sabato 27 gennaio 2024

Fu catturata su iniziativa della polizia tedesca

Pietra d'inciampo in memoria di Olga Blumenthal, posata il 22 gennaio 2018 nel cortile dell'Università Ca' Foscari di Venezia. Fonte: Wikipedia

Tornò [Olga Blumenthal] a Venezia solo il 4 dicembre 1943, quando si sentiva probabilmente al sicuro o sollecitata dalle forze dell’ordine che la tenevano sotto controllo.
Un’ordinanza della Questura ai Commissariati di P.S. ordinava che gli ebrei, diffidati dall’allontanarsi dalla loro residenza, fossero obbligati a presentarsi ogni giorno all’Ufficio di Pubblica Sicurezza o al Comando dei Carabinieri.
La rete intorno a Olga e a chi come lei aveva scelto di rimanere si stava stringendo senza lasciare alcun margine di scampo. “Gli ebrei più influenti et più pericolosi dovranno essere piantonate (sic.) nelle loro abitazioni.” <369
Olga Blumenthal era controllata dalla Polizia. Già nota per la sua insistente richiesta di riavere il proprio apparecchio radio, forse non era a conoscenza che la sua attività, come quella di altri professionisti ebrei, era seguita con attenzione dalla Questura e dalla Prefettura di Venezia. Già prima dell’8 settembre Olga faceva parte di un ristretto numero di persone, soprattutto medici, ai quali si stava tentando di vietare ulteriormente ogni tipo di lavoro. La Questura aveva avuto una segnalazione “sulle insegnanti ebree” ancora attive a Venezia e aveva chiesto notizie al Provveditore agli studi per “conoscere se anche alle insegnanti private ebree sia inibito l’esercizio professionale.” Per i medici e altri professionisti la cancellazione dall’albo inibiva l’esercizio della professione, ma per quando riguarda le lezioni private, individuali e sporadiche, il controllo risultava più difficile. Tanto da meritare una menzione particolare:
"Per quanto gli ebrei siano stati esclusi dall’insegnamento, privatamente si hanno ancora persone di questa razza che insegnano ad ariani. Vi è infatti la prof. Calimani Geltrude e la Prof. Blummental Secretal (sic.) che imperturbate insegnano la lingua tedesca a prezzi di concorrenza a persone ariane". <370
Infatti due mesi dopo, il Questore scriveva nuovamente al Prefetto per il caso delle due professoresse di tedesco, evidenziando un vuoto normativo che impediva alle autorità di intervenire:
"A seguito di precedente comunicazione in merito all’esposto presentato all’Ecc. Il Primo Presidente della Corte di Appello […] sulle attività professionale abusiva di elementi ebrei, comunico che per quanto riguarda l’esercizio dell’insegnamento privato da parte degli ebrei vige la circolare del 27-2-928 n. 22 del Ministero dell’Educazione Nazionale, con la quale si sottopone l’esercizio delle lezioni private a vigilanza e controllo della pubblica autorità, solo allorquando le lezioni private diventino qualcosa di pubblico e consuetudinario, organizzate con un corso regolare continuativo di istruzione, come in una specie di istituto, ciò non avviene nel caso delle segnalate professoresse Calimani Geltrude e prof.ssa Blumenthal Secretant, delle quali peraltro, la Calimani non impartisce lezioni ad elementi ariani, ma solamente ad ebrei". <371
Poiché mancavano appunto gli strumenti giuridici per intervenire nei confronti delle professoresse, la Confederazione fascista dei professionisti e degli artisti, scrisse al prefetto: “Se la posizione professionale delle insegnanti Galimani e Blumenthal Secretant è come nella vostra lettera definita, nulla in merito ha da aggiungere questa Unione. VINCERE!” <372
Possiamo immaginare come Olga abbia vissuto il suo ultimo periodo veneziano, dal ritorno in città da Maniago, il 4 dicembre del ’43 al 29 ottobre 1944, giorno della sua cattura. Undici mesi di terrore in cui si saranno alternati momenti di flebile speranza di venir risparmiata perché anziana, ad una impotente rassegnazione di fronte ad eventi che si susseguivano senza logica apparente.
La politica fascista nei confronti degli ebrei perseguitati era nuovamente cambiata. Due condizioni avevano reso possibile l’aggravarsi della politica antiebraica: la Repubblica Sociale e il nuovo patto con l’esercito tedesco che aveva di fatto assunto il controllo del nord. Nella caccia all’ebreo la polizia procedeva in accordo con il comando tedesco.
“Prendere accordi con autorità locali germaniche alle quali vanno spiegate le disposizioni impartite per ordine del Duce. Conseguentemente fate affluire campo concentramento tutti gli ebrei anche se discriminati et comunicate accordi raggiunti alt.” <373
La cattura dei “ventuno ultrasettantenni prelevati il 17 agosto del 1944 dalla Casa di ricovero di Venezia insieme al rabbino capo della comunità, Adolfo Ottolenghi, che aveva voluto condividere la loro sorte” <374, tolse ad Olga ogni speranza di salvezza.
Non è dato sapere chi Olga frequentasse nel periodo immediatamente vicino al suo arresto, a parte la sua domestica e i custodi di Palazzo di Robilant, adiacente alla sua abitazione, che vedremo saranno i depositari dei suoi ultimi averi. <375 Dalla corrispondenza tra la Querini Stampalia e il Presidente della Comunità israelitica risulta che Olga avesse mantenuto i rapporti con la Comunità e, in particolare, “Mi consta che la signora Secrétant era legata da vincoli di amicizia con la famiglia del dott. Bombardella, abitante in Campo Santo Stefano, e con la quale ebbe rapporti fino a poche ora prima dell’arresto”. <376
Alcuni mesi dopo toccò a lei. Fu catturata su iniziativa della polizia tedesca. Dalla fredda comunicazione tra le autorità italiane, irrispettosa anche del genere, è evidente il livello di indifferenza e di spersonalizzazione raggiunto nei confronti di una anziana donna ebrea:
“Per doverosa notizia informo che l’ebreo ultrasettantenne Blumenthal Olga, nato a Venezia il 26/4/1873, abitante a S. Marco 3347, il giorno 29 ottobre u.s. venne tratto in arresto dalla Polizia Germanica. Tanto è stato riferito dalla di lei domestica.” <377
Nei giorni immediatamente successivi all’arresto, nella casa e per gli averi di Olga si attuò il macabro rituale previsto dalla procedura di sequestro dei beni ebraici da parte degli ufficiali di polizia giudiziaria. Tre persone: un funzionario di pubblica sicurezza e due brigadieri lavorarono due giorni, il 10 e 11 Novembre per compilare l’inventario dei mobili e degli oggetti esistenti nell’appartamento di Olga. Un elenco lungo sei fitte pagine dattiloscritte dove tutto era stato elencato apparentemente senza ordine, categorie, valore. Banalmente gli oggetti erano divisi secondo le stanze dove si trovavano. Questo ci permette di leggerli come elementi che contrassegnavano gli ambienti dove Olga viveva ed assegnare loro la dignità degli oggetti e dei ricordi che racchiudevano la storia personale di Olga e della sua famiglia.
La stanza più importante della casa, quella dell’accoglienza degli ospiti, che viene denominata “salotto e libreria”, è arredato da un divano e quattro poltroncine, di cui una damascata a fiori; ancora fiori sui vivaci tappeti colorati che definiscono le zone della grande stanza, caratterizzata dai quattro grandi armadi con le ante a vetro pieni di libri e da ben nove librerie a muro, zeppe di libri in varie lingue. La stanza fungeva anche da studio di Olga perché in un angolo c’era un grande tavolo scrittoio con cassetti laterali e accanto un tavolino con una macchina da scrivere. Le pareti erano coperte di quadri di varie dimensioni e da una specchiera rettangolare. Con altri più piccoli oggetti d’arredo: tavoli con soprammobili, lampade, candelieri, Olga aveva completato l’arredamento della stanza di rappresentanza della sua casa. Un’ultima libreria a vetri, anch’essa piena di libri, separava dalla sala da pranzo. Secondo il consueto arredamento delle case borghesi del secolo scorso, un grande buffet in stile antico insieme al suo contro-buffet caratterizzavano la sala da pranzo; al centro della stanza c’era un grande tavolo ovale con sei grandi sedie coperte di pelle scura. Completava l’inventario della stanza un elenco minuzioso di tutte le stoviglie, piatti e bicchieri, numerate e descritte una per una, nel consueto indifferente disordine; ma questo elenco rappresenta anche con l’accumularsi di eredità familiari e di ricordi la storia di una famiglia. Tuttavia si tratta pur sempre della casa di un’intellettuale e anche qui, in sala da pranzo, c’è ancora lo spazio per un tavolo scrittoio a cassetti, con poltroncine rivestite di stoffa rossa e una poltroncina con alto schienale, accanto ad un’altra libreria a quattro scomparti. Ai muri le testimonianze più care: cinque quadri ovali con ritratti di famiglia e due con ritratti femminili. E ancora nove diversi telai a incorniciare fotografie di famiglia: alle pareti della casa di Olga era rappresentata tutta la vicenda familiare. Nella sua camera, come in tutte le altre stanze, pendeva al muro un grande orologio; tre angoliere incorniciavano il suo perimetro che deve essere stato piuttosto grande poiché conteneva diversi armadi, porta abiti, poltroncine e il letto di Olga. In un’altra camera aveva raccolto i libri e gli oggetti a cui teneva di più, conservati in due armadi libreria in legno sigillati con ceralacca e in una cristalliera che conteneva ancora libri, insieme ad oggetti in cristallo, anche questa sigillata con ceralacca; ai muri, anche qui, numerosi quadri con fotografie della famiglia e un quadro a olio del capofamiglia. Nei due cassoni contenenti “uno, tutta corrispondenza e documenti e nell’altro oggetti vari, bicchieri e vasi di vetro” sigillati con ceralacca, c’era in realtà l’archivio di Olga che sarà poi disperso a causa dei successivi eventi. <378 Questi contenitori che Olga aveva fatto per tempo sigillare dimostrano forse quanto fosse consapevole della precarietà della sua esistenza e, contemporaneamente, danno indicazioni di dove si trovassero la sua corrispondenza e le carte di casa, le testimonianze più utili per ricostruire la sua vita e quella della sua famiglia.
Olga sembra essersi spogliata di tutto al momento dell’arresto. Raccolse i suoi gioielli: anelli, collane e spilloni ma anche gli orologi di famiglia e forse quello a lei più caro, un medaglione in onice con ritratti e li consegnò affinché se ne prendesse cura a Luigi Rigo, persona con la quale lei era sicuramente in confidenza. Rigo e la moglie erano i custodi di Palazzo di Robilant, parte del complesso dei palazzi Mocenigo, quello prospicente la corte interna della casa di Olga. Subito dopo l’arresto, Vittoria Roman, la cameriera di Olga raccolse in fretta i suoi effetti di vestiario, prima che i tedeschi tornassero per mettere i sigilli all’appartamento, e tenne presso di sé il baule per riconsegnarlo ad Olga, quando fosse tornata. <379
 

