mentre i militari cercavano di uscire dall’abitato. Esito dello scontro: un partigiano morto, i tedeschi fatti prigionieri e acquisizione da parte dei resistenti di una ricca documentazione militare da inviare al comando generale militare Cvl a Milano. L’incidente convinse i comandi partigiani, se ve ne fosse stato bisogno, delle difficoltà di difesa di Borgotaro e della necessità di spostare gli uomini all’esterno del perimetro urbano, sulle alture circostanti a difesa del borgo. Il giorno seguente il maggiore Koeppers informava telefonicamente il maggiore von Keller che tutti i partigiani si erano ritirati dal paese: «Quando la sera del 16 giugno il gruppo Almers entrò a Ostia e Borgo Val di Taro, non trovò più nessun partigiano. Anche i civili erano fuggiti sui monti non appena avevano saputo dell’arrivo delle unità tedesche. In seguito il fianco settentrionale del Monte Molinatico, dove si erano ritirati i partigiani, venne rastrellato dopo che la parte meridionale era stata sbarrata» <4.<br />A questo punto le fonti si fanno meno chiare: non si hanno notizie precise sulla presenza dei distaccamenti nel centro abitato così come sulla nascita dell’autogoverno partigiano, almeno fino al 26 giugno quando la presenza antifascista tornò a essere consistente nel borgo.<br />La liberazione di Borgotaro, Bedonia e degli altri centri abitati dell’alta valle alimentò anche qui l’entusiasmo tra i partigiani della valle, come scriverà il partigiano “Italo”: "[un’] euforia generale che mette le ali alla fiducia e alla speranza e relega nel subcosciente il timore e il dubbio d’un responso altrimenti negativo. L’avere conteso e strappato questo territorio in termini fino a poco prima inimmaginabili alle forze locali di quello che è il più potente e temuto esercito del mondo infondono ai nostri uomini nuovo slancio e fiducia" [Lodi 1985, 46].<br />Tracciati i confini, inevitabilmente labili, che includevano i territori di Albareto, Bedonia, Compiano, Tornolo e ovviamente Borgotaro - circa 2.500 chilometri quadrati, sempre secondo il partigiano Italo componente del comando della 1a Brigata Julia - per la Resistenza divenne indispensabile difenderli, impegno assai dispendioso vista la volontà tedesca di riconquistare quanto prima il controllo di Borgotaro e delle infrastrutture ferroviarie. Accanto, in Val Ceno, i confini della zona libera compresero i comuni lungo l’asse nord-sud del fiume: da Varano De’ Melegari sino a comprendere Varsi e Bardi. Anche qui le minacce potenziali provenivano dai territori confinanti: dalla Liguria, dal Piacentino e dai centri lungo la pedemontana, Salsomaggiore Terme soprattutto. A difesa della valle oltre ai reparti partigiani, l’impraticabilità delle vie di comunicazioni e in ultima istanza la convinzione che ai tedeschi quel territorio non interessasse granché e che la sua conquista non fosse al centro dei loro programmi militari.<br />Al rientro da Bardi, dove si era recato in autoambulanza per effettuare uno scambio di prigionieri <5, l’ufficiale medico Rüll fece rapporto ai propri superiori. Ne emerge una descrizione preziosa del territorio e delle persone che incontrò durante il suo viaggio, tutt’altro che semplice per lui, ma pieno di sorprese. "Superammo Fornovo e, poiché poco prima, dopo Varano, il ponte era saltato, fummo costretti ad attraversare il fiume ad un guado, cosa che fu possibile solo con il traino di due buoi e con grandi difficoltà con un’interruzione di un’ora e mezza. Già qui l’intera zona si era rivelata dominata dalle bande. I giovani salutavano con il pugno alzato, in parte erano armati con mitra, ma ci aiutarono molto volentieri nella manovra per disincagliare l’ambulanza. Oltre il ponte proseguimmo su una strada in buono stato. Il comandante dei banditi aveva preso posto sul tetto del mezzo con un tricolore per garantirci di transitare liberamente. Tutti i passanti, non molti, e gli abitanti delle fattorie lungo la strada lo salutarono con il pugno alzato. Le persone impegnate nei campi per il raccolto ci ignorarono. Prima della località di Vianino dovemmo lasciare l’autoambulanza perché anche lì il ponte era distrutto e non vi erano deviazioni possibili. Era questo il punto stabilito per lo scambio dei prigionieri. Lasciai il sotto-ufficiale tedesco di sanità e i tre soldati italiani con i prigionieri da scambiare, presi una barella e qualche strumento medico. Dovetti lasciare anche la pistola [...]. Attraversammo in tre il letto del fiume quasi asciutto e il pendio molto ripido di fronte, il capobanda, il poliziotto ferito e io. Le alture circostanti erano visibilmente occupate dai banditi. Molti ci vennero incontro, tutti giovani robusti, tra i 18 e i 22 anni, tutti vestiti da civili con pantaloni corti, camicie con le maniche rimboccate, polpacci scoperti e fazzoletto rosso al collo. Alcuni portavano cappelli di feltro verde e rosso con nastro con i colori italiani e stelle a cinque punte. Portavano stelle a cinque punte, bianche rosse e verdi ricamate, anche sulle camicie. Durante l’intera ascesa feci attenzione a fortificazioni e postazioni difensive, ma non vidi nulla […]. Proseguimmo in auto per Bardi che raggiungemmo presto. La località sorge in modo molto pittoresco su un’altura circondata dalle montagne. Caratteristico è un vecchio castello che si scorge in lontananza. Ci sono molte ville abitate dalla plutocrazia italiana che ancora oggi gode il fresco estivo indisturbata dalla guerra e dalle bande. L’atteggiamento di simpatia verso le bande le garantisce questa esistenza indisturbata. Incontrai per poco il comandante in capo dei banditi, un giovane di circa 25 anni, di aspetto semita. Mi sembrò piuttosto insicuro nei modi e nel comportamento. Il quartier generale si trova all’ingresso del paese, in un grande edificio nuovo che prima, probabilmente, era la Casa del Fascio" <6.<br />Le formazioni partigiane che ora potevano godere di una relativa sicurezza interna, si dovettero però far carico delle condizioni degli abitanti delle zone libere e delle insidie che provenivano dall’esterno. Poterono rafforzare la propria capacità militare, ricevere rifornimenti tramite i lanci aerei dagli alleati, accogliere e armare il gran numero di renitenti e disertori che giungevano sui monti disarmati e poco avvezzi alla guerriglia, misurarsi con la politica attraverso l’istituzione di amministrazioni libere.<br />In Val Ceno, nei giorni successivi alla liberazione di Bardi, la popolazione venne convocata nella piazza del paese - non sappiamo se i soli capifamiglia o tutta la popolazione comprese le donne - e le venne proposta l’elezione<br />dell’avvocato Giuseppe Lumia a sindaco. Così, a guerra conclusa, avrebbe ricordato l’evento lo stesso Lumia: "Il Comandante della Brigata prese per primo la parola per rivolgere un cordiale ringraziamento alla popolazione per l’affettuosa, paterna assistenza di cui aveva circondato i Patrioti, illustrò poscia i motivi ideali che indussero i giovani a pigliare le armi contro il malgoverno fascista e, infine, interpellò il Popolo se voleva proclamare, come Sindaco, l’avv. Giuseppe Lumia. La folla, a gran voce, rispose affermando" [G. Lumia 1945, 21].<br />A Borgotaro le cose andarono diversamente e non solo per le difficoltà nell’organizzare la difesa del paese dalla minaccia tedesca. Ci vollero alcune settimane prima che i comandi partigiani riuniti alla presenza del colonnello Lucidi si occupassero dell’«amministrazione civile della zona liberata». Scelsero di applicare il modello statale nominando un prefetto con funzioni esecutive che avrebbe, a sua volta, promosso la nascita di organismi amministrativi. La scelta ricadde su Achille Pellizzari, 61 anni, docente di letteratura italiana presso l’Università di Genova, già deputato del Partito popolare negli anni 1921-23 e schedato come sovversivo [Mastrodonato 2015; Franchino 1976; Pellizzari 1978]. Avvertito della decisione presa mentre si trovava nascosto poco lontano, nel vicino comune di Berceto, venne condotto a Compiano presso il comando della costituenda Divisione La Nuova Italia e nominato prefetto del «territorio libero del Taro» il 3 luglio 1944. Tra i suoi prima atti la nomina a sindaco di Bedonia di Mario Serpagli e la costituzione della Giunta democratica di Borgotaro composta da notabili locali e cittadini meritevoli di fiducia secondo i comandi partigiani <7. Al fine di celebrare la nascita della zona libera venne pubblicato il foglio “La Nuova Italia”, stampato presso la locale tipografia Cavanna.<br />In entrambe le zone libere, malgrado la buona volontà, gestire l’amministrazione civile risultò assai complicato, principalmente per la scarsità di risorse disponibili e la brevità dell’esperienza politica. Nelle poche settimane in cui poterono operare le due amministrazioni - un mese circa quella di Bardi e una ventina di giorni circa quelle di Borgotaro e Bedonia - l’impegno maggiore profuso consistette nell’organizzare la distribuzione del grano e dei prodotti agricoli nel tentativo di ridurre, se non addirittura abolire, l’aggravio fiscale a carico delle famiglie e del poco commercio ancora esistente.<br />In Val Taro, in particolare, ricorda Giacomo Vietti nel suo "L’Alta val Taro nella Resistenza": "si organizza la distribuzione dei viveri e si istituiscono tribunali militari per l’amministrazione della Giustizia, sia in materia penale [ch]e civile, si pubblicano bandi per reprimere il contrabbando dei generi alimentari e viene istituito un corpo di polizia partigiana che continuerà a svolgere funzioni amministrative anche dopo l’occupazione tedesca. Si distribuisce ai familiari dei patrioti parte della legna prelevata dai depositi dei fascisti e che era in attesa di essere trasportata a Parma. Una precisa contabilità tenuta dal Comando di Polizia di brigata permette di quantificare la qualità di legna e carbone distribuito gratuitamente alle famiglie partigiane, ed alle famiglie bisognose e la quantità di combustibile venduto: quintali 4.987,8 di legna, quintali 123,2 di carbone di legna. Incasso L. 120.000. Si controllano i lavori di trebbiatura in modo da prelevare in modo equo i contingenti di grano, sia per le formazioni partigiane che per la popolazione civile. Anzi a Borgotaro sarà la polizia partigiana che riuscirà a procurarsi il carburante e l’olio lubrificante per il funzionamento delle trebbiatrici, materiali forniti dalla Fabbrica del Cemento che ne aveva una cospicua scorta. Si lavorava per ripristinare il campo d’aviazione nella previsione di poterlo utilizzare per il collegamento aereo con gli alleati dei quali ci si attende un imminente sbarco in Liguria" [Vietti 1980, 201].<br />A Bardi, il sindaco Lumia tentò la messa in atto di un piano per il recupero di risorse economiche per finanziare progetti in favore della popolazione. Interrotti i rapporti con la Prefettura di Parma, chiusa la filiale della Cassa di Risparmio, abolito il dazio consumo, abrogate le imposte sindacali - considerate «norme fasciste» - e decurtate le altre, come voluto dai comandi partigiani, l’«amministrazione civica popolare» si ritrovò priva di mezzi finanziari per sviluppare un qualsivoglia programma di interventi in favore della comunità. Lumia convocò «una trentina dei più abbienti» del territorio, ma «la riunione non diede risultati di sorta ». Il sindaco non si diede per vinto e alla fine riuscì a convincerli a concedere un prestito, assumendo personalmente l’impegno dell’integrale restituzione della somma ai creditori. Il progetto prevedeva che l’amministrazione emettesse titoli quando se ne fosse presentato il bisogno e finanziasse così il debito contratto con il gruppo di benestanti che avevano accettato di prestare le risorse all’ente di governo locale. Naturalmente il piano prevedeva, o per lo meno si augurava, che al «territorio libero di Bardi» sarebbe seguita la liberazione definitiva del paese con l’integrazione della zona libera nell’Italia liberata. Molti, infatti, contavano sull’arrivo degli Alleati entro l’inverno. Al posto dei liberatori giunsero invece i rastrellamenti dell’Operazione Wallenstein, che cancellarono ogni esperimento partigiano di controllo diretto del territorio in Emilia.<br />L’impegno maggiore per la Resistenza anche durante queste settimane rimase comunque la difesa militare dei confini delle zone libere. Particolarmente in Val Taro le brigate partigiane, insidiate da reparti nemici provenienti da diverse direttrici, difesero con astuzia e coraggio le zone liberate. Attacchi vennero portati nella valle del Manubiola, affluente del torrente Taro, e in località Grifola, località a sud ovest del capoluogo, puntualmente respinti al termine di duri scontri a fuoco con vittime da ambo le parti. Una difesa accanita quella messa in atto dai reparti partigiani, che si trovarono a dover fronteggiare anche incursioni aeree alleate. Male informati - l’aviazione non era infatti al corrente della liberazione del capoluogo - gli anglo-americani colpirono più volte le infrastrutture ferroviarie e l’ospedale, provocando morti e feriti tra i reparti partigiani e la popolazione civile. Mentre a poca distanza, nei medesimi giorni, gli stessi Alleati effettuarono diversi lanci in favore dei partigiani della valle.<br />Nella valle accanto la situazione si presentava differente. Assai meno rilevante per le infrastrutture che l’attraversavano, aveva però fama di essere uno dei maggiori centri della Resistenza nella vasta area compresa tra le Valli del Taro e del Trebbia, a cavallo tra le province di Parma e Piacenza e confinante con la Liguria. Da lì partivano i reparti partigiani che portavano gli attacchi ai convogli tedeschi in transito sulla Via Emilia, che tanto danneggiavano l’esercito d’occupazione. Gruppi di guerriglieri scendevano a valle al tramonto percorrendo decine di chilometri per raggiungere la statale di notte e compiere le loro azioni. L’intraprendenza partigiana in quel settore rappresentava per i comandi tedeschi un serio pericolo per la circolazione di mezzi e uomini lungo la Via Emilia, arteria di collegamento nel retro fronte di vitale importanza, ma che poteva diventare elemento di pericolosità in caso di sbarco alleato in Liguria. La proclamazione di territorio libero non fece altro che conferire a Borgotaro lo status di piccola capitale partigiana, rendendola come tale un obiettivo da colpire. Il 18 luglio 1944 reparti della Luftwaffe, del 12° Reggimento di Polizia, delle SS, del SD, della Feldgendarmerie affiancati dal Battaglione Lupo della X Mas invasero la Valle del Taro: era iniziata l’Operazione Wallenstein II. La seconda delle tre fasi del grande rastrellamento nazista che colpì l’Appennino emiliano, nei confronti del quale nulla poterono le difese partigiane, costrette ad abbandonare i territori liberati mentre le truppe in rastrellamento si accanivano contro le comunità contadine, vittime di saccheggi, deportazione e stragi. Una lunga scia di sangue annullò - seppur solo temporaneamente - la presenza partigiana in quei luoghi, cancellando l’esperienza delle zone libere del Taro e del Ceno. Con la fine del «territorio libero del Taro» si interruppe anche il processo di costituzione della Divisione Nuova Italia in seguito alla morte del suo ideatore, il colonnello Pietro Lavani, ucciso dai tedeschi al passo dei Due Santi insieme al suo aiutante Macchi durante il rastrellamento.<br />Concluse le operazioni della Wallenstein II, la terza fase del rastrellamento venne orientata verso il Modenese contro la «Repubblica partigiana di Montefiorino», e il ritiro delle truppe dal Parmense riportò le brigate partigiane a reinsediarsi nelle valli e lungo i pendii dei monti che li avevano visti protagonisti durante la prima metà del 1944. In nessuna delle valli del Parmense sarebbero risorti «territori liberi», sebbene si riproponesse il problema della gestione e della difesa delle aree d’insediamento partigiano. Un aspetto della lotta di liberazione che avrebbe accompagnato i comandi partigiani fino alla sconfitta militare dei nazi-fascisti.<br /><span style="font-size: x-small;">[NOTE]</span><br /><span style="font-size: x-small;">1 Luigi Marchini “Dario”, da aprile 1944 comandante della 12a Brigata Garibaldi.</span><br /><span style="font-size: x-small;">2 Distaccamento Bill (ex Gruppo Penna), Gruppo Poppy, Gruppo Vampa e Gruppo Birra (formazioni che presto daranno vita alla 2a Brigata Julia), il Gruppo Molinatico e il Gruppo Tarolli erano già entrati a far parte della 1a Brigata Julia e del Gruppo Centocroci.</span><br /><span style="font-size: x-small;">3 Appunto per il Duce n.1 -171, 28 giugno 1944. Archivio centrale dello Stato, Segreteria particolare del Duce, Carteggio riservato, Rsi, f. 40 Sid.</span><br /><span style="font-size: x-small;">4 BArch, RH 24-87/40, fo. 349Armee-Abteilung von Zangen, comunicazione telefonica del maggiore Koeppers con il maggiore von Keller, 17.6. Cfr. anche BArch, RH 24-87/40, fo. 827-828: Armee-Abeitlung von Zangen, Ia n. 2796/44 geh. E n. 2805/44 geh. All’OB Sudwest del 17.6, riprodotto in Klinkhammer 1993, 587-588.</span><br /><span style="font-size: x-small;">5 I prigionieri tedeschi trasferiti a Bardi erano feriti.</span><br /><span style="font-size: x-small;">6 BArch, RH 24-87/61, Stabsarzt Dr. Rüll, Nachschubstab Mitte (289), 21 giugno 1944. Ringrazio Roberta Mira per l’aiuto nella traduzione dall’originale tedesco.</span><br /><span style="font-size: x-small;">7 Comm. Antonio Calandra, cav. Francesco Marchini, Celeste Brindani, mons. Carlo Boiardi, conte Picenardi Albertoni, Giacomo Brugnoli e prof. Livio Pierangeli.</span><br /><b>Marco Minardi</b>, <i>«Terranostra». I territori liberi delle alte valli del Taro e del Ceno. Estate 1944</i> in (a cura di) Roberta Mira e Toni Rovatti, «Il paradosso dello Stato nello Stato». Realtà e rappresentazione delle zone libere partigiane in Emilia Romagna, E-Review Dossier 3, 2015</div><p></p>Adriano Mainihttp://www.blogger.com/profile/09465917157661723606noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8501527429006047139.post-81230072513768726542023-12-19T08:22:00.003+01:002023-12-19T08:23:03.075+01:00Sino ad alcuni anni fa, cinema e televisione erano due media ben distinti<p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhgHVBx1C6JK4RugvTyE7X8RnzXNVo4uRthVpXPx9CKITaKTbsIcOjEimKxvhBeqFpkOl72fkaFhOlzDLPd2sc6UtCbgSTowvl6qfV4oA3VNNzDpMyGuAv2qqFBzyWB0hkeq7IyUptQayXi__obrk0QGJehJHehSHTb4Q7yFTAHoVW9E76yQlRm9k59xAE/s468/bt2.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="286" data-original-width="468" height="245" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhgHVBx1C6JK4RugvTyE7X8RnzXNVo4uRthVpXPx9CKITaKTbsIcOjEimKxvhBeqFpkOl72fkaFhOlzDLPd2sc6UtCbgSTowvl6qfV4oA3VNNzDpMyGuAv2qqFBzyWB0hkeq7IyUptQayXi__obrk0QGJehJHehSHTb4Q7yFTAHoVW9E76yQlRm9k59xAE/w400-h245/bt2.jpg" width="400" /></a></div><br /><div style="text-align: justify;">Il termine "televisione" venne stabilito il 10 marzo 1947 durante la conferenza mondiale delle radiocomunicazioni di Atlantic City dai delegati di 60 nazioni che stabilirono di adottare come abbreviazione la sigla "TV".<br />Per comprendere come funziona l’attuale sistema televisivo, occorre conoscerne la storia. Abbiamo precedentemente parlato, non a caso, della storia della radio e del cinema, perché da entrambi questi mezzi di comunicazione la tv ha preso le movenze. Il rapporto con questi media ha dato forma alla tv come la conosciamo oggi e continua ad influire tuttora.<br />La tv eredita dalla radio la possibilità di entrare nelle case di un sempre maggior numero di italiani a partire dagli anni ’60, di trasmettere in diretta, e l’appartenenza ai sistemi dello stato (almeno nel caso della tv pubblica).<br />Sempre dalla radio, la tv eredita il palinsesto su cui declinerà anche visivamente i generi in essa precedentemente diffusi: i telegiornali derivano dai radiogiornali, i festival della canzone traslocano sui palchi televisivi e i radio sceneggiati diventano veri e propri antenati delle soap opera.<br />Se dalla radio la tv ha rubato la programmazione, col cinema condivide il linguaggio espressivo, cioè il mix audiovisivo.