lunedì 29 dicembre 2014

San Lorenzo al Mare (IM), Maria Maddalena

La Chiesa Parrocchiale di Santa Maria Maddalena di San Lorenzo al Mare (IM) si ispira ad una leggenda - che comunque emerge in vari centri del Ponente ligure (si veda il caso dell'icona effigiata su di un pilone nel non lontano borgo di Terzorio) -, secondo la quale in quelle terre sarebbe passata Maria Maddalena in fuga dalla Terrasanta dopo l'inasprimento delle persecuzioni ai seguaci di Cristo.
Durante il lungo e travagliato viaggio su una zattera attraverso il Mediterraneo verso Marsiglia, Maria Maddalena si sarebbe fermata su uno scoglio davanti all'arenile di San Lorenzo al Mare, da dove, secondo una agiografia che presenta molte varianti, avrebbe continuato la sua peregrinazione per via terrestre.

La chiesa di S. Lorenzo al Mare fu eretta, secondo alcuni interpreti, che hanno esaminato le tracce nell'abside e alla base del campanile, tra il XIII e il XIV secolo.
Come tanti altri edifici religiosi del Ponente ligure la chiesa fu poi ristrutturata secondo uno stile tardo-barocco di matrice tipicamente provinciale e ligustica: tracciata in ciottoli bianchi, sul sagrato si legge la data 1766.

Le caratteristiche tardo-barocche si leggono facilmente sia nella facciata che all'interno della fabbrica, dove si possono apprezzare alcuni affreschi di autore ignoto e risulta altresì interessante il coro costituito da undici pannelli in legno.

da Cultura-Barocca

martedì 23 dicembre 2014

Seglia, Frazione di Ventimiglia (IM)

L'insediamento di Seglia, frazione di Ventimiglia (IM), posto in posizione dominante lo sbocco della Valle del fiume Roia ed in stretta correlazione con l'abitato di S. Bernardo, cela probabilmente nell'antica denominazione l'origine prediale romana quale possedimento di una gens Coelia, la cui presenza è peraltro attestata nel complesso con addirittura alcuni suoi ESPONENTI tra le massime cariche del Municipio imperiale di Albintimilium.
Verso il XIII secolo, stando agli atti del notaio Di Amandolesio, si apprende che a "SEGLIA" o meglio "UBI DICITUR CELIA", il 21 marzo 1261 veniva concessa in locazione una pezza di terra da Lanfranco Bulbonino de Turca a Guglielmo Calcia (doc.356).
Secondo la stessa fonte (doc. 505) il 7-XI-1262 vi esistevano delle proprietà di tali Guglielmo Crispino e Corrado Audeberto: da questo atto si apprende che nel luogo si trovava una "ROCHA", cioè una "rocca", un "fortilizio minore".
In base, poi, al documento 638 del 17 agosto 1264 si apprende che in questa contrada esisteva una terra gerbida, cioè non coltivata, di un certo Mauro Bonifacio, terra che confinava con le proprietà di Guglielmo Calcia e con quelle degli eredi del notaio Guglielmo Rafe e di Luchetus Medalie.

da Cultura-Barocca

giovedì 18 dicembre 2014

Airole (IM), Santuario della Madonna delle Grazie

Il Santuario della Madonna delle Grazie di Airole (IM), Val Roia, venne completato con ampio concorso popolare nel 1899, ma l'iniziativa era già stata assunta a metà secolo dal parroco G.B. Borfiga. Erano cambiati ormai i tempi, infatti, perché potessero continuare con larghe adesioni i pellegrinaggi al Santuario della Madonna delle Virtù di Ventimiglia, da secoli oggetto di grande devozione in tutta lazona, ma specie per gli abitanti del villaggio in questione. Il Santuario della Madonna delle Virtù risulta, infatti, eretto su un aspro colle, posto quasi alla foce del richiamato fiume (il cui corso é oggi in larga parte francese), diversi chilometri a valle, dunque.
La facciata dell'edificio sacro di Airole ha subito una revisione nel 1933.

martedì 16 dicembre 2014

Ventimiglia (IM), Oratorio dei Neri (o di S. Secondo)