Olga Blumenthal. Fonte: Emilia Peatini, Op. cit. infra

[NOTE]
369 ASVe, Gabinetto della Prefettura, b.7, f.4099, Ebrei. Invio in appositi campi di concentramento e sequestro beni. Circolare n. 023266, Venezia 1.12.1943.
370 ASVe, Fondo Gabinetto della Prefettura, b. 7, fascicolo 1500, Attività professionali ebrei. Lettera riservata alla persona Vaccari Marcello - Gli ebrei nel campo dell’insegnamento -, Prefetto di Venezia dal Questore, Venezia, 27 marzo 1942.
371 ASVe, Fondo Gabinetto della Prefettura, b. 7, fascicolo 1500, Attività professionali ebrei. Lettera al Prefetto di Venezia dal Questore, Venezia, 27 marzo 1942.
372 ASVe, Fondo Gabinetto della Prefettura, b. 7, fascicolo 1500, Lettera, Presidente dell’Unione Confederazione fascista dei professionisti e degli artisti al Prefetto, Venezia 16 maggio 1942.
373ASVe, Gabinetto della Prefettura, b.7, f.4099, Ebrei. Invio in appositi campi di concentramento e sequestro beni. Telegramma del Capo Provincia Cagetti al Questore di Venezia 26.I. 1944.
374 R. Segre, Gli ebrei a Venezia, cit. p. 160.
375 Palazzo di Robilant è una parte del complesso dei Palazzi Mocenigo, compresi tra le calli Ca’ vecchie e Ca’ nuova, prospicenti il Canal Grande e limitrofi con la grande residenza dei Blumenthal. I de Robillant avevano acquistato parte del complesso alla fine dell’Ottocento. Nei documenti del Recupero beni ebraici del 1945, viene nominato Palazzo Robillant e non più Mocenigo.
376 ACEV, busta 442, lettera del presidente della Comunità Israelitica, Vittorio Fano, al prof. Manlio Dozzi, direttore della Biblioteca Querini Stampalia, 15 novembre 1945.
377 ASVe, Gabinetto della Questura, Ebrei, fascicoli personali, b. 3, f. 113, Olga Blumenthal, Fonogramma in copia il Commissario di P.S. alla Questura.
378 ASVe, Gabinetto della Questura, Ebrei, fascicoli personali, b. 3, f. 113, Olga Blumenthal, Inventario della mobilia e degli oggetti esistenti nell’appartamento già occupato dall’ebrea Blumenthal Olga vedova Secrétant, San Marco 3347.
379 Il 28 maggio 1945, appena pochi giorni dalla fine della guerra, l’Avv. Giuseppe Dalla Torre di S. Marco 3716, chiese conto all’Ufficio Recupero Beni Ebraici della Questura di Venezia dei mobili, degli effetti di vestiario e dei gioielli, “di ingente valore”, di proprietà di Olga Blumenthal, indicando nei coniugi Rigo, custodi dei Palazzo de Robillant, e in Valeria Roman, domestica di Olga, i depositari temporanei dei beni. L’avvocato pare voglia rappresentare Olga Blumenthal o eventuali eredi, “Poiché da varie fonti mi vien riferito che detta cameriera (Valeria Roman) va, con alquanta leggerezza, parlando di detti gioielli con persone diverse, in modo da render non troppo sicuro il deposito suddetto, tanto più che la sig. Blumenthal, di cui non si hanno più notizie, tarda a darne, io sottoscritto ritengo mio dovere civico render noto a codesto Ufficio quanto sopra perché provveda al più presto al sequestro sia dei mobili che degli oggetti di vestiario, sia dei gioielli della predetta Sig. Blumenthal, presso chiunque si trovino, nominando un legale sequestratario che eriga un regolare inventario e ne risponda verso la legittima proprietaria (od eventuali eredi). L’Ufficio Recupero Beni Ebraici, provvede con sollecitudine: il 6 giugno, la cameriera dichiara “Per circa sei anni sono stata al servizio in qualità di cameriera presso la sig. Blumenthal Olga ved. Secrétant, di razza ebraica, la quale all’atto del suo allontanamento da Venezia per le note persecuzioni razziali, lasciò ogni cosa (gioielli e altra roba trasportabile) ai sig. Rigo Giuseppe e signora, mentre alcuni oggetti di vestiario sono stati da me recuperati nello spazio di tempo che la sig, Blumenthal fu arrestata dai tedeschi e quello in cui i tedeschi sono venuti a apporre i sigilli all’appartamento. Detti capi di vestiario li tengo tuttora a disposizione della sig. Blumenthal. Il giorno seguente comparve per essere interrogato anche il sig, Luigi Rigo: “All’atto in cui la signora Blumenthal venne arrestata dai tedeschi, dalla stessa, prima che fosse arrestata, mi fu consegnato un pacchettino dentro il quale la medesima vi aveva custodito i suoi gioielli personali. Tali gioielli sono tuttora presso la mia abitazione […]. Il giorno 18 gli agenti di Pubblica Sicurezza si recarono nell’appartamento di Luigi Rigo per controllare il pacchetto dei gioielli, se ci fossero tutti secondo la lista che Olga aveva lasciato all’interno. Anche in questo caso, i gioielli furono lasciati in custodia del sig. Rigo, secondo le volontà di Olga Blumenthal. Lo stesso giorno, gli agenti controllarono anche il baule del vestiario provvedendo ad un inventario. Si tratta del tipico corredo di una donna anziana e vedova: tutti gli abiti, in seta, sono neri come pure i guanti e i boleri. L’elenco comprende fin i più intimi indumenti di vestiario. Come i gioielli, il baule fu affidato al sig. Rigo. Il carteggio tra l’avv. Dalla Torre e la Questura-Ufficio Recupero Beni Ebraici di maggio e giugno 1945, in ASVe, Gabinetto della Questura, Ebrei, fascicoli personali, b. 3, f. 113, Olga Blumenthal.

