2.2 Rivalità con Tarchi, lavoro nel Secolo d’Italia e coordinatore nel Fronte della Gioventù (1971-1986)
In qualche modo, Marco Tarchi è stato una manna dal cielo per Fini. Il giovane Tarchi, pacifista e antimilitarista, allievo di Pino Rauti, è l’astro nascente della destra missina. Intellettuale, scrittore e giornalista, ha tutte le carte in regola per avere un ruolo non marginale. Tuttavia, non incontra i favori del grande capo missino Giorgio Almirante, che, infatti, cerca un esponente da contrapporgli, per ridimensionarlo e limitarlo. E lo trova in Fini. Entrambi vengono cooptati nella Direzione del Fronte della Gioventù, l’uno come membro della maggioranza almirantiana, l’altro come esponente dell’opposizione rautiania.
Tra il ’76 e il ’77 avviene la traumatica svolta: in seguito alla mutilante scissione di Democrazia Nazionale, Almirante perde quasi tutti i punti di riferimento nel partito e anche nel Fronte. È il gennaio del ’77, Congresso del Msi: tra i vari punti all’ordine del giorno bisogna eleggere una nuova Direzione del Fronte: la sfida è tra Fini e Tarchi. Il programma di quest’ultimo è rivoluzionario: nessun richiamo al regime o al fascismo e un partito più vicino alla società civile. Almirante cerca di mediare e di convincerlo a un compromesso, ma Tarchi non si lascia convincere. Con uno stratagemma, allora, con l’aiuto di Ignazio La Russa (altro storico collaboratore di Fini), Almirante riesce a far passare ai voti la propria proposta: nessuna elezione diretta della Direzione del Fronte, solo l’elezione di sette candidati da sottoporre alla scelta del segretario del partito. Al momento delle votazioni, nonostante il litigio col proprio maestro Rauti, che arriva addirittura boicottarlo perché il suo allievo persisteva nel voler arrivare allo scontro finale, Tarchi vince con 49 voti. Fini arriva solo quinto, primo almirantiano, con 33 voti. Ma la scelta del segretario del FdG sta ad Almirante e ricade, guarda caso, proprio su Fini, che racconterà di aver sempre creduto che Almirante lo avesse scelto come “meno peggio” <28 tra i candidati. Tarchi sarà vicesegretario. Il rapporto tra i due non sarai mai idilliaco e il primo terreno di scontro sarà riguardo i campi Hobbit, campi di “svago” con musica, teatro e socializzazione, proposta dei giovani rautiani che agli almirantiani e a Fini non piacciono nemmeno un po’. Se ne faranno solo tre. La segreteria del Fronte, che terrà per dieci anni, è il trampolino di lancio per Fini. Così diventerà il delfino di Almirante. Nello stesso periodo svolgerà l’unico lavoro, oltre all’attività politica, che abbia mai praticato: si farà assumere dal "Secolo d’Italia", giornale ufficiale del partito e lavorerà come pastonista nella redazione del giornale tra il ’77 e l’83. Ma la sua strada è un’altra.
2.3 Tenere accesa la fiamma di Giorgio (1987-1991)
Fini si candiderà per la prima volte all’inizio degli anni ’80, prima come consigliere comunale a San Felice Circeo, in provincia di Latina, poi per le politiche dell’83 a Roma, nelle quali sarà eletto deputato per la prima volta.
Ma il grande salto Fini sta per farlo nelle gerarchie interne del partito.
