Gianni Cervetti riporta le riflessioni raccolte tra gli operai registrando problemi di orientamento rispetto al rapporto con la violenza e con le forze dell’ordine: "A Bologna, parlando con i compagni e con molte persone presenti alla manifestazione promossa in risposta agli scontri dell’11 marzo, erano evidenti incertezze e dubbi tra gli operai e nelle organizzazioni sindacali. L’atteggiamento poi da assumere nei confronti della polizia e del suo operato era quasi una cartina di tornasole: ci si chiedeva se la polizia deve essere considerata un organo e uno strumento dello Stato democratico o addirittura un nemico da battere, magari non con la violenza, ma con la denuncia della sua estraneità allo Stato democratico" <926. Queste riflessioni ancora presenti all’interno della classe operaia danno in qualche modo la stura delle difficoltà del Pci e della Cgil nel far digerire alla propria base la nuova strategia politica di collaborazione inaugurata dopo le elezioni del 1976. Gli interrogativi espressi sull’atteggiamento da tenere nei confronti delle forze dell’ordine sono indicative anche della concezione e del retaggio culturale della classe operaia.
L’intervento conclusivo è tenuto da Giorgio Napolitano che esprime le posizioni della segreteria: "La nostra Repubblica va difesa contro chiunque l’attacca e la insidia ed in questa difesa non ci devono essere esitazioni, anche quando la minaccia viene da movimenti e gruppi che si autodefiniscono proletari, rivoluzionari, di ultrasinistra e che però, in sostanza, mirano a colpire ed a travolgere le istituzioni democratiche e che ormai proclamano d’altronde apertamente come loro nemico fondamentale lo schieramento operaio e il Pci" <927.
La risposta del Pci al partito armato passa quindi attraverso l’organizzazione delle masse e l’individuazione precisa dei gruppi violenti isolandoli e contrastandoli. L’obiettivo diventa quello di dividere le diverse formazioni estremiste, aprendo al loro interno delle contraddizioni e provando a recuperarne una parte. Per rispondere alla strategia degli attacchi autonomi contro il Pci nelle scuole e nelle università, il partito decide di costruire un movimento giovanile unitario basato su grandi temi politici come il rifiuto della violenza e dell’intolleranza, l’alleanza tra giovani e movimento operaio.
PCI e CGIL di fronte alla violenza diffusa
In queste concitate settimane Torino è al centro dell’opinione pubblica. La città si prepara al primo processo contro i capi storici delle Br che rifiutano di difendersi. I brigatisti minacciano apertamente gli avvocati che accetteranno il mandato d’ufficio accusandoli di collaborazionismo. Il 4 aprile intanto il tribunale di Bologna respinge le istanze presentate dall’Ordine degli avvocati torinesi, in quanto le minacce subite dai difensori non vengono ritenute gravi, né credibili e quindi non perseguibili. Ma non si tratta di semplici minacce verbali. Nel giro di una settimana si susseguono infatti episodi delittuosi. Il 20 aprile un commando composto da 3 persone spara numerosi colpi di pistola contro Dante Notaristefano, ex segretario della Dc torinese, ma la mira è sbagliata e il dirigente democristiano è illeso <928. Il 22 aprile Antonio Munari, capo officina della Fiat viene invece colpito alle gambe a poche centinaia di metri dalla Fiat Mirafiori. Entrambi gli attentati vengono rivendicati dalle Brigate rosse <929. Ma non è finita. Il 28 aprile, un altro truce e simbolico delitto scuote la città di Torino. Le Br uccidono, nell’androne del suo studio, il presidente dell’Ordine degli avvocati torinesi Fulvio Croce. Cinque colpi pistola alla testa e al torace spezzano la vita di un uomo la cui colpa è quella di aver designato i difensori d’ufficio dei brigatisti al processo fissato per il 3 maggio <930. La notizia del delitto sconvolge l’intera città e irrompe durante la seduta del Consiglio regionale. Il Presidente Dino Sanlorenzo interrompe i lavori esprimendo durissime parole di condanna: "Esprimiamo la più forte condanna nei confronti di questo nuovo episodio di terrorismo politico nella lunga serie di attentati che hanno colpito Torino. Dall’uccisione del brigadiere Ciotta fino agli attentati contro le sedi di partiti e associazioni, all’aggressione al capo-officina della Fiat e all’esponente democristiano Notaristefano, ben trenta sono gli episodi