 


Emilia Peatini, Olga Blumenthal (1873-1945). Storie di una famiglia e di una vita, Tesi di Laurea, Università Ca' Foscari Venezia, Anno accademico 2018-2019

domenica 21 gennaio 2024

Washington era a conoscenza del tentativo di golpe ben prima che del Piano Solo si avessero le prime notizie


Rispetto alla questione delle interferenze statunitensi nella lotta al comunismo in Italia, gli anni del mandato Johnson comportarono grandi cambiamenti rispetto al passato, a partire dalla realizzazione del primo governo di centrosinistra <709. Sin dai primi giorni del suo mandato, Johnson proseguì il cammino intrapreso da Kennedy in favore dell’apertura a sinistra e seguì con interesse le trattative di Moro e Nenni per la costiruzione del governo <710. Il primo incontro ufficiale di Johnson avvenne proprio in relazione alla situazione italiana. Il 25 novembre, Johnson incontrò alcuni esponenti del governo italiano: il presidente del Senato Cesare Merzagora, il Ministro degli Esteri Piccioni e l’ambasciatore italiano negli Stati Uniti Fenoaltea <711. Durante l’incontro, i rappresentanti del governo italiano rassicurarono gli americani che, nonostante la transizione in atto verso il centro-sinistra, i rapporti tra i due paesi avrebbero continuato ad ispirarsi ai principi della fedeltà atlantica e agli impegni derivanti. Tuttavia alcune questioni in particolare generavano perplessità a Washington. La prima era relativa agli scontri tra Dc e Psi nell’assegnazione degli incarichi ministeriali, che lasciavano presagire qualche difficoltà di collaborazione sulla strada delle riforme e dello sviluppo. Inoltre, a Washington preoccupavano le divisioni interne ai singoli partiti di governo, le cui ripercussioni avrebbero potuto produrre effetti negativi sulla stabilità del governo <712. Ciononostante, in questa fase gli Stati Uniti apparivano piuttosto fiduciosi sulle possibilità del centro-sinistra di isolare il Pci e promuovere una vasta attività di riforme, soprattutto nel Mezzogiorno <713. Per timore che la crisi economica e la necessità di adottare misure di austerità potessero compromettere la realizzazione delle riforme, a conferma della fiducia riposta nel gabinetto gli Stati Uniti erogarono un prestito di circa un miliardo di dollari <714. Questo intervento non va letto come il frutto di un assistenzialismo disinteressato, in quanto rientra nella logica anticomunista legata all’esigenza di evitare che l’Italia si avvicinasse al blocco comunista: un pericolo reso ancora più reale dall’accordo commerciale tra Italia e Cina per l’apertura di uffici commerciali nelle rispettive capitali e da alcune considerazioni allarmanti sul futuro della stabilità italiana provenienti dagli esponenti delle istituzioni italiane più allineati a destra. Uno dei questi, il Presidente della Repubblica italiana Antonio Segni, si diceva pronto a dare il suo contributo per porre fine all’esperimento il prima possibile <715. Anche il gen. De Lorenzo guardava con preoccupazione gli sviluppi italiani. L’imminente pericolo di disordini di piazza e di scioperi rendeva necessario adottare atteggiamento di grande fermezza da parte delle istituzioni e delle forze dell’ordine, che con determinazione (“backbone”) e una linea d’azione ben definita (“a definite line of action”), anche a costo di vittime avrebbero dovuto arrestare la deriva verso il comunismo <716. Il generale si dimostrava poi abbastanza fiducioso sul fatto che, attraverso i suoi contatti con le più alte sfere istituzionali, sarebbe riuscito a trovare un sostegno per delle “proposte eccezionali” da adottare contro le forze di opposizione.
I timori espressi nei documenti americani anticiparono i fatti che, nel giugno 1964, avrebbero segnato la fine del primo esperimento di centro-sinistra. Il 25 giugno infatti si aprì la crisi di governo a causa del mancato accordo dei partiti sui finanziamenti alle scuole religiose <717. Il governo venne così posto in minoranza e Moro fu costretto alle dimissioni. Nonostante la confusione generata dalla caduta del governo, tuttavia, nei documenti americani continuava ad emergere l’atteggiamento di fiducia nella figura di Aldo Moro, in cui gli Stati Uniti riponevano le speranze per un ruolo di guida della Dc e di mediazione con gli altri partiti, e un’avversione nei confronti della formazione di un governo di destra quale antidoto all’instabilità democratica italiana <718. La strada del centro-sinistra, per quanto ardua, continuava dunque ad essere l’unica alternativa percorribile per fronteggiare i cambiamenti sociali che l’Italia stava vivendo e che erano all’origine di un grande allarme comunista <719.
Se il centro-sinistra non sembrava governare i cambiamenti della società italiana in maniera efficace come alcuni esponenti delle forze dell’ordine e delle destre si sarebbero aspettati, questi stessi ambienti si convinsero che fosse giunto il momento di intervenire direttamente <720. La convinzione che l'esperienza del centro-sinistra determinasse una modificazione della collocazione atlantica della penisola e una deriva a sinistra della società, convinsero queste forze della necessità di un’eventuale azione di forza <721. In questo contesto, tra il 15 e il 19 giugno 1964 maturò l’ideazione di un progetto di golpe ad opera del Gen. De Lorenzo. Il nome del progetto, “Piano Solo”, derivava dal fatto che la sola Arma dei carabinieri (oltre 20.000 uomini) avrebbe preso parte alla sua attuazione, per ragioni di maggiore sicurezza e affidabilità. Concordato fra William Harvey, nominato direttore della stazione Cia di Roma nel giugno 1963, e il comandante generale dell’Arma Giovanni de Lorenzo, il piano fu studiato per fronteggiare una situazione emergenza determinata da un asserito complotto in preparazione da parte dei comunisti. Di tale complotto, peraltro inesistente, fu messo al corrente l’allora presidente della Repubblica Antonio Segni, per condizionarlo e ottenerne l’avallo. Il Piano era basato sull’adozione di misure eccezionali il cui scopo consisteva nel sovvertire l’ordine costituito attraverso l’esclusione dei socialisti dal governo o, quantomeno, un ridimensionamento dei progetti riformisti in atto (riforma regionale, legge urbanistica e patti agrari) e, in ultima istanza, nel mettere fuori legge il Pci e costituire un governo vicino alle forze di destra. Il progetto prevedeva l’occupazione di centri nevralgici del potere come prefetture, stazioni radio, sedi del partito e centrali telefoniche delle principali città italiane, nonché l’arresto e la deportazione nella base Gladio in Sardegna degli esponenti politici di primo piano <722. In caso di sommossa o avvenimenti gravissimi, i carabinieri sarebbero stati affiancati da militari in congedo, gruppi di civili ed ex militari arruolati e stipendiati dal Sifar in funzione anticomunista <723. Quest’azione di reclutamento clandestino era nota alla Cia sin dall’immediato dopoguerra e per certi versi incoraggiata dalla stessa agenzia statunitense con l’obiettivo di mettere a segno azioni illegali come piazzare bombe, compiere attentati o provocare incidenti da attribuire alle sinistre, in maniera tale da spingere il governo ad adottare misure eccezionali in difesa della sicurezza nazionale e bloccarne la deriva a sinistra <724 <725.
Il Piano Solo non fu mai attuato, forse perché non ricevette una accoglienza favorevole da parte delle istituzioni oppure, con maggiore probabilità, perché era stato pensato come una vera e propria “intentona”, con lo scopo di controllare il potere, non di conquistarlo <726. Un'involuzione autoritaria della politica italiana costituiva un esito estremo e non gradito dalle istituzioni. Il Piano Solo sarebbe stato quindi progettato con l’unico scopo di intimidire e avvertire le istituzioni delle possibili conseguenze di una deriva a sinistra del governo e di condizionare l’operato delle forze politiche italiane, quindi come uno strumento di pressione del “doppio stato” sulle istituzioni democratiche del paese per trovare una soluzione immediata alla crisi di governo <727.
In sostanza, il Piano si inserisce perfettamente nel quadro dei colpi di stato “regolarmente sventati al momento di divenire operativi e puntualmente occultati al momento di dover essere chiariti” grazie al costante appoggio e alla copertura delle istituzioni italiane e americane per esigenze politiche e istituzionali superiori. Allo stesso tempo, pur non riuscendo nelle loro finalità prettamente “militari”, connesse alla presa del potere, questi tentativi sono riusciti dal punto di vista politico, in quanto erano progettati per condizionare “verso il centro il sistema politico e ci si è riusciti anche quando l’intero continente era attraversato da un vento riformatore che ha fatto traballare strutture politiche e statali ben più salde della nostra” <728. Nel caso italiano, nello specifico, il tentato golpe serviva a bloccare il riformismo del governo Moro. Come è noto, infatti, la crisi fu subito risolta con la creazione di un nuovo governo (3 luglio 1964) sempre presieduto da Moro con la stessa base parlamentare del precedente, ovvero con la partecipazione del Psi, il cui programma riformatore risultava tuttavia notevolmente ridimensionato <729.