<br />Possiamo quindi vedere la tv come l'incontro della riproduzione di contenuti audio in diretta e la riproduzione di contenuti audiovisivi in differita.<br />La televisione nasce all’interno del sistema pre-esistente della radio (dal punto di vista aziendale, di produzione e distribuzione), in un contesto storico in cui l’offerta di mezzi di comunicazione di massa stava diventando sempre più tele-comunicativa.<br />Il suo inizio può essere fatto risalire al 25 marzo 1925, quando l'ingegnere scozzese John Logie Baird ne diede dimostrazione nel centro commerciale Selfridges di Londra. <br />All’epoca le immagini in movimento erano composte da due sole tonalità di grigio.<br />Nel 1927 Baird trasmise la televisione da Londra a Glasgow (700 km di distanza) attraverso una normale linea telefonica in cavo. Nel 1928 realizzò la prima trasmissione televisiva transoceanica, da Londra a New York. Sempre nello stesso anno riuscì a trasmettere le prime immagini a colori.<br />Considerata concettualmente un'evoluzione della radio e del cinema, la televisione fu parallelamente sviluppata da diversi gruppi di lavoro in diversi paesi e fu resa disponibile al pubblico subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.<br />Mentre per l'audio si poteva sfruttare la tecnologia della radio, per la ripresa, la trasmissione e la ricezione delle immagini dovevano studiarsi nuove forme tecniche da affiancare.<br />Partendo dal concetto della persistenza delle immagini sulla retina umana, il cui principale utilizzo comunicativo era il cinema, si pensò di rendere su uno schermo idoneo (televisore) un'immagine elettronica scandita altrove da una telecamera e trasmessa via radio. <br />[...] <br />Sino ad alcuni anni fa, cinema e televisione erano due media ben distinti: se il primo fondava la sua forza sulla qualità della pellicola e sulla visione dei film in apposite sale ove la proiezione avveniva al buio (favorendo l'attenzione degli spettatori); il secondo risultava imbattibile per la capacità di rappresentare l'evento contestualmente al suo verificarsi.<br />Con i sistemi digitali di registrazione-riproduzione diffusi in entrambi i mondi, che hanno livellato la qualità delle immagini e i costi di produzione, la distanza dal punto di vista tecnologico e produttivo che li separava è venuta meno.<br />La televisione si è accostata al cinema, da un punto di vista dei contenuti, quando ha iniziato a portare nelle case i film su videocassetta, consentendo per la prima volta un tipo di visione on demand.<br /><b>Jessica Maullu</b> - <b>Valentina Beraldo</b>, <i>I contenuti televisivi nello scenario transmediale: format culturali attraverso la tv e il web</i>, Tesi di laurea Magistrale, Politecnico di Milano, Anno Accademico 2010-2011</div><p></p>Adriano Mainihttp://www.blogger.com/profile/09465917157661723606noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8501527429006047139.post-376470976910896612023-12-19T08:04:00.004+01:002023-12-19T08:05:25.869+01:00Il primo contatto operativo tra alleati e partigiani fu la missione Law<p style="text-align: justify;"></p><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi6aAYeDa3hsSBQRs7mf7uiAX_3TPfRwD9rrMNdBOq6QnaMr_v4XxUOVXrB8VEDux55tAuyHW_9oBzE1dwYle7taD9bF8aj03-U0EEGqGkGJesBs2xp1wU_-JvPCQ1X44sG9ARZRiJpti7btcHkdFnicJhFB9rF6G1aXvTrLJO6vbRE_4Tdr5G3qhnW6pM/s1034/bsl1.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1034" data-original-width="715" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi6aAYeDa3hsSBQRs7mf7uiAX_3TPfRwD9rrMNdBOq6QnaMr_v4XxUOVXrB8VEDux55tAuyHW_9oBzE1dwYle7taD9bF8aj03-U0EEGqGkGJesBs2xp1wU_-JvPCQ1X44sG9ARZRiJpti7btcHkdFnicJhFB9rF6G1aXvTrLJO6vbRE_4Tdr5G3qhnW6pM/w442-h640/bsl1.jpg" width="442" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Prima pagina del rapporto finale di Fausto Bazzi. Fonte: Giuseppe Mac Fiorucci, autore di Gruppo <a href="https://gsvri.blogspot.com/2022/08/quattro-viaggi-via-mare-fra-ventimiglia.html" target="_blank">Sbarchi</a> Vallecrosia, <a href="http://www.isrecim.it/" target="_blank">Istituto</a> Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia < Comune di Vallecrosia (IM) - Provincia di Imperia - Associazione Culturale “Il Ponte” di Vallecrosia (IM) >, 2007</td></tr></tbody></table><br /><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEicny-hEhPRHxPyIBrIiTfgWyzxbCtRpaelFVRLmuZUDyudF9qDF1Z_KLp9fLTv4cSgMQ5-dqxhNDwpH1Bw4vItXXw041goDIMIARQOe1K71CP3vtUjgotzq_yQdmfM-K5rto1fsPIL7oDxRew6sMcLI69O-okPD6MvtnA4HeFvqNus44MnTtrLY7A1ORc/s1002/bsl2.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1002" data-original-width="704" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEicny-hEhPRHxPyIBrIiTfgWyzxbCtRpaelFVRLmuZUDyudF9qDF1Z_KLp9fLTv4cSgMQ5-dqxhNDwpH1Bw4vItXXw041goDIMIARQOe1K71CP3vtUjgotzq_yQdmfM-K5rto1fsPIL7oDxRew6sMcLI69O-okPD6MvtnA4HeFvqNus44MnTtrLY7A1ORc/w450-h640/bsl2.jpg" width="450" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Ultima pagina del citato rapporto finale di Fausto Bazzi</td></tr></tbody></table><br /><div style="text-align: justify;">Tanta tempestiva alacrità avrebbe prodotto a breve la prima (in assoluto) operazione congiunta di intelligence tra le forze alleate e il movimento partigiano dell’Italia del nord: quella missione Law che avrebbe consentito a due ardimentosi, Guglielmo <a href="http://www.pietredinciampo.eu/portfolio/mino-steiner/" target="_blank">Steiner</a> (Mino) e Fausto Bazzi, entrambi addestrati frettolosamente ad Algeri dal Soe britannico (Special operations executive) e dall’Oss americano (Office of strategic services, precursore dell’odierna Cia), di sbarcare dal sommergibile britannico Hms Sykle sulla spiaggia di Cavi di Lavagna ai primi di ottobre del ’43 muniti d’un apparecchio ricetrasmittente consegnato infine, dopo rocambolesche avventure, al referente ligure della missione, il genovese Piero <a href="https://www.anpi.it/biografia/piero-caleffi" target="_blank">Caleffi</a>, a sua volta a stretto contatto sia con l’organizzazione <a href="http://storiaminuta.altervista.org/sulla-missione-otto/" target="_blank">Otto</a> di Ottorino Balduzzi sia con gli esponenti milanesi della cospirazione di matrice azionista e giellista facente capo a Ferruccio Parri. <br /><b>Vittorio Civitella</b> *, <i>Zolesio e l’opera di intelligence di Fellner e Unger di Löwenberg</i> in Storia e Memoria, <a href="https://www.ilsrec.it/" target="_blank">Istituto</a> ligure per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea, anno XXV, n. 2/2016 - * Testo dell’intervento tenuto al convegno “Momenti e figure della Resistenza nel Tigullio. Una storia che non può essere travisata”, organizzato dall’Istituto ligure per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea (Chiavari, Civico auditorium San Francesco, 23 aprile 2016)</div><p></p><p style="text-align: justify;">Mino <a href="https://www.orienta-mi.it/carcere-san-vittore-resistenza-deportazione-mino-steiner/" target="_blank">Steiner</a>, figlio di Emerico Steiner, industriale milanese di origine boema, e di Fosca Titta, sorella del baritono Titta Ruffo, è nipote, per legami famigliari, di Giacomo Matteotti. Laureato in giurisprudenza, inizia l’attività lavorativa nello studio dell’avvocato antifascista Lelio Basso. Con l’arrivo degli Alleati in Sicilia, viene contattato dai servizi segreti anglo-americani per il comando della prima missione segreta inviata oltre la linea del fronte in Nord-Italia: la missione “Law”.<br />Negli ultimi mesi del ’43, a Milano, progetta con Mario Paggi, Antonio Basso, Carlo E. Galimberti, Gaetano Baldacci e altri, un giornale di cultura politica aperto a tutte le idee antifasciste: “Lo Stato Moderno”. Arrestato dalla polizia politica il 16 marzo 1944, viene rinchiuso a S. Vittore, reparto SS; dopo sei settimane è trasferito a Fossoli e da qui il 21 giugno 1944 a Mauthausen. Muore nel sottocampo di Ebensee (Cement) il 28 febbraio 1945. Il libro ne traccia la biografia e riproduce una ampia parte di documenti inediti presenti nell’archivio di famiglia: lettere, scritti, appunti giovanili, bozze di articoli per la stampa, biglietti e corrispondenza clandestina da S. Vittore e da Fossoli.<br />Scheda di <b>presentazione </b>di Marco E. Steiner, <i>Mino Steiner. Il dovere dell’antifascismo</i>, Unicopli, 2015 </p><p style="text-align: justify;">I primi suggerimenti di costituire legioni volontarie combattenti con bandiera italiana accanto agli alleati erano stati dati al generale americano William Donovan, capo dell’O.S.S. (Office of Strategie Service), da Raimondo Craveri e Pasquale Schiano al campo di Pesto e, subito dopo, da Benedetto Croce il 22 settembre [1943] a Capri. A una domanda di Donovan sullo stato d’animo degli italiani Croce rispose che essi erano ansiosi di poter contribuire alla liberazione della propria terra combattendo accanto alle armate alleate […] una parte degli uomini che erano stati raccolti da Pavone, furono rilevati da Craveri per l’ORI (Organizzazione per la Resistenza Italiana), che egli reclutò per l’OSS ( Office of Strategic Services) dopo essere stato avvicinato a Capri nel settembre dal generale Donovan. Lo aiutava nell’impresa uno scienziato napoletano, il dottor Enzo Boeri, le cui simpatie politiche (come quelle di Craveri) oscillavano fra il PDA e il PLI. Coordinata dall’OSS, l’ORI operava spesso in più stretti rapporti con i CLN e i partiti politici che non le SF (Special Force) britanniche. Fin dal settembre l’ORI collaborò alla spedizione della prima missione alleata (Law) nel Nord. Trasportata da un sottomarino e diretta a Lavagna in Liguria, essa era guidata da un nipote di Matteotti, Guglielmo (Mino) Steiner, e comprendeva Fausto Bazzi e Guido De Ferrari. Alla missione si aggiunsero poi Piero Caleffi del Pd'A di Genova ed altri, tra cui il radiotelegrafista Giuseppe Cirillo che più tardi proseguì la sua attività presso la direzione milanese della Resistenza. Nell’ottobre l’ORI di Craveri stabilì un contatto radio con il servizio informazioni clandestino della Otto, appena organizzato a Genova da Ottorino Balduzzi, sostenitore a quell’epoca del PDA. [..] Parri fu in grado di servirsi frequentemente dei servizi della Otto e di comunicare grazie a essa con gli Alleati. Sia l’ORI che le SF si servirono in seguito regolarmente del servizio informazioni della Franchi che le succedette, istituito da Edgardo Sogno e da altri autonomi. <br /><b>Donato Peccerillo</b>, <i>I partigiani mancati del Sud</i>, ANPI <a href="http://www.anpibrindisi.it/" target="_blank">Brindisi</a><br /></p>Adriano Mainihttp://www.blogger.com/profile/09465917157661723606noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8501527429006047139.post-70475317469860689302023-12-10T18:35:00.004+01:002023-12-22T17:14:01.503+01:00L'estate del 1944 rappresentò il momento di massima espansione per il movimento partigiano friulano<div><p style="text-align: justify;"><a href="https://bigarella.wordpress.com/2023/12/05/un-ridotto-numero-di-partigiani-ripiego-a-est-nella-zona-del-collio-goriziano/" target="_blank"></a></p><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhsRwih8ClS4MFSxxD5N3HQ7R426BM79LQeeoD3lIYVEFP3Uj5n0gaV1LbN-WfxvpSw2ajSIEmXCid7qFbYI2su-v8KuwkqeC5atGEJuNO6LlmWGFItrT-zurzjBZx6pNKkKM9llr_nadhcsSrRyp28NXmlXwVRjNK4UGF-mDkOrKeIQ917nOuigHIWNG4/s1024/4185610.webp" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="768" data-original-width="1024" height="480" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhsRwih8ClS4MFSxxD5N3HQ7R426BM79LQeeoD3lIYVEFP3Uj5n0gaV1LbN-WfxvpSw2ajSIEmXCid7qFbYI2su-v8KuwkqeC5atGEJuNO6LlmWGFItrT-zurzjBZx6pNKkKM9llr_nadhcsSrRyp28NXmlXwVRjNK4UGF-mDkOrKeIQ917nOuigHIWNG4/w640-h480/4185610.webp" width="640" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Udine: Via V. Veneto. Fonte: mapio.net<br /></td></tr></tbody></table><a href="https://bigarella.wordpress.com/2023/12/05/un-ridotto-numero-di-partigiani-ripiego-a-est-nella-zona-del-collio-goriziano/" target="_blank"><br /></a></div><div style="text-align: justify;"><a href="https://bigarella.wordpress.com/2023/12/05/un-ridotto-numero-di-partigiani-ripiego-a-est-nella-zona-del-collio-goriziano/" target="_blank">Parallelamente</a>, nei primi mesi del 1944, si costituirono le formazioni osovane. Difatti, come accennato nel precedente capitolo, nel dicembre 1943 fu decretata la nascita della Brigata «<a href="http://storiaminuta.altervista.org/la-tragedia-di-porzus/" target="_blank">Osoppo-Friuli</a>» su impulso del Comitato di Liberazione provinciale di Udine.<br />Il 14 febbraio 1944, a seguito di una riunione dei molti esponenti osovani, avvenuta nel Tempio Ossario di Udine, fu delineata la struttura militare che avrebbe assunto la Brigata.<br />«Osoppo-Friuli»: innanzitutto, una formazione mobile di montagna la cui zona di insediamento dei primi nuclei sarebbe stata la Val d’Arzino, più precisamente tra Anduins, Pielungo, S. Francesco e i monti circostanti; il Comando Osoppo (costituito nei primi mesi del ’44 e situato nel castello Ceconi a Pielungo) avrebbe agito militarmente in autonomia dal C.L.N, riconoscendone solo la direzione politica del movimento; l’Esecutivo Militare <83 (cioè l’organo militare) avrebbe funzionato come organo di collegamento fra la brigata e il C.L.N., con la mediazione dei rappresentanti democristiani e azionisti; al comando della Brigata sarebbe stato posto Candido Grassi “Verdi” <84.<br />A questa nuova formazione, tra marzo e aprile, si unirono molti partigiani provenienti dalla pianura friulana. Il 25 marzo 1944 fu costituito a Pielungo il Btg. «Italia», a cui si aggiunsero in seguito diversi nuclei già presenti nella zona, quali: i nuclei di Verzegnis, di Lateis di Sauris, di Caneva-Vinaio e infine quello di Cludinico. Nella zona carnica, più precisamente sull’altopiano di Lauco, nell’aprile 1944 fu formato un secondo battaglione osovano, ossia il Btg. «Carnia». Sul Piancavallo, invece, nella «Osoppo» confluirono alcuni gruppi già organizzati in pianura, di diversa aspirazione politica: tra Sacile e Conegliano i già citati gruppi di Pietro Maset «Maso» e dalla zona di Caneva di Sacile i gruppi monarchici <85.<br /><b>3.2.1. Lo sviluppo delle formazioni osovane e garibaldine</b><br />Si può certamente affermare che l’estate del 1944 rappresentò il momento di massima espansione per il movimento partigiano friulano. Alle formazioni già esistenti se ne affiancarono molte altre, diventando così dei grandi battaglioni, brigate, o addirittura divisioni, con un raggio d’azione territoriale ben definito.<br />È necessario, quindi, fornire una descrizione complessiva - per le aree territoriali che interessano il tema qui trattato - di quelle forze che confluirono e si svilupparono nelle due formazioni partigiane centrali nella Resistenza friulana, ossia la Brigata «Garibaldi» e la Brigata «Osoppo».<br />Nelle formazioni garibaldine si formarono i seguenti battaglioni:<br />Nella zona carnica: il Btg. «Carnia», il Btg. «Carnico» e il Btg. «Mazzini 2°» (derivante dall’omonimo distaccamento che agirà nella zona sud della Val Cellina, stabilendosi nella zona di Frisanco, Poffabbro, Pala e Barzana);<br />Nella zona sud-est, più precisamente nella Val d’Arzino, Meduna e nella Pedemontana: il Btg «Garibaldi» (derivato dalla fusione dei precedenti reparti «Pala», «Zavagno» e «Weber»); il Btg. «Pisacane» e il Btg. «Matteotti» (costituito il 1° Maggio sul Monte Prat), a cui si aggiungerà il 20 giugno, formatosi in Val Cellina, il Btg. «Nino Bixio».<br />Con il medesimo schema illustriamo i battaglioni che si costituirono nelle formazioni osovane:<br />Nella zona della Val Cellina: il Btg. «Piave», formatosi sul Piancavallo da alcuni distaccamenti già esistenti;<br />Nella zona carnica: a fianco al Btg. «Carnia», si aggiunse il Btg. «Tagliamento», costituito il 1° maggio in Val di Verzegnis <86.<br />Si può quindi affermare che, alla fine del giugno 1944, le forze delle formazioni osovane (Figura 3.2.) <87 e di quelle garibaldine (Figura 3.3.) <88 si estesero notevolmente, per continuare ad aumentare nei mesi successivi.<br /></div><div> <p></p><p style="text-align: justify;"></p><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgMnaXwUktp7tHI6jwYZD83PF9P9hGfAdV9_R-12zhkhBOFG-jtIJX33eHyeVhyaPf7hAKohtJoefJp0NgqaZO0eIh0wKh5ChGRltSdmJA6gyNMYBbMK6y_KyYCaOpHcR81jX9nc5AEsz0FHNzY7RIUi7sdtioK2-Mpgx-OZIl020kNq9-TyJXZ4b6ISxw/s677/v1.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="602" data-original-width="677" height="570" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgMnaXwUktp7tHI6jwYZD83PF9P9hGfAdV9_R-12zhkhBOFG-jtIJX33eHyeVhyaPf7hAKohtJoefJp0NgqaZO0eIh0wKh5ChGRltSdmJA6gyNMYBbMK6y_KyYCaOpHcR81jX9nc5AEsz0FHNzY7RIUi7sdtioK2-Mpgx-OZIl020kNq9-TyJXZ4b6ISxw/w640-h570/v1.jpg" width="640" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Figura 3.2. Le formazioni partigiane osovane a fine giugno 1944. Fonte: Gioia Vazzaz, op. cit. infra</td></tr></tbody></table><br /><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjMGEFEYAv-zP16WZlPW0fd70N7uodQozj2hnXhtMQ36rbZCUd_pBU5NQdKqnxDsD5vQ3s8Ci_FvICQouRfSgTZtISDus133Tf9BRJJvJh0FARZ9OF8GLn_afIusBANdap9jur7C2RipaKReCIRnIdFIuXFq_di8gulR9RKdItsA0BeJZ0LhYdJk3p0xIk/s734/v2.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="431" data-original-width="734" height="376" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjMGEFEYAv-zP16WZlPW0fd70N7uodQozj2hnXhtMQ36rbZCUd_pBU5NQdKqnxDsD5vQ3s8Ci_FvICQouRfSgTZtISDus133Tf9BRJJvJh0FARZ9OF8GLn_afIusBANdap9jur7C2RipaKReCIRnIdFIuXFq_di8gulR9RKdItsA0BeJZ0LhYdJk3p0xIk/w640-h376/v2.jpg" width="640" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Figura 3.3. Le formazioni garibaldine a fine giugno 1944. Fonte: Gioia Vazzaz, op. cit. infra</td></tr></tbody></table><br /></div><div><div style="text-align: justify;">Nel mese del luglio 1944, ad entrambe le formazioni si aggiunsero nuovi battaglioni, aumentando ulteriormente la forza partigiana presente nel territorio.<br />Alle forze garibaldine già esistenti si aggiunsero i seguenti battaglioni: nella Val d’Arzino,<br />Meduna e nella Pedemontana, quindi la zona nord-est, dai distaccamenti del Btg. garibaldino<br />«Matteotti» a metà luglio si formarono altri due battaglioni, il «Gastone Sozzi» e «Stalin <89»; nella zona carnica, il 25 luglio, il Btg. «Carnia» si divise in due battaglioni, quali «Aulo Magrini» e «Antonio Gramsci» e in Valcellina, il 15 luglio, prese vita il Btg. «A. Gramsci». Nelle formazioni osovane, invece, confluirono: il 3 luglio 1944 il Btg. «Libertà», il 12 luglio il Btg. «Patria», il 19 luglio il Btg. «Giustizia» e il 29 luglio il Btg. «Val Meduna», con l’incorporazione del reparto autonomo «Gruppo Alpino Trasaghis-Settore 124» che successivamente sarà il Btg. «Friuli». Infine, i Btgg. «Vittoria» e «Cellina» nel settore della Valcellina. In quest’ultima zona, inoltre, nella metà del luglio 1944, dall’unione di alcuni battaglioni osovani e garibaldini (i Btgg. garibaldini «Nino Bixio», «Gramsci» e «Mazzini 2°»; osovani il «Piave», «Vittoria» e «Cellina») si costituì la Brigata Unificata «Ippolito Nievo A» <90, una parentesi nel travagliato percorso di unificazione dei due comandi di cui si tratterà successivamente.<br />Un’ulteriore spinta, che accrebbe il richiamo alla lotta di liberazione e l’arruolamento nelle formazioni partigiane, fu dettata dall’emanazione a fine luglio 1944 del bando di leva obbligatorio (esteso a tutte le classi dal 1914 al 1926) dal Gauleiter Friedrich Reiner, supremo commissario tedesco dell’<a href="http://storiaminuta.altervista.org/lunita-militare-in-assoluto-piu-impiegata-nellozak-fu-la-188a-divisione-di-montagna-di-riserva/" target="_blank">OZAK</a> [Operationszone Adriatisches Kustenland].