Sempre nel 1963, a seguito del Trattato sulla messa al bando parziale dei test nucleari stipulato da Usa e Urss, Clemente Graziani redasse un pamphlet di 33 pagine dal titolo La guerra rivoluzionaria. Quest’opera, scritta da un membro di Ordine Nuovo, costituì il punto di svolta nella trattazione di questo argomento da parte degli intellettuali italiani. Con questo pamphlet, in Italia l’argomento “guerra rivoluzionaria” emerse da una nebulosa semantica, nella quale il termine si trovava ed era stato impiegato, sulla scorta di quanto scritto da Lenin e Mao, con diverse accezioni, senza una precisione lessicale, ad esempio come sinonimo di “guerriglia” o di “guerra al capitalismo”. Quella costituita da Graziani e poi da altri neofascisti come Guido Giannettini, che due anni dopo avrebbe pubblicato il pamphlet Tecniche della guerra rivoluzionaria, fu una rielaborazione di un concetto introdotto da Lenin e teorizzato ampiamente da Mao in diversi scritti a partire dagli anni ‘30, letto e interpretato, anche da americani e francesi, secondo un filtro esclusivamente militare che “pone in primo piano solo le tecniche di guerriglia” <427. Quindi, a partire da quest’opera del 1963 l’espressione “guerra rivoluzionaria”, esistente dall’inizio del Novecento, ebbe, a seguito di una rielaborazione filtrata, una sua limpida definizione e trattazione. Un procedimento di rielaborazione di cui si diede atto nel manifesto del gruppo di “Pagine Libere”, pubblicato nel maggio 1965, alcuni giorni dopo che si svolse il convegno La guerra rivoluzionaria:
"Confrontando comunque la guerra rivoluzionaria cinocomunista con gli schemi teorici di solito ad essa riferita dai dottrinari, vediamo come questi schemi vengano seguiti soltanto in parte dai capi comunisti cinesi. La loro parziale eterodossia era dovuta anche al fatto che la teorizzazione delle tecniche della guerra rivoluzionaria è stata da noi ricavata a posteriori, cioè per astrazione (secondo l’accezione etimologica del termine). Mao e gli altri leaders della Cina rossa avevano impartito soltanto degli orientamenti generali, dei quali il maggiore è senz’altro questo: studiare a fondo, con metodo rigidamente logico, le leggi della guerra in generale, le leggi e gli insegnamenti particolari della guerra antigiapponese, quelle della guerra rivoluzionaria interna; dall’esame attento, scientifico, della situazione, sarebbero scaturite tutte le indicazioni necessarie per affrontarla in modo adeguato". <428
Tornando al pamphlet di Graziani, esso è composto da otto paragrafi: 1) Guerra atomica o guerra rivoluzionaria?; 2) Strategia tattica e tecnica della guerra rivoluzionaria; 2) L’azione psicologica; 4) Il terrorismo; 5) “Le gerarchie parallele”; 6) “Le forze rivoluzionarie” in America e in Europa; 7) Le possibilità di una azione rivoluzionaria in Italia; 8) La guerra rivoluzionaria come “esperienza interna”. Egli nel primo paragrafo precisa subito che la guerra rivoluzionaria, scatenata nel mondo dal “comunismo internazionale” per i suoi “obiettivi di bolscevizzazione totale del mondo” <429, si basa su un “genere nuovo, particolarissimo dell’uso della forza armata”. Scrivendo poi che quello attuale era uno “stato permanente di guerra mondiale ufficialmente non dichiarata” <430, richiamava a distanza il famoso articolo di Tedeschi di due anni prima, testé citato, Il PCI prepara il terrorismo organizzato, del quale citiamo di nuovo due frasi chiave:
"(…) un conflitto che ufficialmente non esiste, e quindi non obbliga all’intervento né russi né americani; un conflitto svolto al di fuori delle regole tradizionali, e quindi ideale per cogliere di sorpresa gli impreparati (…)". <431
