domenica 10 agosto 2025

Un comandante polacco tra i partigiani della provincia di Savona


Alla metà di marzo [1944] la base partigiana della Val Casotto, che ospitava tra gli altri decine di savonesi, era stata spazzata via da un massiccio rastrellamento condotto da truppe alpine tedesche equipaggiate con armi pesanti, e buona parte dei sopravvissuti si diresse verso la provincia di Savona, dando nuova linfa al locale movimento di resistenza. Ancor prima del rastrellamento, ai primi del mese, era tornato nella zona di Santa Giulia di Dego il “Biondino”, conosciuto tra i badogliani come “Folgore”, che, sfuggito ad un agguato a Ceva, aveva ritenuto opportuno riparare nei pressi di casa - era cresciuto tra la valle Uzzone e Piana Crixia - per organizzarvi una nuova banda. Qui iniziò la sua leggenda nera fatta di uccisioni spietate, brillanti azioni di guerriglia, rapine feroci, piccoli e grandi favori ai contadini della zona e una guerra senza quartiere contro i fascisti, cui il “Biondino” (che pure era stato orgogliosamente volontario in Etiopia intuendo laggiù il potere delle armi) imputava tutti i guai della sua difficile esistenza di trovatello <38. Avendo vissuto i giorni migliori della sua vita con un’arma in pugno, accanto ad autentiche imprese da guerrigliero, che citerò più avanti, il “Biondino” si rese responsabile di decine di atti di violenza che, pur contestualizzati nel clima da tregenda della guerra civile e di classe che spazzava le Langhe in quei mesi, non si possono scindere dalla sua mentalità contadina, ristretta e tendenzialmente paranoica. In altre parole, a Santa Giulia tra il marzo e l’agosto del 1944, mentre da un lato il gruppo si legava ai garibaldini della Sedicesima Brigata guidata dall’operaio comunista astigiano Angelo Prete “Device”, che a più riprese intervenne per disciplinarne l’azione, il “Biondino” fu un autentico ras partigiano, amato e temuto al tempo stesso, con potere di vita e di morte sui suoi stessi uomini, cui peraltro non faceva mai mancare il necessario. La sua non fu una Resistenza in senso stretto, una scelta politica e morale meditata e sofferta, ma piuttosto una guerra di vendetta personale contro un mondo che si era intromesso in una vita già precaria e difficile. Sommando questi fattori alla natura violenta, sospettosa, impulsiva e al tempo stesso semplice ed influenzabile del personaggio, il risultato fu una miscela esplosiva che rese Santa Giulia e dintorni scenari da Far West <39, e il “Biondino” un po’ pirata, un po’ pistolero, un po’ partigiano. Elencare le decine di vittime attribuitegli - in buona parte per coprire responsabilità altrui - sarebbe lungo. Va tenuto presente che tali persone furono eliminate per i motivi più svariati, dalla colpa di essere fascisti o parenti di fascisti e per giunta benestanti alla denuncia di un vicino rancoroso o geloso, all’essere sospettati di spionaggio o tradimento <40. Ma anche altrove non si andava tanto per il sottile. Il 15 aprile ad Osiglia, ormai in zona d’influenza garibaldina, furono assassinati a tradimento tre reduci “maurini” di Val Casotto. Si trattava del genovese tenente Mario Ardù, ex comandante del distaccamento dei “Baracconi” e in seguito medaglia d’argento alla memoria, di Ugo Rizzo, di Bordighera, e del monregalese Guido Gennari. Avevano deciso di costituire un nuovo distaccamento intuendo il valore strategico del luogo, ma furono prontamente eliminati da una squadra di “irregolari”, con tutta probabilità garibaldini, desiderosi di vendicare il tradimento di San Giacomo di Roburent <41.
In quei giorni, al “Calcagno” che procedeva inquadrando ed organizzando nuove reclute, si aggiunsero altri piccoli gruppi di insorti, incoraggiati dall’arrivo della primavera oppure spinti alla ribellione dai nuovi bandi di reclutamento della RSI e dalle sempre più dure rappresaglie. Un esempio di questo tipo di unità partigiane, spontaneiste ed inesperte, è dato dalla breve vicenda della “Brigata Tom” <42, un nucleo di una cinquantina di giovani della zona di Pietra Ligure riunitosi intorno al capitano Tommaso Carpino “Tom”. Il gruppo, sommariamente armato, alla fine di marzo controllava e amministrava il paese di Giustenice accumulando armi e viveri in previsione dell’attività futura. Ma, dopo aver disarmato un militare tedesco, fu rapidamente disperso da un rastrellamento nazifascista. In seguito, nello stesso paese si installò una nuova formazione di una ventina di uomini comandati dal genovese tenente Renato Boragine <43. Erano tutti militari, diffidenti nei confronti dei partigiani di provenienza civile che consideravano inadatti al combattimento. Sfuggiti ad un primo rastrellamento ritirandosi sulle montagne sopra Bardineto, i partigiani in uniforme caddero infine in un’imboscata. Boragine venne poi fucilato il 13 settembre 1944; a guerra finita gli fu conferita la medaglia d’oro al valor militare <44. Intanto proseguiva la repressione contro i renitenti alla leva. Il 5 aprile una puntata di rastrellamento italo-tedesca su Calizzano, Bardineto, Murialdo e Millesimo portò alla cattura dei renitenti Nicola e Romolo Maritano, Antonio e Pietro Revetria e Dino Rinaldi, poi fucilati a Ceva <45.
Mentre vari gruppetti isolati nascevano per poi disperdersi, i garibaldini del “Calcagno”, trasferitisi per qualche tempo a Pian dei Corsi, tra Calice Ligure e Bormida, aumentavano di numero fino a raggiungere a primavera inoltrata le 150 unità. La migliorata organizzazione un po’ in tutti i settori fece il resto, pur in una situazione che richiedeva ancora una notevole dose di prudenza. Creati i vari servizi necessari alla propria sicurezza e sussistenza, il distaccamento istituì una “squadra volante” composta di elementi scelti agli ordini di “Mario”. Tale unità fungeva al tempo stesso da commando per le prime operazioni di guerriglia e da polizia partigiana, agendo sovente a notevole distanza dalle basi per non attirare il nemico sul distaccamento ancora in fase di accrescimento, e quindi gravato di reclute inesperte <46. Intanto in marzo a Savona era stata costituita l’intendenza di zona (per il Comando effettivo bisognerà attendere agosto) con sede in via Vanini per opera di Carlo Farini “Simon”, ispettore delle Brigate Garibaldi per il Ponente ligure, Vincenzo Mistrangelo “Marcello”, futuro Commissario di zona, e Angelo Aime “Giorgio”. Con l’aiuto del Fronte della Gioventù, dei Gruppi di Difesa della Donna (l’organizzazione femminile del PCI) e delle nascenti SAP, vennero creati diversi depositi di armi, munizioni, viveri, abiti e medicinali: i primi due erano siti a Savona in via Buscaglia e a Valleggia di Quiliano <47. Con tutto ciò “Mirto”, intendente del “Calcagno”, doveva fare i salti mortali per sfamare i suoi compagni. I partigiani potevano nutrirsi pressoché esclusivamente di castagne, patate, polenta e legumi, sempre che ci fossero. L’arrivo di carne, pasta o riso era un evento memorabile. Grazie ad una fiancheggiatrice il distaccamento poté disporre di alcune tessere annonarie; qualche fornaio riusciva a stornare dei sacchi di farina dalla razione assegnatagli, ma solo correndo gravi rischi perché la sorveglianza delle autorità sui forni era (giustamente, data la situazione alimentare) assai rigida. Con l’avanzare della primavera le azioni del “Calcagno” <48 si fecero più numerose, nel duplice intento di portare scompiglio tra le fila nemiche e, diciamolo, di farsi pubblicità presso un’opinione pubblica ancora scossa dalla ferocia della repressione. Mentre “Leone” e “Vela” tessevano la rete dei collegamenti scarpinando per sentieri tra un paese e l’altro, reclutando collaboratori e cercando di creare “squadre di villaggio” intese come SAP di montagna, le squadre in cui era suddiviso il distaccamento si dedicavano a recuperi e sabotaggi. Alcuni partigiani, con la copertura delle SAP locali, prelevarono dalla stazione di Vado Ligure teli ferroviari da riutilizzare per l’accampamento; altri tre, scesi nottetempo fino a Zinola, tra Vado e Savona, fecero deragliare un treno militare con una potente carica esplosiva. Analoghi sabotaggi interruppero in quei giorni le linee ferroviarie a Sella, tra Savona ed Altare, e a Varigotti. Il 1° maggio fu festeggiato a dovere: bandiere rosse apparvero in molti punti del capoluogo, suscitando viva apprensione nelle forze dell’ordine. Lo stesso giorno il distaccamento “Calcagno”, occupato il paese di Osiglia, ascoltò insieme ai contadini del posto un breve comizio dell’avv. Campanile imperniato sui temi della guerra di liberazione. Il 3 maggio una puntata di un’ottantina tra tedeschi e bersaglieri fu stornata ritirandosi senza accettare il combattimento, essendo gli uomini ancora troppo inesperti e in parte disarmati.
A questo punto è necessario ricordare che il comandante del distaccamento “Calcagno” non era più “Noce”, bensì “Enrico”. Il vero nome del nuovo comandante suonava ben poco ligure, anzi quasi minaccioso: ma Hermann Wygoda era un nemico implacabile del nazifascismo. Ebreo ed ex capitano dell’esercito polacco, sfuggito con fredda audacia alla sorte dei suoi correligionari fingendosi un ingegnere Volksdeutsch (di sangue tedesco ma nato all’est) al servizio dell’Organizzazione Todt, Wygoda era giunto a Savona alla fine del 1943 con la ferma intenzione di procurarsi un mezzo per riparare in Corsica, isola già tenuta dagli Alleati. Una delazione aveva portato al suo arresto da parte della polizia militare tedesca la quale, nulla sapendo circa la sua vera identità, sospettava fosse una spia britannica. Fuggito dal carcere in modo incredibile, dopo aver vagato per molti giorni tra il Monregalese ed il Savonese Wygoda si insediò nei pressi delle Tagliate in compagnia di due disertori della Wehrmacht. Fu qui che venne contattato da Carlo Farini “Simon” e da Angelo Bevilacqua “Leone”, che avevano avuto notizia della sua presenza. Ai due non parve vero di trovare un elemento militarmente capace e al tempo stesso al di sopra di ogni bega locale, e ben presto gli chiesero di assumere il comando, cosa che il polacco fece dopo aver esposto le sue linee guida per l’organizzazione di squadre, comando e servizi. Subito dopo Wygoda si recò a contattare di persona gli altri gruppi partigiani sparsi per la provincia <49.
[NOTE] 
38.    F. Sasso, Il Biondino: eroe o sanguinario?, Rocchetta di Cairo, G.Ri.F.L., 2000, pp. 11 - 14, 17 - 18, 56, 57 - 58.
39.    Ibidem, p. 87.
40.    Ibidem, passim. Gli esempi sono svariati, e danno un quadro dolorosamente vivido della crudezza della guerra civile.
41.    Ibidem, pp. 159 - 161.
42.    Narrata in E. De Vincenzi, O bella ciao…cit., pp. 27 - 32.
43.    Ibidem, pp. 32 - 33.
44.    R. Badarello - E. De Vincenzi, op. cit., p. 348.
45.    G. Gimelli, op. cit., vol. I, p. 198.
46.    Vedi R. Badarello - E. De Vincenzi, op. cit., p. 93.
47.    Ibidem, p. 96.
48.    Per le azioni del “Calcagno” in primavera vedi in ibidem, pp. 94 - 95.
49.    H. Wygoda, In the shadow of the Swastika, Urbana and Chicago, University of Illinois Press, 1998, pp. 93-110
Stefano d'Adamo, Savona Bandengebiet. La rivolta di una provincia ligure ('43-'45), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 1999-2000

martedì 5 agosto 2025

Il lungo percorso espositivo attraversa geograficamente l’Italia da nord a sud

L'apertura del "Festival of Italy" di Philadelphia (22 gennaio 1961). Fonte: Temple