<br /><span style="font-size: x-small;">[NOTE]</span><br /><span style="font-size: x-small;">83 Per una migliore comprensione circa l’organizzazione della struttura politica e militare della resistenza, è necessario proporre un breve sunto del processo organizzativo del Movimento di Liberazione italiano. In principio, la costituzione dei Comitati di Liberazione Nazionale (C.L.N.) - la cui nascita è parallela alla formazione delle prime bande partigiane - i quali assunsero il ruolo clandestino di direzione politica e militare e il cui organo militare fu rappresentato dall’Esecutivo Militare. I rapporti tra i C.L.N. e le bande partigiane si rivelarono complessi, principalmente perché queste ultime rifiutarono la subordinazione all’Esecutivo Militare, così verso la fine del 1943 si tentò un coordinamento delle azioni di guerriglia affidato al comando di ufficiali dell’esercito italiano. L’operazione risultò fallimentare e solo nei primi mesi del 1944 si assistette ad una riorganizzazione concreta: le bande iniziali trasformano il loro assetto in battaglioni e brigate; sul piano territoriale nacquero nuovi sistemi organizzativi che, al di sopra dei C.L.N provinciali, videro i C.L.N. regionali e al vertice il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (C.L.N.A.I.) che, su delega del C.N.L. di Roma, assunse il ruolo centrale nella direzione della Lotta di Liberazione nel Nord Italia, G. Gallo, op. cit., pp. 79-80. 84 Ivi, pp. 70-71.</span><br /><span style="font-size: x-small;">85 Candotti, Le formazioni armate Garibaldi e Osoppo dalla loro origine all’offensiva nemica…, cit., p.30.</span><br /><span style="font-size: x-small;">86 Ivi, p. 31.</span><br /><span style="font-size: x-small;">87 Giampaolo Gallo, La Resistenza in Friuli 1943-1945, Udine, Istituto Friulano per il Movimento di Liberazione, 1988, p. 72.</span><br /><span style="font-size: x-small;">88 Ivi, p. 78.</span><br /><span style="font-size: x-small;">89 Mario Candotti, Il Battaglione “Stalin”, in “Storia contemporanea in Friuli”, a. 5, n. 6, 1975, p. 146.</span><br /><span style="font-size: x-small;">Per un approfondimento, il Btg. Stalin fu composto da soldati sovietici, fuggiti dai campi di prigionia e di lavoro tedeschi, che operò in un primo tempo nella zona di Cornino-Forgaria e in seguito sul Monte Prat, in un primo tempo a fianco del Btg. garibaldino «Matteotti» (trasformato in seguito nella Brigata «Garibaldi-Picelli»).</span><br /><span style="font-size: x-small;">90 Candotti, Le formazioni armate Garibaldi e Osoppo dalla loro origine all’offensiva nemica…, cit., p. 31-32.</span><br /><b>Gioia Vazzaz</b>, <i>Soggettività e oggettività nell'opera storiografica di Mario Candotti</i>, Università degli Studi di Trieste, Anno accademico 2021-2022</div><p></p></div>Adriano Mainihttp://www.blogger.com/profile/09465917157661723606noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8501527429006047139.post-10651891230658260992023-12-01T19:44:00.005+01:002023-12-01T19:48:27.787+01:00Mafia capitale affonda le proprie radici nella Roma degli anni ottanta, dove a predominare erano l'eversione nera e la Banda della Magliana<div><p style="text-align: justify;"></p><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhXdI0ll5UkzqsM04DR818BG7CdhwfSK4pECCIaFYgOsKAB7ulhFFePZgYoyN5gh8v1j3qauc_OMki4ROh-ZNLbHersKXPLqF0AJzJ0xUT5lkDNLeciw7PRxXJEeUGsMwph2W71MDLzosVvV2LpwhEaRhd2w-4kNJ9Gj5se_NdgzlTgEKoatJ6ENb_gcG4/s2592/IMG_3468.JPG" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1944" data-original-width="2592" height="480" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhXdI0ll5UkzqsM04DR818BG7CdhwfSK4pECCIaFYgOsKAB7ulhFFePZgYoyN5gh8v1j3qauc_OMki4ROh-ZNLbHersKXPLqF0AJzJ0xUT5lkDNLeciw7PRxXJEeUGsMwph2W71MDLzosVvV2LpwhEaRhd2w-4kNJ9Gj5se_NdgzlTgEKoatJ6ENb_gcG4/w640-h480/IMG_3468.JPG" width="640" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Roma: scorcio di una periferia. Foto: D.D.<br /></td></tr></tbody></table><br /></div><div style="text-align: justify;">A cosa ci riferiamo veramente quando parliamo di Mafia Capitale? Un concetto molto forte che lascia ben poco spazio a interpretazioni o equivoci di alcun genere, è di pubblico dominio la consapevolezza di trovarsi di fronte ad un'organizzazione criminale, un'associazione di stampo mafioso dinamica con ampi margini di autonomia, in grado di far valere il proprio peso intimidatorio attraverso il conseguimento di comuni obiettivi, anelando ad un'inevitabile scalata al potere, un'ascesa inarrestabile che perdura da anni e non intende placarsi <32. <br />Banda della Magliana e movimenti eversivi della destra romana rappresentano i due punti fermi dai quali Mafia Capitale trae origine ereditandone interpreti e modalità d'azione, un macchinario perfetto in grado di delineare un complesso d'interessi, leciti e illeciti, che oscillano tra ciò che viene definito il “Mondo di sopra” e il “Mondo di sotto”, tra imprenditori apparentemente ligi al dovere e la malavita sollecita a garantire i propri servigi <33.<br />Il “mondo dei vivi e quello dei morti” <34 per usufruire di un'intercettazione passata alla storia che vede protagonista Massimo Carminati, noto ex terrorista NAR, al quale si ascrive la teoria del “Mondo di mezzo”, il quale posizionandosi nell'area di confine tra i differenti “mondi” ha costantemente usufruito della conseguente abilità di insinuarsi all'interno di ciascuno di essi usufruendo - nel momento più opportuno - degli espedienti e delle risorse dell'altro, avviando irreversibilmente, come sostenuto dal Giudice Flavia Costantini, “una trade-union tra mondi apparentemente inconciliabili” <35.<br />Ardentemente lo desiderava la Banda della Magliana, altrettanto fervidamente lo bramano i suoi eredi: conquistare Roma! Una realtà che affonda le proprie radici nella Roma degli anni ottanta, dove a predominare erano quindi l'eversione nera e la Banda della Magliana, che arriva inesorabilmente ai giorni nostri, pronta ad evidenziare una linea di continuità con il passato che non sembra voler volgere ad un suo epilogo definitivo, individuando nell'attività criminale dei proseliti di Massimo Carminati i peculiari aspetti del crimine organizzato <36. <br />Passato e presente continuano incessantemente il loro “dialogo”, volti di ieri con quelli di oggi, tutto si mescola ma nulla cambia, per quanto avventata possa risultare una papabile correlazione tra il “Mondo di Mezzo” e il sostrato criminale romano degli anni ottanta. Ancora oggi non esistono smentite oggettive atte a screditare questa convinzione di base. <br />Il legame con la Banda della Magliana delinea infatti solo uno dei fattori su cui si impernia la forza intimidatoria dell'organizzazione, la quale si avvale di suddetta derivazione come espediente per rafforzare la levatura dei suoi affiliati, sfruttandone altresì il “successo mediatico” che ne ha innegabilmente conferito il carattere prevaricatore di “mafiosità” <37. <br />Un gruppo criminale organizzato come quello della Magliana, incline ad attività criminali indiscutibilmente facinorose e redditizie, tra le quali si annoverano il traffico e lo spaccio di droga, il gioco d'azzardo e il possesso di armi, hanno rappresentato un'eredità rispettabile che il “Mondo di Mezzo” ha accolto con ben poca riluttanza, raggiungendo un progresso evolutivo ragguardevole nel quale il ricorso ai soprusi e ai crimini emblematici delle organizzazioni mafiose di un tempo si è cominciato pian piano ad affievolire <38. Estorsioni e recupero crediti rappresentano solo in parte la schiera di attività in cui Carminati e altri suoi soci erano coinvolti, con il fine ultimo di avere il totale controllo del territorio. Un giro di affari che con il protrarsi del tempo non rendeva più giustizia alla caratura criminale dell'organizzazione stessa: era necessario un salto di qualità che mostrasse o - quantomeno - incrementasse tutto il peso dissuasivo che tanto aveva contraddistinto questa organizzazione sino a quel momento. <br />Il “Mondo di mezzo” emancipandosi dallo scarno giro di affari tanto decantato agli albori, ha ben presto vestito i panni di un'associazione consacrata al controllo di appalti e sovvenzioni pubbliche del Comune di Roma, nel campo, tra le molteplici operazioni, della creazione di centri di accoglienza per richiedenti asilo, inquinando tenacemente e faticosamente con metodi corruttivi diramati, le scelte politiche e l'operato della pubblica amministrazione, ponendo l'accento sulla minaccia che l'associazione nel suo complesso e dei singoli affiliati può rappresentare, i quali "le hanno coscientemente fatte convergere verso l'attuazione delle loro efferate finalità" <39. <br />Questa situazione ingarbugliata ha inevitabilmente posto l'attenzione sul business degli immigrati, condannando cooperative dedite alla gestione delle case d'accoglienza le quali, illecitamente, guadagnano a discapito di chi arriva speranzoso in cerca di fortuna, a spese di chi ha vissuto nella disperazione ed è ora più che mai alla ricerca di una pace smarrita all'interno del proprio paese <40. Un investimento oltremodo fruttuoso capace di superare 40 milioni di euro annui, congiunto alla gestione dei campi rom, coordinata dalla cooperativa 29 giugno e dalle cooperative specializzate nei Msna i quali vengono appaltati a cooperative ben più modeste rappresentate da opportunisti camuffati da effimeri industriali <41. <br />Mafia Capitale non doveva più solo essere in grado di fornire un'adeguata tutela o servigi alle imprese, ma altresì entrare in affari a pari merito con imprenditori (e non solo) fornendo appoggi e connivenze al fine di imbastire un particolare vincolo tra politica e settore imprenditoriale, garantendo ai partiti politici il finanziamento doveroso al loro sostentamento, una spartizione degli introiti derivanti da business redditizi associati alla gestione della res-pubblica <42.<br /><span style="font-size: x-small;">[NOTE]</span><br /><span style="font-size: x-small;">32 Renzi, Valerio. (2014). La Mafia Capitale che regnava sul “mondo di mezzo” nelle intercettazioni di Carminati. Fanpage.it </span><br /><span style="font-size: x-small;">33 Renzi, Valerio. (2014). La Mafia Capitale che regnava sul “mondo di mezzo” nelle intercettazioni di Carminati. Fanpage.it </span><br /><span style="font-size: x-small;">34 Calandra, Raffaella. (2018). Le mani su Roma, dalla banda della Magliana fino a Mafia capitale. Il Sole 24 Ore. </span><br /><span style="font-size: x-small;">35 (2014). Banda della Magliana ed eversione nera: le origini di Mafia Capitale. Roma Today.</span><br /><span style="font-size: x-small;">36 Calandra, Raffaella. (2018). Le mani su Roma, dalla banda della Magliana fino a Mafia capitale. Il Sole 24 Ore. </span><br /><span style="font-size: x-small;">37 (2014). Banda della Magliana ed eversione nera: le origini di Mafia Capitale. Roma Today. </span><br /><span style="font-size: x-small;">38 (2017). Mafia Capitale, giudici: nessun legame con banda Magliana. Ask a news.</span><br /><span style="font-size: x-small;">39 Zitelli, Andrea. (2017). Mafia Capitale, tutto quello che c’è da sapere su inchiesta e processo. Valigia Blu. </span><br /><span style="font-size: x-small;">40 (2017). La storia di Mafia Capitale. Il Tabloid. </span><br /><span style="font-size: x-small;">41 (2017). La storia di Mafia Capitale. Il Tabloid.</span><br /><span style="font-size: x-small;">42 (2017). Mondo di mezzo: niente mafia, solo corruzione. Ecco le motivazioni della sentenza. Roma Today.</span><br /><b>Gianluca Righi</b>, <i>Mafia capitale e il business dei migranti</i>, Tesi di laurea, Università Luiss "Guido Carli", Anno accademico 2017-2018<br /></div><div style="text-align: left;"><br /><div style="text-align: justify;">Il caso “Mafia capitale” prende le mosse dall’inchiesta “Mondo di mezzo” condotta dalla procura di Roma, che ha ipotizzato la presenza di una mafia autoctona nel territorio romano.<br />Il caso in esame presenta elementi di particolare interesse, e dimostra ancora una volta (come già visto per il caso Fasciani) le difficoltà interpretative e le oscillazioni giurisprudenziali che comportano la nascita di nuove consorterie criminali.<br />La vicenda trae origine dalle indagini che avevano portato alla luce la presenza di due organizzazioni criminali facenti capo a Salvatore Buzzi e Massimo Carminati.<br />Queste due consorterie erano inizialmente separate, secondo la ricostruzione degli inquirenti, e dedite a settori criminali differenti. L’associazione facente capo a Carminati era principalmente dedita all’attività estorsiva nei confronti degli imprenditori, invece, il gruppo criminale facente capo a Buzzi, era dedita all’attività corruttiva, volta a pilotare appalti e concessioni. Successivamente queste due associazioni, sempre secondo la ricostruzione degli investigatori, si sarebbero fuse in un’unica organizzazione criminale, fondendo il know how acquisito nei rispettivi campi di interesse. L’associazione di Buzzi garantiva la protezione e il favore delle istituzioni, l’associazione di Carminati costituiva il braccio armato e più propenso al ricorso di atti di violenza e minaccia per raggiungere i propri obiettivi.<br />Occorre sottolineare come per le due associazioni fosse particolarmente importante la caratura criminale dei propri capi. Carminati era un ex terrorista dei Nar, già pregiudicato, Buzzi invece presentava un passato molto vicino all’estremismo di sinistra.<br />La fusione delle due organizzazioni avrebbe quindi dato vita alla nascita di un’unica associazione in grado di assoggettare attraverso una forza di intimidazione scaturente dalla fama criminale dei capi, e dal ricorso alla violenza presente nel background dell’associazione di Carminati e all’attività corruttiva presente nell’organizzazione di Buzzi.<br />La vicenda presenta particolare importanza non solo per la questione riguardante la nascita di un’associazione di tipo mafioso autoctona, ma anche in considerazione del metodo mafioso. Infatti, bisogna subito sottolineare come dalla ricostruzione operata dagli inquirenti, il metodo mafioso sarebbe stato acquisito dall’associazione in virtù della caratura criminale dei capi. In buona sostanza, i capi dotati di una propria fama criminale, sarebbero stati in grado di trasferire il metodo mafioso all’intera organizzazione, facendo sì che non fosse più il singolo ad essere dotato di forza di intimidazione ma la consorteria.<br />Un ulteriore elemento di interesse si rinviene nell’attenzione ad una forza di intimidazione che non si forma solo per mezzo di atti violenti, ma anche attraverso il ricorso ad una sistematica pratica corruttiva, in grado di escludere i soggetti che non si piegano al sistema criminale.<br />Le particolarità del caso di specie sono emerse nel corso della vicenda giudiziaria. Le diverse pronunce necessitano un’attenta analisi, e forniscono importanti spunti, non solo sulla ricostruzione della vicenda, ma anche sull’applicabilità dell’art. 416 bis c.p. ad associazioni autoctone, sull’assimilazione tra criminalità politico-imprenditoriale e criminalità di tipo mafioso, e della possibilità di configurare il metodo mafioso in contesti di corruzione sistemica <322.<br />Iniziando l’analisi della vicenda dalla prime pronunce, la Suprema Corte di Cassazione con due sentenze <323 in sede cautelare conferma il piano accusatorio prospettato dalla procura, riconoscendo la presenza di un’unica associazione criminale, le cui attività e modus operandi sono riconducibili al tipo di cui all’art. 416 bis c.p. In particolare, la Suprema Corte formula il principio di diritto secondo cui: “ai fini della configurabilità del reato di associazione per delinquere di stampo mafioso, la forza intimidatrice espressa dal vincolo associativo dalla quale derivano assoggettamento e omertà può essere diretta tanto a minacciare la vita o l’incolumità personale, quanto, anche o soltanto, le essenziali condizioni esistenziali, economiche o lavorative di specifiche categorie di soggetti. Ferma restando una riserva di violenza nel patrimonio associativo, tale forza intimidatrice può venire acquisita con la creazione di una struttura organizzativa che, in virtù di contiguità politico-elettorali, con l’uso di prevaricazioni e con una sistematica attività corruttiva, esercita condizionamenti diffusi nell’assegnazione di appalti, nel rilascio di concessioni, nel controllo di settori di attività di enti pubblici o di aziende parimenti pubbliche, tanto da determinare un sostanziale annullamento della concorrenza o di nuove iniziative da parte di chi non aderisca o non sia contiguo al sodalizio”.<br />La pronuncia, come detto, assume particolare rilevanza sotto il profilo del metodo mafioso. Infatti, la Corte espressamente afferma che la forza di intimidazione può essere acquisita, ferma una riserva di violenza <324, anche dal ricorso ad una pratica corruttiva sistemica, in grado di annullare la concorrenza o la possibilità di accedere al mercato da parte di chi non aderisca al sodalizio. <br /><span style="font-size: x-small;">[NOTE]</span><br /><span style="font-size: x-small;">322 E. MAZZANTINI, Il delitto di associazione di tipo mafioso alla prova delle organizzazioni criminali della “zona grigia”. Il caso di Mafia capitale, in Arch. pen. web, 11 dicembre 2019, p. 9 ss.</span><br /><span style="font-size: x-small;">323 Cass., sez. VI pen., 10 marzo 2015 [dep. 9 giugno 2015], n. 24535, Pres. Agrò, Rel. De Amicis; Cass., sez. VI pen., 10 marzo 2014 [dep. 9 giugno 2015], n. 24536, Pres. Agrò, Rel. Mogini.</span><br /><span style="font-size: x-small;">324 Critica sul punto: D. FALCINELLI, Della mafia e di altri demoni. Storie di Mafie e racconto penale della tipicità mafiosa (Spunti critici estratti dal sigillo processuale su Mafia Capitale), in Arch. pen., 2020 n.2, p.2 ss.</span><br /><b>Baldo Morello</b>, <i>Il metodo mafioso alla prova delle nuove manifestazioni criminali</i>, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Palermo, Anno accademico 2020-2021</div><p></p><p style="text-align: justify;">Durante il periodo della detenzione di Fioravanti il gruppo amalgamatosi dentro la sede del FUAN cominciò a disgregarsi, con un filone che cominciò a vagheggiare la costituzione di comuni agricole (che Fioravanti definì sarcasticamente “fascisti bucolici”) e uno scollamento della stessa frangia illegalista, involuta in un atteggiamento essenzialmente impolitico del tutto improduttivo o, in qualche caso, produttivo soltanto in termini strettamente criminali. È in quel periodo infatti che Alibrandi e Cristiano Fioravanti vengono attratti, tramite Massimo Carminati, ex missino proveniente dalla stessa sezione di Anselmi e come questo ex compagno di classe di Valerio Fioravanti, dai successi criminali della banda della Magliana. Dalla conoscenza di Calore derivò soprattutto il progetto di far evadere Pierluigi Concutelli, che comportò il mutamento della natura dei NAR e ne condizionò le vicende per il resto della loro esistenza. Vale la pena seguire i passaggi di tale mutamento, che si svolsero in poco tempo, meno di un mese. Il proposito di agevolare l'evasione del “comandante” arrivò a Fioravanti dai dirigenti di Terza Posizione, fin lì frequentata soltanto in ragione dell'ubiquità di Dimitri e perché Nistri aveva chiesto a Fioravanti due o tre pistole come dotazione per il Nucleo Operativo. Un dirigente siciliano di TP, Francesco Mangiameli, molto amico di Concutelli, diede l'input del progetto a Roberto Fiore, e questi a Dimitiri. Il 22 novembre Dimitri e Fioravanti, accompagnati da Nistri, si recarono a Tivoli da Calore per esporgli i loro propositi <329. Cinque giorni dopo Fioravanti e Dimitri andarono con Alibrandi, Carminati e l'avanguardista Domenico Maglietta, a rapinare la filiale romana della Chase Manhattan Bank, in piazza Marconi all'EUR. La rapina fruttò più di cento milioni di lire in contanti e più di duecentomila dollari in traveler's cheque, il cui riciclaggio venne appunto affidato alla banda della Magliana <330. La riuscita della rapina, mitizzata da molti e per molto tempo, fu in realtà dovuta alla collaborazione dall'interno di due cassieri e di un metronotte, ex missini della sezione della Montagnola <331.