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L’Oratorio dei Neri di Ventimiglia (IM), recentemente restaurato (si veda in proposito la fotografia dell’interno), sorge nel centro storico della Città Alta (o Vecchia). Si tratta di un edificio molto caro alla popolazione locale.
Qualche nota storica, ora.
La Compagnia della Misericordia di Ventimiglia (IM), trasformata poi in Confraternita, venne fondata nel 1610 e officiava in Cattedrale. Dal 1643, col deliberato della Magnifica Comunità, viene concessa la chiesuola intitolata a S. Salvatore assai antica e citata in una carta del 1565. Nel 1650 il nobile Antonio Porro cedeva la sua casa per la costruzione dell’attuale Oratorio dei Neri o, più propriamente, di S. Secondo (Patrono della Città, invero).
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Nel libro della Magnifica Comunità, Atti del Comune (di Ventimiglia, in provincia di Imperia) si legge: “Sabato 26 Dicembre 1643 festa di S. Stefano in Lobia Comuni [Loggia del Comune]/ In presenza del Magnifico Stefano Moroni Capitano, presenti tre sindici della Comunità, undici membri del Consiglio e 23 membri del Parlamento si esamina la richiesta dei GOVERNATORI DELLA CONFRATERNITA DI S. SECONDO MORTE E ORAZIONE E SUFFRAGIO DEI DEFUNTI, i quali chiedono che per poter fabbricare il loro ORATORIO in vicinanza della Cattedrale stessa, sia loro consentito di servirsi di una parte del Cimitero Comunale in quanto “tutto il sito che occuperanno lo ridurranno a sepoltura e commodo e beneficio universale di tutti in qual modo di presente serve, con minor dispendio de poveri, più honorevolezze, maggior decoro e ornamento della città et a total culto di Sua Divina Maestà da la quale riceveranno remuneratione di tranquillità e prosperità alli maneggi comuni“. oratorio.neri2int

sabato 13 dicembre 2014

Aiga ae corde

Uno scorcio di quella parte (oggi detta "Pigna") di Sanremo, che conserva ancora molti tratti dei tempi di Capitan Bresca

Dati certi e documentari sulla COLTURA DELLA PALMA in LIGURIA OCCIDENTALE partono dal Quattrocento, quando le FOGLIE DI PALMA per un verso risultavano ormai ben legate alle coreografie della contemporanea religiosità e per altro aspetto dai contatti commerciali con le COMUNITA' EBRAICHE, che parimenti delle PALME si servivano per le loro tradizioni religiose e cerimoniali (non è peraltro casuale che un grande scienziato del '600 come FRANCESCO REDI ci ha lasciato le sue poco note ma interessantissime OSSERVAZIONI SULLE PALME proprio in merito ad una curiosa e personalissima investigazione in lui suscitata dall'uso delle stesse in occasione della DOMENICA DELLE PALME).
Negli Statuti Comunali di Sanremo del 1435 (pp. 119-120 - capo 57) si legge una norma particolare, quella per cui chi intendeva comperare FOGLIE DI PALMA si obbligava all'acquisto di un identico valore di CEDRI (propriamente tot cireos quot palmas).
Data l'importanza di questa produzione (per tutto il Ponente ligustico), si curava di tutelarla in ogni modo.
Uno scorcio dai bastioni di Bordighera, in onore delle supposte origini locali di Capitan Bresca

Una riflessione particolare merita a riguardo delle PALME PAPALI l'episodio del CAPITANO MARITTIMO BENEDETTO BRESCA (di famiglia sanremese per molti, ma di origini bordigotte - cioé, di Bordighera - per altri studiosi), sposato con tale MARIA BARNABA nel 1595 e defunto in Sanremo nel 1603.
Dopo gli inutili tentativi di 4 predecessori, papa Sisto V si propose di far spostare in centro di piazza San Pietro il gigantesco OBELISCO EGIZIANO, eretto da Caligola entro il circo del Vaticano in memoria di Augusto e di Tiberio.
Per 300 metri, con dispendio di fatiche, l'architetto DOMENICO FONTANA riuscì nell'ardua impresa di far portare nella piazza il monumento (30 aprile-7 maggio 1586), che venne poi sollevato  con funi e carrucole.


Dato il difficile lavoro il Pontefice aveva imposto, pena la morte, il silenzio totale durante le operazioni: il Bresca però da buon marinaio, vedendo tendersi pericolosamente le funi fra le pulegge, osò esclamare nel silenzio "Aiga ae corde", cioè "bagnate le corde (per evitare che si spezzassero)".