Il lavoro di ricerca presso l’Archivio di Stato di Firenze si è infine focalizzato su di un’ultima manifestazione promozionale allestita negli Stati Uniti: il Festival of Italy.
L’interesse e lo studio verso l’iniziativa sono scaturiti proprio in Archivio, notando alcuni riferimenti riportati nell’elenco sommario degli “Album” fornitomi dalla Dott.ssa Fattori (responsabile dell’“Archivio della Moda Italiana Giovann Battista Giorgini”) durante il mio periodo fiorentino di ricerca. Gli Album la cui documentazione interna è datata “1961”, riportavano infatti in nota dettagli relativi a un generico “Festival of Italy al Commercial Museum di Philadelphia (U.S.A)”.
Il termine “Festival” è presto indice di una rassegna, una parata o un’esposizione, dedicata ovviamente alla Nazione Italia e allestita entro uno spazio museale americano. I margini idealmente tracciati con il solo riferimento del titolo, inducono a pensare si tratti di un’altra iniziativa promozionale che abbia coinvolto la figura e le competenze di Giorgini. Se l’episodio del “transatlantico della moda” è risultato accennato in qualche sporadica pubblicazione dedicata alla storia della moda italiana, il Festival of Italy - che pure di moda si occupa - appare invece del tutto privo di riferimenti bibliografici, commenti e interpretazioni a riguardo. La constatazione è (ri)prova che la bibliografia in circolazione abbia da sempre evitato di approfondire quel contesto internazionale del secondo dopoguerra entro cui si è mosso il primo successo del “Made in Italy” e che ne è di fatto l’artefice.
Il materiale d’Archivio è dunque ancora la sola fonte attraverso la quale è stato possibile ricostruire la dinamica dell’evento <480. Nell’elenco sommario sopracitato tre Album riportano indicazioni circa il Festival of Italy: i numeri 35, 37 e 38. Inoltrata la richiesta di consultazione, i numeri d’inventario si sono però dimostrati errati, in quanto i documenti sono stati collocati e rintracciati negli Album 34, 36 e 37 <481.
Nelle tre cartelle, sono state individuate carte di diversa tipologia. Nell’Album 34 sono stati raccolti il programma, il calendario e le brochure originali dell’evento; la lista della copertura mediatica coinvolta; i comunicati stampa diffusi dall’Ambasciata Italiana di Washington e una sezione dedicata ai così detti “speciale per un’articolata”; qualche articolo americano e due note relative alla campagna televisiva. Nell’Album 36 sono custoditi lettere e telegrammi indirizzati a Giorgini e datati prima e dopo la manifestazione. L’Album 37, il più piccolo, è infine dedicato alla seconda parte del Festival e ribattezzata Italy Today.
Rispetto al fascicolo dedicato al transatlantico che raccoglie soprattutto articoli di cronaca e dal taglio “mondano” (caratteri giustificati dall’impostazione volutamente frivola data all’evento), i documenti del Festival hanno un’impronta più diplomatica e istituzionale in quanto l’iniziativa, come si vedrà, ha ottenuto il patrocinio non solo del Governo italiano ma anche di importanti istituzioni americane: il contenuto dei ritagli rinuncia quindi al brillante pettegolezzo, registrando al contrario gli aspetti più concreti relativi l’organizzazione del Festival, annotando percentuali e statistiche e rivelando la precisa struttura e le dinamiche che hanno sostenuto l’intero progetto promozionale (dedotte invece nel caso del “transatlantico della moda”).
Stante la presenza di due diversi Album, durante il lavoro sulle carte d’Archivio si sono dovuti incrociare e confrontare i documenti contenuti negli Album 34 e 36 per restituire un racconto che potesse presentare la logica sottesa la preparazione dell’evento.
2.2 - La ricostruzione della manifestazione
Ancor prima di sfogliarlo, l’Album 34 appare particolare: interamente rivestito in pelle nera, sulla copertina presenta una silhouette femminile tracciata a spruzzo con una bomboletta argentata. La sagoma è appena delineata, ma disegna perfettamente un lungo abito da sera. Accanto, è infatti incollato l’invito a un “Gala Presentation of Italian High Fashion and Ball”, in programma la sera di giovedì 23 febbraio 1961 nella sala da ballo della “Convention Hall” di Philadelphia.
Lo studio dei documenti ha in seguito svelato che la serata è stata parte di un’immensa manifestazione allestita tra il 21 gennaio e il 26 marzo 1961 negli spazi americani del “Commercial Museum” di Philadelphia: il Festival of Italy, un’esposizione in onore del centesimo anniversario dell’unificazione italiana e del decimo anniversario de “l’unificazione di una delle più grandi arti creative d’Italia: il disegno e l’esecuzione di moda” <482.
Prima di ricostruire gli eventi legati alla celebrazione dei primi dieci anni della moda italiana - ai quali sono dedicati la maggior parte dei documenti presenti in Archivio in quanto hanno coinvolto personalmente la figura di Giorgini - è stato necessario definire il più generale contesto culturale, museale e istituzionale del Festival, entro cui è stata poi collocata la sfilata e gli eventi a essa collegata.
Un Bollettino del “Trade and Convention Center” di Philadelphia annota l’impegno di un anno per organizzare il Festival of Italy: l’intento è delineare, rappresentare e allestire la più completa panoramica possibile d’Italia, tracciandone un profilo che sia al contempo storico e culturale, industriale ed economico <483. L’ambizione è tale, che il progetto è considerato “la più grande rassegna dedicata al centenario italiano al di fuori di Torino” <484.
Gli spazi del “Trade and Convention Center” sono individuati quale cornice più adatta e confacente alle esigenze della manifestazione: si tratta infatti di un complesso di edifici polivalenti comprendente, tra gli altri, la “Convention Hall” e il “Commercial Museum”. A giustificare la scelta è l’“Italian-American Herald” che, presentando l’istituto museale quale primo del suo genere negli Stati Uniti e divenuto dunque prototipo internazionale per il modello del museo di tipo commerciale, ne descrive la perfetta versatilità perché molto flessibile rispetto alla pluralità dei temi che si vogliono trattare in mostra <485.
I 35.000 metri quadrati dei quattro piani del museo garantiscono infatti l’allestimento di ben ventisei sezioni espositive, ciascuna narrante una digressione italiana <486: Civiltà antiche, che ripercorre i contributi e le influenze delle civiltà greca, etrusca e romana alla cultura italiana; Galleria rinascimentale, che espone i capolavori dello stile decorativo rinascimentale in un’ala del museo allestita con uno scenografico colonnato di marmo e soffitti a pannelli; il Centro tematico è invece un richiamo a Piazza San Pietro in Vaticano e ne riproduce il celebre colonnato del Bernini e la fontana funzionante e sgorgante di Carlo Maderno; la sezione Risorgimento accompagna il visitatore nella storia della costruzione dello stato italiano; l’ala Turismo e Viaggi illustra le più famose attrazioni turistiche del Paese su gigantografie fotografiche e come un’agenzia turistica espone mappe e cartine geografiche, banners, costumi regionali e modellini di aerei e treni; la sezione Industria espone i progressi della tecnologia quali automobili, macchine da ufficio e da lavoro e ripercorre la storia dei grandi gruppi industriali Fiat e Olivetti attraverso pannelli e manifesti luminosi; Architetture by Nervi è invece una piccola sezione monotematica interamente dedicata all’architetto Pier Luigi Nervi; Editoria e Stampa ha raccolto ed espone i migliori titoli dell’editoria d’arte e d’archeologia stampati dall’Ufficio Stampa del Governo italiano; nel reparto Riproduzioni dei maestri italiani sono collocate realistiche riproduzioni a colori dei dipinti più celebri, concesse dal medesimo Ufficio Stampa; mentre nella più generica Libreria Commerciale è esposto materiale documentario dedicato all’Italia; il reparto Nuove generazioni dell’arte italiana illustra i più recenti e migliori risultati nella pittura, nel disegno, nella scultura e nella pratica del collage.
A metà percorso i curatori hanno allestito il cosiddetto Cafè il Gatto, un “lounge rinfrescante”, come viene descritto nel volantino. Si tratta della zona ristoro della mostra, progettata in modo tale da restituire l’impressione di trovarsi in un bar lungo la passeggiata dell’isola di Capri.
L’itinerario prosegue verso la sezione Fashion Goods, che espone i prodotti della moda e dell’artigianato italiani quali capi di maglieria, gioielli, ceramiche e vetri; Shoppers Arcade è una scenografica strada cittadina riproducente le vie dello shopping italiano quali la milanese Montenapoleone e la romana Condotti, sulla quale si affacciano le vetrine di negozi arredati secondo lo stile italiano e allestite con capi d’importazione italiana offerti dai retail stores di Philadelphia; il Padiglione siciliano, costruito in Italia e allestito in America, è un settore monotematico dedicato alla regione Sicilia; Arte e Artigianato sardo espone ceste, tappetti, ceramiche e gioielli provenienti dalla seconda grande isola dello Stivale; Export-Import Pier è una piccola esibizione collaterale di beni di consumo, che attraverso pannelli illustrativi ripercorre la storia delle trattative commerciali italo-americane; Mosaici di Ravenna illustra una collezione di mosaici moderni realizzati però con l’antica tecnica bizantina; Tessuti contemporanei mostra il meglio della produzione tessile italiana, offerta da quaranta manifatture; Interior Design ricrea piccoli allestimenti e interni domestici, arredati con mobili e suppellettili italiani; nella generica Arti Decorative sono invece raccolti tessuti, mobili e abiti italiani tipici del XIX Secolo; The Italian in America è un omaggio a tutti gli italiani che hanno contribuito a migliorare lo stile di vita americano; L’Italia onora i Philadelphiani espone le fotografie di illustri cittadini di Philadelphia che hanno ricevuto incarichi e onorificenze dalla Repubblica italiana; Arte dell’infanzia riserva uno spazio ai dipinti realizzati dai bimbini delle scuole italiane; Arte di Nivola è un’ala monotematica dedicata alle sculture di sabbia dell’artista italo-americano Costantino Nivola; e infine la sezione Figurini della Commedia dell’Arte espone statuine ceramiche riproducenti i personaggi tradizionali del teatro italiano, prestate dall’attore Joseph Cotten.
Il lungo percorso espositivo attraversa geograficamente l’Italia da nord a sud, si snoda tra le sue arti e le sue industrie, penetra nella sua storia e ne restituisce un excursus completo che omaggia l’Italia tra cliché, aneddoti e aspetti più concreti e incisivi.
La mostra che celebra il centesimo anniversario italiano rappresenta però solo una parte di una manifestazione che è stata ragionevolmente pensata e definita come un “Festival”: il termine è infatti esplicativo di una rassegna più articolata e che, come una parata, sia diffusa oltre lo spazio museale.
I documenti presenti in Archivio - ritagli di giornale, memorandum e brochure - registrano infatti un fitto calendario di iniziative e incontri, atti a coinvolgere i cittadini in alcuni eventi dall’eco italiana: le compagnie “Philadelphia Orchestra” e “Metropolitan Opera Company of New York” propongono concerti di lirica italiana; il “Philadelphia Ballet Guild” offre balletti moderni e tradizionali; “I Vivaci Choral Group”, “The Contemporary Chamber Music of Philapdelphia” e l’“Emerita String Orchestra” propongono concerti di musica classica, popolare e folcloristica. Dimostrazioni di cucina italiana, letture dal vivo dei classici della letteratura italiana e spettacoli di marionette sono allestiti negli spazi del “Trade Center”; la “Philadelphia Chamber of Commerce” calendarizza una conferenza sul tema del commercio con l’Italia; l’“Accademy of Music” di Philadelphia invita Luciano Tajoli e Betty Curtis, recenti vincitori dell’ultima edizione del Festival di San Remo, per una performance dal vivo; e il “Commercial Museum”, in collaborazione con il “Philadelphia Board of Education”, predispone i servizi educativi per le centinaia di scuole che hanno già prenotato una visita.
