domenica 26 giugno 2022

I militi delle Brigate nere furono i principali perpetratori di uccisioni punitive


Nuove sensibilità storiografiche orientate a definire i caratteri e le peculiarità della Repubblica di Salò e della sua violenza, superando le originarie reticenze, si impongono in Italia solo dalla metà degli anni Ottanta <7. A partire da questa data emerge negli studi un’immagine della Rsi rinnovata, frutto di una nuova attenzione alla complessità dell’articolazione delle sue componenti interne e della sua collocazione nel contesto di guerra internazionale, ma soprattutto del riconoscimento della centralità quale protagonista insieme al movimento partigiano del conflitto interno fra italiani. La categoria di guerra civile, proposta in questa congiuntura quale elemento interpretativo sostanziale a fianco di una nuova lettura del collaborazionismo, incentrata su una più accurata analisi dei rapporti fra apparati tedeschi, apparati della Rsi e popolazione civile <8, viene consacrata nel 1991 dalla pubblicazione dello studio di Claudio Pavone <9.
E tuttavia, anche le ricerche sulle stragi ai danni dei civili in Italia, la cui stagione storiografica si apre nella seconda metà degli anni Novanta e ha un ricco sviluppo nel decennio successivo <10, risultano permeate dai residui dell’originaria ritrosia a riconoscere il ruolo ricoperto nel conflitto dalla Rsi <11. Lasciando sullo sfondo figure di collaborazionisti ancora opache e apparentemente poco rilevanti, l’attenzione degli studi si è concentrata infatti nella prima fase di ricerca sul sistema di ordini della controguerriglia nazista, sulle pratiche di «guerra ai civili» e sui conseguenti rapporti instauratisi fra occupanti e popolazione a prescindere dall’intermediazione dell’amministrazione fascista, dedicando piuttosto attenzione alle logiche della rappresaglia e al conseguente sedimentarsi di memorie antipartigiane all’interno delle comunità martiri <12.
Una nuova cesura negli studi sulla Repubblica di Salò si evidenzia a cavallo degli anni Duemila con la simultanea uscita delle ricerche di Luigi Ganapini e Dianella Gagliani, nelle quali comincia a prendere corpo la società del fascismo repubblicano <13: il diffuso policentrismo, la complessa articolazione delle sue componenti interne - tra cui si staglia il ruolo del partito - nonché l’emersione delle diverse forze sociali, economiche, militari e culturali che lo attraversano. Entrambi gli autori prendono le mosse da un assunto comune: l’acquisita consapevolezza del rapporto esistente fra estrema crisi attraversata dalla società italiana dopo l’8 settembre 1943 e possibilità di rinascita di un nuovo fascismo. Seppur limitata fin dalle origini nella propria sovranità, la Rsi non può infatti presentarsi agli italiani senza tentare di delineare, almeno negli interstizi di autonomia che le sono concessi dagli occupanti <14, un proprio incisivo progetto politico in grado di richiamare a sé i fedelissimi e di recuperare consenso, cercando di ricomporre - per quanto possibile - il distacco fra paese e regime, progressivamente affermatosi a partire dai primi anni di guerra <15.
Sulla scorta di tale prospettiva di ricerca negli ultimi quindici anni sono apparse nuove ricerche sulle pratiche e politiche di violenza messe in atto dal fascismo repubblicano: studi che perlopiù si concentrano sulla ricostruzione di specifici contesti territoriali o particolari reparti, sfruttando la ricchezza descrittiva della documentazione giudiziaria <16. Veri e propri affreschi sui comportamenti e la composizione dei gruppi combattenti della Rsi, che attraverso la ricostruzione di biografie personali cominciano a delineare un primo abbozzo di analisi prosopografica dei carnefici italiani, declinata anche in prospettiva di genere <17.
[...] A favorire tale forma ufficiale di violenza, oltre all’appoggio dei comandi della Sipo-SD che perseguono parallelamente nelle città le stesse pratiche, Mussolini offre tra il novembre e il dicembre 1943 un’esplicita copertura legale alla volontà di rivalsa fascista istituendo speciali o rinnovati organismi giudiziari <36: fra cui i tribunali provinciali straordinari, affidati alle federazioni del Pfr e responsabili del giudizio verso coloro che si sono resi colpevoli di denigrazioni, atti di oltraggio e violenza contro personalità o simboli fascisti dopo il 25 luglio 1943 <37; il Tribunale speciale per la difesa dello Stato, ora competente anche per reati di disfattismo politico ed economico <38; ma anche organismi giurisdizionali militari straordinari, la cui speciale amplificazione di competenze ai civili in funzione repressiva viene giustificata attraverso il richiamo allo stato di guerra, come già accaduto nei territori occupati dalle forze armate italiane tra il 1940 e il 1943 <39.