Sisto V, visto che l'espediente salvò l'impresa impedendo una rovina, non solo evitò di mandare a fine le sue minacce, ma accordò in perpetuo al Bresca ed ai suoi discendenti l'onore di inviare ogni anno le palme per la Pasqua dalla terra di Liguria sin a Roma (tradizione interrotta da Papa Giovanni Paolo II a favore di addobbo del solo ulivo anche per un superiore rispetto della più antica tradizione liturgica cattolico-cristiana in merito alla ricorrenza del Mercoledì delle Ceneri; tradizione, tuttavia,  rispettata sinora con l'invio gratuito, a carico della comunità locale, di un certo quantitativo di palme lavorate - "parmureli", in dialetto - ).
Sulla fine della storia i dati certi mancano e in fondo si sono avanzati dubbi anche sull'episodio connesso al "salvataggio dell'Obelisco".

da Cultura-Barocca

mercoledì 10 dicembre 2014

I monaci nella zona di Taggia (IM)




Biagio Boeri in Taggia e la sua podesteria (Pinerolo, 1986, I, p. 32 sgg.) attribuisce ai Benedettini di Pedona l’esperienza monastica nell’agro tabiese (che prende il nome oggi dal territorio comunale di Taggia, in provincia di Imperia, a levante di Sanremo e allo sbocco della Valle Argentina, la quale ultima culmina con la nota Triora, sottostante il Monte Saccarello; zona più vasta, comunque, alla luce dell’articolo in parola), dove sarebbero giunti grosso modo verso il 643-4 dopo la cacciata dei Bizantini e l’avvento dei Longobardi del re Rotari.
E’ un’ipotesi valida, ma forse i monaci di Lerino (isole Lerins vicino a Cannes)  li avevano preceduti: le postazioni di CAMPO MARZIO (in territorio di Badalucco, alle spalle di Taggia, sempre in Valle Argentina) e della NECROPOLI DI COSTA BELENI sembrano collegabili sia col cristianesimo orientaleggiante proprio di Lerino sia con l’occupazione greco-bizantina, favorevole ad incentivare l’influenza “lerinese”.

Il Boeri attribuisce ai monaci di Pedona il primo vero processo di civilizzazione cristiana sul territorio, che va da Arma di Taggia ai siti interni e a Riva Ligure e S. Stefano al Mare. 

L’elemento che merita una riflessione è costituito dalla frequenza del toponimo Arma, segnale notevole del monachesimo “lerinese o lerinense”.
La zona di Arma di Taggia in cui sussiste il Santuario-Grotta della SS. Annunziata, detto anche, per l’appunto, dell’Arma, termine, quest’ultimo, richiamato nel testo: sullo sfondo, a destra, uno scorcio di Riva Ligure
Il monachesimo di Lerino era, infatti, modellato su esempi egiziani, con espressioni eremitiche, impregnate di ascetismo. Secondo E. Azaretti le * balme erano celebri in Provenza come sedi eremitiche individuali o conventuali di matrice “lerinense”: la menzione * alma compare poco dopo in delimitazioni territoriali o in norme statutarie. Per Taggia cita: Habitatores Alme ad aquam Almedani del 960 = “gli abitanti di Arma di Taggia al di qua del Torrente Armea” (Liber Jurium, I, p. 1282); De una parte fine fuvio Armedana = “da una parte a confine col Torrente Armea” (XIII sec.) (Liber Jurium, I, pp. 6-9); Arma et Clappa = “abitato di Arma e regione Ciappe” (Statuti comunali di Taggia del 1381).

La presenza di grotte naturali fan credere che l’anacoretica abbia influenzato questi luoghi con un fenomeno che ebbe, tra VI e VII sec., tanta vastità da indurre il MONASTERO DI LERINO (ormai “cuore” del MONACHESIMO TIRRENICO ED INSULARE) ad accamparvi diritti ancora nel XVIII secolo. 
Pare indubitabile che il monachesimo provenzale sia penetrato in luoghi ancora soggetti a Bisanzio e che abbia affiancato l’apostolato dei Vescovi di Genova favorevoli al programma degli Imperatori greci.  
E’ poi da citare una caratteristica di Lerino: il suo monachesimo si potrebbe definire CITTADINO, in quanto posto sotto l’influenza dei vescovi. 