A eccezione dei concentri lirici, tutti gli eventi sopracitati sono gratuiti e a ingresso libero, (pur se gratuiti, alcuni prevendono però un ingresso a numero chiuso e la prenotazione). Riservati e su invito sono invece i ricevimenti allestiti negli spazi del “Commercial Museum” dai più importanti gruppi civici della città, quale l’“Ordine Figli d’Italia in America” (i “Sons of Italy”, la più antica organizzazione fraterna italo-americana), l’“Italian-American Society”, la “Foreign Traders Association”, la “Delaware Valley Industrial Editors” e la “Press Photographers Associations” che organizzano banchetti nel Museo, cui seguono visite speciali alla mostra. Infine, anche l’Università e la Chiesa Battista si riservano uno spazio nel corso della manifestazione <487.
L’aspetto più interessante del fuori-mostra è però la proiezione di film e documentari i cui titoli sono evocativi dello spirito italiano che in quei mesi circola a Philadelphia: “Ancient Paestum”, “Ancient Rome”, “Life in Rome”, “Rise of the Roman Empire”, “People of Venice”, “The Renaissance”, “The titan Michelangelo”, “Patient Hands”, “Miracle of the Grape”, “University of Bologna”, “Rome of Bernini”, “Oggi e Domenica”, “Roads of Italy”, “Fun across the Sea”, “Castles of Italy”, “Florence, Athens of Italy” <488.
I titoli in programma ripercorrono in parte le sezioni del percorso museale (come a voler completare la mostra), altri introducono invece l’ospite in sala ad alcune tematiche turistico-culturali tipicamente italiane quali i castelli, i litorali, l’immancabile artigianato e la viticoltura. Il dettaglio è stato oggetto d’indagine e dalle carte degli Album è infatti emerso il contributo apportato al Festival of Italy dall’Italian State Tourist Office di New York, che in collaborazione con le compagnie di trasporto “Italia - Società di Navigazione” e “ALITALIA” ha organizzato con i rispettivi rappresentati incontri dedicati a “racconti di viaggio illustrato” <489. Emerge nuovamente quella componente
turistico-vacanziera già riscontrata negli inserti pubblicitari diffusi proprio dall’Italian State Tourist Office per sponsorizzare l’Italia del dopoguerra e i viaggi a bordo dei suoi transatlantici.
L’idea di un moderno Grand Tour è quindi (ri)proposta con insistenza, rafforzando l’immagine di un Paese ospitale e accogliente. Ripercorrendo anche la proposta d’intrattenimento che accompagna il Festival of Italy si è notata una corrispondenza con temi e soggetti “italiani” già notificati a proposito dei transatlantici quali la rinomata cucina italiana, o le marionette e il folclore popolare spesso citati negli arredi interni delle navi. È dunque possibile affermare che il Festival prosegua lungo quella linea di propaganda già individuata e che verte sulle pontiane “Leggende d’Italia”.
La notevole operazione istituzionale, museale, culturale e promozionale dispiegata per impostare l’evento, rese il Festival of Italy di Philadelphia “[…] la cosa più grande che avessimo mai avuto qui” <490.
Ad aver favorito il successo dell’intera manifestazione, tale da esser stata definita dalla stampa “the top story of the year”, è però quel Gala Presentation of Italian High Fashion and Ball di cui si è parlato in apertura e che ha costituito il momento centrale e più atteso del Festival. A confermare la rilevanza della sfilata di moda italiana (e degli eventi a essa collegati) sono alcune carte rinvenute negli Album: “The Gala Fashion will remain the highlight of the winter’s events” <491; “Fashion Show will be considered the climax of the Festival”; “One the most brilliant shows ever staged in the Trade Center” <492; “Festival focus for Fashion” <493.
I brevi trafiletti testimoniano quanto la struttura del Festival sia stata sostenuta e retta dalla moda, che si è confermata e avvalorata quale matrice della fama italiana in America.
Alcuni documenti d’Archivio registrano infatti gli effetti che il settore italiano della moda ha generato nel volgersi di un solo decennio.
[NOTE]
480 La recensione della manifestazione è però stata nuovamente rintracciata sul “New York Times”, confermando l’interesse del quotidiano americano verso le iniziative promozionali italiane, Anonimo, Italian Festival for Philadelphia; Industry-Culture Exhibition Dating to Etruscans Will Open in Museum Jan. 21, “The New York Times”, 11 dicembre 1960, p. 142.
481 La tabella riassuntiva il lavoro d’inventariazione dovrebbe dunque essere corretta, in quanto ciascun Album inventariato quale depositario dei documenti inerenti al Festival of Italy, deve essere retrocesso di un numero, evitando futuri errori nella richiesta di consultazione. I tre Album sono disponibili per la consultazione al pubblico.
482 “This year is the 100th Anniversary of the Unification of Italy. It is also the Tenth Anniversary of the unification of one of the greatest creative arts of Italy: the design and execution of fashions”. Dall’introduzione della brochure d’invito al Gala Presentation of Italian High Fashion and Ball, AGBG, Album 34, Documento 11. Una copia del cartoncino d’invito è stata rinvenuta anche nell’Album 37, Documento 89, pag. c3.
483 Il bollettino, diffuso dall’ente ospitante nell’aprile del 1961, raccoglie e sintetizza alcune informazioni circa il Festival da dopo conclusosi, in AGBG, Album 34, Documento 56, Festival of Italy brings Story and Spirit of Country to Commercial Museum, “Trade and Convention Center News”, Vol. 1, n. 7, aprile 1961, Philadelphia, Penna.
484 È con questa espressione che in una sua lettera Mr. Harry Ferleger, direttore esecutivo del “Board of Trade and Convention Center”, descrive il Festival a Giorgini, in attesa che il conte fiorentino lo raggiunga a Philadelphia per la sfilata di moda. In Album 36, Documento 31, AGBG, lettera battuta a macchina da Ferleger, indirizzata a Giorgini e datata 10 febbraio 1961. (A quella data, il Festival era infatti iniziato già da tre settimane e Giorgini sarebbe giunto in America solo il 18 febbraio. Ferleger lo aggiorna dunque sull’andamento della manifestazione). Citando Torino, Ferleger si riferisce a Torino 61 (TO’61 - Italia 61), la manifestazione italiana che avrebbe celebrato il primo centenario dell’unità d’Italia, in programma dal 6 maggio al 31 ottobre 1961 nel capoluogo piemontese e il programma della quale prevedeva una Mostra Storica dell'Unità d'Italia, la Mostra delle Regioni Italiane, la Mostra delle bandiere, l'Esposizione Internazionale del Lavoro; e ben 18 eventi collaterali tra i quali raduni d'Arma, la Mostra Internazionale del Fiore, mostre d'arte, congressi, convegni, spettacoli e una mostra dedicata alla moda e al costume. Una copia originale de Italia 61: guida ufficiale, è consultabile nella biblioteca digitale del sito museotorino.it.
485 AGBG, Album 36, Documento 30, Festival of Italy Program Guide, “Italian-American Herald”, Vol. 1, n. 1. La testata è individuata quale “official newspeaper” dell’evento, in quanto giornale di riferimento per la comunità italo-americana e la cui autorevolezza è riconosciuta tanto dalla città di Philadelphia quanto dal Governo italiano. La copertura mediatica garantita dal giornale durante le dieci settimane del Festival sarà dunque la più estesa e completa. A puntualizzarlo, è lo stesso giornale in un proprio articolo, in AGBG, Album 34, Documento 115, A year with the Herald: Festival Top Story, 10 maggio 1961. 
486 L’elenco delle sezioni che ora viene fornito non è casuale ma segue l’esatto ordine riportato sul bollettino del “Trade and Convention Center”. Si è dedotto che le diverse sezioni siano state citate seguendo il percorso espositivo proposto in mostra, in AGBG, Album 34, Documento 56, Festival of Italy brings Story and Spirit of Country to Commercial Museum, “Trade and Convention Center News”, Vol. 1, n. 7, aprile 1961, Philadelphia, Penna. Il dettaglio circa la superficie espositiva del museo è invece riportato in AGBG, Album 36, Documento 20/b, Italian Festival for Philadelphia, “The New York Times”, 11 dicembre 1960.
487 La lista dei concerti di musica lirica è pubblicata in uno degli innumerevoli volantini pubblicitari conservati in Archivio: Aida, Tosca, Cavalleria Rusticana, I Pagliacci, Rigoletto, La Bohème, Madama Butterfly, L’Elisir D’Amore, Lucia di Lammermoor, Il Nabucco e Turandot, in AGBG, Album 36, Documento 29, p. 5 della brochure.
La diffusione del calendario degli eventi collaterali è invece affidata all’“Italian-American Herald”: il 15 e il 22 febbraio si tiene la dimostrazione di cucina dello chef Dione Lucas; il 18 febbraio è previsto il ballo dei “Sons of Italy” e il 20 febbraio sono attesi i vincitori del Festival sanremese; il 21 febbraio è riservato alla conferenza e al banchetto della Camera di Commercio; il 25-26 febbraio e il 19 marzo è allestito lo spettacolo di marionette italiane offerte dal “Theatre of the Little Hands” e il 18 marzo è allestito il ballo per il centenario de “Italian-American Society”. Per quanto irrilevante, il calendario è stato riportato in nota in quanto la maggior parte degli eventi in programma risultano concentrati nella settimana del soggiorno americano di Giorgini, che giunge negli Stati Uniti il 18 febbraio e vi si fermerà almeno fino al 24. L’ipotesi è che la presenza della delegazione fiorentina possa attirare curiosi e spettatori al Museo. L’articolo del giornale che riporta il programma è infatti titolato Fashions to highlight Festival of Italy, in AGBG, Album 34, Documento 78, “Italian-American Herald”, 12 febbraio 1961. L’elenco dei ricevimenti allestiti dagli enti e delle istituzioni cittadine è infine riportato in un bollettino del museo, in AGBG, Album 34, Documento 56, Festival of Italy brings Story and Spirit of Country to Commercial Museum, “Trade and Convention Center News”, Vol. 1, n. 7, aprile 1961, Philadelphia, Penna.
488 Le proiezioni, proposte ogni sabato e domenica nelle settimane comprese tra il 21 gennaio e il 26 marzo, fissano due spettacoli pomeridiani, alle 13:30 e alle 15:30. L’elenco dei film è stato rintracciato in un “memorandum” di Mr. Harry Ferleger del “Board of Trade and Convention Center” collocato nell’Album 37, Documento 2. Si fissino i titoli delle pellicole, in quanto temi e soggetti dei documentari saranno recuperati nelle inserzioni pubblicitarie americane.
489 È ancora il bollettino del “Trade and Convention Center” a notificare gli incontri proposti dall’Italian State Tourist Office, in AGBG, Album 34, Documento 56, Festival of Italy brings Story and Spirit of Country to Commercial Museum. La collaborazione con la compagnia aerea “ALITALIA” sarà approfondita più avanti. Si consideri invece l’Italian State Tourist Office, che capitolo dopo capitolo continua a essere protagonista del racconto. Attraverso i propri annunci turistici sta accogliendo la narrazione italiana proposta anno dopo anno negli Stati Uniti: quindi il racconto artigiano del secondo capitolo (1947-1952), il messaggio vacanziero dei transatlantici nel terzo (1953-1955) e ora - a fianco della stessa Società di Navigazione - quale sponsor del Festival. L’istituto ha dunque ha avuto un ruolo di prim’ordine nella promozione postbellica della Nazione.
490 Il commento è di Mr. Harry Ferleger che un mese prima dell’inaugurazione della manifestazione, ma già perfettamente consapevole dell’intricata macchina organizzativa e delle forze coinvolte, rilascia un’intervista al “New York Times” ammettendo “It will be the biggest thing we’ve ever had here”. E conclude dicendo che il comitato di cui è direttore esecutivo, si aspetta più di 250.000 visitatori in sole 10 settimane, in AGBG, Album 36, Documento 20/b, Italian Festival for Philadelphia, “The New York Times”, 11 dicembre 1960.
491 Il commento è emerso in un telegramma di augurio inviato da Richard Dilworth (sindaco di Philadelphia e presidente del “Fashion Committee” di cui si parlerà più avanti) a Giorgini, con il quale si complimenta per l’esito della sua sfilata, in AGBG, Album 36, Documento 19, 15 marzo 1961.
492 La doppia citazione è riportata in AGBG, Album 34, Documento 57, 10.000 Jam Festival of Italy to establish One-Day Mark, “Italian-American Herald”, Vol. 1, n. 22, giovedì 2 marzo 1961. Per l’occasione, il giornale apporrà il sottotitolo Commemorating the Festival of Italy.
493 L’espressione è in realtà il titolo di un articolo, che già in apertura dichiara l’attenzione che il Festival ha riservato alla moda, in AGBG, Album 34, Documento 73, Festival focus for fashions, “Italian-American Herald”, 9 febbraio 1961.
Clara Pellegris, Homo Faber. La ricostruzione identitaria italiana e la nascita del “Made in Italy”, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Bergamo, Anno Accademico 2019-2020 