Graziani poi passava in esame le modalità con cui veniva condotta la “guerra sovversiva” o “rivoluzionaria”, combattuta dall’Occidente - incarnato nell’esercito francese - per la prima volta in Indocina, dove i Viet Minh per scacciare gli imperialisti applicarono tutte le sue regole “con metodo e rigorosità scientifica” <432. Le modalità principali di condotta della guerra rivoluzionaria, o sovversiva, erano “l’azione psicologica scientificamente condotta”, il “terrorismo sistematico”, il “deliberato svuotamento delle strutture sociali esistenti” e l’organizzazione delle “gerarchie parallele”, che progressivamente si sostituivano a quelle esistenti, inglobavano la popolazione “in una rete dalle maglie sempre più strette” <433 e avevano il fondamentale compito di tenere quanti più possibili cittadini “sul doppio fronte del sabotaggio civile e dell’azione militare” <434. Condizioni sine qua non del successo della guerra rivoluzionaria erano “una congiuntura favorevole della politica internazionale” <435 e “il favore della popolazione” <436. Per ottenere quest’ultimo si poteva procedere in due modi: o galvanizzandole e suggestionandole “intorno ad un’idea”, ovvero “costringerle entro schemi psicologici precostituiti” <437, o terrorizzandole sistematicamente. La guerra psicologica e il terrore sistematico, “spietato e indiscriminato”, andavano di pari passo:
"si tratta, cioè, di condizionare le folle non solo attraverso la propaganda ma anche agendo sul principale riflesso innato presente tanto negli animali tanto nella psiche di una grande massa: la paura, il terrore, l’istinto di conservazione" <438.
Ci si trova di fronte, insomma, anche alla dichiarazione della necessità di agire contro certi schemi morali, ad esempio tramite l’uccisione di cittadini innocenti, qualora si riscontri nella popolazione “l’agnosticismo, lo stato di passività, l’indifferenza morale” <439, quasi si trattasse di una sorta di “strategia della tensione” che sproni la massa all’azione. Per Graziani, dinanzi alla “progressiva penetrazione rivoluzionaria della dottrina marxista-leninista nei paesi dell’Occidente e del terzo mondo afroasiatico” <440 e alla “frana a sinistra della diga democristiana al comunismo” <441 era necessario approntare al più presto una “elite di professionisti della guerra rivoluzionaria” che sapesse combattere ad armi pari “sul terreno di lotta” che il comunismo aveva scelto, ovvero l’“azione rivoluzionaria” <442. Estremamente significativa è la parte conclusiva del pamphlet, nella quale Graziani delineava la figura incaricata di condurre la guerra controrivoluzionaria.
Se da un lato tale ipotetica figura veniva connotata idealmente come un “nuovo tipo umano portatore di nuovi valori” che sia in contrasto con quelli propri dell’attuale “degenerescente civiltà borghese” e che sia in grado di “dominare e trascendere le forze disanimate insorte in una civiltà meccanizzata e materializzata” <443, dall’altro essa per l’autore è incarnata pienamente dalla Cia:
"Per il genere di incarichi che ricopre questa organizzazione di spionaggio e controspionaggio americana, per le tecniche e i mezzi che deve necessariamente usare per la raccolta d’informazioni sia politiche che militari, essa è, come il Deuxième Bureaux francese e come, in misura più o meno estesa, tutti i servizi d’informazione di una qualche importanza, particolarmente sintonizzata alle idee e ai metodi di una lotta sovversiva" <444.
Due anni prima che si svolgesse il convegno La guerra rivoluzionaria del 1965, alla fine del quale veniva auspicata da Beltrametti una proficua collaborazione tra la destra e le forze dell’ordine, Graziani suggeriva la Cia come modello ideale di forza controrivoluzionaria (e dei metodi richiesti per combattere efficacemente la guerra rivoluzionaria con le sue stesse armi), augurandosi che anche in Italia si creassero reparti che operassero similmente: “è tempo di dar vita a dei centri d’irradiazione delle idee controrivoluzionarie in tutti i settori della vita pubblica e privata della nazione, con particolare riferimento agli ambienti dell’esercito e delle forze dell’ordine” <445.