<br />[...] In ottobre i NAR, ormai senza più nessun freno, prepararono un attentato contro il capitano della DIGOS Francesco Straullu, accusato di violenze durante gli interrogatori e di aver circuito la compagna di Egidio Giuliani, del giro di Costruiamo l'azione, vantandosene con questo, nonché di avere quasi ucciso Massimo Carminati al confine con la Svizzera, mentre questi cercava di espatriare, nell'aprile precedente. Il 21 ottobre, ad Acilia, nella periferia meridionale di Roma, Giorgio Vale e Francesca Mambro lo attesero sotto casa, facendo da staffetta con Cavallini, Alibrandi e Sordi appostati all'altro capo del sottopassaggio di Ponte Ladrone che era solito percorrere. Convinti di dover sparare contro un veicolo blindato, i NAR si procurarono armi da guerra che tuttavia scaricarono contro una Ritmo tutt'altro che blindata, massacrando Straullu e l'agente Di Roma che era al volante <369.<br /><span style="font-size: x-small;">[NOTE]<br />329 Cfr. Archivio Pio La Torre, Atti processuali, 4, Ordinanza-sentenza di rinvio a giudizio, “Ordinanza sentenza emessa nel procedimento penale contro Greco Michele+18 per gli omicidi Reina-Mattarella-La Torre-Di Salvo”, Tribunale di Palermo - Ufficio Istruzione processi penali, n. 3162/89 A- PM; n. 1165/89 RGUI, v. 4, cap, III, Le dichiarazioni di Giuseppe Dimitri […], pp. 539-545.<br />330 Cfr. Le prove di una rapina in un covo di fascisti, in «La Stampa», 25/11/1980; La mala riciclava i milioni rapinati da bande fasciste, in «l'Unità», 25/11/1980. Gli articoli si riferiscono all'arresto di Franco Giuseppucci, Maurizio Abbatino e Giorgio Paradisi, in seguito il ritrovamento in casa di quest'ultimo di diecimila dollari provenienti dalla rapina. Le indagini collegarono la rapina al covo di via Alessandria scoperto a metà dicembre, identificando tre dei documenti e le divise da guardia giurata lì ritrovati rispettivamente in quelli presi alle donne delle pulizie della banca ed in quelle usate dai rapinatori.<br />331 Cfr. la testimonianza di V. Fioravanti in N. Rao, Il piombo e la celtica, cit., p. 231.<br />369 Cfr. Roma, capitano e agente Digos massacrati dai terroristi neri, in «La Stampa», 22/10/1981; Roma: atroce agguato nero, in «l'Unità», 22/10/1981.</span><br /><b>Carlo Costa</b>, <i>"Credere, disobbedire, combattere". Il Neofascismo a Roma dai FAR ai NAR (1944-1982)</i>, Tesi di dottorato, Università degli studi della Tuscia - Viterbo, 2014 </p></div>Adriano Mainihttp://www.blogger.com/profile/09465917157661723606noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8501527429006047139.post-21316051419971464052023-11-21T10:29:00.004+01:002023-11-21T10:30:03.206+01:00Minore fortuna, invece, incontrò il secondo articolo proposto da Basso sulle attribuzioni costituzionali dei partiti<div><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhQhUkV8CzlFe9iAWNIk1fBLJlvXJZYP_oTnUql1xFx_8mwKorsORRl0lQl2ZPOSWWIrLcJmPChs4wrDJkoYgM98ee6Spax27ghh1F_n_462NlWq5nU0tX60SK0T9yO2vdmwoJT3czpAz83lktFoTcY0bYFjRd9L5xM7bURXZf4fV_FgSxi3FU23HT7YCY/s635/fs2.GIF" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="635" data-original-width="442" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhQhUkV8CzlFe9iAWNIk1fBLJlvXJZYP_oTnUql1xFx_8mwKorsORRl0lQl2ZPOSWWIrLcJmPChs4wrDJkoYgM98ee6Spax27ghh1F_n_462NlWq5nU0tX60SK0T9yO2vdmwoJT3czpAz83lktFoTcY0bYFjRd9L5xM7bURXZf4fV_FgSxi3FU23HT7YCY/w446-h640/fs2.GIF" width="446" /></a></div><br /></div><div style="text-align: justify;">La genesi della disciplina dei partiti politici in Costituzione ha rappresentato un passaggio particolarmente significativo nella composizione del quadro istituzionale della costruenda Repubblica.<br />L’esplicita menzione della figura del partito nella Carta costituzionale1 è stata, da più parti, celebrata <2 per la sua primogenitura nel contesto giuridico comparato europeo <3. Questa scelta, in realtà, rappresentava lo sbocco naturale dell’esperienza istituzionale del Comitato di Liberazione Nazionale <4 che il Paese aveva conosciuto all’indomani della caduta del regime fascista: erano stati i partiti, riuniti all’interno del CLN <5 in posizione paritetica <6, a guidare quella delicata fase di transizione e ad assicurare una stabilità dell’assetto istituzionale tale da fargli guadagnare il riconoscimento di «autentici “padri della Costituzione”» <7.<br />Il comune sostrato antifascista ha continuato a fornire anche nella fase costituente una spinta propulsiva per addivenire ad una disciplina condivisa sul tema dei partiti. I vari schieramenti, che pure restavano aspramente contrapposti sul piano ideologico, trovarono un punto di incontro che, tenendo nella dovuta considerazione quella virtù originale, li spinse ad adottare una complessiva regolamentazione costituzionale dal carattere marcatamente garantista.<br />La discussione sulle libertà politiche, entro le quali rientrava la prima formulazione dell’art. 49 <8, fu incardinata da Merlin e Mancini <9 sulla base di un assunto fattuale dal quale il futuro dato giuridico non avrebbe potuto prescindere: posto che «i partiti sono una realtà che è inutile fingere di ignorare», «non è affatto vero che costituiscano un male, per quanto necessario», anzi «costituiscono un bene, che va riconosciuto e protetto» <10. La Repubblica di cui si stavano gettando le basi aveva bisogno dei partiti e, in particolare, di un sistema pluralistico, in contrapposizione al modello fascista del partito unico «che non deve avere giammai diritto di cittadinanza nell’Italia democratica» <11.<br />Le considerazioni - pur sintetiche - dei relatori facevano affiorare una più profonda e significativa evoluzione che era ormai maturata nel rapporto fra Stato e partito, e che comportava una netta preferenza per un modello di <i>Legalisierung</i>.<br />La formulazione presentata in sede di prima sottocommissione conteneva, pertanto, un’enunciazione a livello costituzionale del diritto dei cittadini a organizzarsi in partiti formati con metodo democratico, che veniva temperata, però, da una forma di controllo interno a maglie larghe, nonché dall’apposizione di una riserva di legge ordinaria non rinforzata <12.<br />Ad essa si contrappose la proposta sostitutiva di Basso <13, di matrice organicistica, nella quale si introduceva per la prima volta il concetto del “concorso” nella determinazione della politica nazionale e si avanzava la possibilità di assegnare «attribuzioni di carattere costituzionale» ai partiti maggiormente rappresentativi del corpo elettorale.<br />Nel dibattito sorto fra le due impostazioni si inserì l’intervento di Togliatti, il quale, sostenendo che, in forza della prima proposta, un futuro Governo avrebbe potuto colpire le minoranze tramite legge ordinaria <14, suggerì di rendere manifesta una sola limitazione: quella nei confronti del partito fascista <15, «perché si deve escludere dalla democrazia chi ha manifestato di essere il suo nemico» <16.<br />Attraverso questo stratagemma l’esponente comunista non solo ottenne la circoscrizione delle possibili limitazioni in materia partitica ad un fatto storicamente determinato <17, non suscettibile di interpretazioni faziose, ma riuscì anche a far cadere la possibilità di un successivo intervento del legislatore ordinario <18: una norma “chiusa” a livello costituzionale <19 rappresentava, infatti, la migliore garanzia per il suo partito <20. Tale proposta venne favorevolmente accolta in primis da Basso <21 e, poi, da tutti gli altri esponenti, come hanno dimostrato sia la sua approvazione all’unanimità in Sottocommissione che la successiva pedissequa trasposizione nella XII disposizione finale, comma 1, della Costituzione <22.<br />Minore fortuna, invece, incontrò il secondo articolo proposto da Basso sulle attribuzioni costituzionali dei partiti: dopo un acceso dibattito in sede di commissione - che si era positivamente espressa sulla sua adozione - la trattazione venne rinviata ad un esame congiunto con la seconda sottocommissione <23 che, però, non avvenne mai <24.<br />All’attenzione del plenum della Costituente, pertanto, fu sottoposta una formulazione della norma <25 che, su un piano strettamente linguistico, rispecchiava quasi integralmente quella attualmente vigente; il tratto percorso fra la disposizione proposta e quella approvata è stato, però, solo apparentemente di breve respiro.<br />La deliberazione finale ha rappresentato, infatti, il frutto di una seria discussione, nella quale emersero istanze di primario rilievo che, pur essendo state allora accantonate, hanno continuato ad alimentare il dibattito dottrinario e si sono riaffacciate con pressante urgenza nel quadro istituzionale contemporaneo.<br /><span style="font-size: x-small;">[NOTE]</span><br /><span style="font-size: x-small;">2 U. MERLIN in ASSEMBLEA COSTITUENTE, Seduta del 22 maggio 1947, 4162, sottolinea che «è la prima volta che in una Carta statutaria entrano i partiti con una propria fisionomia, con una propria organizzazione e quindi con la possibilità domani che a questi partiti si affidino dei compiti costituzionali»; dello stesso avviso anche A. PREDIERI, I partiti politici, in P. CALAMANDREI - A. LEVI (a cura di), Commentario sistematico alla Costituzione italiana, Firenze 1950, 197 e G.D. FERRI, Studi sui partiti politici, Roma 1950, 128, che evidenzia come «l’art. 49 è un fatto nuovo nella storia costituzionale. Per la prima volta il partito politico viene considerato da una Costituzione in senso formale, direttamente e unitariamente, ossia in quanto organizzazione e per la sua specifica funzione»; v., ancora, E. CHELI, Intorno al problema della regolazione dei partiti politici, in Studi senesi, n. 2/1958, 235.</span><br /><span style="font-size: x-small;">3 La Costituzione della quarta repubblica francese del 1946, nonostante la proposta avanzata da Sognel (sulla quale v. supra nell’introduzione, nota 16) non conteneva riferimenti ai partiti, a differenza di quella della quinta repubblica che li richiama all’art. 4. Il testo costituzionale tedesco, che se ne occupa diffusamente, è entrato in vigore nel 1949.</span><br /><span style="font-size: x-small;">4 V., fra gli altri, C. LAVAGNA, Comitati di liberazione, in Enc. dir., VII (1960), 779 ss.; V. CRISAFULLI, I partiti nella Costituzione, in Jus, 1969, 14; P. RIDOLA, Partiti politici, in Enc. dir., XXXII (1982), 76; C.E. TRAVERSO, Partito politico e ordinamento costituzionale: contributo alla determinazione della natura giuridica del partito politico, Milano 1983, 120; A. CARDINI, I partiti e la costituente, in Studi senesi, n. 3/2008, 381 ss.; S. MERLINI, I partiti politici, il metodo democratico e la politica nazionale, in AA.VV., Partiti politici e società civile a sessant’anni dall’entrata in vigore della Costituzione, Annuario AIC 2008, Napoli 2009, 52 ss.</span><br /><span style="font-size: x-small;">5 A. PREDIERI, op. cit., 193 sottolinea che la particolare composizione del CLN, i cui membri erano i partiti in prima persona, che designavano e sostituivano ad nutum i membri, ricorda da vicino la nota proposta di H. KELSEN, Das Problem des Parlamentarismus, Vienna-Lipsia 1924, in trad. it. di B. Fleury, Il problema del parlamentarismo, in La democrazia, Bologna 2010, 167, il quale avanzava l’ipotesi di «lasciare al partito la facoltà di delegare, scegliendoli dal proprio seno, secondo il bisogno, per la discussione e la deliberazione delle diverse leggi, i competenti di cui esso dispone, i quali parteciperebbero ogni volta alla deliberazione con quel numero dei voti che spetta al partito in base alla proporzionale» (enfasi testuale).</span><br /><span style="font-size: x-small;">6 Secondo la ricostruzione offerta da P. RESCIGNO, Sindacati e partiti nel diritto privato, in Jus, n. 1/1956, 12, il CLN è stato un «organo di fatto dello Stato» fino a quando i poteri non</span><br /><span style="font-size: x-small;">sono stati assunti dal governo militare alleato (1 giugno 1945) per divenire, da quel momento in avanti, «un’associazione di fatto […] con lo scopo di consulenza della pubblica amministrazione».</span><br /><span style="font-size: x-small;">7 V. CRISAFULLI, op. et loc. ult. cit.</span><br /><span style="font-size: x-small;">8 Che era stato originariamente rubricato come art. 47. La ricostruzione dei lavori dell’Assemblea Costituente sui partiti politici è stata già condotta da amplissima dottrina; nel presente scritto, pertanto, si cercheranno di valorizzare solo i profili più importanti emersi dalle varie proposte e gli interventi in Aula maggiormente significativi. V. ex multis: v. A. PREDIERI, op. cit., 195 ss.; C. ESPOSITO, I partiti nella Costituzione italiana, in Arch. giur. Filippo Serafini, fasc. n. 1-2/1951, 3 ss., ora in ID., La Costituzione italiana. Saggi, Padova 1954 (la presente e le successive citazioni devono intendersi riferite alla prima pubblicazione); L. BASSO, Il partito nell’ordinamento democratico moderno, in ISLE, Indagine sul partito politico, tomo 1, Milano 1966, 64 ss.; ID., Considerazioni sull’art. 49 della Costituzione, in ISLE, Indagine sul partito politico, tomo 1, Milano 1966, 141 ss.; C.E. TRAVERSO, La genesi storico-politica della disciplina dei partiti nella costituzione italiana, in Il Politico, n. 1/1968, 282 ss.; ID., Partito politico, cit., 135 ss.; P. RIDOLA, op. cit., 72 ss.; F. LANCHESTER, Il problema del partito politico: regolare gli sregolati, in Quad. cost., n. 3/1988, 442 ss.; G. PASQUINO, op. cit., 7 ss.; P. SCOPPOLA, La repubblica dei partiti, evoluzione e crisi di un sistema politico (1945-1996), Bologna 1997, 212 ss.; G. RIZZONI, sub art. 49, in R. BIFULCO - A. CELOTTO - M. OLIVETTI (a cura di), Commentario alla Costituzione, vol. I, Torino 2006, 981 ss.; G.E. VIGEVANI, sub art. 49, in S. BARTOLE - R. BIN (a cura di), Commentario breve alla Costituzione, fondato da V. Crisafulli - L. Paladin, Padova 2008, 497 ss.; L. ELIA, A quando una legge sui partiti?, in S. MERLINI (a cura di), La democrazia dei partiti e la democrazia nei partiti, Firenze 2009, 51 ss.; S. MERLINI, op. cit., 62 ss.; P. MARSOCCI, Sulla funzione costituzionale dei partiti e delle altre formazioni politiche, Napoli 2012, 111 ss.; F. SCUTO, La democrazia interna dei partiti: profili costituzionali di una transizione, Torino 2017, 12 ss. V., poi, i resoconti dell’Assemblea Costituente reperibili sul sito internet della Camera dei Deputati, ai quali si fa riferimento nelle note, e in particolare quelli delle sedute della prima sottocommissione del 19-20 novembre 1946 e del plenum del 22 maggio 1947.</span><br /><span style="font-size: x-small;">9 I quali furono relatori sull’argomento in seno alla prima sottocommissione.</span><br /><span style="font-size: x-small;">10 P. MANCINI - U. MERLIN, Relazione su Le libertà politiche, in ASSEMBLEA COSTITUENTE, Atti della Commissione per la Costituzione, vol. II, 30.</span><br /><span style="font-size: x-small;">11 Ivi, 31.</span><br /><span style="font-size: x-small;">12 «I cittadini hanno diritto di organizzarsi in partiti politici che si formino con metodo democratico e rispettino la dignità e la personalità umana, secondo i principi di libertà ed eguaglianza. Le norme per tale organizzazione saranno dettate con legge particolare».</span><br /><span style="font-size: x-small;">13 La proposta constava di due articoli: «Tutti i cittadini hanno diritto di organizzarsi liberamente e democraticamente in partito politico, allo scopo di concorrere alla determinazione della politica del Paese»; «Ai partiti politici che nelle votazioni pubbliche abbiano raccolto non meno di cinquecentomila voti, sono riconosciute, fino a nuove votazioni, attribuzioni di carattere costituzionale a norma di questa Costituzione, delle leggi elettorali e sulla stampa, e di altre leggi». Sulle finalità della proposta e sul dibattito sorto su di essa si vedano, in particolare, le riflessioni di interpretazione autentica contenute in L. BASSO, Il partito, loc. cit., e ID., Considerazioni sull’art. 49, loc. cit.</span><br /><span style="font-size: x-small;">14 «Un Governo con basi democratiche potrebbe, servendosi dell’articolo in esame, mettere senz’altro il partito comunista fuori legge» in ASSEMBLEA COSTITUENTE, Seduta del 19 novembre 1946 della prima sottocommissione, 403.</span><br /><span style="font-size: x-small;">15 La proposta recitava: «È proibita, in qualsiasi forma, la riorganizzazione di un partito fascista», ibid.</span><br /><span style="font-size: x-small;">16 Ibid.</span><br /><span style="font-size: x-small;">17 Come ebbe modo di precisare ulteriormente nel prosieguo del dibattito in commissione e segnatamente con la modifica della sua proposta in favore della locuzione «…riorganizzazione del partito fascista», op. ult. cit., 404.</span><br /><span style="font-size: x-small;">18 Secondo C.E. TRAVERSO, Partito, cit., 147 «le minoranze pretesero la condanna formale di un pericolo conclamato ma fittizio, per allontanare l’eventualità di un pericolo sottaciuto ma possibile».</span><br /><span style="font-size: x-small;">19 «Non la legge deve dettare queste norme, ma solo la Costituzione deve fissare lo sviluppo pacifico della lotta nel Paese», in ASSEMBLEA COSTITUENTE, Seduta del 19 novembre 1946, 405.</span><br /><span style="font-size: x-small;">20 C.E. TRAVERSO, La genesi, cit., 288.</span><br /><span style="font-size: x-small;">21 Il quale affermò apertamente che non si doveva «lasciar passare l’occasione per fare una delle poche affermazioni concrete e innovatrici della Costituzione […] finora, in Italia, ci si è preoccupati di assicurare la continuità giuridica dello Stato, evitando ogni aperta condanna del fascismo […] è necessario quindi che nella Costituzione ci sia finalmente un’affermazione concreta e precisa per cui si sappia che tutto ciò che è stato fascista è condannato», ASSEMBLEA COSTITUENTE, Seduta del 19 novembre 1946, 404.</span><br /><span style="font-size: x-small;">22 La scelta delle norme transitorie e finali come sedes materiae di una norma di tale rilevanza pare che sia stata dovuta a mere esigenze organizzative; sul tema v. amplius nel capitolo III.</span><br /><span style="font-size: x-small;">23 In particolare, venne approvato un ordine del giorno presentato da Dossetti sulla scorta del quale: «La prima Sottocommissione ritiene necessario che la Costituzione affermi il principio del riconoscimento giuridico dei partiti politici e dell’attribuzione ad essi di compiti costituzionali. Rinvia ad un esame comune con la seconda Sottocommissione la determinazione delle condizioni e delle modalità» in ASSEMBLEA COSTITUENTE, Seduta del 20 novembre 1946 della prima sottocommissione, 415.</span><br /><span style="font-size: x-small;">24 Lo stesso L. BASSO, Il partito, cit., 67, non seppe dire se la riunione non ebbe luogo per inerzia o per una precisa scelta.</span><br /><span style="font-size: x-small;">25 «Tutti i cittadini hanno diritto di organizzarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale».</span><br /><span style="font-size: x-small;">26 V. P. MARSOCCI, op. cit., 115 ss. Secondo A. PREDIERI, op. cit., 195 «I lavori preparatori della Costituzione non fecero che riprodurre, e in sede di lavori della prima sottocommissione e in sede di discussioni generali, il contrasto fra l’esigenza del riconoscimento e della regolamentazione dei partiti e la riluttanza ad ammetterli, dissidio malamente superato con l’introduzione di una formula imprecisa ed elastica, anzi diremmo sempre più imprecisa ed elastica man mano che i lavori proseguivano».</span><br /><b>Giuseppe Donato</b>, <i>La funzione costituzionale dei partiti e il sindacato del potere giudiziario</i>, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Messina, 2021</div><p></p>Adriano Mainihttp://www.blogger.com/profile/09465917157661723606noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8501527429006047139.post-83905747711343866702023-11-18T08:14:00.002+01:002023-11-18T08:14:56.190+01:00Dieci prigionieri vennero lasciati a Valpromaro quale garanzia contro ulteriori attacchi partigiani<div><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgt-4JxD4p8cXCaEs7KLnjWNDLO-QJcbeiUGnhwlBUOC-ISMv2wgFBEJ0PGXxZAKHTyRY2XMtbvFQLjdYRbyb3ugH-s4VTLkFS2J_129Ng7FqnRxWIEkDcno0UyaBN-AncjqaCYnTF3OnKv7tPY6whTGZRzuUVBnJ0Is7plzRr1vVCp8YRfgnWH_JVkKiI/s502/gf.