Nel 1986 si ammala Giorgio Almirante, che, alla Festa del Tricolore a Mirabello, prima del Congresso di Sorrento dell’87, annuncia che non si ricandiderà e indica come suo successore proprio Gianfranco Fini. Questo avvicendamento, in pratica una cooptazione di un delfino più che il frutto di una scelta competitiva, è del tutto in linea con la tradizione di un partito che ha avuto, in quasi cinquant’anni, cinque segretari in tutto, un partito in cui, quindi, successioni concordate nel segno della continuità e gestioni di lungo periodo sono sempre state la norma. <29
Il congresso di Sorrento non sarà tranquillo. I fedelissimi di Almirante, a fianco del segretario per vent’anni, saranno sorpresi (e, forse, anche un po’ delusi) dalla scelta del loro leader di preferire loro un giovane militante di soli trentasei anni. Scelta che, come detto, Almirante fa perché è convinto che il futuro del Msi sia lontano dalle nostalgie ma vicino al moderatismo. Fini non è in alcun modo compromesso col regime fascista né con la RSI, è nato ben dopo l’estinzione di entrambi. Inoltre, la cultura politica di Fini è ben diversa dal militantismo neofascista ed oltre a rappresentare un punto di svolta per il partito, egli potrà mantenere una certa continuità con la linea almirantiana.
Gli almirantiani, però, non trovano un’intesa e si presentano al congresso in liste divise. Si presentano quattro liste totali: i giovani almirantiani con Gianfranco Fini, i radicali intransigenti della sinistra interna di Pino Rauti, i veterani almirantiani con Franco Maria Servello, braccio destro dello stesso Almirante per decenni nonché vicesegretario, e la lista di Domenico Mennitti, candidatosi all’ultimo momento. La lotta è serrata, il partito non si può governare col 51% delle preferenze: i voti di Servello diventano decisivi. Interviene, quindi, Almirante:
"Il vecchio leader scende direttamente in campo e convoca Servello per convincerlo a ritirarsi allo scopo di favorire Fini: vuole evitare a tutti i costi che Rauti approfitti della loro divisione. Il vicesegretario temporeggia, si consiglia con i suoi e cerca di resistere. Solo quando si riuniscono gli stati generali dell’aerea almirantiana il dualismo Servello-Fini si risolve con un compromesso: corrono ambedue per la segreteria, ma chi arriva secondo alla prima votazione, nel ballottaggio farà convergerei suoi voti sull’altro". <30
Nel frattempo, Giuseppe “Pinuccio” Tatarella, lo storico braccio destro di Fini, conduce una incessante ricerca di consensi per il suo amico Gianfranco, guadagnando alcune decine di voti.
Arriva il momento delle votazioni: il primo scrutinio termina con Fini a 532 voti, Rauti a 441, Servello 224 e Mennitti 157. Sarà Fini ad andare al ballottaggio contro Rauti: Servello ora deve far confluire i suoi voti su Fini. Avviene l’ultimo, determinante incontro, in cui Servello accetta una volta per tutte di far confluire i suoi voti su Fini, però, in cambio, sarà il nuovo capogruppo alla Camera. Al ballottaggio, con uno scarto di appena 119 voti, Fini viene eletto segretario. <31
Il nuovo segretario non esordisce nelle migliori circostanze: il partito è diviso, quasi la metà dei delegati non lo ha votato, a maggio ’88 dovrà affrontare la scomparsa di Almirante e Romualdi. Finché il vecchio segretario era ancora in vita, Fini poteva godere della sua protezione e proseguire nella sua linea neo-almirantiana non solo al sicuro dalle opposizioni interne, ma anche guidato dallo stesso Almirante. Ma dopo la sua morte, per il nuovo segretario sarà più difficile gestire i dissidi interni e cablare il proprio operato. Andrea Ungari, in un saggio sulla trasformazione del Msi, delinea puntualmente l’ambiguità ideologica del primo Fini:
"In Fini vi era un’ambivalenza, probabilmente personale ancor prima che tattica, tra un’adesione, più o meno frutto di riflessione convinta, ai principi ispiratori del fascismo e la volontà di far sì che questa adesione non portasse a una cristallizzazione politica, ma fosse il presupposto dell’agire concreto del partito". <32
La prima segreteria Fini durerà poco. Nel gennaio ’90, al XVI Congresso del Msi, a Rimini, Pino Rauti riesce a prevalere su Fini per 740 voti a 697: la linea dello sfondamento a sinistra tanto cara al neosegretario, convinto che il fascismo fosse “rivoluzionario”, può finalmente trovare esecuzione. <33 Tuttavia, tale approccio non riserverà i risultati sperati: alle prime, e uniche, elezioni amministrative vissute dalla sua segreteria, il Msi di Rauti, ne esce praticamente dimezzato ottenendo il peggior risultato di sempre, 3.9%; declino simile anche in Sicilia un anno dopo. Il Comitato Centrale sancisce il fallimento della segreteria Rauti, già dimissionario e caduto, fra l’altro, sulla posizione adottata (pro USA) riguardo la guerra del Golfo, spaccando la sua stessa corrente, e il 6 luglio del ’91, all’hotel Ergife di Roma elegge, di nuovo, Gianfranco Fini alla segreteria, paradossalmente nel nome del recupero della tradizione; <34 una carica, questa che manterrà per altri quattro anni. Sarà l’ultimo segretario del Msi.