Quello che è importante rilevare è che il governo di Washington era a conoscenza del tentativo di golpe ben prima che del Piano Solo si avessero le prime notizie <730. Lo dimostrano tutta una serie di informative precedenti che forniscono dettagli sul pericolo imminente di un colpo di stato militare in Italia, da attuarsi in seguito ad una dimostrazione finanziata da industriali italiani e coordinata da Pacciardi. Si faceva anche riferimento al supporto dei Carabinieri nel caso di scontri o incidenti <731. Già si avvertiva, insomma, un gran “tintinnare di sciabole” come avrebbe scritto Nenni, ovvero un clima di grande tensione che era premonitore degli sviluppi cui la democrazia italiana sarebbe andata incontro nelle settimane successive. A questo proposito è interessante notare che dai documenti statunitensi sul Piano Solo non traspare un’ansia particolare per la gravità dei fatti eversivi in atto. Emerge invece un grande allarme rispetto al pericolo di infiltrazione comunista nelle istituzioni democratiche italiane, e l’identificazione nel gen. De Lorenzo dell’unica figura del panorama italiano in grado di gestire la complessità della situazione politica <732. Questa constatazione aiuta a definire meglio il quaadro di responsabilità degli Stati Uniti nel Piano Solo. Senz’altro, gli intenti dei golpisti corrispondevano pienamente agli interessi perseguiti da certi settori dell'amministrazione statunitense, contrari al centro-sinistra e in linea con ampi strati del ceto dirigente e imprenditoriale italiano. Pertanto è ipotizzabile gli Stati Uniti non solo sapessero, ma abbiano anche collaborato al progetto in quanto strumentale ai loro obiettivi in Italia. In quest’ottica, il Piano Solo si può collocare all'interno di un disegno strategico più ampio che, a livello nazionale, mirava a depotenziare la capacità riformista del governo di centro-sinistra e, a livello internazionale, puntava alla riduzione dell’influenza del comunismo nel mondo. <733
Il Piano Solo dimostra quindi l’annidarsi di forze sleali alla democrazia in settori molto delicati dell’apparato statale, nonché le simpatie da esse riscosse non solo nell’estrema destra, ma anche a livello internazionale. Il silenzio fatto calare sulla vicenda dell’estate 1964 è significativo del timore che venisse sollevato un velo su possibili e complicità di cui il generale De Lorenzo appariva sicuro al momento dell’ideazione del progetto.
[NOTE]
709 A. M. Schlesinger, I Mille giorni, cit., p. 873.
710 U. Gentiloni Silveri, L’Italia e la nuova frontiera, cit. p. 228.
711 Nara, Department of State, Central Files, Pol-It-US, Memorandum of conversation, Washington, 25 novembre1963,. Confidential.
712 Frus, 1961-63, vol. XII, Telegram From Secretary of State Rusk to the Department of State, Paris, 16 dicembre, 1963, pp. 893-94, disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/Frus1961-63v13/pg_890; Cia Special Report, “The Moro Government’s program and prospects”, Office of Current Intelligence, 3 gennaio 1964; L. Nuti, Gli Stati Uniti e l’apertura a sinistra, cit. pp. 442-443; S. Romano, Lo scambio ineguale: Italia e Stati Uniti da Wilson a Clinton, Laterza, Roma-Bari, 1995, p. 44.
713 Frus, 1961-63, vol. XII, Memorandum of Conversation,The Italian Political Situation, 14 gennaio 1964, pp. 175 e ss, disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/Frus1964-68v12/pg_175; Cia, Special Report, “Problems and Prospects in Southern Italy”, Office of Current Intelligence, 21febbraio 1964.
714 Frus, 1961-63, vol. XII, Memorandum From Secretary of the Treasury Dillon to President Johnson, Financial Assistance for Italy, Washington, 13 marzo, 1964, pp. 183-184 , disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/Frus1964-68v12/pg_183.
715 Frus, 1961-63, vol. XII, Telegram From the Embassy in Italy to the Department of State, Rome, 10 gennaio, 1964, pp. 173-75, disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/Frus1964-68v12/pg_173.
716 Frus, 1964-68, vol. XII, Intelligence Information Cable,Washington, 13 marzo, 1964, pp. 185-188, disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/Frus1964-68v12/pg_185; Id., Airgram From the Embassy in Italy to the Department of State, Lt. Gen. De Lorenzo’s Comments on Security and Political Subjects, Rome, 26 maggio, 1964, pp. 189-192, disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/Frus1964-68v12/pg_188; M. Franzinelli, Il Piano Solo, cit. p. 86.
717 G. Bedeschi, La prima Repubblica (1946-1993). Storia di una democrazia difficile, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2013.
718 Cia, Special Report, Italian Christian Democratic National Congress, Office of Current Intelligence, 26 giugno 1964.
719 U. Gentiloni Silveri, L’Italia e la nuova Frontiera, cit. p. 263.
720 Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, Il terrorismo, le stragi ed il contesto storico-politico, Proposta di relazione, redatta dal Presidente della Commissione, senatore Giovanni Pellegrino, XII legislatura, 12 dicembre 1995, pp. 9-44, 74-76.
721 Frus, 1964-68, vol. XII, Telegram From the Embassy in Italy to the Department of State, 10 gennaio, 1964, cit. p. 173.
722 Commissione parlamentare d’inchiesta sugli eventi del giugno luglio 1964, Relazione di minoranza, Roma, 1971, pp. 88 e ss.; G. De Lutiis, Storia dei servizi segreti, cit. p. 82; S. Flamigni, Dossier Pecorelli, Milano, Kaos, 2005, p. 8.
723 Commissione parlamentare d’inchiesta sugli eventi del giugno luglio 1964, cit. pp. 92-95, 267.
724 Negli archivi della stazione Cia di Roma sono state ritrovate le liste di queste formazioni paramilitari addestrate in funzione anticomunista. G. De Lutiis, Il lato oscuro del potere, cit. pp. 68-69.
725 R. Faenza, Il Malaffare, cit. 367; Commissione parlamentare d’inchiesta sugli eventi del giugno luglio 1964, cit. p. 281; F. Parri, Al fondo della crisi, in “L’Astrolabio”, 4 febbraio 1964; N. Tranfaglia, La strategia della tensione e i due terrorismi, in “Studi Storici”, 39, 4 (1998): pp. 989-998; M. Franzinelli, Il Piano Solo, cit. p. 35, 42.
726 G. De Luna, Necessità storica, uno strano concetto, in “La Stampa”, 24 dicembre 1990, p. 3.
727 U. Gentiloni Silveri, L’Italia e la nuova frontiera, cit. p. 270; A. Lepre, Storia della prima repubblica, cit. p. 207; P. Scoppola, La repubblica dei partiti, cit. p. 350; G. De Lutiis, Il lato oscuro del potere, cit. pp. 63-68; 93-100.
728 A. Giannuli, P. Cucchiarelli, Lo stato parallelo, cit. pp. 227-228.
729 Commissione Moro, 125; CS, 381-383; numerazione tematica 1, Memoriale Moro, La crisi del 1964: il Presidente della Repubblica Segni e il piano del Gen. De Lorenzo; Commissione parlamentare d’inchiesta sugli eventi del giugno luglio 1964, cit. pp. 206 e ss.
730 L. Jannuzzi, Finalmente la verità sul SIFAR. 14 luglio 1964: complotto al Quirinale. Segni e De Lorenzo preparavano il colpo di stato, in “L’Espresso”, 14 maggio 1967; Id., Fatti del luglio 1964: ecco le prove, in “L’Espresso”, 21 maggio 1967.
731 Frus, 1964-68, vol. XII, Telegram From the Consulate in Frankfurt to the Department of State, Frankfurt, 25 giugno, 1964, pp. 192-194, disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/Frus1964-68v12/pg_192; Frus, 1964-68, vol. XII, Telegram From the Commanding General, U.S. Army South European Task Force to the Commander in Chief, U.S. Army in Europe, Verona, 26 giugno, 1964, pp. 198-99, disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/Frus1964-68v12/pg_198; Frus, 1964-68, Intelligence Information Cable, Washington, 26 giugno, 1964, pp. 194-97, disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/Frus1964-68v12/pg_194; Incoming Telegram, spedito al Dipartimento di stato dal centro Setaf di Verona, al comando delle forze armate di heidelberg, 28 giugno 1964, in “L’Espresso”, 25 agosto 1995; U. Gentiloni Silveri, L’Italia e la nuova frontiera, cit. p. 309.
732 R. Faenza, Il Malaffare, cit. p. 364; S. Lanaro, Storia dell’Italia repubblicana, cit. pp. 327-328.
733 Frus, 1964-68, vol. XII, Airgram from the Embassy in Italy to the Department of State, The July Rumors on an Italian Coup d’Etat, Rome, 14 agosto, 1964, pp. 208 e ss., disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/Frus1964-68v12/pg_208.
Letizia Marini, Resistenza antisovietica e guerra al comunismo in Italia. Il ruolo degli Stati Uniti. 1949-1974, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Macerata, 2020

mercoledì 17 gennaio 2024

Mentre attaccano da Ponte d’Azzo e da Pianello, i nazisti hanno spinto una colonna anche oltre il fianco destro del Fastiggi