criminosi avvenuti solo nell’ultimo mese a Torino e in Piemonte. Tutto ciò indica che Torino sta diventando il nuovo epicentro di una forma di terrorismo estremamente pericoloso e preoccupante per la particolare odiosità e vigliaccheria che la contraddistinguono. Essa si rivolge contro i cittadini che altra colpa non hanno se non quella di rivestire cariche pubbliche o di svolgere determinate funzioni" <931. Le forze politiche si appellano alla cittadinanza affinché non si lasci intimorire e chiedono a chi venga chiamato di assolvere con senso civico alle funzione di giudice popolare. Ma la paura di una rappresaglia da parte delle Br è altissima e nei giorni successivi sulla scrivania di Guido Barbaro, presidente della Corte d’Assise, si accumulano pile di certificati medici che chiedono l’esonero per sindrome depressiva. Per il giudice istruttore Gian Carlo Caselli è “la traduzione in termini clinici della paura” <932. A causa dell’impossibilità di comporre il collegio la Corte è costretta a rinviare a tempo indeterminato il processo, mentre la magistratura tenta di dare una risposta compatta al delitto. Il Consiglio superiore della magistratura chiede esplicitamente al governo l’assunzione di un decreto legge sospensivo della custodia cautelare in casi di terrorismo in cui si legge: "I termini massimi della custodia preventiva sono sospesi in caso di impossibilità di regolare svolgimento del giudizio e, nei procedimenti avanti la Corte d’assise, anche in caso di impossibilità di formazione del collegio, sempre che tali impossibilità derivino da fatti di eccezionale gravità ovvero da comportamento dell’imputato o del difensore tendente ad impedire lo svolgimento del giudizio" <933.
La questione relativa all’accettazione o meno delle funzioni di giudice popolare è al centro di un’aspra polemica tra alcuni importanti intellettuali e il Pci. Eugenio Montale, ad esempio, intervistato da «Il Corriere della Sera» risponde: "Se fosse stato estratto il mio nome non credo avrei accettato. Sono un uomo come gli altri ed avrei avuto paura come gli altri. Una paura giustificata dallo stato attuale delle cose, ma non metafisica, né sostanziale" <934.
Alessandro Galante Garrone, magistrato ed ex comandante partigiano, risponde all’intervista di Montale scrivendo di non essere convinto dal catastrofismo del poeta: “la Repubblica non è in agonia e non è irrimediabilmente sconfitta perché attorno ad essa si stringe la grandissima maggioranza degli italiani” <935. Al fianco di Galante Garrone si schiera Italo Calvino sostenendo che “lo Stato consiste soprattutto di cittadini democratici che non si arrendono” <936.
Norberto Bobbio dal canto suo scrive che la ragione lo spinge a ritenere impossibile che la fine della Repubblica possa essere evitata: "Le Br sono riuscite a impedire lo svolgimento del processo di Torino perché si sono dimostrate, rispetto al potere deterrente, che è o dovrebbe essere l’estrema risorsa dello Stato, più credibile dello Stato stesso" <937. Il filosofo prende le distanze dai «fanatici» che vogliono la catastrofe e dai «fatui» che pensano che alla fine tutto si sarebbe accomodato. Ma il pessimismo, è secondo Bobbio un dovere civile perché solo il pessimismo radicale della ragione avrebbe potuto ridestare «qualche fremito» in coloro che non si stavano accorgendo di quanto stava avvenendo. Giorgio Amendola risponde accusando Bobbio di avere una concezione aristocratica della lotta politica. Scrive il dirigente comunista: "Nel paese si manifestano ben più che i fremiti evocati da Bobbio e ogni giorno contro il terrorismo emerge il coraggio politico di chi vuole salvaguardare le conquiste della Resistenza. Preannunciare una sconfitta sicura quando la battaglia è ancora in corso significa, a mio parere, non essere pessimisti, ma semplicemente disfattisti. […] non è il momento di fuggire o di capitolare di fronte al terrorismo. È il momento della più ferma intransigenza per respingere con coraggio il ricatto della violenza. Purtroppo il coraggio civico non è mai stato una qualità ampiamente diffusa in larghe sfere della cultura italiana" <938. Anche il giudizio di Giorgio Bocca è molto duro: "A Torino le Brigate rosse hanno vinto e la giustizia dello Stato democratico si è arresa, vergognosamente: avvocati divisi, giudici popolari piangenti, magistrati sbiancati dalla paura" <939.