[...] In concomitanza con il peggioramento delle condizioni della guerra al fronte, Mussolini ha inoltre predisposto la militarizzazione del Pfr istituendo il 30 giugno 1944 il Corpo ausiliario delle squadre d’azione delle camicie nere, organizzato per federazioni attraverso la costituzione delle Brigate nere. Formazioni politiche espressione della volontà di rivalsa contro il nemico interno dei membri del partito, che esplicitamente rivendicano uno smarcamento dai principi di legalità formale veicolati dal ministro dell’Interno quali linee guida per il controllo dell’ordine pubblico nelle fasi precedenti <60.
Se le esecuzioni precedute da condanna a morte, almeno in apparenza legittime, subiscono di conseguenza in questi mesi una netta contrazione - nonostante siano costituiti nuovi tribunali speciali afferenti ai corpi armati responsabili della lotta antipartigiana <61, sono i militi delle Brigate nere in competizione con i reparti della Gnr e le formazioni fasciste direttamente inquadrate nei gruppi di combattimento nazisti a divenire protagonisti di una violenza punitiva efferata, che si articola sia in città che fuori dai centri urbani in sanguinose rappresaglie contro partigiani ed elementi della comunità, ritenuti colpevoli di offrirgli appoggio.
[...] Risultano però i militi delle Brigate nere i principali perpetratori di questa tipologia di uccisioni punitive: fucilazioni e impiccagioni accompagnate da atti di degradazione fisica e morale del nemico, furti e saccheggi, che prevedono l’esposizione pubblica dei cadaveri e che sono quasi sempre precedute da arresti pianificati su indicazione di infiltrati o delatori, nonché da brutali interrogatori gestiti dagli Uffici politici investigativi (sia del Pfr, sia della Gnr) <65.
[...] Parallelamente - rinsaldati i legami di collaborazione con i comandi della polizia di sicurezza tedesca, che optano in questa fase per una strategia di distensione repressiva occultando le violenze più efferate <97 - i reparti fascisti attuano, all’interno dei centri urbani, esemplari esecuzioni di condanna a morte. Dal gennaio 1945 torna ad essere numericamente significativa la prassi di far precedere le fucilazioni di prigionieri politici, disposte dalle autorità della Rsi e dai Comandi Sipo-SD, da sommarie sentenze capitali emesse dai tribunali straordinari militari <98. Rimane infatti percepibile fino agli ultimi mesi di guerra - in particolare nelle grandi città <99 - la tensione interna all’universo politico fascista fra promotori di una dimensione punitiva apparentemente legalitaria e fautori di una violenza scomposta e senza regole, di cui i principali interpreti sono le Brigate nere, ma anche altri reparti che gareggiano con queste per espressione di ferocia e sadismo <100. Una compresenza tra forme di violenza ufficialmente regolate dal diritto e forme di esasperata brutalità contro gli inermi, che richiama la parallela espressione di modalità repressive già sperimentata dal fascismo di regime in un altro contesto di guerra caratterizzato da legami di contiguità fra partigiani e civili apparentemente intangibili, quello dell’occupazione italiana in Slovenia. Dove la repressione italiana antipartigiana, esacerbata da un costante conflitto d’egemonia fra autorità civili e autorità militare, gradualmente espande tra l’aprile del 1941 e l’agosto 1943 l’area di punibilità della popolazione slovena, affiancando l’opera di punizione giudiziaria del tribunale militare della 2a armata a efferate campagne di controguerriglia e internamento preventivo di chiunque sia sospettato di complicità con il nemico <101.