Cippo commemorativo della Battaglia di Vilano - Comune di Cantiano (PU) - collocato il 25 marzo 1984. Fonte: Luigi Balsamini, art. cit. infra

Inverno 1944. Sulle montagne dell’Appennino marchigiano, nel territorio di Cantiano (PU), i partigiani della V Brigata Garibaldi danno filo da torcere a nazisti e fascisti, con operazioni e sabotaggi sempre più frequenti in direzione di Cagli e Piobbico. In risposta, il 25 marzo le forze nazifasciste avviano un rastrellamento nella zona partigiana: tre colonne si muovono simultaneamente dal ponte di Polea, da Pontedazzo e da Pontericcioli per accerchiare i distaccamenti Fastiggi e Pisacane, dislocati tra i monti Catria e Petrano.
I partigiani, avvertiti la sera prima dell’imminente attacco, si appostano nottetempo in punti strategici, comprese trincee scavate nel terreno. L’inevitabile scontro si protrae per l’intera giornata, sotto una tormenta di neve, e sarà ricordato come la “Battaglia di Vilano”, uno dei maggiori successi dal punto di vista militare dei partigiani nel pesarese. Circa cinquecento tra nazisti e camicie nere battono in ritirata, con numerose perdite. Tra i partigiani si contano un morto, Tommaso Cordelli boscaiolo ventottenne di Cantiano, e due feriti, Vittorio Poveromo e Nicola Paruccini, rispettivamente di venti e ventidue anni. Ulteriore vittima della giornata è un contadino del luogo, Francesco Battilocchio, ucciso da colpi vaganti mentre accudiva il bestiame nei pressi della sua abitazione; gli verrà ufficialmente riconosciuta la qualifica di “caduto per rappresaglia” <1.
Ricordiamo questa pagina di storia con un racconto intenso, dal titolo “Una grande vittoria partigiana. 25 marzo presso il Monte Petrano”, scritto a caldo da Giorgio De Sabbata, allora commissario politico del distaccamento Fastiggi. L’autore sarà successivamente sindaco di Pesaro (per undici anni, dal 1958 al 1970), poi consigliere regionale, deputato (dal 1972 al 1976) e senatore (dal 1976 al 1987) per il Partito comunista.
Il documento consta di cinque pagine dattiloscritte, con correzioni e annotazioni manoscritte. L’immagine digitale è visibile sul portale Memorie di Marca <2; l’originale è conservato nel fondo Giuseppe Mari, presso l’Istituto di storia contemporanea della provincia di Pesaro e Urbino (Iscop).
Il fondo Giuseppe Mari comprende prevalentemente documentazione (soprattutto relazioni, elenchi, carteggio, fotografie e articoli di giornali) prodotta e acquisita dal soggetto produttore durante le ricerche e gli studi da lui compiuti in materia di storia della Resistenza e del movimento partigiano nelle Marche. Mari (Urbino, 1911-Pesaro 2002) è stato comandante del II Battaglione della V Brigata Garibaldi Pesaro poi, dal 2 settembre 1944, comandante della Divisione Marche. Nel dopoguerra è stato attivo con autorevolezza e ruoli di primo piano nell’Anpi provinciale, oltre ad aver ricoperto incarichi nell’amministrazione del Comune di Pesaro e della Provincia (di cui è stato presidente dal 1957 al 1959). Ha scritto numerosi contributi storici, tra i quali si ricorda Guerriglia sull’Appennino. La Resistenza nelle Marche (Urbino, Argalia, 1965).
Gran parte della documentazione che costituisce il fondo Giuseppe Mari è stata versata dal soggetto produttore nel 1991, con ulteriori versamenti negli anni successivi. Nel 2011, il figlio Carlo ha formalmente donato il fondo del padre all’Iscop; due anni dopo la Soprintendenza archivistica delle Marche lo ha riconosciuto di notevole interesse storico (decreto n. 97, 30 aprile 2013). Nel 2014, su progetto redatto da Antonello De Berardinis, Ingrit Vjerdha ha effettuato una prima ricognizione del fondo, al termine della quale ha stilato un elenco sommario della documentazione. L’anno successivo Luigi De Palo ha prodotto un inventario analitico: il lavoro è stato coordinato da Matteo Sisti, che ha anche organizzato la successiva fase di parziale digitalizzazione, avviata nel 2016 grazie a un cofinanziamento della Regione Marche e conclusa con la pubblicazione delle immagini sulla piattaforma web Memorie di Marca.
I documenti digitalizzati - tra i quali la cronaca di Giorgio De Sabbata che qui viene riprodotta, con alcune riduzioni - sono stati selezionati sia in base alla loro rilevanza in riferimento al valore storico, sia in base allo stato di conservazione, dando priorità a quelli in condizioni più critiche al fine di poter escludere dalla consultazione gli originali analogici, garantendone conservazione e tutela.
1. Giorgio De Sabbata, “Una grande vittoria partigiana. 25 marzo presso il Monte Petrano”
Preludio
Al Cappone - il comando del Fastiggi - intorno a un camino si scaldano alcuni uomini. Fra loro c’è Imbriano Alessandri, che il 5 maggio cadrà nell’assalto alla caserma di Cagli. Argomento della conversazione è la possibilità da parte dei fascisti di compiere un rastrellamento. Tutti sono ottimisti e ritengono che i tedeschi abbiano da pensare al fronte, debbano prepararsi al prossimo urto, mentre i fascisti non avranno più il coraggio di tornare all’attacco dopo l’ultimo combattimento del 24 febbraio, che uno dei presenti ricorda.
Erano 130 fascisti raccolti dalle località delle Marche. Si era presentata al mattino, nera sulla neve bianca, una colonna. I partigiani ancora dormivano. Furono avvertiti, si alzarono e in dodici li posero in fuga dopo un combattimento di poco più di mezz’ora. La nebbia aveva salvato i fascisti che, giunti al piano in fuga, avevano richiesto munizioni a una colonna tedesca che passava in quel momento. Si narra che il comandante tedesco abbia risposto invitandoli a combattere con le palle di neve. Il discorso passa così dal serio al faceto. […]
La conversazione è interrotta. Imbriano si è alzato, si è portato in un angolo della stanza; parla sottovoce con uno arrivato da poco. L’espressione del suo viso non è delle più calme. Tutti sono intenti a guardarlo. Ecco, ora chiama il commissario politico. Effettivamente le notizie non sono troppo buone. A Cagli il presidio del luogo attende mille S.S. che l’indomani mattina compiranno il rastrellamento. Imbriano e gli altri discutono un po’ sulla attendibilità della notizia […], mentre il commissario invia due staffette per informare il “Pisacane” richiedendo il suo aiuto in caso di attacco e ordina la sveglia alle quattro per il giorno dopo.
A Pesaro
Al mattino seguente il nostro comando di Brigata viene a sapere che il rastrellamento è in corso. Il nervosismo è grande; il risultato di mesi e mesi di lavoro sta per essere collaudato. I fascisti a Pesaro sono di ottimo umore, sperano che una disfatta partigiana faccia arruolare i richiamati delle classi di leva nell’esercito repubblicano e indebolisca fortemente le file di coloro che non vogliono più sapere cos’è la tirannide.
Nicola, il comandante di Brigata, pensa: “Come potranno 80 uomini resistere? Ieri sera non hanno potuto sganciarsi perché non lo hanno saputo e, per bene che possa andare, subiranno molte perdite. E la gioia dei fascisti se potranno vantarsi di aver ottenuto qualche successo? Quella sì che sarà insopportabile!”.
Dal comando di Brigata parte una staffetta per avere le informazioni quanto prima.
In montagna
Audaces fortuna iuvat. E l’audacia impedì che le speranze dei fascisti divenissero realtà.
Dopo una notte di guardia rinforzata, alle quattro e mezzo tutti i partigiani sono nelle posizioni. Fa freddo, qualcuno ha la coperta, qualcuno il cappotto, la maggior parte nulla. Così fino alle sette. Alle sette, motori sulla Flaminia: a Ponte d’Azzo si sono fermati parecchi camion. La sentinella dà l’allarme. Poco tempo dopo arriva la notizia che anche a Pianello ci sono forze pronte per il rastrellamento. E il comandante manca. La sera prima il Pisacane, ricevuta la notizia, aveva subito mandato a chiamare il comandante del Fastiggi, ma il comandante non veniva.