Il governo dal canto suo reagisce inasprendo le misure di polizia <940 nel momento stesso in cui risponde negativamente alla richiesta degli agenti di costituire un sindacato all’interno delle tre Confederazioni dopo che migliaia di assemblee hanno deciso le tappe per la nascita dell’organizzazione <941. Netta la presa di posizione in questo senso del commissario Ennio Di Francesco del Coordinamento per il sindacato di polizia che ribadisce la necessità democratica della costituzione di un sindacato libero per gli agenti: "Sindacato di polizia, breve parola che è sintesi sociale di anni di lotte. Come tutti i movimenti di pensiero in termini di riscatto della dignità umana e di democrazia anche questo è passato attraverso inevitabili tappe di dura repressioni, di sottili lusinghe.[…] Ma tutto questo non sarebbe valso a nulla o peggio, in cilena disciplina, non potremmo neppure parlarne oggi se non si fosse realizzata quella sensibilizzazione di voi tutti lavoratori accanto al problema del sindacato di polizia. Così sia pure attraverso momenti di iniziale diffidenza ci siamo incontrati, lavoratori tra i lavoratori, nelle fabbriche, nei quartieri. […] in questo quadro di crescita democratica i poliziotti intendono dire no alla loro utilizzazione quale braccio secolare del potere, da utilizzare nei conflitti sociali, dalla cui comprensione è stato sinora tenuto gelosamente lontano nella gabbia del corpo separato, dà il senso più profondo del perché del sindacato di polizia" <942.
Il sangue è oramai una costante nelle piazze italiane e a Roma conosce in quei mesi di aprile e maggio una nuova fiammata. Il 21 aprile la polizia interviene all’università occupata da alcuni giorni. Gruppi di autonomi sparano e uccidono l’agente Settimio Passamonti <943. Nella notte, accanto alla chiazza di sangue viene lasciato un truce e orrendo messaggio: «qui c’era un caramba, il compagno Lorusso è «vendicato». È una spirale di odio ormai irreversibile.
[...] Il 20 maggio è Massimo D’Alema a intervenire su «Rinascita» per spingere i gruppi extraparlamentari a prendere le distanze dagli autonomi: "Non è più possibile sostenere che, stando a fianco a chi è armato con una P38, non è facile rendersi conto se si tratta di un autonomo o di un agente provocatore. Finalmente si comincia a sgomberare il campo da stupidaggini irresponsabili tipo compagni che sbagliano o da fumose giustificazioni sociologiche della violenza. […] la posizione diffusa in molti gruppi e militanti della sinistra di non sentire la democrazia, questa democrazia italiana, come cosa propria, ha radici profonde nel rifiuto di ogni democrazia organizzata. […] gli autonomi sono una banda squadristica dai torbidi collegamenti e vanno combattuti e isolati" <950.
Nel stesso tempo le Br allargano il campo dello scontro contro lo Stato lanciando una campagna di azioni contro la stampa e colpendo quei giornalisti che a loro giudizio hanno contribuito a dare una visione fuorviante e mistificatoria del brigatismo. Il primo giornalista a essere colpito in tale ottica è il vicedirettore de «Il Secolo XIX» di Genova, Vittorio Bruno, ferito alle gambe il 1° giugno 1977. Il giorno dopo è la volta del direttore de «Il Giornale» Indro Montanelli, mentre il 3 giugno a Roma viene colpito Emilio Rossi, direttore del telegiornale del primo canale. Nel volantino di rivendicazione di quest’ultima azione le Br spiegano come nell’ambito di quella campagna ancora non hanno sparato per uccidere ma ciò non significa non essere pronte a farlo. Con l’attentato a Rossi si conclude la prima parte della campagna contro la stampa che riprenderà in autunno.