[NOTE]
7 A segnare questa svolta storiografica sono tre convegni che si svolgono in Italia tra il 1985 e il 1991. Cfr. P.P. Poggio (a cura di), La Repubblica sociale italiana, 1943-45, Atti del Convegno di Brescia, 4-5 ottobre 1985, in «Annali Fondazione Luigi Micheletti», 1986, n. 2; M. Legnani e F. Vendramini (a cura di), Guerra, guerra di liberazione, guerra civile, Milano, Angeli, 1990; L. Cajani e B. Mantelli (a cura di), Una certa Europa. Il collaborazionismo con le potenze dell’Asse, 1939- 1945: le fonti, Atti del seminario internazionale di Brescia, 24- 25 ottobre 1991, in «Annali Fondazione Luigi Micheletti», 1994, n. 6.
8 M. Palla, Guerra civile o collaborazionismo?, in Legnani e Vendramini (a cura di), Guerra, guerra di liberazione, guerra civile, cit., pp. 83- 98; L. Klinkhammer, Le strategie tedesche di occupazione e la popolazione civile, ibidem, pp. 99- 115.
9 C. Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, Torino, Bollati Boringhieri, 1991.
10 Per un quadro dei principali studi, si veda: F. Andrae, Auch gegen Frauen und Kinder. Der Krieg der deutschen Wehrmacht gegen die Zivilbevölkerung in Italien 1943- 1945, München- Zürich, Piper, 1995 (trad. it. La Wehrmacht in Italia. La guerra delle forze armate tedesche contro la popolazione civile 1943-1945, Roma, Editori Riuniti, 1997); G. Schreiber, Deutsche Kriegsverbrechen in Italien. Täter, Opfer, Strafverfolgung, München, Beck, 1996 (trad. it. La vendetta tedesca. Le rappresaglie naziste in Italia 1943- 45, Milano, Mondadori, 2000); M. Battini e P. Pezzino, Guerra ai civili. Occupazione tedesca e politica del massacro (Toscana, 1944), Venezia, Marsilio, 1997; L. Klinkhammer, Stragi naziste in Italia. La guerra contro i civili (1943-44), Roma, Donzelli, 1997; G. Gribaudi (a cura di), Terra bruciata. Le stragi naziste sul fronte meridionale. Per un atlante delle stragi naziste, Napoli, l’ancora del mediterraneo, 2003; P. Pezzino e L. Baldissara (a cura di), Crimini e memorie di guerra: violenza contro le popolazioni e politiche del ricordo, Napoli, l’ancora del mediterraneo, 2004; G. Fulvetti e F. Pelini (a cura di), La politica del massacro. Per un atlante delle stragi naziste in Toscana, Napoli, l’ancora del mediterraneo, 2006; L. Casali e D. Gagliani (a cura di), La politica del terrore. Stragi e violenze naziste e fasciste in Emilia Romagna, Napoli, l’ancora del mediterraneo, 2008; L. Baldissara e P. Pezzino, Il massacro. Guerra ai civili a Monte Sole, Bologna, Il Mulino, 2009; C. Gentile, Wehrmacht und Waffen-SS im Partisanenkrieg in Italien 1943-1945, Paderborn, Schöningh, 2012 (trad. it. I crimini di guerra tedeschi in Italia 1943-1945, Torino, Einaudi, 2015).
11 Un’eccezione di rilievo è rappresentata dagli studi di Dianella Gagliani. Cfr. D. Gagliani, Violenze di guerra e violenze politiche. Forme e culture della violenza nella Repubblica sociale italiana, in Baldissara e Pezzino (a cura di), Crimini e memorie di guerra, cit., pp. 292-314; Id., La guerra civile in Italia, 1943-45. Violenza comune, violenza politica, violenza di guerra, in G. Gribaudi (a cura di), Le guerre del Novecento, Napoli, l’ancora del mediterraneo, 2007, pp. 195-212; Id., Guerra terroristica, in Casali e Gagliani (a cura di), La politica del terrore, cit., pp. 9-53.
12 G. Contini, La memoria divisa, Milano, Rizzoli, 1997.
13 L. Ganapini, La repubblica delle camicie nere. I combattenti, i politici, gli amministratori, i socializzatori, Milano, Garzanti, 1999; D. Gagliani, Brigate Nere: Mussolini e la militarizzazione del Partito fascista repubblicano, Torino, Bollati Boringhieri, 1999.