giovedì 24 luglio 2025

Dopo i ripetuti bombardamenti alleati al ponte di ferro sul fiume Po, i tedeschi organizzarono attracchi per traghetti

 

Valenza (IM): Palazzo Pelizzari, sede del Municipio - Fonte: Wikipedia

Le montagne dell'Ossola, le colline del Monferrato, le Langhe, la Val Borbera, l'Oltrepo pavese sono tutti luoghi che hanno vissuto una propria e caratterizzante storia resistenziale, oggi di facile ricostruzione e lettura.
Per le città, ciò difficilmente avviene.
Valenza ne è prova. Una città, organizzata e viva, porta con sé un patrimonio di relazioni fra istituzioni, fra poteri pubblici, centri di riferimento economico e sociale.
Negli anni 30'- 40' Valenza, pur in presenza dell'autarchia di Regime, era legata a filo doppio con Alessandria e Casale Monferrato; sviluppava relazioni con la Lomellina, con Pavia e Milano, con Genova e Torino.
Le vie di comunicazione stradale e ferroviaria erano adeguate, poste a raggiera, con frequenti intersezioni verso Milano, Torino e Genova; il Po fungeva da confine fisico fra Piemonte e Lombardia, ma anche da via di traffico e comunicazione naturale.
Le aziende orafe e calzaturiere alimentavano traffici a dimensione più ampia, oltre i confini italiani; i gerarchi fascisti erano correlati al capoluogo provinciale e da qui verso Torino e Roma; le scuole servivano parecchi paesi limitrofi, con scambi di culture fra contadini, operai, artigiani, imprenditori; il Regime aveva da decenni promosso ed organizzato il consenso, con tutte le varie iniziative di proselitismo e indottrinamento.
Era una città articolata, fatta di vissuto diverso, una città aperta e geograficamente polarizzante.
Furono proprio questi fattori a far decidere gli occupanti tedeschi a scegliere Valenza come centro per collocarvi comandi di polizia, squadre di milizie SS, sezione SD Sicherheit Dienst, militari della Wehrmacht, l'organizzazione Todt, la Zugleitung, postazioni di contraerea della Flak, gruppi di genio pontieri.
La presenza tedesca si rafforzò, dopo che Alessandria divenne sempre più frequente bersaglio dei bombardamenti alleati.
A Valenza venne trasferito il comando provinciale delle truppe tedesche. Non solo, vennero intensificati tutti i controlli sulle vie di comunicazione, sulla rete ferroviaria, sul fiume Po, ad ogni attracco di barche e sui vari ponti di attraversamento fra Trino, Casale e Valenza.
In questo contesto va collocata la storia resistenziale di Valenza, una città occupata dai tedeschi perchè ritenuta strategica, una città cerniera fra due regioni, una città sotto il dominio capillare della K 1014 Kommandantur e l'ausilio delle rinate presenze repubblichine, con comandi della G.N.R. e Brigate Nere.
Pur in questo difficile contesto, sorsero le formazioni GAP (gruppi di azione patriottica) di Enzo Luigi Guidi, detto Batista; poi alcune esperienze di SAP (squadre di azione patriottica); la componente comunista, come in passato era stata fattore determinante dell'antifascismo locale unitamente alla matrice socialista, costituì una significativa ispirazione per le formazioni partigiane; venne ricostituita la sezione del PCI, mix di militanza politica ed ideologica.
I distaccamenti Rasinone e Paradiso, il gruppo di Ticineto-Valmacca della Garibaldi, vissero fasi diverse di organizzazione, in crescendo per adesioni ed efficacia. Si affermarono, inoltre, le formazioni GL Paolo Braccini con la brigata Pasino, al comando di Carlo Garbarino fra San Salvatore e Castelletto Monferrato; con la brigata Lenti al comando di Filippo Callori nell'area di Vignale.
Operarono, inoltre, la Divisione Matteotti-Marengo Borgo Po, tra Valle San Bartolomeo-Filippona-Lobbi; la Divisione Patria fra Occimiano-Mirabello-Giarole; la brigata 108 Paolo Rossi della Garibaldi, con il distaccamento nell'area di Bassignana-Fiondi-Pecetto-Grava-Mugarone <1
Attorno a Valenza, mese dopo mese, venne creata una rete capillare ed efficace di dissenso operativo. Le formazioni partigiane si impegnarono in consistenti azioni di sabotaggio e danneggiamento verso i posti di blocco e controllo dei nazifascisti; ospitarono e nascosero per mesi i prigionieri alleati inglesi, americani, australiani, neozelandesi liberati dai campi di concentramento-prigionia del Piemonte e Lombardia e dal Forte di Gavi.
La stazione e la galleria ferroviaria fra Valenza e Valmadonna costituirono per mesi l'obiettivo di furti, saccheggi da parte delle formazioni partigiane.
Sull'arteria ferroviaria, infatti, i tedeschi fecero transitare armi e viveri verso altre località lombarde e piemontesi, per evitare i frequenti bombardamenti alleati su Alessandria.
In alcune circostanze, i partigiani nascosero le armi e munizioni saccheggiate ai tedeschi proprio all'interno della galleria di Valmadonna.
Le formazioni GAP attaccarono a più riprese le postazioni tedesche; le azioni di sabotaggio sono ampiamente documentate e citate in numerosi dispacci e fonogrammi che i tedeschi inviavano giornalmente ai comandi superiori, fonogrammi rinvenuti recentemente, tradotti e pubblicati nel volume "Resistenza e nuova coscienza civile" a cura dell'autore.
I comandi tedeschi giunsero a comminare multe salatissime ai comuni del Valenzano per disincentivare le attività di sabotaggio. Le multe dovevano essere pagate al comando tedesco di Valenza. I tedeschi non solo occuparono il territorio, ma inflissero sanzioni per punire le azioni di dissenso delle popolazioni.
Gli esordi, il CLN, una città controllata dai tedeschi.
La caduta di Mussolini del 25 luglio e l’armistizio dell' 8 settembre 1943 rialimentarono le convinzioni e le speranze per la libertà, anche a Valenza. Durante il ventennio fascista, il dissenso esplicito venne rappresentato, in modo efficace, dal socialista Francesco Boris, già capostazione. Non aderì al Fascio, dovette cercarsi un altro lavoro. Le organizzazioni comuniste, pur nell'omologazione dissuasiva del Fascio, tennero vivo il pensiero antifascista attraverso cellule di militanti. A Valenza era operativa una sezione comunista a tutti gli effetti, con riferimenti organici con Alessandria e Torino.
Anche nelle file cattoliche, si costituì nel ’42 la prima sezione della DC, d’ispirazione degasperiana. Nel laboratorio della farmacia Manfredi, alla presenza dell’ex popolare avv. Giuseppe Brusasca, venne fondata la sezione. Contribuirono Carlo Barberis, Gigi Venanzio Vaggi, Luigi e Vittorio Manfredi, Pietro Staurino, Luigi Deambroggi, Luigi Stanchi, Giuseppe Bonelli e Felice Cavalli. La sezione sviluppò immediatamente temi ed iniziative di dissenso clandestino al regime.
Alla notizia dell’arresto di Mussolini, nell’abitazione di Francesco Boris, si tenne un primo incontro per costituire il CLN valenzano. Accanto a Boris per il partito socialista, vi aderirono Luigi Vaggi per la DC, Ercole Morando per il PCI, Vittorio Carones per il Partito d’Azione e Poggio per il PLI, poi sostituito da Barberis detto Cuttica.
Il CLN di Valenza tenne varie riunioni, cambiando sede di volta in volta, per non destare sospetti. Si svolsero a casa Boris, a casa di Costantino Scalcabarozzi, in casa Mazza alle Terme di Monte Valenza, a casa dei fratelli Marchese, nella biblioteca Silvio Pellico dell’oratorio del Duomo di Valenza. <2
Francesco Boris e Paolo De Michelis (già parlamentare socialista negli anni ’20) furono arrestati a marzo 1944 e condotti nella sezione tedesca delle Carceri Nuove a Torino, per poi essere inviati nei campi in Germania. Vennero poi liberati, grazie ad uno scambio di prigionieri.
Il 16 gennaio 1944, il ventenne Sandro Pino venne colpito a morte in occasione di una perquisizione e retata della G.N.R. nel bar Achille, nel pieno centro, alla caccia di antifascisti e ribelli. Il fatto destò grande sconcerto ed intimorì i giovani. Giulio Doria, antifascista ed aderente a metà ’44 al movimento partigiano, ricorda dettagliatamente quei difficili momenti nell’intervista rilasciata a Maria Grazia Molina e pubblicata nel n. 23 di “Valenza d’na vota” edito a dicembre 2008. Il fratello di Giulio, Mario, aderì subito alla formazione autonoma Patria, guidata da Edoardo Martino e Giovanni Sisto. Il secondo fratello, Pietro, visse anni di prigionia in Germania, come militare catturato dai tedeschi. Giulio disertò la chiamata alla Capitaneria di Savona e si diede alla macchia, nella campagna valenzana. Giulio ricorda d’aver curato e nascosto cinque militari australiani, sfuggiti alla cattura dei tedeschi; di averli poi avviati in Lombardia. Anche Giulio entrò nella brigata autonoma Patria, si collegò con Vaggi e tesse una fitta rete di relazioni fra la città ed i comuni del Monferrato.
La presenza strutturata dei tedeschi occupanti cambiò il volto alla città. I liberi movimenti erano impossibili; le truppe tedesche, coadiuvate ed indirizzate dai fascisti repubblichini, erano pervasive. Vennero organizzati frequenti posti di blocco sulle vie di accesso, sulle arterie di comunicazione verso Pavia, Alessandria, Casale Monferrato, Tortona. La ferrovia era super controllata, perchè utilizzata spesso dai tedeschi per il trasferimento di esplosivi ed armi. Dopo i ripetuti bombardamenti alleati al ponte di ferro sul fiume Po, i tedeschi organizzarono attracchi per traghetti, sui quali transitavano truppe, armi e munizioni verso Milano.
Il 17 febbraio 1944, il 10 dicembre 1944 ed il 2 marzo 1945 si ebbero a Valenza rastrellamenti intensi e radicali, con minuziose perquisizioni ad intere vie ed isolati, arresti di giovani.
L' attività della missione americana Youngstown. Inediti dall'archivio di Gian Carlo Ratti
Una precisa conferma dell'organizzazione militare e logistica tedesca, delle forze partigiane operanti nel Monferrato e nel Valenzano, ci viene dall'inedito e significativo materiale documentale presente nell'archivio Gian Carlo Ratti, ora in consegna all'autore, di prossimo commento e pubblicazione. <3 L'archivio è costituito da un dettagliato memoriale, da ampia documentazione in originale, da mappe, appunti, manoscritti, rapporti, note di guerra, attestati, fonogrammi [...]
 