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="502" data-original-width="357" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgt-4JxD4p8cXCaEs7KLnjWNDLO-QJcbeiUGnhwlBUOC-ISMv2wgFBEJ0PGXxZAKHTyRY2XMtbvFQLjdYRbyb3ugH-s4VTLkFS2J_129Ng7FqnRxWIEkDcno0UyaBN-AncjqaCYnTF3OnKv7tPY6whTGZRzuUVBnJ0Is7plzRr1vVCp8YRfgnWH_JVkKiI/w285-h400/gf.jpg" width="285" /></a></div><br /></div><div style="text-align: justify;">Gli <a href="http://storiaminuta.altervista.org/la-strage-fascista-di-massarosa-del-19-aprile-1944/" target="_blank">eventi</a> occorsi di fronte al cimitero di Massarosa erano soltanto il preludio di una stagione di violenza quale il comune e tutta la Versilia non avevano mai sperimentato. <br />Alla fine di giugno fu la volta di <a href="https://www.isreclucca.it/luogomemoria/leccidio-di-valpromaro/" target="_blank">Valpromaro</a>. Questo piccolo abitato sorge sulle boscose colline a nord-est del capoluogo e si trova esattamente sul confine tra Massarosa e Camaiore, tanto che il paese è letteralmente spartito tra i due comuni. <br />Il 28 giugno [1944] un distaccamento della formazione partigiana «Mulargia», da poco rifondata, si stava spostando nel Lucese in attesa di un aviolancio alleato <568. Attorno all’una e un quarto del mattino del 29 l’avanguardia si scontra però con due portaordini della 65ᵃ Divisione di fanteria della Wehrmacht, i quali vengono uccisi nei pressi di Piazzano, a circa due chilometri a sud-est di Valpromaro. <br />Il locale comando tedesco venne presto a conoscenza dell’accaduto e si adoperò per effettuare un rastrellamento della zona, che ebbe inizio già all’alba. Vennero catturati 25 uomini residenti a Valpromaro e due cittadini di Torre del Lago che si trovarono loro malgrado a passare per la zona dopo essersi recati a Lucca al mercato. Dieci prigionieri vennero lasciati a Valpromaro quale garanzia contro ulteriori attacchi partigiani, mentre gli altri furono incolonnati e scortati fino a San Macario; tre riuscirono a fuggire durante il percorso. Nel frattempo il parroco del paese, don Chelini, si offrì prigioniero insieme al professor Pizzi, docente di Lettere, riuscendo come contropartita a far liberare 10 prigionieri <569.<br />La situazione però era ancora molto tesa e precipitò quando un singolo soldato tedesco, risalito da solo fino all’abitato di Gombitelli, iniziò a perpetrare una serie di atti di violenza e di saccheggio. I suoi spari richiamarono un vicino distaccamento di cinque o sei uomini della banda «Ceragioli» che sceso in paese riuscì a catturare il soldato. <br />Il mattino successivo, 30 giugno, una pattuglia germanica si recò a Gombitelli, ma non fu in grado di trovare traccia né del commilitone né dei partigiani, che ormai si erano sganciati. <br />La rappresaglia scattò immediata. I militari tedeschi iniziarono bruciando alcune abitazioni del luogo e poi, tornati a Valpromaro, decisero di giustiziare i prigionieri, in tutto 17 persone. <br />Qui, dopo alcune confuse trattative cinque di essi vennero rilasciati: due parroci, il fratello e il cognato di un tenente della Milizia fascista e il professor Pizzi. I dodici rimasti, tutti di età compresa tra i 17 e i 52 anni, vengono giustiziati in via Piano del Rio <570.<br />L’azione punitiva di Valpromaro si inserisce appieno nella lotta sempre più aspra tra le formazioni partigiane e le forze nazifasciste; essa è un classico esempio di rappresaglia messa in atto a seguito di un’azione della Resistenza, in questo caso l’uccisione di due staffette della 65ᵃ Divisione e la cattura di un altro militare germanico.<br />Che però le forze tedesche, nell’effettuare queste azioni, spesso non provassero neppure a cercare eventuali veri fiancheggiatori delle bande partigiane, lo dimostra la vicenda di una delle dodici vittime di quel 30 giugno 1944. Si tratta di Guido Posi, l’unico massarosese ucciso quel giorno. Egli venne infatti catturato mentre si stava recando dal barbiere a farsi la barba. Il parroco di Massarosa, venuto a sapere dell’accaduto, pur temendo la reazione dei tedeschi si recò a Valpromaro con l’autoambulanza e riuscì ad ottenere la consegna del cadavere, che si trovava ancora sul luogo della fucilazione legato agli altri giustiziati. Poté quindi essere riportato nel capoluogo, dove la salma venne lavata e composta nella bara <571.<br /><span style="font-size: x-small;">[NOTE]<br />568 Fulvetti, Uccidere i civili, cit., p. 203.<br />569 Ibid.<br />570 Ivi, pp. 203-204.<br />571 APM, Cronache 1938-1966 (B-F 65 372), Breve cronistoria della Parrocchia di Massarosa dall’anno 1938.</span><br /><b>Jonathan Pieri</b>, <i>Massarosa in guerra (1940-1945)</i>, Tesi di laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2013-2014</div><p></p>Adriano Mainihttp://www.blogger.com/profile/09465917157661723606noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8501527429006047139.post-34985707735553719242023-11-07T06:44:00.000+01:002023-11-07T06:44:54.001+01:00Emerse però l’esistenza di un ufficio ancora più segreto dell’Uspa<div><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://m.media-amazon.com/images/I/91Ke+0iDhpL._SL1500_.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1500" data-original-width="1009" height="640" src="https://m.media-amazon.com/images/I/91Ke+0iDhpL._SL1500_.jpg" width="431" /></a></div><br /></div><div style="text-align: justify;">La questione riguardante i servizi di «sicurezza» della NATO <104, è la più delicata e difficile, ma è anche la più importante, perché è proprio in base agli accordi bilaterali nell’ambito dell’Alleanza Atlantica, che i servizi segreti dei paesi membri (e in particolare quelli delle nazioni «di frontiera» come l’Italia) hanno molteplici obblighi nei confronti dei servizi informativi statunitensi. La liberalizzazione degli archivi del governo americano, ha permesso di conoscere l’esistenza del Piano di intervento anticomunista chiamato «Demagnetize», che il capo del Sifar sottoscrisse ufficialmente negli anni cinquanta, senza informare i membri del governo italiano. <105<br />Il Piano Demagnetize fu un accordo segreto di intelligence, stipulato fra i servizi segreti degli Stati Uniti d’America e dell’Italia, che si proponeva di depotenziare l’influenza sulla società italiana e francese (in Francia, il Piano Demagnetize, prese il nome di Piano Cloven) delle forze di orientamento comunista, attraverso una stretta collaborazione tra i rispettivi servizi segreti. Il nome del Piano, esprimeva l’intento di ridurre quella sorta di «attrazione magnetica» che le idee comuniste andavano esercitando sulle popolazioni di alcuni paesi, in particolare Italia e Francia e, la «smagnetizzazione» ne era il «top priority objective», ovvero l’obiettivo di assoluta priorità.<br />Accordi di questo tipo, hanno la loro origine in protocolli aggiuntivi segreti, stipulati nel 1949 contestualmente alla firma del Patto Atlantico. Essi prevedono l’istituzione di un organismo non ufficiale, anzi giuridicamente inesistente, preposto a garantire con ogni mezzo la collocazione internazionale dell’Italia all’interno dello schieramento Atlantico, anche nel caso che l’elettorato si mostri orientato in maniera difforme. È evidente, che proprio per il loro carattere di segretezza e di illegalità, questi accordi sono destinati a lasciare tracce molto labili negli archivi ufficiali. <106 Una loro applicazione più o meno estensiva, può dipendere dalla personale disponibilità del capo del<br />servizio segreto nei confronti delle ingerenze dei colleghi statunitensi. Da qui l’evidente interesse americano ad avere interlocutori molto fidati. Esistono, anzitutto, uffici con mansioni legali, che hanno il compito di selezionare e schedare il personale che viene ammesso a determinati posti di responsabilità.<br />Fu lo stesso generale De Lorenzo, che deponendo davanti alla Commissione Parlamentare d’Inchiesta, non ebbe difficoltà a confermare l’esistenza di un ufficio con compiti particolari, sorto in seguito agli impegni presi con la firma del Patto Atlantico: «esiste presso lo Stato Maggiore della Difesa, accanto al Sifar, l’ufficio di sicurezza del Patto Atlantico, che garantisce la sicurezza e la segretezza dei funzionari, cioè di tutti coloro che vogliono svolgere un certo lavoro. Questo ufficio, è incaricato di raccogliere le informazioni che poi danno vita a questi fascicoli. Questi elementi, che sono al di fuori della struttura del Sifar, attingono le notizie direttamente dall’Arma dei Carabinieri.<br />Questo numero enorme di fascicoli quindi, è istituito e sviluppato da questi uffici, con il concorso dell’Arma. La questione dei fascicoli quindi, è una questione di sicurezza del Patto Atlantico <107».<br />Come è ovvio, De Lorenzo ne dava una visione strettamente tecnica e assolutamente legalitaria, e cercò persino di utilizzare questi obblighi per giustificare l’enorme mole di fascicoli da lui istituiti in quegli anni.<br />Le rivelazioni del generale suscitarono molto scalpore. In realtà questi uffici - che si chiamano segreterie speciali, e che esistono in tutti i ministeri che hanno contatti NATO, e cioè Difesa, Interni, Esteri, Trasporti, Agricoltura, Industria e Commercio con l’estero - hanno un’importanza relativa.<br />Ben più importanti e con carattere di massima segretezza, sono gli uffici sicurezza Patto Atlantico (Uspa), che esistono soltanto presso i ministeri degli Interni e della Difesa: essi sono in stretto collegamento con un centro che ha sede a Bruxelles, il quale è in contatto con gli analoghi uffici dei paesi dell’Alleanza. <108<br />Chi nei nostri servizi segreti mantiene i contatti con i gangli vitali del comando NATO? Fino al 1974 l’Uspa del ministero degli Interni fu retto da Umberto D’Amato, che conservò l’incarico anche quando, nella primavera del 1972, divenne capo dell’intera Divisione affari riservati. Dal giugno 1974, cioè dallo scioglimento dell’Ufficio affari riservati, con la costituzione dell’Ispettorato per la lotta contro il terrorismo (poi ribattezzato successivamente, Servizio di sicurezza), fino al gennaio 1978, cioè alla data di scioglimento di quest’organismo, l’ufficio fu retto dal questore Antonio Carlino.<br />Con la costituzione del Sisde (Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica), la direzione dell’ufficio fu assunta dal vice capo del servizio, Silvano Russomanno.<br />Il discorso è più complesso per quanto riguarda il ministero della Difesa. Esiste l’Uspa per così dire ufficiale, che per statuto è retto dalla «Autorità Nazionale per la Sicurezza», cioè dal capo del servizio segreto. Questi però, ha sempre delegato l’incarico ad un colonnello, che negli anni della Strategia della tensione fu Antonio Alemanno. Questo ufficio, è preposto soprattutto a rilasciare i «nulla osta per la sicurezza», che hanno vari gradi, corrispondenti ai livelli di segretezza dei documenti NATO cui danno accesso: riservato, riservatissimo, segreto e segretissimo. I quattro livelli di segretezza sono «NATO restricted, NATO confidential, NATO secret e COSMIC top secret». <109<br />Dagli interrogatori di Spiazzi e di Cavallaro, svolti dal giudice Tamburino, emerse però l’esistenza di un ufficio ancora più segreto dell’Uspa. Nelle prime disposizioni dinanzi ai magistrati di Padova e poi di Roma, Miceli affermò subito di non aver mai svolto attività antiistituzionali, perché le sue azioni andavano inquadrate all’interno di «uno speciale segretissimo organismo esistente nell’ambito del servizio». Alla richiesta di ulteriori delucidazioni, il generale si rifugiò dietro il segreto politico-militare, e si appellò agli uomini di governo che soli, a suo dire, lo avrebbero potuto sciogliere dal segreto. A questo punto i giudici si rivolsero a Moro, che negò l’esistenza di un’organizzazione «parallela» all’interno o all’esterno del servizio segreto. Egli specificò di poter escludere, che esistesse o fosse esistita un’organizzazione occulta composta di militari e civili per fini non istituzionali. La situazione era ormai di stallo. Improvvisamente però, nell’udienza del 14 dicembre 1977 al processo sul tentato golpe di Valerio Borghese, Miceli aprì uno spiraglio nel muro di omertà che circondava l’argomento.<br />A convincere il generale al grande passo, fu probabilmente la constatazione che, se avesse continuato a tacere e a negare, si sarebbe assunto responsabilità ancora maggiori.<br />L’occasione gli fu offerta da una precisa domanda del giudice Antonio Abbate: «il giudice Tamburino a suo tempo le chiese se esisteva all’interno del Sid una struttura «parallela», che si affiancasse a quella ufficiale, con i suoi organismi occulti. Io le chiedo: è possibile che, nell’ambito del Sid, si sia instaurato un doppio organismo che si muovesse parallelamente a quello ufficiale?». La risposta di Miceli fu la seguente: «lei in sostanza vuole sapere se esiste un organismo segretissimo nell’ambito del Sid? Io finora ho parlato delle dodici branche in cui si divide. Ognuna di esse ha come appendici altri organismi, altre organizzazioni operative, sempre con scopi istituzionali. C’è, ed è sempre esistita, una particolare organizzazione segretissima, che è a conoscenza anche delle massime autorità dello Stato. Vista dall’esterno, da un profano, questa organizzazione può essere interpretata in senso non corretto, potrebbe apparire come qualcosa di estraneo alla linea ufficiale. Si tratta di un organismo inserito nell’ambito del Sid, comunque svincolato dalla catena di ufficiali appartenenti al servizio “I”, che assolve compiti pienamente istituzionali, anche se si tratta di attività ben lontana dalla ricerca informativa. Se mi chiedete dettagli particolareggiati, dico: non posso rispondere. Chiedeteli alle massime autorità dello Stato, in modo che possa esservi un chiarimento definitivo». <110<br />Come si evince, la dichiarazione, contiene molte autorevoli conferme, di quanto aveva a suo tempo ipotizzato il giudice Tamburino. Sollecitato poi dal giudice Abbate, Miceli precisò ancora meglio i rapporti tra mondo politico e servizio «super segreto». Alla domanda se il Ministro della Difesa fosse in grado di rendersi conto della reale struttura dell’organizzazione segretissima o veniva informato solo genericamente, il generale rispose in maniera inequivocabile: «per quanto riguarda l’organismo segretissimo, posso dire per scienza diretta, che il Ministro Tanassi ne era perfettamente a conoscenza. Lo stesso vale per gli altri due Ministri che si sono succeduti alla Difesa, mentre io ero a capo del Sid. Con Tanassi in particolare, ne parlai diffusamente». <111<br />Un organismo legale, che però opera nella più assoluta clandestinità: totalmente al di fuori dunque, dal controllo non solo parlamentare ma anche dall’esecutivo. Miceli, rifugiandosi dietro il segreto politico, non spiegò in cosa consistessero i compiti dell’«organismo segretissimo», e quali ne fossero i componenti; ma a quel punto aveva fatto un’ammissione di capitale importanza: il «Super Sid» non aveva «compiti di ricerca informativa», cioè aveva compiti non coincidenti con quelli dell’istituto.<br />Il Sid «parallelo» dunque, esiste, anche se non figura in nessun atto ufficiale. Coloro che per motivi professionali, sono al corrente dei compiti dell’organismo, lasciano intendere che le sue mansioni sarebbero di natura operativa, volte cioè ad intervenire direttamente nella realtà della nazione, per arginare eventuali moti insurrezionali. In questa prospettiva, verrebbero approntati elenchi di persone sicuramente fedeli alle istituzioni e sulle quali, lo Stato, potrebbe fare pieno affidamento e da utilizzare in caso di emergenza. Gli elenchi comprenderebbero persone che esercitano le più svariate attività con prevalenza per quelle, come medici o infermieri, che in un caso del genere diventano assolutamente indispensabili. La grande maggioranza di esse, non sarebbero nemmeno poste al corrente di essere in questi elenchi, e continuerebbero ad ignorarlo per tutta la vita, tranne in caso di convocazione. I piani di emergenza sarebbero completi fin nei minimi particolari, compresi persino speciali distintivi che verrebbero consegnati alle persone prescelte, in caso di necessità. <112 Viene così confermata l’esistenza di programmi di intervento che nessun governo ha varato, nessun parlamento ha esaminato, e che scavalcano gli stessi organismi preposti, cioè prefetti, questori e comandi militari territoriali.<br /><span style="font-size: x-small;">[NOTE]</span><br /><span style="font-size: x-small;">104 NATO: North Atlantic Treaty Organization. L’Organizzazione del Trattato Atlantico del Nord.</span><br /><span style="font-size: x-small;">105 G. DE LUTIIS, Storia dei servizi segreti in Italia, Riuniti, 1993, ivi, p. 128.</span><br /><span style="font-size: x-small;">106 G. DE LUTIIS, Storia dei servizi segreti in Italia, Riuniti, 1993, p. 128. Ibidem.</span><br /><span style="font-size: x-small;">107 G. DE LUTIIS, Storia dei servizi segreti in Italia, Riuniti, 1993, ivi, p. 129.</span><br /><span style="font-size: x-small;">108 G. DE LUTIIS, Storia dei servizi segreti in Italia, Riuniti, 1993, p. 129. Ibidem.</span><br /><span style="font-size: x-small;">109 G. DE LUTIIS, Storia dei servizi segreti in Italia, Riuniti, 1993, ivi, p. 130.</span><br /><span style="font-size: x-small;">110 G. DE LUTIIS, Storia dei servizi segreti in Italia, Riuniti 2013, ivi, p. 131.</span><br /><span style="font-size: x-small;">111 G. DE LUTIIS, Storia dei servizi segreti in Italia, Riuniti, 2013, ivi, p.132.</span><br /><span style="font-size: x-small;">112 G. DE LUTIIS, Storia dei servizi segreti in Italia, Riuniti, 1993, ivi, p. 133.</span><br /><b>Alexander Di Ianni</b>, <i>La strategia della tensione e la teoria del doppio stato</i>, Tesi di laurea, Università Luiss "Guido Carli", Anno Accademico 2016-2017</div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;">Ufficio Affari Riservati, già dal nome, come nebbia in un cimitero, un’aura di mistero si avvolge attorno all’acronimo UAR, struttura che eredita la sua forma dall’Ovra e dal suo tentacolo, la PolPol - solo formalmente disciolte nel 1943 - restaurate ad hoc per la Repubblica costituzionale, da Romita a Scelba. La continuità di questo organismo con l’Ovra fascista consistette non già solamente in analogie funzionali, bensì anche in termini di personale come ad esempio Guido Leto, Gesualdo Barletta, ma anche Federico Umberto D’Amato, giovane ufficiale di polizia appena ventenne, in contatto con gli Oss americani di Angleton sin dall’infanzia, abilissimo e precoce agente in grado, a partire dagli anni prossimi alla fine della Guerra, di portare agli arresti centinaia di spie dell’Abwher, guadagnandosi “più medaglie e stelline di quante ne potesse vantare Ferruccio Parri, che all’epoca aveva settant’anni”. <br />Dalle ceneri dell’Ovra, la fenice Uar, accompagnerà sotto diversi acronimi, sino al suo ufficiale discioglimento nel’74, la Repubblica Italiana come un angelo oscuro che tutto vede e tutto sente. Uar e D’Amato divengono negli anni una cosa sola. Nei verbali e nei documenti, “Uar” significa “Federico Umberto D’Amato”, la spia intoccabile, temuta a tal punto da non essere mai, salvo alcuni casi isolati, attaccata da giornali o televisioni per il timore di eventuali rivelazioni scomode. Dopo il “confino” che Tambroni impone a D’Amato, con la fine di tale governo, Federico rientra in gioco sotto la protezione di Taviani, quando l’Uar aveva già assunto in seguito ai suoi precedenti vertici, le competenze tecnologiche triestine, disponendo di un organo di polizia parallela in grado di filtrare indagini e infiltrare partiti politici, giornali, circoli missini, ordinovali, comunisti, socialisti, anarchici, grazie ad attività economiche simulate e basi d’appoggio per gli agenti sotto falsa identità grazie ad una rete di possedimenti patrimoniali nel cuore della Capitale e in tutto il Paese.