E’ importante quanto scrive G. Picasso (Il Monachesimo nell’alto medioevo, in AA.VV., Dall’eremo al cenobio, Milano, 1987, pp. 6-7): “La stretta collaborazione dei monaci con l’episcopato e il moltiplicarsi dei centri di vita monastica, pur con spiccato orientamento eremitico, in molte regioni furono possibili perché nessuna regola si impose allora alla disciplina monastica in Italia; le varie correnti… vi trovarono accoglienza e non si ebbe un monachesimo a un unico orientamento. Ne conseguì un notevole arricchimento di esperienze e tradizioni dal quale trarranno frutto, nel secolo VI, le due grandi regole del Maestro e di Benedetto”.  
Pare esser prossimo, anche in rapporto a tutto quanto detto in precedenza, il caso di “Costa Beleni” e dei MONACI DI LERINO: è credibile che l’agro di Sanremo e Taggia fosse giunto al vescovado di Genova in tempi antichi e che in tal zona si siano favoriti insediamenti eremitici dal IV secolo.
I Bizantini, circa 200 anni dopo, forse, ufficializzarono un dato di fatto, come donazione all’episcopato genovese, a loro favorevole: molti territori costieri e vecchi fondi abbandonati furono assegnati dal fisco imperiale alla Chiesa di Genova.

Gli scavi archeologici di Capo Don a Riva Ligure (IM)

Alcuni studiosi individuano nel Capo Don, in Riva Ligure (IM), un relitto toponomastico del donum dei Bizantini all’Ecclesia genovese nella II metà del VI secolo. La donazione fu celata sotto la leggenda del vescovo genovese San Siro, cui l’ufficiale Gallione avrebbe donato poderi nei territori matuziani (cioè, di Sanremo) e di Taggia per avergli liberata una figlia dal demonio.
Nella leggenda si elenca la “curtem que Tabia nuncupatur… positam iuxta fumen Tabia”.
Non è da escludere che il fisco imperiale abbia riconosciuto altri beni al vescovado genovese tra cui una proprietà rustica fra Terzorio e Cipressa (ancora più a levante), detta di San Siro, giunta probabilmente ai Benedettini, prima delle donazioni feudali, attraverso l’evoluzione del monachesimo cittadino. La donazione di Gallione è certo una leggenda, ma può celare una verità di fondo. Secondo il documento, nei terreni vicini al Tavia, presso il mare, sarebbe esistita una cappella del Beato Pietro.
Sarebbe da verificare, come suggerì Aldo Sarchi, se il battistero paleocristiano qui identificato appartenesse a tale edificio religioso, quale sia stata l’influenza di Lerino su questo complesso cultuale e se la vasca battesimale sia oggi la traccia più eclatante della matrice paleocristiana donde si evolsero le chiese di S. Pietro Apostolo di Castellaro e S. Maurizio di Riva Ligure. Ai monaci di Lerino, nel Ponente ligure (anche se i dati più certi li possediamo per l’area di Taggia e S.Stefano) si affiancarono nel VII sec. i BENEDETTINI di PEDONA.
Da una piccola base, dedicata ai SS. FAUSTINO e GIOVITA presso il paesino di AIGOVO, scesero appunto a Tabia (Taggia) dopo le presumibili devastazioni longobarde. E’ arduo dire come trovarono Costa Beleni, il circondario e la sede “lerinese”. Il Boeri sostiene che trovarono una popolazione provata e procedettero ad immediati restauri.
Per formulare un’idea dell’impianto di questi Benedettini o dei lavori loro attribuiti valgono sempre le indagini del Boeri (pp. 32-35). Il Boeri poi scrive: “Il complesso monastico ebbe pure un’altra casa, che era la sede dell’Abate ed è all’incirca l’attuale Villa Eleonora, nonché un chiostro, le cui colonne vennero poi usate per la costruzione del convento di San Domenico verso il 1470. Inoltre i Benedettini, oltre alla coltivazione dei terreni, edificarono varie altre opere e di queste certamente: il secondo arco del ponte proseguendo quello romano, per la comodità di accesso ai terreni oltre il torrente, e gli archetti intermedi; la CHIESA DI SANTA MARIA MADDALENA DEL BOSCO, con annesse varie celle e condotte di acqua; la chiesa di San Martino, ora proprieta privata, nella zona che da quella prese il nome; una grangia e forse anche una chiesa nella zona sopra Costa Bellene, che dopo il XII secolo venne ampliata dai frati Benedettini dell’Abbazia di Santo Stefano di Genova (Villaregia); una chiesetta, ora totalmente scomparsa, nella zona Cardune, dedicata a Sant’Antonino; una torre di vedetta o specola sopra il complesso del Colletto; inoltre costruirono anche mulini da grano e frantoi, che sono ancora citati negli statuti del 1381, come molendina monacorum; probabilmente fu loro opera anche la costruzione di una chiesetta dedicata a Santa Caterina Martire, nei pressi del Convento di San Domenico e della quale restano pochi resti a fianco della strada.
Di alcune opere restano solo pochi ruderi e non vi è possibilità di documentazione. Inoltre nella zona, ora detta Ciappe, doveva esistere una grossa vigna, che è ricordata in documenti del XII secolo come vinea monacorum. Questi terreni ancora nel secolo scorso erano gravati di una tassa, detta livello, a favore della Chiesa di Taggia."