Un'immagine del bombardamento sul ponte e sulla strada di Torre Beretti (PV), effettuato il 27 Luglio 1944 dai bombardieri statunitensi del 320° Bomb Group, tratta dal sito www.320thbg.org, qui ripresa da Sergio Favretto, Op. cit. infra

[NOTE]
1 Si vedano i saggi: "Valenza antifascista e partigiana" di Enzo Luigi Guidi, edito nel 1981 dall'ANPI di Valenza; "Resistenza e nuova coscienza civile" di Sergio Favretto, edito da Falsopiano nel 2009; "La Provincia di Alessandria nella Resistenza" di William Valsesia, edito nel 1980; "Una brigata di pianura, cronaca della 108° brigata Garibaldi Paolo Rossi" di O. Mussio, edito dall'ANPI di Castelnuovo Scrivia, nel 1976.
2 Questi avvenimenti sono descritti nel volume "Resistenza e nuova coscienza civile" di Sergio Favretto, edito da Falsopiano nel 2009
3 L'archivio Ratti è stato solo recentemente consegnato in esame e custodia all'autore. Si presenta, già a primo acchito, come una fonte significativa di documentazione inedita. Per il 2013 si presume possa costituire la fonte di nuove analisi storiche e possa essere ospitato in alcune pubblicazioni sui temi resistenziali del Piemonte.

Sergio Favretto, La Resistenza nel Valenzano. L'eccidio della Banda Lenti, Comune di Valenza (AL), 2012
 
Tra le pubblicazioni di Sergio Favretto: Beppe Fenoglio. Il riscatto della libertà, Falsopiano, 2023; Quando l'arte incontra il diritto. Autenticità e inquietudini del mercato, Giappichelli, 2022; Partigiani del mare. Antifascismo e Resistenza sul confine ligure-francese, Seb27, Torino, 2022; Il papiro di Artemidoro: verità e trasparenza nel mercato dei beni culturali e delle opere d’arte, LineLab, Alessandria, 2020; Con la Resistenza. Intelligence e missioni alleate sulla costa ligure, Seb27, Torino, 2019; Un carabiniere, testimone di storia. Mussolini a Ponza e a la Maddalena narrato in un diario, Arti grafiche, 2017; Una trama sottile. Fiat, fabbrica, missioni alleate e Resistenza, Seb27, 2017; Coraggio e passione. Riccardo Coppo, il sindaco, le sfide, Falsopiano, 2017; Fenoglio verso il 25 aprile. Narrato e vissuto in Ur Partigiano Johnny, Falsopiano, 2015; Resistenza e nuova coscienza civile. Fatti e protagonisti nel Monferrato casalese, Falsopiano, 2009; Il diritto a braccetto con l'arte, Falsopiano, 2007; Giuseppe Brusasca: radicale antifascismo e servizio alle istituzioni, Atti convegno di studi a Casale Monferrato, maggio 2006; I nuovi Centri per l’Impiego fra sviluppo locale e occupazione (con Daniele Ciravegna e Mario Matto), Franco Angeli, 2000; Casale Partigiana: fatti e personaggi della resistenza nel Casalese, Libertas Club, 1977
Adriano Maini 

sabato 19 luglio 2025

Il “fascista alla sbarra” era diventato un interesse comunitario che assorbiva l’attenzione di tutti