Il tempo è minaccioso, si leva un vento che acquista forza ogni minuto di più. In breve si scatena una violenta bufera di neve. Non si vede più niente a cinque metri di distanza. In queste condizioni il nemico non può attaccare; il tempo ci asseconda. Mezz’ora, un’ora, un’ora e mezzo, poi il tempo si stanca di essere nostro alleato e lascia intravvedere un po’ di luce. Di nuovo riprende un vento violento, di nuovo nevica, ma è soltanto un breve pentimento, che tutto, dopo poco, ritorna calmo. Sono le nove circa e gli uomini delle trincee scorgono i tedeschi che iniziano gli attacchi. Procedono da Ponte d’Azzo e da Pianello in direzione del Cappone.
Alle nove e quarantacinque “canta la raganella!”, la Breda 37 apre il fuoco sul nemico che procede da Pianello, s’inceppa e, dopo 15 minuti, ripiglia a cantare. Immediatamente il nemico cambia direzione, si porta a Moria, dove piazza le mitragliatrici. Frattanto anche le altre posizioni hanno aperto il fuoco sui tedeschi provenienti da Ponte d’Azzo. […]
Il Pisacane
Mentre attaccano da Ponte d’Azzo e da Pianello, i nazisti hanno spinto una colonna anche oltre il fianco destro del Fastiggi, con lo scopo evidente di aggirare il distaccamento. Ma la manovra non riesce, perché i tedeschi urtano contro il Pisacane. Il comandante, Roberto, ha ricevuto un biglietto che gli diceva di portare il distaccamento a Ca’ Aiale, ma da chi è partito questo messaggio? Infatti, giunti in quel luogo si trovano in una posizione infelicissima in fondo a una conca. Un po’ per questo, un po’ per uscire dalla nebbia che, dopo la bufera, stagna ancora nelle quote basse, Roberto distende i suoi trenta uomini su un fronte di due km in posizioni più elevate.
Da una parte il commissario politico fa di una carbonaia una postazione da mitragliatore e, centrata una colonna nemica, ne respinge l’attacco con meno di venti colpi, dopo di che il mitragliatore s’inceppa e il combattimento prosegue con i moschetti e con colpi alternati di mitragliatore. Dall’altra parte il comandante respinge un altro attacco con il solo fuoco di fucileria. È qui che viene a ricongiungersi la squadra del commissario.
Il vicecomandante tiene la posizione più avanzata per impedire una manovra aggirante nemica. Il commissario politico ne tiene un’altra, pure avanzata, con Peppe, Nicola e Tommaso. Dopo qualche tempo però la scarica di un mitra nemico, centrata in pieno, ferisce Tommaso con due colpi alla testa e Nicola con un colpo alla gamba. Tommaso se ne va e il commissario aiuta Nicola a mettersi al sicuro.
Tommaso Cordelli è l’unico partigiano caduto il 25 marzo.
Il Fastiggi
Nella piazza di Cagli alcuni fascisti affermano che i tedeschi, dopo aver catturato tutti i partigiani, procedono alla fucilazione sul luogo.
Ma l’eroe che ha sopportato tanto carcere per la sua idea, l’eroe morto con l’arma in pugno a S. Angelo in Vado, Pompilio Fastiggi, è presente fra i partigiani. Mai e poi mai essi cadranno in mano al nemico.
La sera stessa, sulla stessa piazza di Cagli, un ufficiale delle S.S. esclamerà: “Ci vuole la 5a armata per prendere quelle posizioni!”.
E il Fastiggi resiste cantando “Bandiera rossa”. Il piombo nemico lacera l’aria, urla, fischia, ma si perde nel vuoto. È il nostro piombo che incontra la carne, perché è spinto dalla volontà di chi combatte. Non importa se l’olio manca e le armi s’inceppano per la poca esperienza di chi le maneggia. C’è Gianni che ogni tanto stende una coperta per terra, per smontare il mitragliatore quando s’inceppa. C’è il mitragliatore di Drago che non funziona più. Drago lo smonta e trova una molla indebolita, la sostituisce con un’altra che non è neppure della stessa misura: l’arma funziona di nuovo, ma solo a colpi alternati. Drago la rismonta e s’accorge di aver messo un pezzo rovesciato!
Il mitragliatore di Vincenzo è quello che funziona meglio. Vincenzo insegue a raffiche i tedeschi che si spostano di fianco procedendo a sbalzi. Poi vede alcuni uomini che camminano con delle fascine sulle spalle; anche quello è “nemico” e l’ingenua camuffatura non impedisce che su di lui si abbattano i colpi del Breda.
Presso la casa di “Dindi Boia” una capanna brucia: è ciò che costruisce la civiltà germanica. Un altro pagliaio, più lontano, brucia anche lui.
Frattanto il commissario invia una pattuglia al fianco destro per sincerarsi della partecipazione del Pisacane alla battaglia. Poco dopo arriva una donna di corsa che grida: “Il Pisacane ha fatto sessanta prigionieri e sta aggirando tutte le forze nemiche! Il comandante del Pisacane chiede che sospendiate il fuoco perché teme che colpiate i suoi uomini”. Il fuoco, sospeso un istante, riprende più violento contro il nemico che è giunto vicinissimo alle postazioni. Anche questa notizia era falsa.
Falso non è invece quanto ci dice un partigiano inviato da una posizione avanzata: “Sono in dodici contro 150 e chiedono rinforzi. Impossibile resistere oltre. È giocoforza farli ritirare sulle posizioni retrostanti. Il commissario e il capo squadra studiano la via della ritirata, tenendo sempre pronta una squadra per l’esplorazione di questa via. La squadra è agli ordini di Angelo. Ma Angelo è impaziente e improvvisamente si riporta sulle posizioni di combattimento. Scoprendo il petto per far fuoco sul nemico, resta colpito da due pallottole di mitra.
Nicola del Pisacane e Angelo sono gli unici nostri feriti di questa battaglia.
Il nemico è tanto vicino che per fargli fuoco Gianni è costretto a stare in piedi. Il Fastiggi resiste ancora, resiste fino a sera, fino a quando, condotto dal comandante appena giunto, si ritira dopo che il nemico ha desistito dall’attacco. Far la ritirata significa attraversare vasti campi di neve, significa impantanarsi portando a spalla le munizioni, i mitragliatori, le mitragliatrici (muli non ce ne sono, la popolazione si è ritirata prima dei partigiani), ma gli uomini vorrebbero combattere ancora, alcuni vogliono fucilare il commissario perché si era messo troppo presto a studiare la via della ritirata…!
Conclusione
Mentre a Ponte d’Azzo passano i morti e i feriti del nemico ritiratosi dopo nove ore di combattimento per l’accanita resistenza del Fastiggi, a Pontericcioli passano pure altri morti e feriti, quelli che hanno combattuto contro il Pisacane che ha salvato, col suo eroico comportamento, il fianco destro del Fastiggi; altre forze tedesche e fasciste devono ricordare i colpi ricevuti nella stessa giornata del 25 marzo dai distaccamenti Stalingrado e Gramsci a Frontone.
Le informazioni assunte dagli abitanti del luogo fanno presumere che le perdite tedesche di quel giorno ascendano a un centinaio di uomini.
Il giorno dopo Radio Londra riconosce il contributo portato alla lotta di liberazione d’Italia, con poche parole: “Aspri combattimenti nella zona fra Frontone e Perugia”. Radio Roma, dal canto suo, non può fare a meno di onorarci con una strabiliante bugia: “Mille tedeschi hanno affrontato 16.000 partigiani; perdite gravi da ambo le parti”.
Nella montagna il Fastiggi e il Pisacane, ricongiuntisi, sono pronti a combattere ancora.
Di questo sono capaci i partigiani.
[NOTE]
1 Cfr. Ruggero Giacomini, Ribelli e partigiani. La Resistenza nelle Marche 1943-1944, Ancona, Affinità elettive, 2008; Ivan Tognarini (a cura di), L’Appennino del ’44: eccidi e protagonisti sulla Linea Gotica, Montepulciano, Le balze, 2005; La 5° Brigata Garibaldi “Pesaro”, Pesaro, Provincia di Pesaro e Urbino, 1980; Lotta partigiana e antifascismo nel comune di Cantiano, Cantiano-Pesaro, Comune di Cantiano, Anpi Pesaro e Urbino, 1998; Francesco Lupatelli, Cronache partigiane. Luglio 1943-luglio 1944, Cagli, 2000. Sull’episodio di Vilano del 25 marzo 1944 si veda la scheda: http://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&amp;id_strage=743, ultima consultazione: 28 febbraio 2022.
2 http://memoriedimarca.it/index.php/image-393. Memorie di Marca è una piattaforma web - basata sul software open source AtoM - nata per ospitare inventari e descrizioni di archivi e collezioni posseduti da istituti culturali, soggetti privati e pubbliche amministrazioni della Regione Marche.
Luigi Balsamini, “Una grande vittoria partigiana”. Cronaca della Battaglia di Vilano, 25 marzo 1944, dal Fondo Giuseppe Mari, Clionet. Per un senso del tempo e dei luoghi, 6 (2022)