[...] La replica di Berlinguer arriva il giorno dopo con una lunga lettera su «La Stampa» in cui il segretario del Pci spiega di aver parlato di «nuovo squadrismo» e di «nuovi fascisti» riferendosi solo ai gruppi autonomi armati, in relazione alle violenze di questi ultimi: "Coloro che con l’etichetta dell’autonomia scatenano le aggressioni, le violenze, le devastazioni più cieche e gratuite usando armi proprie e improprie; coloro che dichiarano di voler agire come partito armato contro ogni istituzione della nostra società civile; coloro che programmaticamente scelgono come bersaglio dei loro attacchi teppistici e delle loro azioni criminali il movimento operaio organizzato e quindi anche il Pci, i suoi dirigenti, i suoi militanti, i suoi giornalisti; coloro che non esitano a imporre la loro prevaricazione persino a chi da essi dissente nell’area dell’estremismo; ebbene, costoro non possono rappresentare una corrente con cui, fosse pure da distanze abissali, sia possibile tentare di stabilire un dialogo. Con tutti gli altri sì" <959.
A Bologna, durante la tre giorni organizzata dalla sinistra extraparlamentare, va in scena un duro confronto fra i leader dell’Autonomia, intenzionati a rovesciare la logica legalitarie di alcune componenti studentesche per trasformare il convegno in un momento di lotta contro le istituzioni democratiche, e i militanti di Lotta continua che invece sono intenzionati a denunciare la repressione dello Stato restando quindi nella logica tematica del convegno. È questo l’ultimo confronto pubblico e di massa, prima delle definitive derive e disgregazioni <960. Uno degli effetti del convegno è infatti la dimostrazione che le distanze fra le due parti sono ormai divenute insanabili.
[NOTE]
926 I comunisti e la questione giovanile, Atti della sessione del Comitato centrale del Pci, Roma, 14-16 marzo 1977, cit., Intervento di Cervetti, p. 332.
927 Ivi, Intervento di Napolitano, p. 361.
928 Due giovani e una donna sparano otto colpi di rivoltella contro l’ex segretario della Dc, in «La Stampa», 21 aprile 1977.
929 Le Br feriscono un capofficina Fiat con otto colpi di pistola alle gambe, in «La Stampa», 23 aprile 1977.
930 Assassinato il presidente degli avvocati di Torino: sono state le Brigate rosse?, in «La Stampa», 29 aprile 1977.
931 Il discorso del Presidente del Consiglio regionale del Piemonte Dino Sanlorenzo del 28 aprile 1977 è in Una Regione contro il terrorismo, cit., p. 60.
932 G. Caselli, D. Valentini, Anni spietati. Torino racconta violenza e terrorismo, Roma-Bari, Laterza, 2011, p. 81.
933 Il testo del decreto legge proposto dal Consiglio superiore della magistratura è riportato in E. R. Papa, Il processo alle Brigate rosse: Brigate rosse e difesa d’ufficio: documenti (Torino, 17 maggio 1976 -23 giugno 1978), Torino,
Giappichelli Editori, 1979, p. 43.
934 Intervista ad Eugenio Montale, in «Il Corriere della Sera», 3 maggio 1977.
935 A. Galante Garrone, Il coraggio di essere giusti, in «La Stampa», 8 maggio 1977.
936 I. Calvino, Al di là della paura, in «Il Corriere della Sera», 11 maggio 1977.
937 N. Bobbio, Il dovere di essere pessimisti, in La Stampa, 15 maggio 1977.
938 Intervista a Giorgio Amendola in «L’Espresso», 5 giugno 1977.
939 G. Bocca, A Torino vince la paura. Mancano i giudici: rinviato il processo delle Br, in «la Repubblica», 4 maggio 1977.
940 Proteste dei partiti e precisazioni del governo. La polizia sparerà solo per legittima difesa, in «la Repubblica», 24 aprile 1977; Misure di polizia. Intercettazioni telefoniche, fermo preventivo e carceri più severe, in «la Repubblica», 5 maggio 1977.
941 L’intervento di Fedeli al Consiglio sindacale, in «la Repubblica», 9 gennaio 1977; Il progetto Dc nega agli agenti il sindacato libero, in «la Repubblica», 6 aprile 1977; «Ordine pubblico», ottobre 1977.
942 As Cgil nazionale, Problemi pubblica sicurezza. Sindacato polizia. Realizzare il sindacato di polizia nell’interesse del paese. Intervento di Ennio Di Francesco al Congresso confederale della Cgil, 16 giugno 1977, fascicolo 19, b. 29.