Nelle aule di giustizia di Venezia. Le prime udienze “arroventate” <412
Come in altre CAS l’inaugurazione dei processi fu attesa dalla popolazione fremente «tra ansia di giustizia e desiderio di vendetta» <413, e come in altre realtà anche a Venezia il numero di cittadini accorsi per assistere fu esorbitante. L’occasione di essere testimoni alla condanna di un collaborazionista, di un assassino, di un aguzzino costituiva un evento che nessuno si voleva perdere, soprattutto se, come accadde in particolar modo nei primi mesi, le sentenze non così raramente finivano per decretare la pena capitale o decine d’anni di carcere <414. Il “fascista alla sbarra” era diventato un interesse comunitario che assorbiva l’attenzione di tutti. Essendo le udienze pubbliche <415, in migliaia si ammassavano fuori dal tribunale fin dalle prime ore del mattino, pertanto si ripropose anche qui, come in moltissime altre sedi italiane, la necessità di istallare degli altoparlanti fuori dal tribunale, per alleggerire la pressione della folla e non da ultimo per motivi di sicurezza. L’aula veniva aperta un’ora prima del dibattimento <416 (probabilmente verso le ore otto, considerando che moltissimi fascicoli processuali presentano l’annotazione dell’inizio del processo sulle nove/nove e quindici <417) e il flusso veniva regolato da uno speciale servizio d’ordine. «I diffusori trasformarono così i primi processi in pubbliche requisitorie», ai «limiti della spettacolarizzazione» <418. In più la sede della CAS posta nel cuore della città a Rialto, nelle vicinanze del frequentatissimo mercato, non fece che attirare in gran numero anche diversi passanti incuriositi. Di norma il procedimento si svolgeva con una procedura piuttosto rapida. Questo era dovuto a molteplici fattori: prima di tutto all’art. 13 del decreto legislativo n. 142 che dimezzava i tempi dell’istruttoria e del giudizio <419, in secondo luogo ai tempi molto contingentati delle CAS (più volte ricordato, 6 mesi), al numero di processi piuttosto elevato ed infine alle aspettative della cittadinanza, ansiosa di udire sentenze adeguate. All’inizio del dibattimento il presidente della Corte dava lettura dei capi d’accusa per la lasciare poi la parola agli imputati. Seguivano successivamente gli interrogatori dei testimoni a carico e “discarico” <420, la requisitoria del pm e l’arringa dell’avvocato. Al termine di questa fase il presidente e i quattro giudici popolari si ritiravano in camera di consiglio per discutere ed emettere la sentenza <421. È interessante notare, consultando i numerosi fascicoli processuali, che ognuno di essi contiene un semplice foglietto di annotazioni scritte dal presidente, frutto della discussione con i colleghi proprio in camera di consiglio, le quali rappresentano la sentenza ufficiosa (non ancora verbalizzata) pronunciata attraverso i diversi articoli dei codici e dei decreti422. Come rammenta Borghi, seguendo questa procedura il ritmo dei processi fu così spedito da permettere di celebrare più processi al giorno <423. Ad esempio si segnala come le carte del verbale del dibattimento nel processo a Giovanni Berlese, celebrato il 15 giugno ’45, confermino questa tesi: aperto alle 9, il processo venne chiuso appena un’ora dopo, alle 10. La sentenza, per nulla mite, lo condannò a 24 anni di reclusione424 (e «all’interdizione perpetua dai pubblici uffici, all’interdizione legale per la durata della pena, alla libertà vigilata per tempo non inferiore a tre anni [ed] alle spese processuali» <425). Questo dibattimento venne ampiamente superato, in quanto a rapidità dell'udienza, da altri processi che videro però sul banco degli imputati collaborazionisti di minor peso; il dibattimento intero contro Edoardo Frignoli durò appena poco più di mezz’ora <426.
In queste prime udienze il popolo rivestì un ruolo da protagonista. Del resto il rinvio a giudizio dei persecutori che avevano terrorizzato la città e la provincia fino a qualche settimana prima rappresentò una vera e propria attrazione per la folla che partecipò tutt’altro che passivamente alle udienze: urla, fischi, cori e applausi fecero da sottofondo a parecchi dibattimenti <427. Tra questi, alcuni vennero persino interrotti per un eccessivo fermento dei presenti in aula; un rischio inoltre era rappresentato dalla possibilità che la gente si impossessasse dell’imputato per linciarlo e sfogare la propria sete di vendetta. «La presenza, numerosa e rumorosa, della popolazione [divenne] perlomeno fino al declinare del 1945, parte integrante nella rappresentazione dell’aula di giustizia» <428. La stessa stampa quotidiana riportava non solo la sentenza del processo bensì il comportamento del pubblico. Alcune proteste furono così veementi da influenzare il processo stesso, la sentenza e la possibilità della difesa di condurre arringhe efficaci. L’avvocato Carlo Buttero, veneziano e difensore dell’imputata Clementina Pomarici Santoni <429 chiese alla Corte che si tenesse conto, nel pronunciare la sentenza di Cassazione, dell’«ambiente arroventato e pericoloso in cui ebbe a svolgersi il processo» <430 della CAS lagunare. Tale processo, come ancora l’avvocato sottolineò, essendo il terzo celebrato dalla Corte d’Assise straordinaria di Venezia «dopo la Liberazione» risentì fortemente del «furore di popolo che a tutti i costi voleva sangue e condanne gravissime» e così facendo «tolse […] alla difesa la sicurezza e la serenità necessarie per l’adempimento del proprio mandato, sia pure d’ufficio» <431. Simili le affermazioni di un altro avvocato, il romano Mario Pittaluga, che nella difesa stilata per la Cassazione in difesa al suo assistito Gino Carrer <432 (brigatista nero condannato a morte con sentenza pronunciata dalla CAS di Venezia il 26 settembre 1945) scriveva che il verdetto della Corte d’Assise avesse risentito «della arroventata atmosfera in cui il processo si [era] celebrato, ed [era] priv[o] di ogni obiettività e serenità» <433. D’altra parte l’affluenza dei cittadini era stata fortemente condizionata dai quotidiani locali che avevano cominciato a pubblicizzare l’inizio dei lavori delle CAS attraverso numerosi articoli a titoli cubitali nelle prime pagine, con un’intensità che mancava da anni in seguito alle censure del regime. In questo i giornali diretti dagli organi del CLN descrissero l’imminente avvio della giustizia con toni risolutivi e manifestando la convinzione che le corti avrebbero fatto inflessibilmente giustizia <434.
[NOTE] 
412 La definizione è presente nella difesa stilata per la Corte di Cassazione dall’avv. Carlo Buttero, legale di Clementina Pomarici Santoni, ASVe, sezione CAS Venezia, busta numero 1, fascicolo 8, anno 1945, imputato Clementina Pomarici Santoni. Il concetto viene ribadito dalla storiografia generale che descrive le prime udienze come “incandescenti”. La Pomarici era stata nel Ventennio fiduciaria delle organizzazioni femminili del Partito fascista e in seguito aveva aderito alla RSI.
413 T. ROVATTI, Ansia di giustizia e desiderio di vendetta. Esperienze di punizione nell’Italia del Centro-nord, 1945-1946, in E. ACCIAI, G. PANVINI, C. POESIO, T. ROVATTI, (a cura di), Oltre il 1945. Violenza, conflitto sociale e ordine pubblico nel dopoguerra europeo, Viella, Roma, 2017, pp. 73-87.
414 A tal proposito di vedano le prime sentenze della CAS veneziana.
415 Gli unici ad essere esclusi erano coloro che non avevano compiuto i 18 anni. M. DONDI, La lunga liberazione, op. cit., pp. 49-55.
416 Cfr. M. BORGHI, Dall’insurrezione alla smobilitazione, op. cit., p. 61.
417 Si vedano ad esempio i verbali del dibattimento degli importanti processi contro Umberto Pepi e Pio Leoni, ASVe, sezione CAS Venezia, busta numero 1, fascicolo 3, anni 1945, imputato Umberto Pepi e ASVe, sezione CAS Venezia, busta numero 1, fascicolo 19, anno 1945, imputato Pio Leoni.
418 Cfr. M. BORGHI, Dall’insurrezione alla smobilitazione, op. cit., pp. 61-62.
419 Si veda decreto legge luogotenenziale n. 142, 22 aprile 1945, art. 13 e supra, capitolo primo, scena quinta, paragrafo secondo: Alcune problematiche del decreto.
420 È questa la parola che si trova in numerosi processi. Cfr. ASVe, sezione CAS Venezia.
421 Si consulti ad esempio il fascicolo processuale dell’imputato Giovanni Berlese, che contiene una chiara sequenza di queste fasi attraverso i documenti ben ordinati, ASVe, sezione CAS Venezia, busta numero 1, fascicolo 11, anno 1945, imputato Giovanni Berlese. In aggiunta si rimanda per ulteriori informazioni a M. BORGHI, Dall’insurrezione alla smobilitazione, op. cit., p. 62.
422 Sono citati: il decreto legge luogotenenziale n. 159 del 27 luglio 1944, il decreto legge luogotenenziale n. 142, 22 aprile 1945, il Codice Penale militare di guerra e il Codice penale (Codice Rocco).
423 Cfr. M. BORGHI, Dall’insurrezione alla smobilitazione, op. cit., p. 62.
424 ASVe, sezione CAS Venezia, busta numero 1, fascicolo 11, anno 1945, cit. D’altra parte pur essendo poco mite la sentenza della CAS veneziana, poi confermata dalla Cassazione, il condannato beneficiò dell’amnistia Togliatti e venne scarcerato. Questa informazione è reperibile grazie al primo documento del fascicolo ma ultimo in ordine cronologico, datato 3 luglio 1946.
425 Ivi, documento numero 21.
426 ASVe, sezione CAS Venezia, busta numero 3, fascicolo 76, anno 1945, imputato Edoardo Frignoli.
427 Si vedano, tra i tanti, il caso Basile descritto in L. BORDONI, La sentenza Basile e il dibattito sul funzionamento delle Corti d’assise straordinarie lombarde, in C. NUBOLA, P. PEZZINO, T. ROVATTI, (a cura di), Giustizia straordinaria tra fascismo e democrazia. I processi presso le Corti d’assise e nei tribunali militari, Il Mulino, Bologna, 2019, pp. 57-69 e H. WOLLER, I conti con il fascismo, op. cit., pp. 410-423.
428 M. BORGHI, Dall’insurrezione alla smobilitazione, op. cit., p. 63.
429 Per una breve analisi del processo alla Pomarici Santoni si veda sotto: “scena quarta”.
430 ASVe, sezione CAS Venezia, busta numero 1, fascicolo 8, anno 1945, cit.
431 Ibidem. Il documento è datato 11 gennaio 1946, e precede cronologicamente un atto che riporta la sentenza della Cassazione datata 24 giugno dello stesso anno (con udienza avvenuta il 17 aprile).
432 ASVe, sezione CAS Venezia, busta numero 3, fascicoli 87-88, anno 1945, cit.
433 Ivi, difesa per la Corte di Cassazione dell’avv. Mario Pittaluga, datato 31 gennaio 1946. Woller sostiene che in talune occasioni la pressione popolare in aula fu così forte da non permettere alla difesa di pronunciarsi. A questi avvocati, sostiene l’autore, non rimase che presentare solamente una difesa in forma scritta. Vedi H. WOLLER, I conti con il fascismo, op. cit., p. 413.
434 Si veda M. DONDI, La lunga liberazione, op. cit., pp. 49-55.
Mauro Luciano Malo, La giustizia di transizione tra fascismo e democrazia. La Corte d’Assise straordinaria e l’amnistia Togliatti a Venezia (1945-1947), Tesi di laurea, Università Ca' Foscari - Venezia, Anno Accademico 2019-2020

lunedì 7 luglio 2025

La rottura frontale e radicale fra Pci, Cgil e movimenti giovanili fa emergere questioni riconducibili solo in parte alla politica