<br /><b>Gianmarco Serino</b>, <i>La spia intoccabile</i>, <a href="https://www.dissipatio.it/" target="_blank">Dissipatio</a>, 21 marzo 2021 <br /></div><p></p>Adriano Mainihttp://www.blogger.com/profile/09465917157661723606noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8501527429006047139.post-37973080107959973702023-10-30T18:18:00.001+01:002023-10-30T18:18:39.010+01:00Veltroni sosteneva l’idea di un partito leggero, a vocazione maggioritaria<div><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://m.media-amazon.com/images/I/61+3aEjOY4L._SL1210_.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1210" data-original-width="860" height="640" src="https://m.media-amazon.com/images/I/61+3aEjOY4L._SL1210_.jpg" width="455" /></a></div><br /></div><div style="text-align: justify;">La prima prova che il Partito Democratico e il suo Segretario Veltroni dovettero affrontare furono le elezioni per il rinnovo del Parlamento, nel 2008, a seguito della caduta del governo Prodi dopo una sfiducia al Senato.<br />Dal punto di vista della composizione interna, il PD si strutturava attorno a cinque fazioni riconducibili a singoli leader: Massimo D’Alema, Enrico Letta, Romano Prodi, Francesco Rutelli e Walter Veltroni. A queste andavano sommati altrettanti gruppi di minor rilievo e componenti più ideologizzate - i popolari, i teodem e gli ecodem -, la cui attività sui territori rispecchiava il loro carattere settoriale.<br />Il contesto elettorale era quello di un sistema proporzionale con premio di maggioranza (legge 270/2005), così come era avvenuto nel 2006. Sebbene le regole fossero le stesse, l’ingresso nell’arena competitiva di due soggetti come il Partito Democratico e il Popolo delle Libertà hanno modificato le dinamiche elettorali e lo scenario in uscita, con risultati differenti rispetto alle consultazioni precedenti.<br />La novità più rilevante fu la scelta di creare minicoalizioni: il PD, in ossequio alla vocazione maggioritaria e per un assetto bipolare, decide di correre insieme all’IdV per affinità di programma; il PdL, invece, si presenta in coalizione con la Lega Nord e il Movimento per l’autonomia.<br />Come ricorda Di Virgilio (2008), si trattava di cambiare strategie a regole invariate, con Veltroni chiamato a scegliere tra una coalizione ampia e fallimentare sulla falsariga dell’esperienza unionista o se prediligere una corsa in solitaria, comunque difficilmente vittoriosa, ma perlomeno a tutela della vocazione del partito.<br />Come previsto, l’esito della consultazione non fu positivo per il Partito Democratico.<br />[...] La riflessione post elettorale spinge Veltroni alla creazione di un governo ombra e a chiedere l’impegno da parte degli eletti nelle varie circoscrizioni, in modo da accelerare il processo di radicamento territoriale del partito.<br />Si trattava di un “governo” privo di riconoscimento istituzionale e il cui compito, a detta di Veltroni, sarebbe stato quello di incalzare l’azione del governo ed evitare che il governo del Presidente avesse in mano in esclusiva le chiavi del Paese <78.<br />Come evidenziato da La Stampa, però, con questo shadow cabinet all’inglese Veltroni paga dazio alle “correnti” del partito: se nel governo ombra porta alcune delle personalità su cui punta, è anche vero che deve piegarsi a una sorta di “manuale Cencelli” interno nella scelta dei ministri ombra: tutti, peraltro, di alto profilo. Ecco dunque i dalemiani, gli ex popolari, i rutelliani e i fassiniani <79”.<br />[...] Tra i membri del governo ombra non compare, però, Massimo D’Alema. Era il primo sospettato di una futura offensiva contro la segreteria Veltroni, considerati i movimenti dei dirigenti e le attività delle fondazioni a lui vicini. All’ipotesi della contrapposizione tra gli assi Veltroni-Marini-Fassino-Franceschini e D’Alema-Letta, però, Bersani - neo ministro ombra dell’Economia e vicino a D’Alema - forniva la sua visione di una rinnovata logica correntizia post elettorale: “Nella fisiologia di un partito, il confronto su piattaforme programmatiche diverse ci sta. Ma bisogna rimescolare tutto, darsi un pensiero che vada oltre quello che siamo stati fin qui, nel proprio piccolo o grande recinto. Non immagino un partito del futuro senza aree politiche, però non voglio che esista uno schema di correnti fermo a dieci anni fa. Nei fatti, io non lo vedo neanche adesso. Pensare che D'Alema abbia in testa di fare, di mestiere, il capo dei dalemiani, vuol dire non conoscerlo. Ciascuno dalla propria postazione partecipi al dibattito ma in un clima non correntizio, che sarebbe un errore” <80. Lo scontro tra i sostenitori di Veltroni e la componente di Bersani e D’Alema si teneva anche rispetto alla forma che il partito avrebbe dovuto prendere per non ripetere gli errori delle elezioni. Da una forma-partito americana o europea, successivamente il dibattito si imperniò sulla leggerezza o sulla pesantezza del partito. Veltroni sosteneva l’idea di un partito leggero, a vocazione maggioritaria, con una leadership forte e trasversale, per sopperire all’iniziale lacuna territoriale con progetti riformisti largamente condivisi dalla società civile. Bersani e D’Alema, invece, guidavano una componente che richiedeva un partito particolarmente strutturato, rappresentativo di pochi e specifici settori di popolazione, aperto ad alleanze con altre forze politiche <81. Si può quindi affermare che il Partito Democratico si trovava ancora in una fase embrionale, che stentava a crescere. A riprova di ciò, gli esiti delle elezioni regionali in Abruzzo <82 e in Sardegna <83, decisivi per la sorte della segreteria PD. <br />I malumori interni e l’immagine del partito agli occhi degli elettori indussero Veltroni a rassegnare le dimissioni dal suo incarico. Ad appesantire la condizione del partito, le elezioni europee <84 previste per giugno dello stesso anno [2009]: i dirigenti, dunque, preferirono una fase di transizione a un nuovo congresso e scelsero come “traghettatore” il vicesegretario Dario Franceschini (ex La Margherita).<br /><span style="font-size: x-small;">[NOTE]</span><br /><span style="font-size: x-small;">78 La Repubblica, Veltroni presenta il “suo” governo: 21 ministri, pressing su Berlusconi, 9 maggio 2008</span><br /><span style="font-size: x-small;">79 La Stampa, Pd: ecco il governo ombra di Veltroni: c’è Bersani, Chiamparino alle riforme, 9 maggio 2008</span><br /><span style="font-size: x-small;">80 LaRepubblica, Bersani: un errore rifare le correnti. Usciamo dai recinti e rimescoliamo tutto, 11 maggio 2008</span><br /><span style="font-size: x-small;">81 P. Natale e L. Fasano, L’ultimo partito. 10 anni di Partito Democratico, Giappichelli Editore, Torino, 2017, p.8</span><br /><span style="font-size: x-small;">82 Alle elezioni del 14 dicembre 2008, in un contesto di bassa affluenza, il candidato del centro destra (Popolo delle Libertà) Gianni Chiodi venne eletto Presidente contro il candidato di centrosinistra Carlo Costantini.</span><br /><span style="font-size: x-small;">83 Le elezioni regionali in Sardegna si tennero il 15 e 16 febbraio 2009, in anticipo rispetto alla naturale scadenza della legislatura. Renato Soru, governatore in carica, si dimise dopo scontri con la maggioranza sulla legge urbanistica regionale. Alle elezioni del 2009 fu sostenuto da PD e IdV, insieme ad altre liste locali, ma la vittoria andò al candidato del Popolo delle Libertà Ugo Cappellacci.</span><br /><span style="font-size: x-small;">84 Fu poco soddisfacente anche l’esito delle elezioni europee del 7 giugno 2009: il PD, infatti, ottenne il 26,13% dei consensi (9 punti in meno rispetto al Popolo delle Libertà, che raggiunse il 35,26%). Archivio storico elezioni- Ministero dell’Interno</span><br /><b>Cristiana Di Tommaso</b>, <i>Il Partito Democratico e le sue fazioni: anime e correnti a congresso</i>, Tesi di laurea magistrale, Università Luiss "Guido Carli", Anno Accademico 2016-2017</div><p></p>Adriano Mainihttp://www.blogger.com/profile/09465917157661723606noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8501527429006047139.post-22465072974675459442023-10-18T08:26:00.004+02:002023-10-18T08:26:00.151+02:00I rapporti, che le forze partigiane ebbero con la popolazione, sono descritti analizzando la situazione nei vari comuni<div><p style="text-align: justify;"></p><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhn2dvQ1S4yNswzmkQHYiXosHsyPQYy0ACE6dfG8ekOSF8TS3RmcOPwUIbWXMkLhLmwA_tPEYHxe50lKZyqZi_6ge7zHDHUfLOl_lHTU2Eo-lPVpdEWs6chjgu4OwAsqTFjnKDSzgNgzTDWdyZ-ZrMMS_Rh2oGXVTfpfqh2mjtrvDCIXy2CLx_l_GjTd5c/s3264/Valcellina.wk.jpeg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="3264" data-original-width="2448" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhn2dvQ1S4yNswzmkQHYiXosHsyPQYy0ACE6dfG8ekOSF8TS3RmcOPwUIbWXMkLhLmwA_tPEYHxe50lKZyqZi_6ge7zHDHUfLOl_lHTU2Eo-lPVpdEWs6chjgu4OwAsqTFjnKDSzgNgzTDWdyZ-ZrMMS_Rh2oGXVTfpfqh2mjtrvDCIXy2CLx_l_GjTd5c/w480-h640/Valcellina.wk.jpeg" width="480" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Uno scorcio di Valcellina. Fonte: Wikipedia<br /></td></tr></tbody></table><br /></div><div style="text-align: justify;">La maggior parte dei volumi sulla <a href="https://bigarella.wordpress.com/2023/10/17/gli-inizi-della-resistenza-al-confine-orientale/" target="_blank">Resistenza</a> è di carattere politico militare; all’interno di questa categoria vi sono testi strettamente militari che analizzano l’evolversi del movimento partigiano descrivendo le formazioni, il territorio in cui operarono e le principali azioni militari, opere che studiano la presenza tedesca, analisi politiche dei rapporti fra le varie componenti partigiane e testi in cui vi sono sia analisi politica sia storia militare. L’insieme di questi testi fa capire l’importante apporto dato dalla Destra <a href="http://storiaminuta.altervista.org/lozna-era-nata-nella-primavera-del-1944-come-organo-informativo-e-di-servizio-informativo-dellesercito-jugoslavo/" target="_blank">Tagliamento</a> alla guerra di liberazione.<br />Il primo volume pubblicato sulla <a href="http://storiaminuta.altervista.org/nella-prima-meta-dellottobre-del-1943-tutto-il-territorio-della-venezia-giulia-e-la-provincia-di-lubiana-assieme-al-friuli-gorizia-fiume-e-le-isole-del-quarnaro-passava-progressivamente-sotto-il-c/" target="_blank">Resistenza</a> [in Friuli Venezia Giulia] è opera di G.A. Colonnello; l’autore, che fu tra gli organizzatori delle prime formazioni partigiane nelle zone alpine e pedemontane dei mandamenti di Spilimbergo, Maniago e <a href="http://storiaminuta.altervista.org/nel-procurarsi-gli-ostaggi-il-comando-tedesco-di-sacile-applica-il-solito-calcolo/" target="_blank">Pordenone</a>, per la stesura di questo volume si avvale di una serie di documenti di fonte comunista, del C.L.N., e di organi tedeschi e fascisti. <2<br />Colonnello afferma che il movimento di lotta popolare contro l’invasore fascista, da parecchio in atto in Jugoslavia, e in particolare nelle vicinanze del confine con l’Italia, ha in misura notevole favorito, dopo l’8 settembre 1943, nel Friuli orientale, dapprima, e altrove poi, il sorgere di un movimento partigiano che ebbe a base l’avversione all’impopolare e disastrosa guerra fascista contraria ai sentimenti individuali del popolo italiano e in contrasto con le tradizioni e gli interessi della nazione, nonché l’insofferenza verso il regime che l’aveva imposta e le forze sociali nel cui interesse era condotta <3.<br />Colonnello pone l’accento sul fatto che per salire in montagna e inquadrarsi in reparti armati, l’8 settembre 1943 e successivamente, non ci fu ordine di mobilitazione, la via della lotta e del sacrificio, che definisce quella dell’onore e del riscatto, fu affrontata istintivamente, patriotticamente.<br />Questo è per l’autore il segno più tangibile che la Resistenza è sorta da una spinta della dignità umana, spinta che risale virtualmente al periodo in cui nacque il fascismo. <4 L’autore afferma che il popolo friulano, nella sua stragrande maggioranza, il giorno in cui la vecchia classe dirigente abbandonava il paese, inerme, all’invasione tedesca, cementava la propria unità e la propria volontà di lotta per il riscatto; accusando così in modo netto la classe dirigente italiana. <5<br />In questo volume si parla dei <a href="http://collasgarba2.altervista.org/natalia-prima-staffetta-del-movimento-partigiano-italiano/" target="_blank">Gap</a> (gruppi armati patriottici) [<b>n.d.r.</b>: la vera definizione era, invece, Gruppi d'Azione Patriottica] e si spiega la loro importanza; <6 i Gap erano nuclei partigiani creati per la guerriglia urbana, dai primi mesi dell’occupazione tedesca, la cui azione fu rivolta al disarmo dei presidi cittadini, nonché al sabotaggio dei mezzi di comunicazione tedeschi e di qualche impianto e ad attentati contro ufficiali tedeschi, dirigenti del Pfr (partito fascista repubblicano), spie e delatori riconosciuti. <7<br />Nel testo compare un elenco delle brigate garibaldine e <a href="http://storiaminuta.altervista.org/la-tragedia-di-porzus/" target="_blank">osovane</a> con l’indicazione della zona in cui operavano, dei comandi e delle principali azioni. <8<br />Colonnello assicura che gli osovani furono tenuti meno in considerazione, dai tedeschi, rispetto ai garibaldini; questo secondo lui sarebbe dimostrato dalla dichiarazione del comandante Globocknik che si diceva disposto a favorire gli osovani se si fossero schierati contro i garibaldini, <9 ma allo stesso tempo afferma che il movimento osovano può essere considerato alla pari di quello garibaldino per via di un’onesta e fattiva collaborazione. <10<br />L’autore parla della crisi di Pielungo e racconta che Verdi, comandante delle formazioni Osoppo gruppo ovest, era ritenuto responsabile di un rovescio, subito a Pielungo il 19 luglio 1944, dovuto secondo le accuse ad incapacità e impreparazione militare. Colonnello afferma che la causa principale del problema fu la mancanza, di continuo sollecitata dalla Garibaldi, di un funzionante comando unico di coordinamento, almeno in senso operativo. <11<br />L’autore parla della Valcellina, raccontando le azioni tedesche contro Barcis e le motivazioni che le hanno causate; nell’estate del 1944 Barcis costituiva una sorta di “distretto militare” partigiano, vale a dire un centro di raccolta, di preparazione e di coordinamento delle forze della libertà ivi confluenti dalle vallate e dalla pianura per inserirsi nelle formazioni osovane e garibaldine; <12 e proprio per questo fu colpita così duramente. Raccontando gli eventi di Barcis l’autore afferma che gli uomini della X Flottiglia Mas non furono per nulla inferiori ai tedeschi nella tecnica terroristica e criminale. <13<br />L’autore parla dei <a href="http://storiaminuta.altervista.org/le-valli-meridionali-della-carnia-vennero-occupate-dai-cosacchi-del-don-e-del-kuban/" target="_blank">cosacchi</a> e di come si insediarono in <a href="http://storiaminuta.altervista.org/e-vi-par-poco/" target="_blank">Carnia</a> e in altre zone del Friuli. Hitler aveva promesso il territorio della Carnia ai cosacchi in cambio della loro attività antipartigiana. La connotazione che viene data dei cosacchi è altamente negativa, sono definiti una “cenciosa e anacronistica armata di mercenari” e una “accozzaglia di elementi scacciati dalla rivoluzione di ottobre e di disertori e traditori”. <14 <br />In questo testo, l’autore, nel descrivere sono i principali eventi della guerra di Liberazione dà giudizi molto netti sulle questioni politico-militari.<br />Nel 1971, è pubblicato un saggio composto da testimonianze di Gian Pietro Boria e di alcuni ex appartenenti alla V^ Brigata Osoppo. Nella prefazione si afferma che questo scritto, pur non essendo esauriente, è stato pubblicato in quanto primo tentativo di ricostruzione delle vicende di una delle più efficienti brigate del Gruppo Divisioni Osoppo Friuli <15. Gli autori ripercorrono le vicende della Quinta Brigata Osoppo dalle origini, nel giugno 1944, fino alla liberazione, analizzando i principali eventi di cui la brigata fu protagonista e i rapporti che ebbe con la popolazione, con il clero e con l’autorità civile. All’inizio del testo sono elencati i vari gruppi, che dal periodo immediatamente successivo all’8 settembre, operavano fra la Valcellina, il Piancavallo e la zona di Sacile <16; i primi gruppi erano formati soprattutto da studenti ed ex ufficiali. Gli autori affermano che il comando della Osoppo aveva deciso di inviare, nel giugno 1944, un gruppo di trenta uomini nella zona di Piancavallo in quanto sapeva della presenza di gruppi locali che si trovavano in zona e voleva dargli un indirizzo unitario e maggior consistenza militare <17.<br />I rapporti, che le forze partigiane ebbero con la popolazione, sono descritti analizzando la situazione nei vari comuni; nel saggio si afferma che i partigiani furono accolti in modo caloroso dagli abitanti di Barcis e Claut, che diedero un grande contributo alla guerra di liberazione <18. Gli autori affermano che dopo l’incendio di Barcis la popolazione della Valcellina ebbe un atteggiamento meno favorevole verso i partigiani, per timore di ulteriori rappresaglie sia per l’opera denigratoria compiuta dai commercianti che temevano una riduzione dei loro affari dovuta all’attività partigiana. <19 Il rapporto fra la Resistenza e il <a href="http://storiaminuta.altervista.org/e-vi-par-poco/" target="_blank">clero</a> è definito discontinuo e incerto <20. Dalla descrizione dei comportamenti dei parroci dei principali centri della Valcellina si evince che non si compromisero con la Resistenza; nella maggior parte dei casi i parroci non espressero le proprie idee ma si preoccuparono soprattutto di salvaguardare i loro paesi dai pericoli della guerra civile <21.<br /><span style="font-size: x-small;">[NOTE]</span><br /><span style="font-size: x-small;">2 G.A.COLONNELLO, Guerra di Liberazione. Friuli-Venezia Giulia - Zone Jugoslave, Ed. Friuli, Udine, 1965, p. 19</span><br /><span style="font-size: x-small;">3 AA.VV., La Resistenza nel Friuli e nella Venezia Giulia - guida bibliografica, Ribis, Udine, 1979, p. 35</span><br /><span style="font-size: x-small;">4 Ivi, p 20</span><br /><span style="font-size: x-small;">5 Ivi, p. 22</span><br /><span style="font-size: x-small;">6 Ivi, p. 38</span><br /><span style="font-size: x-small;">7 AA.VV., Dizionario della Resistenza vol.2, Einaudi, ,Torino, 2001, pp. 209-210</span><br /><span style="font-size: x-small;">8 Ivi, pp. 52-71</span><br /><span style="font-size: x-small;">9 Ivi, p. 154</span><br /><span style="font-size: x-small;">10 Ivi, p. 155</span><br /><span style="font-size: x-small;">11 Ivi, p. 155</span><br /><span style="font-size: x-small;">12 Ivi, p. 171</span><br /><span style="font-size: x-small;">13 Ivi, p.172</span><br /><span style="font-size: x-small;">14 Ivi, p. 208</span><br /><span style="font-size: x-small;">15 AA.VV., La Resistenza in Valcellina: appunti sull’attività della Quinta Brigata “Osoppo Friuli” in Storia contemporanea in Friuli vol. 1, Istituto Friulano perla Storia del Movimento di liberazione, Udine, 1971, p. 51.</span><br /><span style="font-size: x-small;">16 Ivi, pp. 51- 52.</span><br /><span style="font-size: x-small;">17 Ivi, p. 51</span><br /><span style="font-size: x-small;">18 Ivi, p. 53</span><br /><span style="font-size: x-small;">19 Ivi, p. 54</span><br /><span style="font-size: x-small;">20 Ivi, p. 54</span><br /><span style="font-size: x-small;">21 Ivi, p. 54</span><br /><b>Andrea Bortolin</b>, <i>La storiografia sulla guerra di Liberazione sulla Destra Tagliamento</i>, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, 2007</div><p></p>Adriano Mainihttp://www.blogger.com/profile/09465917157661723606noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8501527429006047139.post-82857398091567178772023-10-11T12:11:00.002+02:002023-10-11T12:12:14.772+02:00Scelba anticipò De Gasperi nell’adozione dello schema mentale della guerra fredda<div><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEggTEzf4Ttg8DgA6-nyhd8RARXIrOmvDhnelb_hgfsPMWqronA87Z9XJrJS_M16mkTGbRj9UI3MFN4SF-QgWXU8QMdbD8Y0kWbqYGcivTTeC1_mBRJEtvnTuIkFj4yGsELqnIJJnO4shNteWZFENFZd4VspEf2dSsvdys2USdg27j8tPw5iC4xnzc6odQ0/s1500/gcm2.