14 Sul complesso equilibrio di dipendenze e autonomie che caratterizza il rapporto fra Rsi e autorità naziste, si veda: L. Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia, Torino, Bollati Boringhieri, 1993, pp. 266- 317 (ed. or. Zwischen Bündnis und Besatzung: das nationalsozialistische Deutschland und die Republik von Salò 1943-1945, Tübingen, Niemeyer, 1993).
15 L. Baldissara, I «resistenti» prima della Resistenza, in L. Alessandrini e M. Pasetti (a cura di), 1943. Guerra e società, Roma, Viella, 2015, pp. 17-33.
16 Per un quadro dei principali studi, si veda: R. Caporale, La «Banda Carità». Storia del Reparto Servizi Speciali 1943-1945, Lucca, Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea in provincia di Lucca, 2005; E. Collotti (a cura di), Ebrei in Toscana tra occupazione tedesca e RSI: persecuzione, depredazione, deportazione (1943-1945), 2 voll., Roma, Carocci, 2007; L. Allegra, Gli aguzzini di Mimo: storie di ordinario collaborazionismo (1943-45), Torino, Zamorani, 2010; T. Rovatti, Leoni vegetariani. La violenza fascista durante la Rsi (1943-45), Bologna, Clueb, 2011; I. Bolzon, Repressione antipartigiana in Friuli. La Caserma «Piave» di Palmanova e i processi del dopoguerra, Udine, Kappa Vu, 2012; S. Residori, Una legione in armi. La Tagliamento fra onore, fedeltà e sangue, Sommacampagna (VR), Cierre, 2013; N. Adduci, Gli altri. Fascismo repubblicano e comunità nel Torinese (1943-1945), Milano, Angeli, 2014; N. Fasano e M. Renosio, Un’altra storia. La Rsi nell’Astigiano tra guerra civile e mancata epurazione, Novi Ligure (AL), Istrat, 2015.
17 Si veda F. Gori, I processi per collaborazionismo in Italia. Un’analisi di genere, in «Contemporanea», 2012, n. 4, pp. 651-672; R. Cairoli, Dalla parte del nemico. Ausiliarie, delatrici e spie nella Repubblica sociale italiana (1943- 1945), Udine, Mimesis, 2013; C. Nubola, Fasciste di Salò, Roma- Bari, Laterza, 2016.
36 T. Rovatti, I tribunali speciali della Repubblica sociale italiana, in L. Lacché (a cura di), Il diritto del Duce. Giustizia e repressione nell’Italia fascista, Roma, Donzelli, 2015, pp. 279-296.
37 DL del Duce 11 novembre 1943, in «Gazzetta Ufficiale d’Italia», 18 novembre 1943, n. 269.
38 DL del Duce 3 dicembre 1943, n. 794, in «Gazzetta Ufficiale d’Italia», 20 dicembre 1943, n. 295.
39 DL ministeriale 9 ottobre 1943, in «Gazzetta Ufficiale d’Italia», 23 ottobre 1943, n. 248. Sull’uso dei tribunali militari nei contesti d’occupazione, si veda: G. Rochat, La giustizia militare dal 10 giugno 1940 all’8 settembre 1943, in N. Labanca e P.P. Rivello (a cura di), Fonti e problemi per la storia della giustizia militare, Torino, Giappichelli, 2004, pp. 227- 244.
60 DL del Duce 30 giugno 1944, n. 446, in «Gazzetta Ufficiale d’Italia», 3 agosto 1944, n. 180. Per un’esauriente disamina su genesi, fisionomia e azione di tale soggetto in armi rinvio a: Gagliani, Brigate Nere, cit.
61 Come il Tribunale contro guerriglia (Cogu) operativo a Torino a partire dal settembre 1944. A titolo di esempio, si veda: AS, B. Berruti, Poligono di tiro del Martinetto, Torino, 22.09.1944. Sulla peculiare dialettica tra rispetto delle procedure formali e aperta illegalità, che contraddistingue la violenza fascista nel caso torinese, rinvio al saggio di Berruti, Colombini e D’Arrigo in questo volume.
65 In alcuni casi le azioni interrompono la propria ritualità a causa della morte per tortura dei prigionieri durante gli interrogatori. A titolo di esempio, si veda: AS, S. Lavarda, Bocchetta Granezza, Lugo di Vicenza, 7.09.1944.