domenica 7 gennaio 2024

In Italia, il secondo mandato Eisenhower non comportò modifiche sostanziali dal punto di vista delle politiche contro il comunismo


Il secondo mandato Eisenhower (1956-1960) corrispose ad un periodo della politica estera americana caratterizzato dall’esigenza di fronteggiare alcuni mutamenti di carattere internazionale emersi sul finire degli anni Cinquanta: dalla crescita del potenziale nucleare sovietico alla necessità di inaugurare una fase di coesistenza pacifica tra i blocchi, dallo sviluppo economico dei paesi terzi al miglioramento dei rapporti con gli alleati europei. In questo periodo Usa e Urss avviarono i primi tentativi di dialogo, testimoniati dal vertice sul disarmo di Ginevra del 1955 <588. Allo stesso tempo la competizione bipolare continuò a manifestarsi secondo formule e in scenari sempre nuovi e differenziati. L’esigenza di combattere il movimento comunista internazionale rendeva necessario trovare nuovi strumenti, non più improntati esclusivamente sul piano della competizione militare o della demonizzazione dell’avversario <589.
Grazie ai successi riportati dall’Urss in ambito tecnologico e militare, simboleggiati dal lancio dello Sputnik (1957) e dal primo test di un missile intercontinentale sovietico (Icbm), i russi acquisivano la tecnologia necessaria per raggiungere e colpire qualsiasi parte del territorio americano attraverso l’impiego di vettori. Le cause dell’incremento dell’arsenale nucleare sovietico erano attribuite principalmente al conservatorismo fiscale di Eisenhower e alla tendenza a ridurre le spese militari durante il suo primo mandato. Questa situazione, pur non intaccando la superiorità nucleare statunitense, relegava gli Stati Uniti in una condizione di vulnerabilità dal punto di vista missilistico <590. Per colmare il missile gap, gli Stati Uniti potenziarono l’arsenale nucleare statunitense ed europeo, e avviarono l’allestimento di testate nucleari Thor e Jupiter in Inghilterra, Italia e Turchia, allo scopo di rafforzare il senso di protezione degli alleati in un momento di forte crisi della credibilità statunitense <591. Il rafforzamento degli arsenali nucleari di entrambi i blocchi contribuì a consolidare una condizione di “equilibrio del terrore”. In altre parole, diventava altamente improbabile ricorrere alle armi atomiche, sempre più tecnologicamente avanzate, in quanto i loro effetti distruttivi le rendevano inutilizzabili: scatenando infatti un attacco nucleare contro il territorio sovietico, gli Stati Uniti avrebbero provocato la loro stessa distruzione <592. La minaccia dell’impiego di armi nucleari assunse una funzione puramente deterrente per la sproporzione tra i danni dell’atomica e i suoi effetti strategici <593. Se infatti era poco credibile che un qualsiasi presidente americano fosse disposto a sacrificare New York per salvare Parigi o Berlino, il rischio di un’escalation dovuta ad errori di calcolo o a fraintendimenti reciproci rimaneva inestinguibile e sarebbe stato sufficiente a trattenere Mosca dallo sfidare la deterrenza americana.
L’uso dell’arma atomica fu scongiurato per i suoi effetti devastanti anche in momenti di grandi crisi internazionali. Ciò avvenne, ad esempio, durante la seconda crisi di Berlino del novembre 1958, quando il governo sovietico inviò un ultimatum alle potenze occidentali per costringerle a ritirare entro sei mesi le loro truppe da Berlino Ovest. L’intera capitale tedesca avrebbe dovuto essere trasformata in città libera sotto il controllo delle Nazioni Unite. In caso contrario, il governo sovietico avrebbe trasferito alla Repubblica democratica tedescale funzioni amministrative e di controllo della zona sovietica di Berlino. Il netto rifiuto delle potenze occidentali, e il timore che il ricorso alle truppe del Patto di Varsavia sfociasse in uno scontro diretto tra i due blocchi spinsero i sovietici a ritirare l’ultimatum. Lo stesso scenario si ripresentò durante l’incidente dell’U2-14 americano, abbattuto da un missile sovietico nel maggio 1960. Il pilota, Gary Powers, riuscì a salvarsi ma fu catturato dai sovietici. In risposta all’incidente, Chruščëv ritirò l’invito a Eisenhower a visitare l’Urss, e chiese al presidente americano di presentare le scuse per l’incidente, punire i responsabili e dare garanzie per il futuro che i voli non si sarebbero ripetuti. Eisenhower si dichiarò disposto ad assicurare che durante la sua presidenza le ricognizioni aeree sarebbero state sospese, ma rifiutò di esaudire le altre richieste. Anche in questo caso, i toni estremamente minacciosi assunti dal confronto tra le potenze rischiarono di generare un conflitto, scongiurato anche grazie alla consapevolezza che il ricorso alle armi nucleari avrebbe portato le potenze alla distruzione reciproca.
Oltre che a manifestarsi sul fronte del rafforzamento nucleare, la competizione bipolare si spostò al di fuori dell’Europa, in aree geografiche di recente indipendenza ed economicamente sottosviluppate. La grande capacità attrattiva esercitata dal modello di sviluppo sovietico in queste zone rispondeva meglio della strategia americana alle esigenze poste dalle trasformazioni in atto. Per essere maggiormente in grado di rispondere alla sfida del comunismo internazionale e per preservare un equilibrio di potenza globale favorevole all’Occidente, Eisenhower si propose di adottare un approccio più liberal e progressista che in America Latina, dove si espresse meglio la tendenza degli Stati Uniti ad abbandonare la linea precedente, passò attraverso l’adozione di un piano di aiuti finalizzato a promuovere lo sviluppo e l’appoggio a leader di loro gradimento <594. Anche nei confronti dell’Europa, un continente ormai avviato sulla strada dello sviluppo e della stabilità economica, era necessario stabilire una strategia completamente nuova, caratterizzata tra l’altro dall’accettazione delle forze progressiste e socialiste in continua crescita che sembravano le uniche in grado di garantire il bisogno di riforme e di stabilità dei paesi europei, e si prefiguravano inevitabilmente come i futuri interlocutori politici degli Stati Uniti <595. Infine, per completare il quadro dei maggiori avvenimenti che caratterizzarono il secondo mandato Eisenhower, bisogna ricordare che a partire dal 1959 si verificò un progressivo riavvicinamento tra Stati Uniti e Urss, testimoniato dal viaggio del vicepresidente Nixon in Unione Sovietica, e da quello di Chruščëv negli Stati Uniti. Nonostante i contrasti tra i due - negli Stati Uniti Chruščëv pronunciò un celebre discorso in cui ammoniva gli ascoltatori con la frase “Your children will live under communism” - il dialogo tra i due politici fu un primo e importante segnale dell’apertura reciproca e del cambiamento dei tempi in atto <596.