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1500" data-original-width="956" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEggTEzf4Ttg8DgA6-nyhd8RARXIrOmvDhnelb_hgfsPMWqronA87Z9XJrJS_M16mkTGbRj9UI3MFN4SF-QgWXU8QMdbD8Y0kWbqYGcivTTeC1_mBRJEtvnTuIkFj4yGsELqnIJJnO4shNteWZFENFZd4VspEf2dSsvdys2USdg27j8tPw5iC4xnzc6odQ0/w408-h640/gcm2.jpg" width="408" /></a></div><br /></div><div style="text-align: justify;">Una <a href="http://collasgarba2.altervista.org/lopzione-produttivista-e-keynesiana-viene-presa-in-considerazione-piu-tardi-da-de-gasperi/" target="_blank">linea</a> che esclude tanto l’opzione dossettiana delle sinistre interne, più attente alla questione sociale, quanto quella neoguelfa dei Comitati civici di Gedda, più sensibile alle istanze autoritarie dei settori ultraconservatori. In particolare la destra democristiana affondava le sue radici nel ritorno, a inizio anni Trenta, alla cultura intransigente, dopo la sconfessione vaticana del popolarismo sturziano, il compromesso con il fascismo e, successivamente, la delusione verso l’impossibilità di utilizzare il regime come strumento di cristianizzazione della società.<br />"Il cattolicesimo italiano reagisce alla delusione subita dal fascismo nel ’31 non già attraverso il ricupero dei valori di libertà e di democrazia […], ma con il ritorno alla più facile e, tutto compreso, più diffusa e radicata cultura intransigente. […] Le conseguenze di tutto questo nell’Azione cattolica di massa e nei gruppi furono molte: l’attesismo e l’estraneità - salvo alcune eccezioni - alla partecipazione alla lotta clandestina; la mancanza di ogni analisi politica di fronte alla nuova situazione che veniva emergendo; una sostanziale incomprensione del significato storico della spinta unitaria che si manifestava nelle masse popolari nella lotta contro il fascismo. L’estraneità di risolveva in definitiva nell’attesa del momento fatale e imminente della successione cattolica al fascismo […]". <544<br />Il tema della successione cattolica al regime è profondamente sentito dal conservatorismo dell’Azione cattolica (soggetto filo-monarchico ed estraneo all’innovazione democratica), che su molti suoi caratteri lo interpreta come restaurazione piena: "in concreto questo ideale di 'Stato cattolico' non si discostava forse gran che dai modelli franchista o salazariano ai quali del resto più volte la stampa cattolica si era rifatta in periodo fascista e si sarebbe rifatta ancora negli anni successivi; il comunismo appariva già come il maggiore pericolo da combattere". <545<br />Il centrismo rappresenta, anche da questo punto di vista, una sintesi profonda: la sua cultura politica è, almeno in linea di principio, interclassista (di fatto, la DC sarà un partito dall’eterogenea composizione sociale), nega profondamente la lotta di classe e il compito che essi affidano al centro dello scacchiere politico è precisamente "attrarre e assorbire in una specie di camera di deconflittualizzazione, e di ricomposizione moderata degli interessi, la gran parte delle forze sociali, a cominciare da quelle ostili agli eccessi di qualsiasi natura. […] La legittimità popolare e la qualità civile della loro inclinazione a ricorrere alla forza ed anche il diritto e l’onere di autorappresentarsi come guide imparziali di uno Stato democratico costretto a difendersi, con tutta la necessaria energia, da nemici potete ed agguerriti: un’autorappresentazione che, se si vuole, una singola automistificazione […]". <546<br />La cultura politica di De Gasperi e Scelba non riconosce quindi legittimità a ogni politica del conflitto che si ponga in termini antagonisti e classisti, salvo poi, in piena continuità con la tradizione giolittiana, prendere una posizione classista nei fatti. L’aspetto teorico paradossale del neopopolarismo di marca sturziana è anzitutto il riconoscere il peccato d’origine del Risorgimento e dell’età liberale nell’esclusione delle masse dalla costruzione dello Stato, ponendosi dunque come progetto di popolarizzazione della macchina statale dopo vent’anni di fascismo (interpretato appunto come regime antipopolare), e al tempo stesso continuare a negare cittadinanza politica alle classi subalterne, riassorbite e scomparse nel concetto di 'classe generale del Paese'.<br />"Uno dei riferimenti più costanti, una ricorrenza frequente, nei discorsi pubblici e nelle memorie di Scelba, è la comparazione tra primo e secondo dopoguerra. Le scelte che lo Stato repubblicano è chiamato a compiere sembrano spesso dipendere dagli insegnamenti forniti dalle drammatiche esperienze degli anni del 'biennio rosso' e dell’avvento del fascismo. Già dal 1922, grazie all’apprendistato politico al seguito di don Sturzo, Scelba sostiene di avere compreso 'il diritto dello Stato democratico di usare anche le armi contro qualsiasi tentativo diretto a sovvertire l’ordinamento costituzionale' ". <547<br />Curioso questo riferimento alla difesa dell’ordinamento costituzionale, nel momento in cui il ministro stesso in più occasioni sottolinea la priorità dell’ordine e del rafforzamento statale sulla stessa Costituzione o sulle libertà democratiche. <548 Nella concezione scelbiana (e centrista) della democrazia come regime forte, l’ordine pubblico repubblicano che egli teorizza e mette in pratica è profondamente schmittiano: "Decisamente convinto dell’innaturalità e della pericolosità del rapporto con i 'rossi', Scelba anticipò De Gasperi nell’adozione dello schema mentale della guerra fredda, adattandolo ad una visione centrista che comportava anche il formale rigetto del fascismo: da una parte gli amici, cioè tutti gli anticomunisti ad esclusione dei fascisti; dall’altra, i nemici, cioè il Pci e i suoi alleati e fiancheggiatori". <549<br />Al tempo stesso, però, ha notato Del Pero come le logiche della Guerra fredda uscissero in parte dalla chiarezza classica della teoria politica di Schmitt: "Ciò che manca nella guerra fredda è invece questo reciproco riconoscimento che, in caso di conflitto, trasforma l’altro, l’avversario, in uno justus hostis, un nemico legittimo, permettendo di dare senso alla guerra e soprattutto di limitarla. Nell’arena bipolare del secondo dopoguerra lo scontro trascende il politico: entrambi i contendenti presentano la guerra come una “guerra giusta”. In questo modo viene conseguentemente a cadere la distinzione tra nemico e criminale, e l’avversario - una volta trasformato in fuorilegge, in pirata dell’ordine internazionale - diventa 'un mostro disumano che non può essere solo sconfitto, ma deve essere definitivamente distrutto' ". <550<br />E l’arma principale dei nemici erano le agitazioni sindacali, i movimenti collettivi conflittuali, le rivendicazioni dei lavoratori, da quelle strettamente economiche a quelle di carattere politico più generale. Questa cultura di fondo permette la confluenza, all’interno della DC, delle varie anime dell’anticomunismo italiano che, secondo Giovagnoli, andranno a diminuirne l’autonomia: "La confluenza di componenti diverse ed eterogenee ha segnato profondamente la storia dell’anticomunismo italiano. Particolarmente importante è stata ad esempio l’influenza della Chiesa, che ha conferito all’anticomunismo specifiche connotazioni, sul piano religioso e ideologico […]. Ma c’è stato anche quello che si potrebbe definire l’anticomunismo dei ceti proprietari, espressione di classi e gruppi che hanno respinto il comunismo soprattutto per difendere i loro interessi […]. Un’altra componente, inoltre, è stata costituita dall’anticomunismo democratico […] e si deve anche ricordare l’anticomunismo legato alla tradizione della destra ideologica europea, politicamente antidemocratico e istituzionalmente eversivo […]. L’eterogeneità di queste componenti, tuttavia, ha provocato anche l’apertura di crepe e di contraddizioni all’interno di questo fronte, che hanno impedito a tale spaccatura di trasformarsi in una lacerazione assoluta. E la storia della Dc è stata profondamente segnata tanto da questa contrapposizione che dalle sue contraddizioni". <551<br />Da questo punto di vista, l’intera azione scelbiana è indirizzata anzitutto alla cancellazione della dualità di poteri prodotta dalla Resistenza attraverso il suo consiliarismo para-istituzionale (continuando l’azione di Giuseppe Romita e dello stesso De Gasperi, in quanto precedenti ministri degli Interni). Vedremo più avanti gli strumenti di cui si dota l’ordine repubblicano centrista per affrontare il 'male' del conflitto sociale, nel frattempo però vorremmo soffermarci sulla scelta che si pone al partito moderato nel momento in cui decide i criteri di riorganizzazione statale e ricostruzione sociale: quella tra 'alternativa salazariana' e 'contenimento democratico'.<br />Marino interpreta il bivio di fronte cui arriva la Repubblica in modo piuttosto netto e radicale: "si trattava di decidere se la repubblica dovesse approfondire la rottura storica operata dalla Resistenza e dalla guerra di liberazione, imprimendo una forte discontinuità nella direzione del socialismo (la togliattiana 'democrazia progressiva') alle istituzioni e alla vita del Paese, anche al di là del vecchio Stato prefascista degenerato nella dittatura di Mussolini; oppure se la repubblica dovesse limitarsi a riprendere e a sviluppare la tradizione liberaldemocratica interrotta nel ’22 dalla marcia su Roma, accedendo ad un’idea di continuità dello Stato che avrebbe inevitabilmente comportato il recupero di ampia parte dei 'principi d’ordine', dei metodi, del personale burocratico e della stessa normativa del regime fascista […]". <552<br />Forse non è del tutto corretto interpretare uno dei due corni dell’alternativa necessariamente come la democrazia progressiva o addirittura la direzione verso il socialismo; tuttavia è indubbio che la scelta tra la rottura e la continuità ci fosse e che alla fine si propese nettamente a favore della seconda. Giuseppe Mammarella ha considerato invece una stretta correlazione tra la politica economica democristiana di questi anni e l’inclinazione repressiva sul fronte dell’ordine pubblico, notando che "nella concezione degasperiana la difesa dell’ordine pubblico acquistava un preciso significato che discendeva direttamente dalle scelte operate in materia di politica economica e dal ruolo attribuito allo Stato di tutore dell’iniziativa privata. […] [L’obiettivo era] la restaurazione della disciplina in ogni particolare contesto della vita sociale, a partire dalle fabbriche, per eliminare l’atmosfera di pressione psicologica che le masse organizzate dai partiti di estrema esercitavano sulle classi abbienti". <553<br /><span style="font-size: x-small;">[NOTE]</span><br /><span style="font-size: x-small;">544 P. Scoppola, La proposta politica di De Gasperi, il Mulino, 1978, pp. 38-39</span><br /><span style="font-size: x-small;">545 Ibidem, p. 47</span><br /><span style="font-size: x-small;">546 G. C. Marino, G.C. Marino, La repubblica della forza. Mario Scelba e le passioni del suo tempo, Franco Angeli, 1995, p. 35</span><br /><span style="font-size: x-small;">547 L. Bertucelli, All’alba della Repubblica. Modena, 9 gennaio 1950. L’eccidio delle Fonderie Riunite, pp. 27-28, Unicopli, 2012</span><br /><span style="font-size: x-small;">548 Si vedano, rispettivamente, il riferimento alla Carta come possibile 'trappola', citato nel capitolo precedente, e la distinzione tra libertà e 'licenza' nel discorso al convegno sturziano riportato in questo capitolo.</span><br /><span style="font-size: x-small;">549 G. C. Marino, op. cit., p. 41</span><br /><span style="font-size: x-small;">550 M. Del Pero, L’alleato scomodo. Gli USA e la DC negli anni del centrismo (1948-1955), Carocci, 2001, pp. 286-87</span><br /><span style="font-size: x-small;">551 A. Giovagnoli, Il partito italiano. La Democrazia Cristiana dal 1942 al 1994, Editori Laterza, 1996, pp. 46-47</span><br /><span style="font-size: x-small;">552 M. Del Pero, op. cit., p. 44</span><br /><span style="font-size: x-small;">553 G. Mammarella, L’Italia dopo il fascismo: 1943-1945, p. 157, il Mulino 1974</span><br /><b>Elio Catania</b>, <i>Il conflitto sociale: “motore della Storia” o “tabù” storico-politico. Il caso di Milano nel secondo dopoguerra</i>, Tesi di laurea magistrale, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Anno Accademico 2016-2017</div><p></p>Adriano Mainihttp://www.blogger.com/profile/09465917157661723606noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8501527429006047139.post-51997423183197631022023-09-28T09:00:00.006+02:002023-09-28T09:01:25.644+02:00Le retribuzioni delle lavoratrici erano spesso la metà di quelle dei lavoratori che svolgevano lo stesso lavoro<div><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgAFtaWltDD4h310MnJt9D_VWDkDhRC0Z_G2bxDNecE3jSmgHn6j7G0msjSWZShm9J4BAjn58N0mCzNXyKi3O_EY3-Dtc9rP_Gtjtz8UtrBpwz69FaaGKtRpnChyX95gH_TFurspcuQX9-xqv76yu0bbiqcaDsNrhEuFhiR_1BTfID5-pSF-ue0SZhW1RE/s1044/fp4.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1044" data-original-width="684" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgAFtaWltDD4h310MnJt9D_VWDkDhRC0Z_G2bxDNecE3jSmgHn6j7G0msjSWZShm9J4BAjn58N0mCzNXyKi3O_EY3-Dtc9rP_Gtjtz8UtrBpwz69FaaGKtRpnChyX95gH_TFurspcuQX9-xqv76yu0bbiqcaDsNrhEuFhiR_1BTfID5-pSF-ue0SZhW1RE/w263-h400/fp4.jpg" width="263" /></a></div><br /></div><div style="text-align: justify;">[...] Oggi si definisce come "sessismo democratico", nelle memorie di Leda Colombini che racconta la sua storia nella Resistenza e nella ricostruzione, l’inadeguatezza che molte donne sentivano a impegnarsi in prima persona in politica e corrispondeva anche alla "scarsa considerazione attribuita dai maschi all’eventuale presenza di donne in apparati dirigenti". <1<br />Racconta un dirigente di Reggio Emilia, ex-partigiano: "Il fatto era che non le conoscevamo queste compagne. Cioè non conoscevamo le loro peculiari capacità… Come facevamo a conoscerle? Beh, tutt’al più la conoscenza che avevamo era limitata alle compagne che erano state staffette. Ma far la staffetta non significava mettere in mostra delle particolari doti politiche. Significava avere due buone gambe per far girare il rapporto della bicicletta e il coraggio di affrontare, oltre allo sforzo fisico anche lo stress spirituale… Noi conoscevamo molte compagne che avevano queste doti, ma le loro capacità politiche…". <2<br />Se potessi realizzare il mio desiderio di sovrapporre i nomi delle donne che diedero vita all’UDI [Unione Donne Italiane], vedremmo che coincidono (come gli obiettivi politici) quasi perfettamente con quelli dei GDD [Gruppi Difesa Donna, organismi della Resistenza], ma sono molto più numerosi. Sono tante di più le donne che si mobilitano. E, con ragione, si potrebbe pensare che si tratti delle donne dei Gruppi che, pur non essendosi registrate come partigiane, escono allo scoperto e a una cittadinanza attiva proprio per l’esperienza della Resistenza che le aveva temprate all’impegno politico e sociale mentre erano convinte di fare solo il loro dovere, o quello che qualcuna ha definito "fare quello che era nell’ordine naturale delle cose" per opporsi alla guerra e ai nazifascisti? La mostra di Ravenna prova a documentare qualcosa su quante di più erano rispetto a quelle riconosciute. Ma in questi anni ne stiamo scoprendo sempre altre, molte altre!<br />L’UDI è il soggetto politico che ha raccolto l’eredità di queste donne e ha svolto un ruolo centrale nel cambiamento, ammodernamento e progresso del nostro Paese. Abbiamo celebrato con orgoglio il 70° perché sono stati settant’anni di lavoro proficuo che ha dato molti risultati, anche se oggi siamo di fronte a una situazione in cui molte conquiste sono sotto attacco.<br />Proprio settant’anni fa si svolse a Firenze, al Teatro della Pergola, tra il 20 e il 23 ottobre 1945, il Congresso che diede vita all’Unione Donne Italiane: in esso si unificarono i circoli sorti a partire dal 1944, dopo la Liberazione di Roma, nell’Italia liberata e i Gruppi di Difesa delle Donna, che avevano organizzato le donne a sostegno della Resistenza nell’Italia occupata. Quel 1° Congresso Nazionale dell’UDI - congresso "costitutivo" - adottò il programma, approvò lo Statuto ed elesse democraticamente le dirigenti. Quel Congresso sanciva che l’UDI era nata dall’incontro dei movimenti femminili dei partiti del CLN, esclusa la Democrazia Cristiana che, pur avendo fatto parte dei GDD, non aveva aderito al Comitato di Iniziativa sorto nel 1944 nell’Italia liberata. In verità, tra le firmatarie dell’appello del Comitato di Iniziativa, figuravano anche rappresentanti della società civile che, in varie forme, erano donne socialmente e politicamente impegnate nei partiti del CLN. Al Congresso erano presenti delegazioni estere (americane, inglesi, cecoslovacche, albanesi e francesi), avevano inviato messaggi quelle sovietiche e cinesi, ci furono i saluti delle forze politiche e della Camera del Lavoro. Le delegate erano circa 300, di tutte le regioni esclusa la Basilicata. Quelle più numerose provenivano da Emilia, Toscana, Piemonte, Veneto e Lombardia. Le categorie più rappresentate erano le donne diplomate, laureate, professioniste e insegnanti, poi le casalinghe, le impiegate e le operaie. Molto scarse le contadine presenti, nonostante il ruolo da loro svolto nella Resistenza, prova di quanto le donne delle campagne fossero ancora prigioniere della povertà e della realtà familiare. Ma in molte mandarono doni commoventi, come le poche lire che possedevano o scarpe per chi poteva partecipare. Anche se si voleva che il Nord "non sopraffacesse il Sud", l’obiettivo non fu raggiunto.<br />Eppure la tragica esperienza degli anni di guerra aveva cambiato anche le donne del Sud, che non sarebbero potute diventare protagoniste della politica, come poi successe per la prima volta nella storia italiana. Nel Mezzogiorno tantissime donne semplici e illetterate, mentre figli e mariti erano su fronti lontani, avevano dovuto provvedere da sole alla famiglia, fuggire dalle città bombardate, abbandonare le loro case disastrate, adattarsi a vivere da sfollate e sinistrate.<br />Al 1° Congresso dell’UDI parlò emozionato il Presidente del Consiglio, Ferruccio Parri, accolto entusiasticamente. Le relazioni introduttive, sull’attività al Nord e su quella al Sud, furono svolte da Lucia Corti e Rita Montagnana, Maddalena Secco, Elvira Pajetta, Rosetta Longo, Rina Piccolato, Gemma Russo e molte altre. Il tema centrale del Congresso era - come l’ha definito Marisa Rodano - "inusuale e significativo": la proposta, sulla base dell’esperienza resistenziale delle donne, era di costituire un’associazione capace di rivolgersi a tutte le donne, indipendentemente dall’appartenenza o meno alle forze politiche, dalla condizione sociale e professionale, dal livello culturale, persino di quelle socialmente privilegiate. Questa era una prima fondamentale novità, rispetto alle forme associative che le donne storicamente si erano date nel nostro Paese, prima del fascismo, generalmente connotate dal riferimento alla professione o da obiettivi programmatici particolari come l’accesso all’istruzione, la lotta contro le leggi della regolamentazione della prostituzione di Stato o la richiesta del diritto di voto.<br />Vi era l’intuizione, anche se ciò non era detto esplicitamente, che vi fosse una differenza sostanziale tra uomini e donne, per cui non bastava che ad entrambi i sessi si riconoscessero eguali diritti; che le donne fossero portatrici, per la loro tradizione, il loro duplice impegno nel lavoro e nella famiglia, la loro aderenza ai problemi della vita quotidiana, di valori e competenze diverse da quelle della parte maschile della società; che, di conseguenza, fosse indispensabile chiamarle a impegnarsi per adeguare l’assetto sociale, per costruire istituzioni e politiche a misura di donne, oltreché di uomini. Operazione non facile - settant’anni fa - con la maggioranza delle donne casalinghe, senza redditi propri, con un’altissima percentuale di donne analfabete o che avevano frequentato la scuola elementare, soprattutto nel Mezzogiorno d’Italia. Le retribuzioni delle lavoratrici erano spesso la metà di quelle dei lavoratori che svolgevano lo stesso lavoro! Tra le lavoratrici prevalevano le donne impegnate in agricoltura che guadagnavano un terzo.