domenica 7 dicembre 2014

Apricale (IM), S. Maria degli Angeli

La Chiesa di S. Maria degli Angeli ad Apricale (IM), Alta Val Nervia, si trova eretta nei pressi di un’antica fonte e, per quanto hanno suggerito le indagini possibili, il sito sembrerebbe esser stato ancora più anticamente connesso al CULTO DELLE ACQUE TERAPEUTICHE e all’arcaica religione delle MADRI: si dovette operare, di conseguenza, una robusta revisione in chiave cristiana. 
Come si evidenzia, ad esempio, sempre in Val Nervia, sia nell’area del Priorato Benedettino di Dolceacqua, sia in Castelvittorio nel caso della dismessa Chiesa di S. Maria in Nogareto, chiara opera di riconsacrazione di un sito pagano, che era in relazione al vicino Lago Pigo, ancor oggi dotato, nel viciniore comune di Pigna, di complesso termale funzionante.
Mentre la Chiesa di S. Maria degli Angeli, detta anche S. Maria in Alba, presenta al suo interno affreschi quattro-cinquecenteschi di mano ignota.

giovedì 4 dicembre 2014

Lago Pigo in Alta Val Nervia

Lago Pigo - tra Pigna e Castelvittorio, provincia di Imperia, Alta Val Nervia - è l'evoluzione linguistica di un toponimo ligure-romano collegato ad una grossa sorgente, importante per l'allevamento.
E' da ritenere che il paleoligure "bormos" abbia perso, nella romanità imperiale, il vecchio significato specifico di "caldo" per assumere l'accezione di "sorgente": il sito in cui sorge ha probabilmente costituito da sempre un punto nevralgico dei PERCORSI DI VAL NERVIA e l'importanza strategico-politica (ribadita attraverso i secoli e particolarmente in CARTE DEL 1600) fu tale che addirittura sul PONTE DI LAGO PIGO nel XIV secolo venne sancita l'omonima PACE, grazie alla quale non solo la Valle, ma tutto il vasto territorio tra Monaco e Bordighera conobbe un periodo di quiete e prosperità dopo anni di saccheggi.
Se si calcola che non lungi da tal sito si trova il toponimo *Lixe che risale ad un *in lucis (bosco sacro) ligure-romano, vien dato pensare che vi fosse stato qualcosa di simile al LUCUS BORMANI (o Bosco Sacro di Diano Marina), ove non è notizia di una fonte termale, ma certamente stavano un Lucus ed una sorgente consacrati al dio Bormanus, poi assimilato dalla mitologia ligure-romana dell'Impero nell'aretalogia di Diana-Artemide: e dove si sarebbe evoluta l'importante STAZIONE STRADALE del LUCUS BORMANI.
Il toponimo Luvaira (dialettale, da un collettivo in -aria derivato da lupus) prepara nel pignasco l'accesso alla gran fonte di Lago Pigo (Ad Lacum Putidum).
Sotto il profilo linguistico tale toponimo latino, poi alterato in Lagu Pigu dall'etimologia popolare, non presenta difficoltà interpretative: indubbiamente era ed è il "Lago che puzza" o meglio ancora "quel punto del torrente ove esiste una sorgente termale solforosa" (Noi - i Celti - veneriamo la sorgente dei grandi fiumi: altari segnano il luogo dove il fiume è scaturito. Si onorano con un culto le sorgenti di acque termali. Il colore cupo e l'insondabile profondità delle loro acque hanno conferito ad alcuni stagni un carattere sacro = SENECA, Epistole morali a Lucilio, 41,3).


Sin dal XIII sec. l'area di LAGO PIGO costituì un punto di riferimento strategico, viario e quasi sicuramente culturale (é in un luogo ove l'acqua del Nervia rallenta il corso formando una sorta di lago, mentre nei pressi esiste una fonte termale di acqua solforosa. che, pur attraverso l'altalenante fortuna nel mondo occidentale del CONCETTO DI ABLUZIONE ED IGIENE PUBBLICA / PRIVATA, è andata a costituire un sistema di TERME o COMPLESSO TERMALE piuttosto significativo ma non ESCLUSIVO del Ponente Ligure).