Il Ministro degli Interni Cossiga descrive così, intervenendo al Senato, i fatti di Bologna e di Roma [del 12 mqrzo 1977]: "L’uso di armi da guerra, l’aggressione deliberata alle forze dell’ordine, la sistematica distruzione di negozi e autovetture, gli assalti alle caserme e agli uffici di polizia hanno posto l’autorità di fronte a gravissimi problemi che hanno dovuto essere affrontati anche con l’uso di mezzi pesanti blindati" <915.
Lo stesso giorno a Torino, un commando di Prima linea uccide il brigadiere di pubblica sicurezza Giuseppe Ciotta. Le segreterie torinesi di Pci, Cgil, e Psi reagiscono estendendo un aspro comunicato di condanna: "Questa mattina a Torino il brigadiere di PS Giuseppe Ciotta è stato barbaramente assassinato da un commando terroristico che ha rivendicato, con un linguaggio delirante contro le forze dell’ordine la paternità dell’attentato. Ieri a Bologna, in un clima di violenza quadristica originato da una inammissibile provocazione ai danni di una assemblea studentesca, l’intervento della polizia, sul quale è necessario fare piena luce, ha provocato la morte dello studente di Lotta continua Pier Francesco Lorusso. I partiti democratici chiedono che si faccia piena luce sugli episodi accadute, si rivolgono alle autorità preposte alla tutela della sicurezza dei cittadini affinché la salvaguardia della legalità repubblicana sia garantita. Riaffermano la necessità di un comune impegno delle forze democratiche per la difesa della libertà e della democrazia" <916.
La rottura frontale e radicale fra Pci, Cgil e movimenti giovanili fa emergere questioni riconducibili solo in parte alla politica. La discussione che attraversa la Fgci e il Partito comunista sembra cogliere ben poco di questi elementi, essendo incentrata principalmente a condannare la guerriglia scatenata a Bologna da «squadristi armati» o l’assalto eversivo contro lo stato democratico» <917. Riflettendo sul problema dei giovani Luciano Lama, ad esempio, si affida ad una interpretazione generosa ma chiaramente irricevibile da parte di quei gruppi sociali. Nonostante la costante preoccupazione della Cgil per i disoccupati, per la costruzione di alleanze sociali, la forza della cultura del lavoro operaio e produttivo rimane prevalente. La proposta di Lama è irricevibile da parte di quei gruppi sociali che non possono avere quella cultura operaia e del lavoro e anzi protestano contro quel lavoro visto ora come elemento di negazione di ogni identità: "Non c’è dubbio che in questo campo esiste oggi un distacco, una rottura perché una parte non piccola della gioventù non si riconosce nella tradizione politica del movimento operaio e anche nelle istituzioni democratiche. […] come saldare le giovani generazioni che sono tenute fuori dalle strutture produttive con il movimento operaio che in queste strutture ha le sue basi più agguerrite? Come combattere quello che io chiamerei un esistenzialismo consumistico e l’estremismo, offrendo nel contempo un proficuo terreno di incontro a quei giovani? La sola vera garanzia che noi diamo ai giovani è la partecipazione alle lotte del movimento sindacale per il cambiamento della società italiana e della condizione dei lavoratori e dei giovani" <918.
Sull’esplosione di questa rottura culturale e generazionale pesano anche ragioni specifiche. Come scrive Piero Craveri, “in un paese caratterizzato da un labirinto di aree protette - protette in primo luogo dal sistema pubblico - le fasce di emarginazione sociale rimanevano ancor più prive di plausibile giustificazione” <919. Alla base vi è qualcosa di profondamente diverso rispetto al ’68. “Manca al movimento del ’77 l’ottimismo profondo, la carica psicologica della generazione precedente: una generazione che si sentiva comunque parte di una società del benessere, sia pure segnata da ingiustizie e distorsioni” <920.
È utile a questo proposito analizzare la discussione e le analisi del Pci, di cui si è appena detto. Il dibattito sulla condizione giovanile e sugli eventi di questi mesi viene affrontata dal Comitato centrale che si riunisce dal 14 al 16 marzo 1977. La relazione introduttiva svolta da Massimo D’Alema, segretario nazionale della Fgci, si concentra sui fatti di Bologna dell’11 marzo e sugli episodi di violenza susseguitisi in altre città nei giorni seguenti: "Di fronte a simili episodi il primo punto da affrontare è la necessità di un’azione straordinaria in difesa della democrazia e delle istituzioni. La situazione rischia di diventare incontrollabile perché estremismo politico, sovversivismo e disgregazione sociale vanno ad unirsi all’aggravarsi della crisi economica, morale e ideale. I gruppi estremisti hanno scelto di attaccare con azioni squadristiche il Pci, le forze democratiche e il sindacato per impedire lo sviluppo di un movimento unitario di giovani per il cambiamento della società. […] alcune formazioni, tra cui Autonomia operaia e Lotta continua, organizzano azioni violente e armate contro le manifestazione del movimento democratico, altre, spesso in modo ambiguo e contraddittorio svolgono un ruolo di copertura e complicità" <921. D’Alema conclude la sua relazione lanciando un allarme. Il dirigente comunista vede il rischio di una frattura fra i giovani e il sistema democratico tale da favorire le posizioni estremiste. Paolo Spriano, nel suo intervento, esprime un giudizio ancora più preoccupato sulla situazione e descrive così il corteo autonomo del 12 marzo a Roma: "Un corteo cupo, lugubre, dominato da una estrema carica di violenza, come le parole che più si sentivano, che poi erano le uniche che circolavano. «Bruceremo la città», «Violenza proletaria», «Berlinguer boia», con un’ostentazione di armi, ad esempio di bottiglie incendiarie, di spranghe di ferro, di gesti di vandalismo contro qualsiasi cosa capitasse a tiro, da una vetrina al parabrezza di una macchina" <922.
[NOTE]
915 Cossiga racconta le ore nere di Roma e Bologna, in «la Repubblica», 15 marzo 1977.
916 Il documento approvato dalle segreterie torinesi di Pci, Cgil e Psi del 12 marzo 1977 è in Una Regione contro il terrorismo, cit., p. 55.
917 Inizia così l’intervento di Massimo D’Alema, segretario nazionale della Fgci al Comitato centrale del Pci del 14-16 marzo 1977. I verbali del Comitato centrale sono pubblicati in I comunisti e la questione giovanile, Atti della sessione del Comitato centrale del Pci, Roma, 14-16 marzo 1977, Roma, Editori Riuniti, 1977, p. 11.
918 As Cgil nazionale, Organismi dirigenti, Consiglio generale. Verbale della riunione del 12-13 marzo 1977. Relazione di Luciano Lama.
919 P. Craveri, La repubblica dal 1958 al 1992, cit., p. 720.
920 Ivi, p. 722.
921 I comunisti e la questione giovanile, Atti della sessione del Comitato centrale del Pci, Roma, 14-16 marzo 1977, cit., Intervento di D’Alema, pp.14-15.
922 Ivi, Intervento di Paolo Spriano, p. 89.
Francescopaolo Palaia, La Cgil e il Pci fra violenza terroristica e radicalità sociale (1969-1982), Tesi di dottorato, Università degli Studi "Sapienza" - Roma, Anno Accademico 2016-2017

Fra le variabili che contribuiscono a definire la relazione fra Pci e gruppi alla sua sinistra - ferma restando la centralità rivestita dalla congiuntura politica, nello specifico dal percorso di avvicinamento dei comunisti all’area di governo - ve ne sono due di particolare interesse: natura e finalità delle diverse formazioni politiche e presenza o meno di un movimento di massa verso il quale indirizzare l’intervento del partito. Per quel che riguarda il primo aspetto, va rilevato il cambiamento verificatosi con l’affermazione delle organizzazioni autonome a scapito delle altre formazioni della sinistra rivoluzionaria. Laddove c’era stato un rapporto sì conflittuale ma dialogico, aperto a possibili forme di collaborazione (e speculari aperture di credito quali l’indicazione di voto per il Pci data da Lotta continua alle elezioni amministrative del 1975), come sull’antifascismo, subentra una chiusura netta nei confronti di una forma di organizzazione politica sentita come sideralmente distante dai propri riferimenti teorici e culturali.
Per quel che attiene alla seconda variabile indicata, occorre evidenziare un apparente paradosso: il momento di più acuto dispiegamento della “guerra a sinistra” <6 - il ’77 e, nello specifico, la contestazione a Lama all’università di Roma - coincide col più profondo tentativo di comprensione delle istanze del movimento, in rapporto al quale viene avanzata un’autocritica che fa perno sui ritardi di elaborazione e di intervento accumulati negli anni dal Partito comunista <7. Nel mese di febbraio la questione universitaria irrompe prepotentemente nell’agenda politica comunista: compare all’ordine del giorno delle riunioni di segreteria <8, sollecita la presa di posizione degli intellettuali organici al partito <9, impegna la direzione. Nei giorni successivi all’episodio in cui è rimasto coinvolto il segretario della Cgil, viene approvato un documento sulla situazione all’interno delle università. Nel corso del dibattito in sede di direzione quasi tutti gli interventi mettono in rilievo gli errori commessi dal Pci in rapporto alla questione giovanile e, in particolare, alla situazione di sofferenza di ampie parti della società, pur manifestatasi in episodi di intemperanza da condannare <10.
[...] Si fanno spazio due importanti riconoscimenti: da un lato si prende atto che i gruppi la cui azione deleteria penalizzerebbe le ragioni della contestazione, anche se «non rappresentano l’insieme del movimento, […] pure sono presenti e, in alcune realtà, in modo significativo»; dall’altro, si ammette che «è necessario compiere anche una serena e rigorosa autocritica da parte dei comunisti per gli errori e le incertezze che vi sono stati». Se il Pci non ha saputo cogliere i segnali di malessere e intervenire energicamente per evitare che la protesta venisse strumentalizzata dagli estremisti, tuttavia è la Democrazia cristiana ad avere le colpe principali, perché incapace nei suoi trent’anni di governo di affrontare i nodi e le problematiche sottese alla scolarizzazione di massa e alla crisi occupazionale dei giovani.
Emerge qui un altro paradosso: il Pci valorizza in queste posizioni la sua condizione di partito rimasto fino al 1977 ai margini della sfera governativa, a differenza del principale avversario a sinistra, il Psi; malgrado ciò, i comunisti sono il principale bersaglio della contestazione, mentre i socialisti, come è stato osservato <12, possono approfittare del loro ruolo di tertia gaudentes nella contrapposizione in atto per muovere le proprie critiche al sistema di gestione politico-economico, di cui pure sono stati compartecipi a partire dagli anni sessanta. Si ripropone sostanzialmente quello schema, di cui si è parlato a proposito della dinamica politica degli anni settanta, per il quale il confronto fra i due partiti avviene all’insegna della contrapposizione fra l’inclinazione compromissoria del Pci e la propensione riformista del Psi.
L’autocritica compiuta in merito all’intervento deficitario dei comunisti nelle università si traduce infine nella discussione al comitato centrale del partito di marzo, incentrata sulla questione giovanile. La relazione introduttiva è affidata al segretario della Fgci Massimo D’Alema che, a posteriori, parlerà di un cc drammatico, nel quale le proposte di apertura si scontrarono con le diffidenze e gli arroccamenti di alcuni dei maggiorenti del partito <13. L’assemblea ha luogo, d’altronde, all’indomani del 12 marzo, quando - nel corso della manifestazione nazionale del movimento, a un giorno di distanza dall’assassinio di Francesco Lorusso a Bologna <14 - la capitale è sconvolta da scontri durissimi fra manifestanti e forze dell’ordine, nei quali non viene lesinato l’uso di armi da fuoco da entrambe le parti <15. Quella che costituisce a tutti gli effetti la dimostrazione caratterizzata dalla maggior carica di violenza organizzata del movimento ha l’effetto di inibire le pur timide aperture e concessioni fatte dal Pci nel mese precedente, frustrando i cauti tentativi di distinguo e le proposte di intervento provenienti dalla Fgci.
[NOTE]
6 Cfr. Roberto Colozza, Guerra a sinistra, cit.
7 «In sintesi, se - a livello di linea politica - la polemica con l’estremismo fu sempre netta, nel momento in cui esso era parte di movimenti reali nella società l’atteggiamento del Pci fu duplice: attenzione alle ragioni dei movimenti, forte polemica con tutte le organizzazioni alla propria sinistra che ne volevano assumere la rappresentanza»: E. Taviani, Pci, estremismo di sinistra e terrorismo, cit., p. 246.
8 Cfr. i verbali delle riunioni della segreteria del Pci dell’8 e del 18 febbraio 1977, in Ig, Apc, 1977 - I bimestre, Segreteria, mf. 288, pp. 0162x e 1065x.
9 Cfr. Aldo Tortorella, Saper vedere il pericolo, «l’Unità», 19 febbraio 1977; A. Asor Rosa, Le convulsioni dell’Università, cit. e Id., Forme nuove di anticomunismo, cit.
10 Cfr. il verbale della riunione della direzione del Pci del 19 febbraio 1977, in Ig, Apc, 1977 - I bimestre, Direzione, mf. 288, pp. 0140x ss.
12 Cfr. R. Colozza, Guerra a sinistra, cit., pp. 99-100.
13 Cfr. Massimo D’Alema, A Mosca l’ultima volta. Enrico Berlinguer e il 1984, Donzelli, Roma, 2004, pp. 130-31.
14 Sui fatti di Bologna cfr. Autori molti compagni, Bologna marzo 1977… fatti nostri…, Bertani, Verona 1977.
15 Cfr. il resoconto della giornata fornito dalla questura di Roma, in Acs, Mi - gab., 1976-80, b. 59, f. «Relazioni mensili», relazione sugli incidenti riguardanti l’ordine pubblico verificatisi nel marzo 1977, redatta dalla Direzione generale di pubblica sicurezza - Servizio ordine pubblico e stranieri - Divisione ordine pubblico.
Salvatore Corasaniti, Quando parla Onda Rossa. I Comitati autonomi operai e l'emittente romana alla fine degli anni settanta (1977-1980), Tesi di dottorato, Sapienza - Università di Roma, Anno accademico 2017-2018