In Italia, il secondo mandato Eisenhower non comportò modifiche sostanziali dal punto di vista delle politiche contro il comunismo. Ci fu, invece, un consolidamento della linea inaugurata nel 1956, fondata su metodi di influenza meno vistosi e diretti che nel passato. Se da un lato questa tendenza rende più difficile interpretare le interferenze statunitensi durante il secondo mandato Eisenhower, non vi sono dubbi in merito al fatto che i problemi legati alla lotta al comunismo e alla necessità di ricercare alleati di sicura fedeltà atlantica rimangano costanti e assumano un rilievo tutto peculiare in un periodo della storia italiana caratterizzato da un grande fermento politico e sociale <597. I problemi principali che Eisenhower e Zellerbach si trovarono ad affrontare in Italia erano di due ordini principali. Il primo di questi era legato all’organizzazione delle elezioni politiche previste per il 1958 e alla predisposizione delle attività necessarie per influenzarne i risultati. Il secondo era invece relativo alla necessità di ostacolare le nuove tendenze che, dopo la crisi di Suez, la politica estera italiana sembrava assumere principalmente attraverso la politica espansionistica incarnata dall’Eni. In merito alla questione delle elezioni del 1958, in questa fase per gli Stati Uniti era importante monitorare gli sviluppi del processo di unificazione tra Psi e Psdi, che avrebbe facilitato l’apertura a sinistra del governo italiano permettendo al Psi, dalle posizioni molto vicine a quelle dei comunisti, di entrare a far parte del governo598. Allo stesso modo, era importante fissare quanto prima la data delle elezioni, al fine di cogliere l’ondata di sdegno generale suscitato dalla rivoluzione ungherese del 1956 che, si credeva, alle urne avrebbe sottratto consensi al Pci. A questo proposito, gli Stati Uniti osservarono le vicende legate al XXXII Congresso nazionale del Psi, svoltosi a Venezia dal 6 al 10 febbraio 1957, che avrebbe dovuto porre le basi per l’unificazione socialista ma che si chiuse con un risultato giudicato insoddisfacente dalle componenti politiche che speravano in una rottura netta con il Pci <599. Se da un lato Nenni sottolineò le differenze ideologiche con il Pci e la condanna all’Urss per l’atteggiamento tenuto in occasione della rivoluzione ungherese, impegnandosi ad accettare senza riserve i principi democratici sanciti nella Costituzione, dall’altro si pronunciò in favore di una “fascia di paesi neutrali”, e parlò di accettazione del Patto atlantico a scopo meramente difensivo: un’interpretazione che lo svuotava di ogni significato in quanto proponeva contemporaneamente il ritiro delle truppe americane dai paesi del blocco occidentale, seppure accompagnato da un simultaneo ritiro delle truppe sovietiche dai paesi del Patto di Varsavia. Inoltre, contribuì a conferire una certa ambiguità ai risultati del Congresso anche l’attribuzione di posizioni chiave ad alcuni esponenti della sinistra del Psi, che riducevano il margine di manovra di Nenni nel dialogo con i partiti di centro <600. Le vicende legate al Congresso di Venezia vennero trattate da un Progress Report dell’Ocb nel quale gli Stati Uniti, pur constatando le difficoltà fronteggiate dal Pci dopo la duplice crisi del 1956, rinnovavano le loro preoccupazioni circa la possibilità di interpretare in maniera univoca i risultati del Congresso e di fare delle previsioni sul futuro della situazione politica italiana e sugli effetti che un’eventuale riunificazione socialista avrebbe prodotto. Nonostante le rassicurazioni di Nenni, il Psi manteneva forti legami con il Pci nell’ambito delle attività sindacali. La linea di neutralismo in ambito internazionale e l’attribuzione di organi direttivi ad esponenti della sinistra del Psi facevano dubitare della reale capacità di Nenni di esercitare un controllo diretto sul partito e di assicurare la realizzazione dei principi esposti nella mozione approvata dal Congresso <601. Nonostante le aspettative statunitensi, il boom economico in cui l’economia italiana era entrata rendeva più che mai necessario coinvolgere il Psi nell’esecutivo. Il partito di Nenni rappresentava infatti una parte dei lavoratori delle industrie, consapevoli di essere stati i principali artefici della crescita economica e industriale del paese, che pertanto chiedevano un riconoscimento in termini di coinvolgimento e di rappresentanza nella vita politica del paese. In merito agli strumenti di lotta al comunismo, il Report dell’Ocb confidava nella continuazione di vecchie politiche e si esprimeva in senso favorevole nei confronti delle attività intraprese dal governo italiano attraverso le normali procedure legali ed amministrative. Scongiurava invece l’adozione di misure dirette da parte degli Usa e di iniziative speciali del governo italiano, in quanto avrebbero potuto essere controproducenti e avvantaggiare la propaganda di sinistra. Negli stessi giorni in cui il rapporto veniva divulgato, il 28 febbraio, il Pri si ritirò dalla maggioranza. Qualche settimana più tardi, Saragat attaccò pubblicamente il ministero di cui faceva parte il suo partito, uscendo dalla maggioranza al fine di allentare la pressione interna per la riunificazione con il Psi. Reduce da queste perdite, nel maggio 1957 il ministero Segni, che si era andato spostando sempre più a destra, cadde sulla questione dei patti agrari. Gli succedette un monocolore a guida Zoli (16 maggio 1957-19 maggio 1958) che fu appoggiato dai voti determinanti del Msi e si limitò in sostanza a preparare le elezioni politiche.
[NOTE]
588 E. Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali, cit. pp. 841 e ss.
589 United States Senate, United States Foreign Policy, Hearings before the Committee on Foreign Relations, S. Res. 336, 85th Cong., and S. Res. 31, 86th Cong., Washington, U.S. Government. Printing Office, 1961, vol. II, pp. 1074-1075.
590 G. Mammarella, Storia degli Stati Uniti dal 1945 a oggi, cit. p. 142.
591 E. Ortona, Anni d’America, cit. pp. 261-62.
592 La cosiddetta mutua distruzione assicurata, o Mad (MutualAssuredDestruction).
593 Si tratta di quello che Gaddis ha chiamato il “dilemma della sproporzione”. J. L. Gaddis, The Long Peace. Inquiries into the History of the Cold War, Oxford, Oxford University Press, 1987, p. 146.
594 A. F. Lowenthal, United States Policy Toward Latin America: "Liberal," "Radical," and "Bureaucratic" Perspectives, in “Latin American Research Review”, 8, 3 (1973): pp. 3-25; J. R. Benjamin, The Framework of U.S. Relations with Latin America in the Twentieth Century: An Interpretive Essay, in “Diplomatic History”, 11, 2 (1987): pp. 91-112; M. Gilderhus, An Emerging Synthesis? U.S.-Latin American Relations since the Second World War, in “Diplomatic History”, 16, 3 (1992): pp. 429-452; L. Bethell (a cura di), Latin America. Economy and society since 1930, New York, Cambridge University Press, 1998; R. Nocera Raffaele, Stati Uniti e America latina dal 1945 a oggi, Roma, Carocci, 2005.
595 United States Senate, United States Foreign Policy, Hearings before the Committee on Foreign Relations, S. Res. 336, 85th Cong., and S. Res. 31, 86th Cong., Washington, U.S. Government. Printing Office, 1961, vol. II, pp. 1074-1075; 1401.
596 W. Safire, The Cold War’s Hot Kitchen, in “The New York Times”, 24 luglio 2009; Better to See Once, Time, August 3, 1959; J. L. Gaddis, La guerrafredda, cit. pp. 80-81.
597 L. Nuti, Gli Stati Uniti e l’apertura a sinistra, cit. p. 196; U. Gentiloni Silveri, L’Italia e la nuova frontiera. Stati Uniti e centro-sinistra 1958-1965, Bologna, Il Mulino, 1998, p. 33.
598 L. Wollemborg, Stelle, strisce e tricolore. Trent’anni di vicende politiche tra Roma e Washington, Milano, Mondadori, 1983, cit. p. 72.
599 A. Nardelli, Il XXXII Congresso del PSI e i presupposti dell'unificazione socialista (Venezia, 6-10 febbraio 1957), in “Aggiornamenti sociali”, 4/8 (aprile 1957): pp. 229-244.
600 Aa. Vv., Atti del XXXII Congresso nazionale del Psi, Edizioni Avanti!, 1957; M. Degli Innocenti, Storia del Psi, vol. III, Dal dopoguerra ad oggi, Roma-Bari, Laterza, 1993, p. 225.
601 Frus, 1955-57, vol. XXVII, Ocb, Progress Report on “United States Policy towars Italy”(NSC 5411/2), 13 febbraio, 1957, pp. 400-404, disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/Frus1955-57v27/pg_400.
Letizia Marini, Resistenza antisovietica e guerra al comunismo in Italia. Il ruolo degli Stati Uniti. 1949-1974, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Macerata, 2020