943 Un agente assassinato, in «la Repubblica», 22 aprile 1977.
950 M. D’Alema, Liberare il movimento dall’infezione della violenza, in «Rinascita», 20 maggio 1977.
959 E. Berlinguer, Chi sono i nuovi fascisti, in «La Stampa», 23 settembre 1977; Cfr., anche E. Berlinguer, Con chi non è possibile dialogare, in «l’Unità», 23 settembre 1977.
960 G. Bocca, Un fatto inedito nella vita politica del paese, in «la Repubblica», 27 settembre 1977.
Francescopaolo Palaia, La Cgil e il Pci fra violenza terroristica e radicalità sociale (1969-1982), Tesi di dottorato, Università degli Studi "Sapienza" - Roma, Anno Accademico 2016-2017
L’intervento conclusivo è tenuto da Giorgio Napolitano che esprime le posizioni della segreteria: "La nostra Repubblica va difesa contro chiunque l’attacca e la insidia ed in questa difesa non ci devono essere esitazioni, anche quando la minaccia viene da movimenti e gruppi che si autodefiniscono proletari, rivoluzionari, di ultrasinistra e che però, in sostanza, mirano a colpire ed a travolgere le istituzioni democratiche e che ormai proclamano d’altronde apertamente come loro nemico fondamentale lo schieramento operaio e il Pci" <927.
La risposta del Pci al partito armato passa quindi attraverso l’organizzazione delle masse e l’individuazione precisa dei gruppi violenti isolandoli e contrastandoli. L’obiettivo diventa quello di dividere le diverse formazioni estremiste, aprendo al loro interno delle contraddizioni e provando a recuperarne una parte. Per rispondere alla strategia degli attacchi autonomi contro il Pci nelle scuole e nelle università, il partito decide di costruire un movimento giovanile unitario basato su grandi temi politici come il rifiuto della violenza e dell’intolleranza, l’alleanza tra giovani e movimento operaio.
PCI e CGIL di fronte alla violenza diffusa
In queste concitate settimane Torino è al centro dell’opinione pubblica. La città si prepara al primo processo contro i capi storici delle Br che rifiutano di difendersi. I brigatisti minacciano apertamente gli avvocati che accetteranno il mandato d’ufficio accusandoli di collaborazionismo. Il 4 aprile intanto il tribunale di Bologna respinge le istanze presentate dall’Ordine degli avvocati torinesi, in quanto le minacce subite dai difensori non vengono ritenute gravi, né credibili e quindi non perseguibili. Ma non si tratta di semplici minacce verbali. Nel giro di una settimana si susseguono infatti episodi delittuosi. Il 20 aprile un commando composto da 3 persone spara numerosi colpi di pistola contro Dante Notaristefano, ex segretario della Dc torinese, ma la mira è sbagliata e il dirigente democristiano è illeso <928. Il 22 aprile Antonio Munari, capo officina della Fiat viene invece colpito alle gambe a poche centinaia di metri dalla Fiat Mirafiori. Entrambi gli attentati vengono rivendicati dalle Brigate rosse <929. Ma non è finita. Il 28 aprile, un altro truce e simbolico delitto scuote la città di Torino. Le Br uccidono, nell’androne del suo studio, il presidente dell’Ordine degli avvocati torinesi Fulvio Croce. Cinque colpi pistola alla testa e al torace spezzano la vita di un uomo la cui colpa è quella di aver designato i difensori d’ufficio dei brigatisti al processo fissato per il 3 maggio <930. La notizia del delitto sconvolge l’intera città e irrompe durante la seduta del Consiglio regionale. Il Presidente Dino Sanlorenzo interrompe i lavori esprimendo durissime parole di condanna: "Esprimiamo la più forte condanna nei confronti di questo nuovo episodio di terrorismo politico nella lunga serie di attentati che hanno colpito Torino. Dall’uccisione del brigadiere Ciotta fino agli attentati contro le sedi di partiti e associazioni, all’aggressione al capo-officina della Fiat e all’esponente democristiano Notaristefano, ben trenta sono gli episodi criminosi avvenuti solo nell’ultimo mese a Torino e in Piemonte. Tutto ciò indica che Torino sta diventando il nuovo epicentro di una forma di terrorismo estremamente pericoloso e preoccupante per la particolare odiosità e vigliaccheria che la contraddistinguono. Essa si rivolge contro i cittadini che altra colpa non hanno se non quella di rivestire cariche pubbliche o di svolgere determinate funzioni" <931. Le forze politiche si appellano alla cittadinanza affinché non si lasci intimorire e chiedono a chi venga chiamato di assolvere con senso civico alle funzione di giudice popolare. Ma la paura di una rappresaglia da parte delle Br è altissima e nei giorni successivi sulla scrivania di Guido Barbaro, presidente della Corte d’Assise, si accumulano pile di certificati medici che chiedono l’esonero per sindrome depressiva. Per il giudice istruttore Gian Carlo Caselli è “la traduzione in termini clinici della paura” <932. A causa dell’impossibilità di comporre il collegio la Corte è costretta a rinviare a tempo indeterminato il processo, mentre la magistratura tenta di dare una risposta compatta al delitto. Il Consiglio superiore della magistratura chiede esplicitamente al governo l’assunzione di un decreto legge sospensivo della custodia cautelare in casi di terrorismo in cui si legge: "I termini massimi della custodia preventiva sono sospesi in caso di impossibilità di regolare svolgimento del giudizio e, nei procedimenti avanti la Corte d’assise, anche in caso di impossibilità di formazione del collegio, sempre che tali impossibilità derivino da fatti di eccezionale gravità ovvero da comportamento dell’imputato o del difensore tendente ad impedire lo svolgimento del giudizio" <933.