<br />[...] Tornando alla fine della guerra, basta pensare all’azione dell’UDI nel Comitato Pro Voto per ottenere che le donne potessero votare, oppure a quella nel referendum monarchia/repubblica, o ancora per l’elezione dell’Assemblea Costituente, poi alla successiva campagna condotta dall’UDI per invitare le donne a votare. L’elenco di norme a favore delle donne da inserire nella Costituzione, che l’UDI sottopose il 26 giugno 1946 alle elette alla Costituente, era costituito da: "parità giuridica con gli uomini in ogni campo; riconoscimento del diritto al lavoro e accesso a tutte le scuole, professioni, carriere; diritto a un’adeguata protezione che permetta alla donna di adempiere ai suoi compiti di madre; uguale valutazione, trattamento e compenso degli uomini per uguale lavoro, rendimento, responsabilità". Tutte norme che effettivamente sono state poi introdotte nella Costituzione, mentre si rafforzavano le iniziative nella ricostruzione a favore dell’infanzia, per ottenere fondi per le colonie estive, per la casa agli sfollati e ai sinistrati e contro gli sfratti; a sostegno dei contadini che occupavano terre incolte o mal coltivate, contro l’uso delle armi da parte della polizia in servizio di ordine pubblico (furono raccolte 3 milioni di firme!), per la concessione della pensione alle donne del frusinate violentate dalle truppe coloniali francesi, sia per la riduzione del danno che come riconoscimento del reato dello stupro di guerra. Dopo la guerra l’associazione si concentra insomma sui problemi immediati o su battaglie di carattere generale. Anche nel referendum istituzionale, prendendo posizione per la repubblica, l’UDI pone tra i suoi punti programmatici la rinascita del Paese, per la difesa della famiglia e delle lavoratrici, e contro la discriminazione politica e sociale della donna con la lotta contro la prostituzione e l’analfabetismo, la riforma dei codici e la piena partecipazione delle donne alla vita amministrativa e politica.<br />A partire dal 1953, l’UDI dichiara che suo fine è la battaglia per l’emancipazione femminile, afferma la sua autonomia rispetto a governi, forze sociali, partiti politici e pone come suo obiettivo centrale il diritto delle donne al lavoro. Iniziano così le battaglie per la parità di salario, per la tutela delle lavoratrici madri e, anni dopo, per l’estensione di quelle stesse tutele alle lavoratrici autonome, artigiane, commercianti, per la tutela del lavoro a domicilio, per la pensione alle casalinghe, contro i licenziamenti a causa di matrimonio. Nel 1956 l’UDI comincia a definire la società come una società maschile e concentra l’attività sulla sua trasformazione e per lo sviluppo dei servizi sociali. Seguiranno le lotte per il Piano nazionale degli asili nido, la scuola materna pubblica, l’obbligo scolastico fino ai quindici anni, e per un nuovo diritto di famiglia basato sull’eguaglianza, con l’eliminazione delle norme del Codice Rocco. Bisogna ricordare che esistevano diverse norme per gli uomini e per le donne sul potere in famiglia (vis modica e ius corrigendi), sull’adulterio, sul delitto d’onore, sui figli nati fuori dal matrimonio, che erano definiti illegittimi. Lo stupro era un delitto contro la morale e non contro la persona, su questo sarà lanciata la legge di iniziativa popolare nel 1979. Poi arriveranno il divorzio, i consultori, la depenalizzazione dell’aborto, contro la violenza sessuale e la violenza in famiglia.<br />E le battaglie ancora in atto per continuare a costruire futuro e autodeterminazione, di fronte alle nuove sfide e alle nuove forme di dominio che ci sovrastano.<br /><span style="font-size: x-small;">[NOTE]</span><br /><span style="font-size: x-small;">1 F. Piva, Storia di Leda. Da bracciante a dirigente di partito, Franco Angeli Edizioni, Milano, 2009.</span><br /><span style="font-size: x-small;">2 Testimonianza di B. Catini e S. Fontanesi in N. Caiti, R. Guarnieri, La memoria dei "rossi". Fascismo, Resistenza e Ricostruzione a Reggio Emilia, Ediesse, Roma, 1996, pp.126 e 406.</span><br /><b>Vittoria Tola</b>, <i>Dalla Resistenza a protagoniste della Repubblica: la nascita dell’UDI </i>in "Noi, compagne di combattimento…". I Gruppi di Difesa della Donna, 1943-1945, Il convegno e la ricerca, <a href="https://www.anpi.it/" target="_blank">ANPI Nazionale</a>, Torino, 2015</div><p></p>Adriano Mainihttp://www.blogger.com/profile/09465917157661723606noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8501527429006047139.post-80859243988265875402023-09-20T11:10:00.001+02:002023-09-20T11:11:54.394+02:00La questione istituzionale e la lotta di Liberazione<div><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiPO2xgKS4dNw6xEFZk-rNK-DTPTkwgJeiAPZeRnazKKv_DeDzdMT4JaYoU1OuLaGmaTgnb-WfoIIoHz0ZYav4vsA-yTTLBaEx0l09CpNgAJnza0DkqV8TfFPm3XIEc11PVY2q0wlg-UGEfY-iqEadeVdY69s2MoFurzZ9QH_loZhvus76G9NmsT5rAaQI/s1225/dr3.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1225" data-original-width="862" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiPO2xgKS4dNw6xEFZk-rNK-DTPTkwgJeiAPZeRnazKKv_DeDzdMT4JaYoU1OuLaGmaTgnb-WfoIIoHz0ZYav4vsA-yTTLBaEx0l09CpNgAJnza0DkqV8TfFPm3XIEc11PVY2q0wlg-UGEfY-iqEadeVdY69s2MoFurzZ9QH_loZhvus76G9NmsT5rAaQI/w450-h640/dr3.jpg" width="450" /></a></div><br /></div><div style="text-align: justify;">All'indomani del 25 luglio i partiti antifascisti ricomparvero sulla scena politica, pur non essendo stata loro riconosciuta legalmente la facoltà di costituirsi (come peraltro era volontà del re che, spaventato dall'atteggiamento apertamente filo-repubblicano assunto da molti partiti, in una missiva a Badoglio scriveva “L'attuale governo deve conservare e mantenere in ogni sua manifestazione il proprio carattere di governo militare come annunciato nel proclama del 26 luglio […], a nessun partito deve essere concesso né permesso l'organizzarsi palesemente […]” <98). Il pomeriggio del 9 settembre, mentre infuriava nei pressi del ponte della Magliana la <a href="http://storiaminuta.altervista.org/roma-fine-1943/" target="_blank">battaglia</a> per la difesa della Capitale dalla Wehrmacht, al primo piano di via Carlo Poma (casa del banchiere sardo Stefano Siglienti, esponente di punta dell'antifascismo romano) veniva fondato il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), organismo che si proponeva di riunire tutti i partiti antifascisti con il fine di coordinare al meglio <a href="http://storiaminuta.altervista.org/durante-quei-primi-lunghi-sette-mesi-la-resistenza-rimase-sola/" target="_blank">la lotta</a> all'occupante. I partiti riuniti sotto l'egida del CLN erano il Partito Socialista Italiano d'unità proletaria (PSIUP) rappresentato alla riunione da Pietro Nenni e Giuseppe Romita, il Partito Comunista (PCI) rappresentato da Mauro Scoccimarro e Giorgio Amendola, la Democrazia del Lavoro (DL) rappresentata da Ivanoe Bonomi (Presidente del Comitato e figura più importante dell'antifascismo italiano dal punto di vista istituzionale data la sua passata esperienza di Presidente del Consiglio prima del fascismo) e Meuccio Ruini, il Partito Liberale Italiano (PLI) rappresentato da Alessandro Casati, e infine due partiti praticamente appena costituitisi; la Democrazia Cristiana - che raccolse l'eredità politica del Partito Popolare di don Sturzo e la tradizione ideologica della Dottrina sociale della Chiesa e la cui nascita si fa risalire al marzo 1943 - rappresentata da Alcide De Gasperi e il Partito d'Azione che - nato in clandestinità nel 1942 e irrobustitosi per via della confluenza al suo interno dei principali esponenti di “Giustizia e Libertà” come Bauer e Lussu - era rappresentato da Ugo La Malfa e Sergio Fenoaltea. Non aderirono al CLN il Partito Repubblicano, che per sua vocazione ideologica poneva una pregiudiziale sulla questione istituzionale e non poteva partecipare a un organo in qualche misura legato alla monarchia sabauda (la responsabilità della linea dell'intransigenza repubblicana si dice fosse dovuta a Giovanni Conti, leader del PRI che provava una inscalfibile avversione nei confronti della casata Savoia <99) e gli ambienti militari-monarchici che per l'altro verso non avevano intenzione di prendere parte a un organismo in cui (come si vedrà) era pressoché unanime la condanna della monarchia e il proposito di cambiare la forma istituzionale; tuttavia entrambi queste formazioni politiche prenderanno parte attivamente alla lotta ai nazifascisti, i primi attraverso formazioni partigiane note come Brigate Mazzini e i secondi attraverso le formazioni partigiane autonome guidate da militari e si dicevano i rappresentanti di Badoglio e del Regno del Sud nella lotta partigiana.<br />Il Comitato di Liberazione Nazionale era strutturato a livello locale in diversi comitati regionali, di cui i più importanti erano quelli operanti in Toscana, in Liguria, in Veneto e in Piemonte che, unendosi a quello lombardo, si costituirono nel febbraio ‘44 nel CLNAI, Comitato Liberazione Nazionale Alta Italia; questo divenne la costola del Comitato Centrale di stanza a Roma nell'Italia settentrionale, dove la RSI aveva la sua sede- più precisamente a Salò, sulle sponde del lago di Garda- e dove i tedeschi, sentendosi sempre più minacciati dall'avanzata alleata che pian piano sottraeva loro il controllo di territori, instaurarono un regime di occupazione sempre più violento e repressivo, esasperando il contegno e provocando l'aperta ostilità della popolazione nei loro confronti. Bisogna inoltre considerare che differentemente da Roma, dove la lotta ai nazisti fu condotta soprattutto dagli esponenti del movimento intellettuale antifascista con la sostanziale indifferenza della popolazione- “abituata” ai fascisti per via del capillare insediamento in essa di quasi tutte le istituzioni del regime (ministeri, sedi del PNF, sedi delle associazioni fasciste ecc.) -, al centro-nord la partecipazione popolare alla Resistenza fu assai più significativa; ciò era dovuto al fatto che in queste regioni vi era un forte radicamento operaio e proletario, e cioè di quelle classi sociali che costituivano la base elettorale del PCI e del PSI e che non di rado erano state oggetto di persecuzioni da parte dei fascisti durante il ventennio. Gli operai delle fabbriche della FIAT di Torino, della Romeo a Milano, i braccianti delle campagne nei pressi della Pianura Padana non disdegnarono perciò di imbracciare le armi contro i fascisti e di unirsi alla lotta orchestrata dagli intellettuali; anche coloro che non presero parte attivamente alla lotta manifestarono apertamente la loro ostilità ai tedeschi come testimonia l'ondata di scioperi che scosse la Lombardia, il Piemonte e la Liguria nel novembre-dicembre '43 <100.<br />Il Comitato Nazionale aveva al suo interno una Giunta militare composta su base paritetica da tutti i partiti e un Comitato deputato a prendere decisioni più strettamente di natura politica, anch'essa composto su base paritetica. Se da un punto di vista militare i partiti non riuscirono perfettamente a coordinare le azioni di guerriglia e di sabotaggio al nemico, poiché le formazioni militari partigiane rispondevano direttamente agli ordini dei propri partiti, da un punto di vista politico il CLN fu in grado di esprimersi come una voce unica; ciò però non significava che non esistessero divergenze politiche al suo interno. Innanzitutto è necessario specificare come il Comitato fosse attraversato, sin dalla sua prima riunione, da una frattura tra i partiti dell'ala rivoluzionaria del CLN - quali il PCI, il PSIUP e il Partito d'Azione - e quelli dell'ala moderata - ovvero il Partito Liberale, la Democrazia Cristiana e la DL. Il primo argomento intorno al quale emerse lo scontro tra i partiti era la questione istituzionale; se unanime era il proposito di affidare la scelta della forma istituzionale dello Stato, e quindi la scelta tra Monarchia e Repubblica, al voto del popolo sovrano attraverso un referendum da svolgersi a guerra finita <101, i contrasti sorgevano nel momento in cui si doveva stabilire la posizione da assumere nei confronti del governo Badoglio, espressione della volontà sovrana. I socialisti e gli azionisti erano fermi nel dichiarare la loro incompatibilità con il re e il maresciallo, considerati troppo compromessi con il fascismo e quindi non in grado di rappresentare l'unità nazionale, e chiedevano un governo che fosse espressione delle forze antifasciste <102, i comunisti oscillavano tra la richiesta di un governo espressione delle forze antifasciste (ma in maniera meno intransigente rispetto agli altri due partiti di sinistra) e l'appoggio al governo Badoglio come mezzo per fare uscire l'Italia dalla guerra <103, mentre i democristiani, i demolaburisti e i liberali erano disposti ad appoggiare il governo monarchico-badogliano per tutto il tempo che fosse necessario a uscire dalla guerra. Evidentemente però le ragioni del primo gruppo erano più forti di quelle del secondo se si considera che al primo congresso dei Comitati di liberazione nazionale svoltosi a Bari il 28-29 gennaio '44 emerse chiara e condivisa da tutti i partiti la richiesta di abdicazione del re; non si vedeva alcuna possibilità di dialogo tra il CLN e il governo Badoglio, che d'altra parte non aveva compiuto alcun passo nella direzione dei partiti. Tale impasse venne sbloccato dall'Unione Sovietica che il 14 marzo diede il proprio inaspettato appoggio al governo monarchico, con una mossa volta a sottrarre alle due potenze alleate (Gran Bretagna e USA) il controllo esclusivo sulla politica del Regno del Sud <104; pochi giorni dopo il leader in pectore del PCI Palmiro Togliatti tornò in Italia dal quasi ventennale esilio in Russia e, sbarcato a Napoli il 27 marzo, pronunciò un discorso dinnanzi ai comunisti napoletani in cui sostanzialmente sosteneva la necessità di una collaborazione delle forze resistenziali con Badoglio, considerata come la migliore soluzione per portare a termine la comune lotta contro il nazifascismo. Era questa la famosa “svolta di Salerno” che inserì definitivamente il PC al centro dell'universo politico italiano del dopoguerra. La mossa di Togliatti- che era assai lungimirante non solo perché assicurava al Partito Comunista il ruolo di forza leader all'interno del CLN ma anche e soprattutto perché gli consentiva di entrare direttamente nel governo <105 - denotò uno spiccato pragmatismo politico, sorprendente per il leader di una forza che negli anni '30, nel pieno della dittatura fascista, ancora si ostinava a ritenere possibile ed attuale la prospettiva rivoluzionaria e denunciava tutti gli altri partiti come “una catena di forze reazionarie, che partendo dal fascismo comprende i gruppi antifascisti che non hanno grandi basi di massa (liberali), quelli che hanno una base nei contadini e nella piccola borghesia (democratici, popolari, repubblicani) e in parte anche negli operai (partito socialista riformista) e quelli che avendo una base proletaria tendono a mantenere le masse operaie in una condizione di passività (partito massimalista)” <106. A Salerno Togliatti delinea una svolta delle forze comuniste sintetizzabile con il passaggio dalla prospettiva della rivoluzione, della dittatura del proletariato alla prospettiva della più realistica creazione di una democrazia pluralista e progressista.<br />Le resistenze socialiste ed azioniste alla svolta di Salerno e alla proposta togliattiana furono vinte dalla soluzione di compromesso trovata il 12 aprile da Enrico de Nicola, in collaborazione con Croce e Carlo Sforza, consistente nel formale mantenimento della carica di sovrano da parte di Vittorio Emanuele III e nel sostanziale trasferimento di poteri al figlio Umberto I in qualità di Luogotenente del regno. Tale trasferimento si sarebbe verificato a decorrere dall'atto di liberazione di Roma.<br /><span style="font-size: x-small;">[NOTE]</span><br /><span style="font-size: x-small;">98 P. MONELLI, Roma 1943, cit., pp.177-178</span><br /><span style="font-size: x-small;">99 ALESSANDRO SPINELLI, I repubblicani del secondo dopoguerra (1943-1953), Longo, Ravenna 1998, pp.3-13</span><br /><span style="font-size: x-small;">100 M. SALVADORI, Storia d'Italia, cit., p.308</span><br /><span style="font-size: x-small;">101 IVANOE BONOMI, Diario di un anno (2 giugno 1943-10 giugno 1944), Garzanti, Milano 1947</span><br /><span style="font-size: x-small;">102 M. SALVADORI, Storia d'Italia, cit., p.302</span><br /><span style="font-size: x-small;">103 Ivi pp.288-289</span><br /><span style="font-size: x-small;">104 Ivi p.302</span><br /><span style="font-size: x-small;">105 M. SALVADORI, Storia d'Italia, cit., p.303</span><br /><span style="font-size: x-small;">106 A. GRAMSCI e P. TOGLIATTI, Tesi di Lione, 1926 in ANTONIO GRAMSCI, La costruzione del Partito Comunista 1923-1926, Einaudi, Torino 1975, pp. 488-513</span><br /><b>Guglielmo Salimei</b>, <i>Roma negli anni della liberazione: occupazione nazista e lotta partigiana</i>, Tesi di laurea, Università Luiss "Guido Carli", Anno accademico 2020-2021</div><p></p><p style="text-align: justify;">Il 9 settembre si costituisce, a Roma, il Comitato di Liberazione Nazionale presieduto da Ivanoe Bonomi e composto dai rappresentati del Partito Democratico del Lavoro, Partito d'Azione, Partito Comunista, Partito Socialista di Unità Proletaria, Partito Liberale, Democrazia Cristiana. Il suo compito è quello di creare le condizioni per una unità d'azione nella lotta di liberazione, in vista dell'obiettivo generale dell'unità nazionale. Esiste, tuttavia, una “costante tensione tra le componenti degli stessi Cln tra le spinte ad anticipare le forme di un nuovo assetto istituzionale fondate su una forte pressione dal basso e una forte valorizzazione delle istanze di autonomia, di autodeterminazione e di autogoverno, e le resistenze di tipo moderato, sostanzialmente convergenti nel ridurre il rinnovamento dopo il fascismo al ripristino delle regole democratico-liberali, tipiche dell'Italia prefascista” <501. Se nell'Italia meridionale si impone la necessità della mediazione politica, in un contesto caratterizzato dalla presenza del governo militare alleato, del governo Badoglio e della stessa monarchia, nell'Italia centro-settentrionale, occupata dai tedeschi, si delinea invece una maggiore caratterizzazione politico-militare che avrà un'influenza notevole sulla direzione e sullo sviluppo della Resistenza.<br />Non mancano, comunque, episodi di resistenza anche al Sud.<br />[...] Il problema della defascistizzazione si intreccia con la questione istituzionale. Se il Governo Badoglio rappresenta in qualche modo la continuità dello Stato e, soprattutto, della Monarchia, i partiti del Comitato di Liberazione rappresentano invece, sia pure con posizioni diverse, le istanze di cambiamento e di discontinuità con il passato.<br />L'occasione per affrontare questi temi è costituita dal <a href="http://storiaminuta.altervista.org/la-missione-lizzadri/" target="_blank">Congresso</a> dei Comitati Provinciali di Liberazione, la “prima espressione della opinione collettiva dei Partiti dell'Italia liberata”, che si tiene a Bari nei giorni 28 e 29 gennaio 1944. Già nei giorni che precedono l'inizio del Congresso emergono le diverse posizioni sui temi che catalizzano l'attenzione delle forze politiche. <br /><span style="font-size: x-small;">[NOTE]<br />501 Enzo Collotti, Natura e funzione storica dei Comitati di liberazione, in AA.VV., Dizionario della Resistenza, cit., pp. 235-236.</span><br /><b>Antonio Gioia</b>, <i>Guerra, Fascismo, Resistenza. Avvenimenti e dibattito storiografico nei manuali di storia</i>, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Salerno, Anno Accademico 2010-2011 <br /></p>Adriano Mainihttp://www.blogger.com/profile/09465917157661723606noreply@blogger.com