[NOTE]
28 G. LOCATELLI - D. MARTINI, Duce addio: la biografia di Gianfranco Fini, Loganesi, Milano, 1994, p. 57 e ss.
29 M. TARCHI, Cinquant’anni di nostalgia, Rizzoli, Milano, 1995, p.169
30 G. LOCATELLI - D. MARTINI, op. cit., p. 94-95
31 Ibidem
32 A. UNGARI, Da Fini a Fini. La trasformazione del Movimento sociale italiano in Alleanza nazionale in Due Repubbliche. Politiche e istituzioni in Italia dal delitto Moro a Berlusconi, M. GERVASONI - A. UNGARI (a cura di), Rubbettino, Soveria Mannelli, 2014, p.242
33 A. ROVERI, Gianfranco Fini. Una storia politica. Dal movimento sociale italiano a futuro e libertà, libreriauniversitaria.it, Limena, 2011, p.15
34 P. IGNAZI, op. cit, p. 90.
Pietro Blandini, Dal Movimento sociale italiano ad Alleanza nazionale: da Almirante a Fini, Tesi di laurea, Università Luiss "Guido Carli", Anno accademico 2019/2020
In qualche modo, Marco Tarchi è stato una manna dal cielo per Fini. Il giovane Tarchi, pacifista e antimilitarista, allievo di Pino Rauti, è l’astro nascente della destra missina. Intellettuale, scrittore e giornalista, ha tutte le carte in regola per avere un ruolo non marginale. Tuttavia, non incontra i favori del grande capo missino Giorgio Almirante, che, infatti, cerca un esponente da contrapporgli, per ridimensionarlo e limitarlo. E lo trova in Fini. Entrambi vengono cooptati nella Direzione del Fronte della Gioventù, l’uno come membro della maggioranza almirantiana, l’altro come esponente dell’opposizione rautiania.
Tra il ’76 e il ’77 avviene la traumatica svolta: in seguito alla mutilante scissione di Democrazia Nazionale, Almirante perde quasi tutti i punti di riferimento nel partito e anche nel Fronte. È il gennaio del ’77, Congresso del Msi: tra i vari punti all’ordine del giorno bisogna eleggere una nuova Direzione del Fronte: la sfida è tra Fini e Tarchi. Il programma di quest’ultimo è rivoluzionario: nessun richiamo al regime o al fascismo e un partito più vicino alla società civile. Almirante cerca di mediare e di convincerlo a un compromesso, ma Tarchi non si lascia convincere. Con uno stratagemma, allora, con l’aiuto di Ignazio La Russa (altro storico collaboratore di Fini), Almirante riesce a far passare ai voti la propria proposta: nessuna elezione diretta della Direzione del Fronte, solo l’elezione di sette candidati da sottoporre alla scelta del segretario del partito. Al momento delle votazioni, nonostante il litigio col proprio maestro Rauti, che arriva addirittura boicottarlo perché il suo allievo persisteva nel voler arrivare allo scontro finale, Tarchi vince con 49 voti. Fini arriva solo quinto, primo almirantiano, con 33 voti. Ma la scelta del segretario del FdG sta ad Almirante e ricade, guarda caso, proprio su Fini, che racconterà di aver sempre creduto che Almirante lo avesse scelto come “meno peggio” <28 tra i candidati. Tarchi sarà vicesegretario. Il rapporto tra i due non sarai mai idilliaco e il primo terreno di scontro sarà riguardo i campi Hobbit, campi di “svago” con musica, teatro e socializzazione, proposta dei giovani rautiani che agli almirantiani e a Fini non piacciono nemmeno un po’. Se ne faranno solo tre. La segreteria del Fronte, che terrà per dieci anni, è il trampolino di lancio per Fini. Così diventerà il delfino di Almirante. Nello stesso periodo svolgerà l’unico lavoro, oltre all’attività politica, che abbia mai praticato: si farà assumere dal "Secolo d’Italia", giornale ufficiale del partito e lavorerà come pastonista nella redazione del giornale tra il ’77 e l’83. Ma la sua strada è un’altra.