La questione relativa all’accettazione o meno delle funzioni di giudice popolare è al centro di un’aspra polemica tra alcuni importanti intellettuali e il Pci. Eugenio Montale, ad esempio, intervistato da «Il Corriere della Sera» risponde: "Se fosse stato estratto il mio nome non credo avrei accettato. Sono un uomo come gli altri ed avrei avuto paura come gli altri. Una paura giustificata dallo stato attuale delle cose, ma non metafisica, né sostanziale" <934.
Alessandro Galante Garrone, magistrato ed ex comandante partigiano, risponde all’intervista di Montale scrivendo di non essere convinto dal catastrofismo del poeta: “la Repubblica non è in agonia e non è irrimediabilmente sconfitta perché attorno ad essa si stringe la grandissima maggioranza degli italiani” <935. Al fianco di Galante Garrone si schiera Italo Calvino sostenendo che “lo Stato consiste soprattutto di cittadini democratici che non si arrendono” <936.
Norberto Bobbio dal canto suo scrive che la ragione lo spinge a ritenere impossibile che la fine della Repubblica possa essere evitata: "Le Br sono riuscite a impedire lo svolgimento del processo di Torino perché si sono dimostrate, rispetto al potere deterrente, che è o dovrebbe essere l’estrema risorsa dello Stato, più credibile dello Stato stesso" <937. Il filosofo prende le distanze dai «fanatici» che vogliono la catastrofe e dai «fatui» che pensano che alla fine tutto si sarebbe accomodato. Ma il pessimismo, è secondo Bobbio un dovere civile perché solo il pessimismo radicale della ragione avrebbe potuto ridestare «qualche fremito» in coloro che non si stavano accorgendo di quanto stava avvenendo. Giorgio Amendola risponde accusando Bobbio di avere una concezione aristocratica della lotta politica. Scrive il dirigente comunista: "Nel paese si manifestano ben più che i fremiti evocati da Bobbio e ogni giorno contro il terrorismo emerge il coraggio politico di chi vuole salvaguardare le conquiste della Resistenza. Preannunciare una sconfitta sicura quando la battaglia è ancora in corso significa, a mio parere, non essere pessimisti, ma semplicemente disfattisti. […] non è il momento di fuggire o di capitolare di fronte al terrorismo. È il momento della più ferma intransigenza per respingere con coraggio il ricatto della violenza. Purtroppo il coraggio civico non è mai stato una qualità ampiamente diffusa in larghe sfere della cultura italiana" <938. Anche il giudizio di Giorgio Bocca è molto duro: "A Torino le Brigate rosse hanno vinto e la giustizia dello Stato democratico si è arresa, vergognosamente: avvocati divisi, giudici popolari piangenti, magistrati sbiancati dalla paura" <939.