Forse il pamphlet di Graziani venne adottato come manuale di guerra controrivoluzionaria dai soldati italiani, che, per ordine del generale Giuseppe Aloja <446, come documentato dal Centro militare di studi strategici, proprio tra 1963 e il 1965 seguirono “corsi di addestramento antiguerriglia” ai fini di dotare del “maggior tasso di prontezza operativa (…) proprio l’aliquota [delle forze armate] incaricata di fronteggiare le minacce interne” (designate in termini di “strategia indiretta”, “guerra non ortodossa”, “guerra clandestina”, “guerra psicologica”, “guerriglia”) <447 e aver acquisito abilità ed avviato operazioni segrete, delle quali la Cia fu supervisore, come avvenne con il Piano Solo <448. Dopo la pubblicazione del pamphlet di Graziani, la seconda grande cesura degli anni ‘60 sarebbe stata quella del Convegno all’Hotel Parco dei Principi sulla 'Guerra rivoluzionaria'.
[NOTE]
427 “[l’espressione “guerra rivoluzionaria”] usata per la prima volta nel suo attuale significato [sic] da Mao Tse-tung nel 1963, di essa si impadronirono gli ufficiali francesi fatti prigionieri dai Viet-Minh dopo il 1949 che, al loro ritorno in patria, la introdussero nella terminologia militare francese.” Bernard B. Fall, Dall’Indocina al Viet-Nam: storia di due guerre, Milano, Sugar, 1968, p.367.
428 “Pagine Libere”, n.18, maggio 1965, pp.7-8. Corsivo mio.
429 La guerra rivoluzionaria, op.cit., p.5.
430 Ivi, p.5.
431 “L’Italiano”, Mario Tedeschi, Il PCI prepara il terrorismo organizzato, n.7, luglio 1961, p.39.
432 La guerra rivoluzionaria, op.cit., p.7.
433 Ivi, p.8.
434 Ivi, p.16.
435 “L’azione rivoluzionaria, comunque sia condotta, corre sempre verso la disfatta qualora i suoi capi non siano riusciti ad inserirla in una congiuntura favorevole della politica internazionale.”, Ivi, p.17. Corsivo mio.
436 Ivi, p.9.
437 Ivi, p.11.
438 Ivi, p.13. Corsivo mio.
439 Ivi, p.9.
440 Ivi, pp.17-18.
441 Ivi, p.30.
442 Ivi, pp.30-31
443 Ivi, p.32.
444 Ivi, pp.27-28. Corsivo mio.
445 Ivi, p.30. Corsivo mio.
446 Egli, tra l’altro, nel 1965 avrebbe poi commissionato a Rauti e Giannettini, celati sotto lo pseudonimo di “Flavio Messalla” la redazione di un libello, Le mani rosse sulle Forze armate, poi fatto distribuire agli ufficiali attraverso i canali di Ordine Nuovo. Franco Ferraresi, Minacce alla democrazia. La destra radicale e la strategia della tensione in Italia nel dopoguerra, Milano, Feltrinelli, 2005, p.124.
447 Guido Crainz, Il paese mancato: dal miracolo economico agli anni ottanta, Roma, Donzelli 2003, p.102.
448 Ivi, p.100.
Pier Paolo Alfei, La guerra rivoluzionaria nella Destra italiana (1950-1969), Tesi di Laurea, Università di Macerata, Anno Accademico 2015/2016
"Confrontando comunque la guerra rivoluzionaria cinocomunista con gli schemi teorici di solito ad essa riferita dai dottrinari, vediamo come questi schemi vengano seguiti soltanto in parte dai capi comunisti cinesi. La loro parziale eterodossia era dovuta anche al fatto che la teorizzazione delle tecniche della guerra rivoluzionaria è stata da noi ricavata a posteriori, cioè per astrazione (secondo l’accezione etimologica del termine). Mao e gli altri leaders della Cina rossa avevano impartito soltanto degli orientamenti generali, dei quali il maggiore è senz’altro questo: studiare a fondo, con metodo rigidamente logico, le leggi della guerra in generale, le leggi e gli insegnamenti particolari della guerra antigiapponese, quelle della guerra rivoluzionaria interna; dall’esame attento, scientifico, della situazione, sarebbero scaturite tutte le indicazioni necessarie per affrontarla in modo adeguato". <428
Tornando al pamphlet di Graziani, esso è composto da otto paragrafi: 1) Guerra atomica o guerra rivoluzionaria?; 2) Strategia tattica e tecnica della guerra rivoluzionaria; 2) L’azione psicologica; 4) Il terrorismo; 5) “Le gerarchie parallele”; 6) “Le forze rivoluzionarie” in America e in Europa; 7) Le possibilità di una azione rivoluzionaria in Italia; 8) La guerra rivoluzionaria come “esperienza interna”. Egli nel primo paragrafo precisa subito che la guerra rivoluzionaria, scatenata nel mondo dal “comunismo internazionale” per i suoi “obiettivi di bolscevizzazione totale del mondo” <429, si basa su un “genere nuovo, particolarissimo dell’uso della forza armata”. Scrivendo poi che quello attuale era uno “stato permanente di guerra mondiale ufficialmente non dichiarata” <430, richiamava a distanza il famoso articolo di Tedeschi di due anni prima, testé citato, Il PCI prepara il terrorismo organizzato, del quale citiamo di nuovo due frasi chiave:
"(…) un conflitto che ufficialmente non esiste, e quindi non obbliga all’intervento né russi né americani; un conflitto svolto al di fuori delle regole tradizionali, e quindi ideale per cogliere di sorpresa gli impreparati (…)". <431
Graziani poi passava in esame le modalità con cui veniva condotta la “guerra sovversiva” o “rivoluzionaria”, combattuta dall’Occidente - incarnato nell’esercito francese - per la prima volta in Indocina, dove i Viet Minh per scacciare gli imperialisti applicarono tutte le sue regole “con metodo e rigorosità scientifica” <432. Le modalità principali di condotta della guerra rivoluzionaria, o sovversiva, erano “l’azione psicologica scientificamente condotta”, il “terrorismo sistematico”, il “deliberato svuotamento delle strutture sociali esistenti” e l’organizzazione delle “gerarchie parallele”, che progressivamente si sostituivano a quelle esistenti, inglobavano la popolazione “in una rete dalle maglie sempre più strette” <433 e avevano il fondamentale compito di tenere quanti più possibili cittadini “sul doppio fronte del sabotaggio civile e dell’azione militare” <434. Condizioni sine qua non del successo della guerra rivoluzionaria erano “una congiuntura favorevole della politica internazionale” <435 e “il favore della popolazione” <436. Per ottenere quest’ultimo si poteva procedere in due modi: o galvanizzandole e suggestionandole “intorno ad un’idea”, ovvero “costringerle entro schemi psicologici precostituiti” <437, o terrorizzandole sistematicamente. La guerra psicologica e il terrore sistematico, “spietato e indiscriminato”, andavano di pari passo:
"si tratta, cioè, di condizionare le folle non solo attraverso la propaganda ma anche agendo sul principale riflesso innato presente tanto negli animali tanto nella psiche di una grande massa: la paura, il terrore, l’istinto di conservazione" <438.
Ci si trova di fronte, insomma, anche alla dichiarazione della necessità di agire contro certi schemi morali, ad esempio tramite l’uccisione di cittadini innocenti, qualora si riscontri nella popolazione “l’agnosticismo, lo stato di passività, l’indifferenza morale” <439, quasi si trattasse di una sorta di “strategia della tensione” che sproni la massa all’azione. Per Graziani, dinanzi alla “progressiva penetrazione rivoluzionaria della dottrina marxista-leninista nei paesi dell’Occidente e del terzo mondo afroasiatico” <440 e alla “frana a sinistra della diga democristiana al comunismo” <441 era necessario approntare al più presto una “elite di professionisti della guerra rivoluzionaria” che sapesse combattere ad armi pari “sul terreno di lotta” che il comunismo aveva scelto, ovvero l’“azione rivoluzionaria” <442. Estremamente significativa è la parte conclusiva del pamphlet, nella quale Graziani delineava la figura incaricata di condurre la guerra controrivoluzionaria.
Se da un lato tale ipotetica figura veniva connotata idealmente come un “nuovo tipo umano portatore di nuovi valori” che sia in contrasto con quelli propri dell’attuale “degenerescente civiltà borghese” e che sia in grado di “dominare e trascendere le forze disanimate insorte in una civiltà meccanizzata e materializzata” <443, dall’altro essa per l’autore è incarnata pienamente dalla Cia:
"Per il genere di incarichi che ricopre questa organizzazione di spionaggio e controspionaggio americana, per le tecniche e i mezzi che deve necessariamente usare per la raccolta d’informazioni sia politiche che militari, essa è, come il Deuxième Bureaux francese e come, in misura più o meno estesa, tutti i servizi d’informazione di una qualche importanza, particolarmente sintonizzata alle idee e ai metodi di una lotta sovversiva" <444.