2.3 Tenere accesa la fiamma di Giorgio (1987-1991)
Fini si candiderà per la prima volte all’inizio degli anni ’80, prima come consigliere comunale a San Felice Circeo, in provincia di Latina, poi per le politiche dell’83 a Roma, nelle quali sarà eletto deputato per la prima volta.
Ma il grande salto Fini sta per farlo nelle gerarchie interne del partito.
Nel 1986 si ammala Giorgio Almirante, che, alla Festa del Tricolore a Mirabello, prima del Congresso di Sorrento dell’87, annuncia che non si ricandiderà e indica come suo successore proprio Gianfranco Fini. Questo avvicendamento, in pratica una cooptazione di un delfino più che il frutto di una scelta competitiva, è del tutto in linea con la tradizione di un partito che ha avuto, in quasi cinquant’anni, cinque segretari in tutto, un partito in cui, quindi, successioni concordate nel segno della continuità e gestioni di lungo periodo sono sempre state la norma. <29
Il congresso di Sorrento non sarà tranquillo. I fedelissimi di Almirante, a fianco del segretario per vent’anni, saranno sorpresi (e, forse, anche un po’ delusi) dalla scelta del loro leader di preferire loro un giovane militante di soli trentasei anni. Scelta che, come detto, Almirante fa perché è convinto che il futuro del Msi sia lontano dalle nostalgie ma vicino al moderatismo. Fini non è in alcun modo compromesso col regime fascista né con la RSI, è nato ben dopo l’estinzione di entrambi. Inoltre, la cultura politica di Fini è ben diversa dal militantismo neofascista ed oltre a rappresentare un punto di svolta per il partito, egli potrà mantenere una certa continuità con la linea almirantiana.
Gli almirantiani, però, non trovano un’intesa e si presentano al congresso in liste divise. Si presentano quattro liste totali: i giovani almirantiani con Gianfranco Fini, i radicali intransigenti della sinistra interna di Pino Rauti, i veterani almirantiani con Franco Maria Servello, braccio destro dello stesso Almirante per decenni nonché vicesegretario, e la lista di Domenico Mennitti, candidatosi all’ultimo momento. La lotta è serrata, il partito non si può governare col 51% delle preferenze: i voti di Servello diventano decisivi. Interviene, quindi, Almirante:
"Il vecchio leader scende direttamente in campo e convoca Servello per convincerlo a ritirarsi allo scopo di favorire Fini: vuole evitare a tutti i costi che Rauti approfitti della loro divisione. Il vicesegretario temporeggia, si consiglia con i suoi e cerca di resistere. Solo quando si riuniscono gli stati generali dell’aerea almirantiana il dualismo Servello-Fini si risolve con un compromesso: corrono ambedue per la segreteria, ma chi arriva secondo alla prima votazione, nel ballottaggio farà convergerei suoi voti sull’altro". <30
Nel frattempo, Giuseppe “Pinuccio” Tatarella, lo storico braccio destro di Fini, conduce una incessante ricerca di consensi per il suo amico Gianfranco, guadagnando alcune decine di voti.