Castelvittorio visto da Pigna: sotto si scorge l'attuale complesso termale

Le proprietà terapeutiche della FONTE DI LAGO PIGO sono state comunque connesse con probabilità ad una più estesa CULTUALITA' DELLE ACQUE: per sua parte collegata alla tradizione cultuale pagana dell'ARETALOGIA e dell'INCUBATIO o SONNO SACRO, il cui principale SANTUARIO era il TEMPIO DI ESCULAPIO a Roma sull'ISOLA TIBERINA] sono scientificamente attestate.
Per quanto concerne la zona ligure occidentale di LAGO PIGO è plausibile che, fiorendo il mondo conosciuto nell'Impero di Roma, tramite l'associazione a qualche orientale divinità guaritrice come Asclepio/Esculapio, si sia continuata la visitazione del luogo, conservando gelosamente una radicata VENERAZIONE PER LE SORGENTI E LE ACQUE CURATIVE propria dei LIGURI INDIGENI E DI INDUBBIA INFLUENZA CULTURALE CELTICA: in ciò una conferma ed un approfondimento si potrebbero ottenere attraverso un confronto con aree sacre preromane disseminate nella Liguria storica senza trascurare quelle erette in ambiente celtico, come è il caso della SORGENTE-SANTUARIO dell'antica GLANUM, oggi Saint Remy de Provence, in PROVENZA o GALLIA NARBONESE, antichissima cittadina resa prosperosa da Roma ed edificata non lungi dall'importante complesso cittadino di ARELATE (oggi Arles).
L'impressione è confortata da qualche reperto (anni fa' a lato dell' edificio si son rinvenute parecchie monete romane di peso modesto ma che coprono un discreto arco temporale) e dal principio di continuità insediativa cui si ispirarono i Benedettini.
Anche se è difficile individuarne la CASA MADRE DI PROVENIENZA, è pressoché assodato che i BENEDETTINI eressero sulle rovine del presumibile complesso sacrale prossimo a LAGO PIGO la PRIMITIVA CHIESA DELL'ASSUNTA: qui avrebbero potuto sfruttare, oltre che l'evidente approvvigionamento idrico, le canalizzazioni antiche che quasi certamente portavano l'acqua a grandi vasche oggi praticamente scomparse sotto la vegetazione.


G. Rossi, convinto che i Benedettini avessero edificato la CHIESA DI MARIA ASSUNTA DI NOGARETO su un tempio pagano, a proposito di alcuni resti archeologici reimpiegati nell' edificio scrisse che " avanzi erano questi di quei putei appellati Boires Dieu nelle primitive chiese cristiane della Gallia" (Storia del Marchesato..., cit., cap. II).


Nel caso di LAGO PIGO, che era sito di grande importanza per le genti vallive, i Benedettini non optarono, sulla scorta degli insegnamenti storici di Gregorio Magno, per una sconsacrazione ma attuarono una riconsacrazione [magari anche per la contestuale conversione di un sito cultuale pagano ad alta frequenza per esser stata anche sede delle celebrazioni della sentita ed assai radicata FESTA PAGANA DEL "FERRAGOSTO"] innestando il ciclo pagano entro un culto cristiano per l' ASSUNTA (ASSUNZIONE DI MARIA VERGINE) [alto momento della fede cristiana qui proposto dal Leggendario delle vite dei Santi di G. di Varagine...tradotto per il R.D. N. Manerbio]. E più estesamente per le PIE DONNE DEL CALVARIO tra cui un ruolo centripeto ebbe non di rado il culto di SANTA MARIA MADDALENA: l'occhio ecclesiastico avrebbe così controllata la liturgia dell'abluzione, qui praticata per ragioni terapeutiche, con la facoltà di giustificare, come cedimento alla religione pagana delle "MADRI DELLE ACQUE", qualsiasi fallimento umano ed ogni inaridimento della fonte (in tempi neppure lontani si sparse la leggenda che la fonte sarebbe scomparsa, prima di ricomparire come è oggi in un punto più basso, per il gesto idolatrico di un pastore che, secondo il culto delle Madri durante le feste lustrali dell'abbondanza, avrebbe praticato su un agnello malato l' abluzione terapeutica).

da Cultura-Barocca