Due anni prima che si svolgesse il convegno La guerra rivoluzionaria del 1965, alla fine del quale veniva auspicata da Beltrametti una proficua collaborazione tra la destra e le forze dell’ordine, Graziani suggeriva la Cia come modello ideale di forza controrivoluzionaria (e dei metodi richiesti per combattere efficacemente la guerra rivoluzionaria con le sue stesse armi), augurandosi che anche in Italia si creassero reparti che operassero similmente: “è tempo di dar vita a dei centri d’irradiazione delle idee controrivoluzionarie in tutti i settori della vita pubblica e privata della nazione, con particolare riferimento agli ambienti dell’esercito e delle forze dell’ordine” <445.
Forse il pamphlet di Graziani venne adottato come manuale di guerra controrivoluzionaria dai soldati italiani, che, per ordine del generale Giuseppe Aloja <446, come documentato dal Centro militare di studi strategici, proprio tra 1963 e il 1965 seguirono “corsi di addestramento antiguerriglia” ai fini di dotare del “maggior tasso di prontezza operativa (…) proprio l’aliquota [delle forze armate] incaricata di fronteggiare le minacce interne” (designate in termini di “strategia indiretta”, “guerra non ortodossa”, “guerra clandestina”, “guerra psicologica”, “guerriglia”) <447 e aver acquisito abilità ed avviato operazioni segrete, delle quali la Cia fu supervisore, come avvenne con il Piano Solo <448. Dopo la pubblicazione del pamphlet di Graziani, la seconda grande cesura degli anni ‘60 sarebbe stata quella del Convegno all’Hotel Parco dei Principi sulla 'Guerra rivoluzionaria'.
[NOTE]
427 “[l’espressione “guerra rivoluzionaria”] usata per la prima volta nel suo attuale significato [sic] da Mao Tse-tung nel 1963, di essa si impadronirono gli ufficiali francesi fatti prigionieri dai Viet-Minh dopo il 1949 che, al loro ritorno in patria, la introdussero nella terminologia militare francese.” Bernard B. Fall, Dall’Indocina al Viet-Nam: storia di due guerre, Milano, Sugar, 1968, p.367.
428 “Pagine Libere”, n.18, maggio 1965, pp.7-8. Corsivo mio.
429 La guerra rivoluzionaria, op.cit., p.5.
430 Ivi, p.5.
431 “L’Italiano”, Mario Tedeschi, Il PCI prepara il terrorismo organizzato, n.7, luglio 1961, p.39.
432 La guerra rivoluzionaria, op.cit., p.7.
433 Ivi, p.8.
434 Ivi, p.16.
435 “L’azione rivoluzionaria, comunque sia condotta, corre sempre verso la disfatta qualora i suoi capi non siano riusciti ad inserirla in una congiuntura favorevole della politica internazionale.”, Ivi, p.17. Corsivo mio.
436 Ivi, p.9.
437 Ivi, p.11.
438 Ivi, p.13. Corsivo mio.
439 Ivi, p.9.
440 Ivi, pp.17-18.
441 Ivi, p.30.
442 Ivi, pp.30-31
443 Ivi, p.32.
444 Ivi, pp.27-28. Corsivo mio.
445 Ivi, p.30. Corsivo mio.
446 Egli, tra l’altro, nel 1965 avrebbe poi commissionato a Rauti e Giannettini, celati sotto lo pseudonimo di “Flavio Messalla” la redazione di un libello, Le mani rosse sulle Forze armate, poi fatto distribuire agli ufficiali attraverso i canali di Ordine Nuovo. Franco Ferraresi, Minacce alla democrazia. La destra radicale e la strategia della tensione in Italia nel dopoguerra, Milano, Feltrinelli, 2005, p.124.
447 Guido Crainz, Il paese mancato: dal miracolo economico agli anni ottanta, Roma, Donzelli 2003, p.102.
448 Ivi, p.100.
Pier Paolo Alfei, La guerra rivoluzionaria nella Destra italiana (1950-1969), Tesi di Laurea, Università di Macerata, Anno Accademico 2015/2016