97 La prassi di occultare i cadaveri delle vittime e di ostacolarne l’identificazione, eliminando possibili segni di riconoscimento e seppellendoli in fosse comuni, viene utilizzata anche dalla XI. Brigata Nera «Cesare Rodini» nella strage di Barzio. Si veda: AS, R. Cairoli, Barzio e Maggio, 30-31.12.1944.
98 AS, G. Scirocco e L. Borgomaneri, Via Botticelli, Milano, 6.01.1945; B. Berruti e P. Carrega, Cittadella, Casale Monferrato, 14-15.01.1945; B. Berruti, Poligono di tiro del Martinetto, Torino, 23.01.1945; F. Maistrello, Pieve di Soligo, 26.01.1945; R. Moriani, Cimitero di Oneglia, Imperia, 31.01-15.02.1945; F. Caorsi e A. Parisi, Calvari, Davagna, 2.03.1945; T. Rovatti, Via Riva Reno 52, Bologna, 17.04.45.
99 N. Adduci, La Repubblica sociale italiana come problema storiografico: il caso torinese, in «Passato e Presente», 2009, n. 78, pp. 101-124. Per lo specifico sviluppo della violenza fascista nelle tre principali città industriali rinvio ai saggi di Berruti, Colombini e D’Arrigo, Borgomaneri e Dogliotti nel presente volume.
100 A titolo di esempio, si veda: AS, R. Cairoli, Montagnetta di Fiumelatte, Varenna, 8.01.1945.
101 T. Ferenc, «Si ammazza troppo poco». Condannati a morte - ostaggi - passati per le armi nella provincia di Lubiana 1941-1943. Documenti, Ljubljana, Istituto di Storia moderna, 1999; M. Cuzzi, L’occupazione italiana della Slovenia (1941-1943), Roma, Ussme, 1998.
Toni Rovatti, La violenza dei fascisti repubblicani. Fra collaborazionismo e guerra civile in Zone di guerra, geografie di sangue. L’Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia (1943-1945), (a cura di) Gianluca Fulvetti e Paolo Pezzino, Società editrice il Mulino, Bologna, 2017
 
Manifesto di propaganda del 1944 per l'arruolamento nelle Brigate Nere

Non vi furono mai, nella nostra storia recente, reparti di più basso livello morale e tecnico-militare, e fu subito evidente a tutti, anche a Mussolini, che quell’insieme di giovani e vecchi, riottosi alla disciplina, non aveva alcun potere decisionale, non contava militarmente e poteva soltanto costituire un tampone alla guerriglia dal punto di vista poliziesco. Alla prova del fuoco, quelle poche volte in cui vennero chiamate accanto ai Tedeschi a far numero in azioni difficili, le Brigate Nere, che pur ebbero molti morti, dimostrarono - sempre salve le eccezioni - di essere del tutto impreparate. Ed una ragione c’era, fondamentale: gli uomini migliori non andarono nei reparti, ma rimasero agli alti comandi, e i gradi nei battaglioni e nelle compagnie vennero distribuiti come nelle bande messicane. I nazisti, dal canto loro, che odiavano queste formazioni, lesinarono in tutto, fin nelle cartucce per i fucili ’91 [...] Squallido e lugubre il loro stile, nefande certe loro azioni di vendetta. I Tedeschi, che li controllavano e li conoscevano molto bene, avendo l’esperienza dei Cosacchi, dei Mongoli, degli Ucraini, dei Croati e di tutti gli altri collaborazionisti, non permisero mai che si affacciassero al fronte, dove avrebbero rappresentato un pericolo gravissimo.
[...] In quei reparti nati in un’ora sbagliata s’infilarono al momento giusto per approfittare dell’occasione anche pregiudicati, arrivisti, violenti, trafficanti, profittatori, e la breve storia delle Brigate Nere diventò un saggio di tragedia e disumanità, commista di dolore e di sangue. Ma vi furono in quelle formazioni anche uomini puliti, che avvertirono il collasso dell’idea che li aveva mossi, ed alcuni, ma senza risultato, e troppo tardi, presero posizione. Diversi passarono ai partigiani. Molti morirono senza reagire, fatalisticamente, nel momento finale. Nessuno offrì più la propria vita per salvare Mussolini che fuggiva verso la Valtellina. Anche il suo mito era finito.
Ricciotti Lazzero, Le Brigate Nere, Rizzoli, 1983