Arriva il momento delle votazioni: il primo scrutinio termina con Fini a 532 voti, Rauti a 441, Servello 224 e Mennitti 157. Sarà Fini ad andare al ballottaggio contro Rauti: Servello ora deve far confluire i suoi voti su Fini. Avviene l’ultimo, determinante incontro, in cui Servello accetta una volta per tutte di far confluire i suoi voti su Fini, però, in cambio, sarà il nuovo capogruppo alla Camera. Al ballottaggio, con uno scarto di appena 119 voti, Fini viene eletto segretario. <31
Il nuovo segretario non esordisce nelle migliori circostanze: il partito è diviso, quasi la metà dei delegati non lo ha votato, a maggio ’88 dovrà affrontare la scomparsa di Almirante e Romualdi. Finché il vecchio segretario era ancora in vita, Fini poteva godere della sua protezione e proseguire nella sua linea neo-almirantiana non solo al sicuro dalle opposizioni interne, ma anche guidato dallo stesso Almirante. Ma dopo la sua morte, per il nuovo segretario sarà più difficile gestire i dissidi interni e cablare il proprio operato. Andrea Ungari, in un saggio sulla trasformazione del Msi, delinea puntualmente l’ambiguità ideologica del primo Fini:
"In Fini vi era un’ambivalenza, probabilmente personale ancor prima che tattica, tra un’adesione, più o meno frutto di riflessione convinta, ai principi ispiratori del fascismo e la volontà di far sì che questa adesione non portasse a una cristallizzazione politica, ma fosse il presupposto dell’agire concreto del partito". <32
La prima segreteria Fini durerà poco. Nel gennaio ’90, al XVI Congresso del Msi, a Rimini, Pino Rauti riesce a prevalere su Fini per 740 voti a 697: la linea dello sfondamento a sinistra tanto cara al neosegretario, convinto che il fascismo fosse “rivoluzionario”, può finalmente trovare esecuzione. <33 Tuttavia, tale approccio non riserverà i risultati sperati: alle prime, e uniche, elezioni amministrative vissute dalla sua segreteria, il Msi di Rauti, ne esce praticamente dimezzato ottenendo il peggior risultato di sempre, 3.9%; declino simile anche in Sicilia un anno dopo. Il Comitato Centrale sancisce il fallimento della segreteria Rauti, già dimissionario e caduto, fra l’altro, sulla posizione adottata (pro USA) riguardo la guerra del Golfo, spaccando la sua stessa corrente, e il 6 luglio del ’91, all’hotel Ergife di Roma elegge, di nuovo, Gianfranco Fini alla segreteria, paradossalmente nel nome del recupero della tradizione; <34 una carica, questa che manterrà per altri quattro anni. Sarà l’ultimo segretario del Msi.
[NOTE]
28 G. LOCATELLI - D. MARTINI, Duce addio: la biografia di Gianfranco Fini, Loganesi, Milano, 1994, p. 57 e ss.
29 M. TARCHI, Cinquant’anni di nostalgia, Rizzoli, Milano, 1995, p.169
30 G. LOCATELLI - D. MARTINI, op. cit., p. 94-95
31 Ibidem
32 A. UNGARI, Da Fini a Fini. La trasformazione del Movimento sociale italiano in Alleanza nazionale in Due Repubbliche. Politiche e istituzioni in Italia dal delitto Moro a Berlusconi, M. GERVASONI - A. UNGARI (a cura di), Rubbettino, Soveria Mannelli, 2014, p.242
33 A. ROVERI, Gianfranco Fini. Una storia politica. Dal movimento sociale italiano a futuro e libertà, libreriauniversitaria.it, Limena, 2011, p.15
34 P. IGNAZI, op. cit, p. 90.
Pietro Blandini, Dal Movimento sociale italiano ad Alleanza nazionale: da Almirante a Fini, Tesi di laurea, Università Luiss "Guido Carli", Anno accademico 2019/2020