Il governo dal canto suo reagisce inasprendo le misure di polizia <940 nel momento stesso in cui risponde negativamente alla richiesta degli agenti di costituire un sindacato all’interno delle tre Confederazioni dopo che migliaia di assemblee hanno deciso le tappe per la nascita dell’organizzazione <941. Netta la presa di posizione in questo senso del commissario Ennio Di Francesco del Coordinamento per il sindacato di polizia che ribadisce la necessità democratica della costituzione di un sindacato libero per gli agenti: "Sindacato di polizia, breve parola che è sintesi sociale di anni di lotte. Come tutti i movimenti di pensiero in termini di riscatto della dignità umana e di democrazia anche questo è passato attraverso inevitabili tappe di dura repressioni, di sottili lusinghe.[…] Ma tutto questo non sarebbe valso a nulla o peggio, in cilena disciplina, non potremmo neppure parlarne oggi se non si fosse realizzata quella sensibilizzazione di voi tutti lavoratori accanto al problema del sindacato di polizia. Così sia pure attraverso momenti di iniziale diffidenza ci siamo incontrati, lavoratori tra i lavoratori, nelle fabbriche, nei quartieri. […] in questo quadro di crescita democratica i poliziotti intendono dire no alla loro utilizzazione quale braccio secolare del potere, da utilizzare nei conflitti sociali, dalla cui comprensione è stato sinora tenuto gelosamente lontano nella gabbia del corpo separato, dà il senso più profondo del perché del sindacato di polizia" <942.
Il sangue è oramai una costante nelle piazze italiane e a Roma conosce in quei mesi di aprile e maggio una nuova fiammata. Il 21 aprile la polizia interviene all’università occupata da alcuni giorni. Gruppi di autonomi sparano e uccidono l’agente Settimio Passamonti <943. Nella notte, accanto alla chiazza di sangue viene lasciato un truce e orrendo messaggio: «qui c’era un caramba, il compagno Lorusso è «vendicato». È una spirale di odio ormai irreversibile.
[...] Il 20 maggio è Massimo D’Alema a intervenire su «Rinascita» per spingere i gruppi extraparlamentari a prendere le distanze dagli autonomi: "Non è più possibile sostenere che, stando a fianco a chi è armato con una P38, non è facile rendersi conto se si tratta di un autonomo o di un agente provocatore. Finalmente si comincia a sgomberare il campo da stupidaggini irresponsabili tipo compagni che sbagliano o da fumose giustificazioni sociologiche della violenza. […] la posizione diffusa in molti gruppi e militanti della sinistra di non sentire la democrazia, questa democrazia italiana, come cosa propria, ha radici profonde nel rifiuto di ogni democrazia organizzata. […] gli autonomi sono una banda squadristica dai torbidi collegamenti e vanno combattuti e isolati" <950.
Nel stesso tempo le Br allargano il campo dello scontro contro lo Stato lanciando una campagna di azioni contro la stampa e colpendo quei giornalisti che a loro giudizio hanno contribuito a dare una visione fuorviante e mistificatoria del brigatismo. Il primo giornalista a essere colpito in tale ottica è il vicedirettore de «Il Secolo XIX» di Genova, Vittorio Bruno, ferito alle gambe il 1° giugno 1977. Il giorno dopo è la volta del direttore de «Il Giornale» Indro Montanelli, mentre il 3 giugno a Roma viene colpito Emilio Rossi, direttore del telegiornale del primo canale. Nel volantino di rivendicazione di quest’ultima azione le Br spiegano come nell’ambito di quella campagna ancora non hanno sparato per uccidere ma ciò non significa non essere pronte a farlo. Con l’attentato a Rossi si conclude la prima parte della campagna contro la stampa che riprenderà in autunno.
[...] La replica di Berlinguer arriva il giorno dopo con una lunga lettera su «La Stampa» in cui il segretario del Pci spiega di aver parlato di «nuovo squadrismo» e di «nuovi fascisti» riferendosi solo ai gruppi autonomi armati, in relazione alle violenze di questi ultimi: "Coloro che con l’etichetta dell’autonomia scatenano le aggressioni, le violenze, le devastazioni più cieche e gratuite usando armi proprie e improprie; coloro che dichiarano di voler agire come partito armato contro ogni istituzione della nostra società civile; coloro che programmaticamente scelgono come bersaglio dei loro attacchi teppistici e delle loro azioni criminali il movimento operaio organizzato e quindi anche il Pci, i suoi dirigenti, i suoi militanti, i suoi giornalisti; coloro che non esitano a imporre la loro prevaricazione persino a chi da essi dissente nell’area dell’estremismo; ebbene, costoro non possono rappresentare una corrente con cui, fosse pure da distanze abissali, sia possibile tentare di stabilire un dialogo. Con tutti gli altri sì" <959.
A Bologna, durante la tre giorni organizzata dalla sinistra extraparlamentare, va in scena un duro confronto fra i leader dell’Autonomia, intenzionati a rovesciare la logica legalitarie di alcune componenti studentesche per trasformare il convegno in un momento di lotta contro le istituzioni democratiche, e i militanti di Lotta continua che invece sono intenzionati a denunciare la repressione dello Stato restando quindi nella logica tematica del convegno. È questo l’ultimo confronto pubblico e di massa, prima delle definitive derive e disgregazioni <960. Uno degli effetti del convegno è infatti la dimostrazione che le distanze fra le due parti sono ormai divenute insanabili.
[NOTE]
926 I comunisti e la questione giovanile, Atti della sessione del Comitato centrale del Pci, Roma, 14-16 marzo 1977, cit., Intervento di Cervetti, p. 332.
927 Ivi, Intervento di Napolitano, p. 361.
928 Due giovani e una donna sparano otto colpi di rivoltella contro l’ex segretario della Dc, in «La Stampa», 21 aprile 1977.
929 Le Br feriscono un capofficina Fiat con otto colpi di pistola alle gambe, in «La Stampa», 23 aprile 1977.
930 Assassinato il presidente degli avvocati di Torino: sono state le Brigate rosse?, in «La Stampa», 29 aprile 1977.
931 Il discorso del Presidente del Consiglio regionale del Piemonte Dino Sanlorenzo del 28 aprile 1977 è in Una Regione contro il terrorismo, cit., p. 60.
932 G. Caselli, D. Valentini, Anni spietati. Torino racconta violenza e terrorismo, Roma-Bari, Laterza, 2011, p. 81.
933 Il testo del decreto legge proposto dal Consiglio superiore della magistratura è riportato in E. R. Papa, Il processo alle Brigate rosse: Brigate rosse e difesa d’ufficio: documenti (Torino, 17 maggio 1976 -23 giugno 1978), Torino,
Giappichelli Editori, 1979, p. 43.
934 Intervista ad Eugenio Montale, in «Il Corriere della Sera», 3 maggio 1977.
935 A. Galante Garrone, Il coraggio di essere giusti, in «La Stampa», 8 maggio 1977.
936 I. Calvino, Al di là della paura, in «Il Corriere della Sera», 11 maggio 1977.
937 N. Bobbio, Il dovere di essere pessimisti, in La Stampa, 15 maggio 1977.
938 Intervista a Giorgio Amendola in «L’Espresso», 5 giugno 1977.
939 G. Bocca, A Torino vince la paura. Mancano i giudici: rinviato il processo delle Br, in «la Repubblica», 4 maggio 1977.
940 Proteste dei partiti e precisazioni del governo. La polizia sparerà solo per legittima difesa, in «la Repubblica», 24 aprile 1977; Misure di polizia. Intercettazioni telefoniche, fermo preventivo e carceri più severe, in «la Repubblica», 5 maggio 1977.
941 L’intervento di Fedeli al Consiglio sindacale, in «la Repubblica», 9 gennaio 1977; Il progetto Dc nega agli agenti il sindacato libero, in «la Repubblica», 6 aprile 1977; «Ordine pubblico», ottobre 1977.
942 As Cgil nazionale, Problemi pubblica sicurezza. Sindacato polizia. Realizzare il sindacato di polizia nell’interesse del paese. Intervento di Ennio Di Francesco al Congresso confederale della Cgil, 16 giugno 1977, fascicolo 19, b. 29.
943 Un agente assassinato, in «la Repubblica», 22 aprile 1977.
950 M. D’Alema, Liberare il movimento dall’infezione della violenza, in «Rinascita», 20 maggio 1977.
959 E. Berlinguer, Chi sono i nuovi fascisti, in «La Stampa», 23 settembre 1977; Cfr., anche E. Berlinguer, Con chi non è possibile dialogare, in «l’Unità», 23 settembre 1977.
960 G. Bocca, Un fatto inedito nella vita politica del paese, in «la Repubblica», 27 settembre 1977.
Francescopaolo Palaia, La Cgil e il Pci fra violenza terroristica e radicalità sociale (1969-1982), Tesi di dottorato, Università degli Studi "Sapienza" - Roma, Anno Accademico 2016-2017