sabato 28 giugno 2025

La condotta da bauscia di Perego fu sicuramente condizionata

Milano: il Palazzo di Giustizia. Fonte: mapio.net

Oliverio non fu tuttavia l’unico politico ben disposto nei confronti di Perego e Pavone. Un altro politico fu Emilio Santomauro, ex-consigliere milanese di Alleanza Nazionale, all’epoca delle indagini membro della direzione nazionale dell’UDC, il partito dell’ex-Presidente della Camera Pier Ferdinando Casini. Quando gli investigatori lo videro entrare in scena nell’inchiesta Tenacia, accertarono che in quel momento si trovava in attesa di giudizio con l’accusa di aver agito da prestanome per alcuni uomini del clan camorristico Guida. Nel 2000, inoltre, era stato l’obiettivo di un attentato i cui contorni non vennero mai chiariti: un sicario gli sparò al ginocchio fuori dal suo studio di consulenza legale <1129. Dalle indagini emerse come egli si fosse proposto «chiaramente ed esplicitamente come persona in grado di passare degli appalti al Gruppo Perego» <1130.
Il 24 maggio 2009, ad esempio, presentò a Ivano Perego il candidato del PDL al Parlamento europeo, Vito Bonsignore, premurandosi, a fine evento, di inviare un sms all’imprenditore sul buon esito dell’incontro: «Mi ha appena detto che sei entrato nel suo cuore! Complimenti! Ti voglio bene! Tuo Emilio» <1131.
In altre telefonate invece Santomauro spiegava a Perego con dovizia di particolari la situazione di alcune gare pubbliche di appalto, convincendolo a desistere da quelle in cui non aveva speranza di vittoria, perché già assegnate <1132, promettendogli però altri lavori.
L’essenzialità del rapporto con la politica venne spiegata da Andrea Pavone in un’altra conversazione, intercettata il 20 maggio: «Facciamo un ufficio gare, lo facciamo a Milano nei loro studi e usiamo i loro architetti e quindi, cioè... usando le loro strutture... sono interessati a farci vincere le gare, no?» <1133. Dietro, come sempre, la consapevolezza di avere le spalle coperte dalla ‘ndrangheta, come emerse in un’altra conversazione tra Pavone e Perego <1134:
"PAVONE: «guarda... se abbiamo un pizzico di fortuna, tra un paio d'anni, siamo veramente sistemati…»
PEREGO: «bravo, bravo…»
PAVONE: «ci sistemano per le feste…» (ride)
PEREGO: «o ci gettano dentro qualche pilastro» (ride)
PAVONE: «porcodinci, cazzo... no, ma lì abbiamo anche i calabrotti che... certo... […] neanche quello ci... non ci potrebbero fare neanche quello, eh…»
PEREGO: «bravo... abbiamo la scorta…»".
Riassumendo, una volta ottenuto il completo controllo dell’azienda, il passo successivo della ‘ndrangheta è quello di consolidare il proprio capitale sociale con relazioni strategiche nella politica. In questo senso va letto l’appuntamento che Strangio procurò a Perego con Massimo Ponzoni, in quel momento assessore regionale alla Qualità dell’Ambiente <1135. «Abbiamo sforzato a prendere questo appuntamento» <1136, confidò Strangio a Pavone, parlando al plurale, con evidente riferimento all’organizzazione mafiosa.
Ponzoni, nei piani di Strangio, era una pedina importante non solo per le sue deleghe strategiche in Regione ma anche perché può facilitare la candidatura di un uomo a loro gradito, Giuseppe Romeo, all’epoca comandante provinciale dell’Arma dei Carabinieri a Vercelli <1137.
Il carabiniere e il poliziotto
Dalle indagini emerse che Romeo chiese al boss appoggio politico in cambio di protezione per i camion della Perego, coinvolti nel traffico di rifiuti, oltre ad offrirgli diversi suggerimenti sull’uso dei telefoni cellulari (ad esempio, non utilizzare mai schede intestate a proprio nome), tanto che Strangio lo definì «un amico per davvero»1138. Qualcosa che nel codice culturale della ‘ndrangheta va ben al di là del classico concetto di amicizia, come fanno notare gli inquirenti <1139.
In forze alla Polizia di Stato, invece, era l’ispettore Alberto Valsecchi, prodigo di favori a Perego nel suo ruolo istituzionale. Interessato ad ottenere un incarico dirigenziale nell’ambito della costituenda forza di polizia della Provincia di Monza, Valsecchi si interessò della questione multe ai camion aziendali della Perego per avere il supporto nella nomina dei contatti politici inseriti nella rete relazionale dell’imprenditore.
Pur risultando non penalmente rilevanti le condotte di Romeo e Valsecchi dopo la valutazione degli inquirenti, la loro presenza nel capitale sociale esteso della ‘ndrangheta dimostrava, allora come oggi, la capacità dell’organizzazione mafiosa di arrivare ovunque, ottenendo e concedendo favori in ogni campo, dalla sanità agli appalti pubblici, fino addirittura alla cancellazione delle multe e l’ottenimento di biglietti omaggio per il Gran Premio di Formula Uno.
La nuova morale borghese e le affinità elettive con la ‘ndrangheta 
La vicenda Perego ci riporta alle considerazioni fatte sulla «nuova morale borghese» tratteggiata tanto da Bourdieu che da Bauman, e nella sua compatibilità con l’habitus mafioso. Quando Ivano Perego ereditò il controllo dell’azienda dal padre defunto non aveva ancora 35 anni ed era un consumatore abituale di cocaina, tanto che nell’ordinanza del GIP venne definito senza mezze misure un «cocainomane» <1140. Benché non sia una droga «d’élite», la capacità di comprare e consumare in modo continuo e massiccio cocaina è considerata uno status symbol. Questo perché, al pari di una Ferrari o di una Porsche o di uno yacht, tutti segni distintivi dell’appartenenza alla classe dominante, richiede un flusso di spesa continuo per mantenerne inalterato il consumo: nel caso dell’auto di lusso è quello relativo al carburante e alla manutenzione, nel caso dello yacht c’è anche l’acquisto o l’affitto dell’attracco in porto o dell’equipaggio di bordo. In una società, o spazio sociale, in cui le persone sono giudicate in base alla propria capacità di consumare per via di quella «morale edonista del consumo, basata sul credito, sulla spesa, sul godimento» <1141, non sorprende l’atteggiamento piccolo-borghese di Perego, smanioso di appropriarsi dei segni distintivi dell’alta società borghese, ma incapace di mantenerseli per via della crisi di liquidità che attanagliava la sua azienda. Da non sottovalutare poi il grado di dipendenza dallo stupefacente e i suoi effetti psicologici, testimoniati dalle parole di Salvatore Strangio, che in più di un’intercettazione definì Perego un «drogato pazzo» <1142.
Questo non è un dettaglio di poco conto, perché proprio il bisogno di mantenere inalterato il proprio tenore di vita e, di conseguenza, il consumo di beni di lusso, ivi compresa la cocaina, portò Ivano Perego a consegnare nelle mani della ‘ndrangheta l’azienda che aveva ereditato dal padre.
Prova ne è che dall’estate del 2008, quando Strangio e Pavone misero piede in azienda, «Perego ha anche notevolmente innalzato il suo tenore di vita, manifestato dalla disponibilità di auto estremamente costose. Insomma, Perego ha bisogno di guadagnare... ad ogni costo» <1143.
Un atteggiamento, quello di Perego, segnalato anche dalla difesa di Oliverio, dopo gli arresti del 13 luglio 2010: il politico disse di aver interrotto il rapporto «perché qualcosa non mi convinceva: aveva un comportamento molto aggressivo» e in più aveva un tenore di vita molto alto. «È una persona appariscente, con macchine importanti. In milanese si dice bauscia» <1144.
Il bauscia nella cultura milanese, oltre a indicare i tifosi interisti, è sempre stato sinonimo di sbruffone e, in ambito imprenditoriale, generalmente qualifica quel piccolo borghese imprenditore poco aperto alle innovazioni, egocentrico, rozzo, con la smania di apparire e di enfatizzare ogni sua iniziativa, che però ha avuto una crescita improvvisa della sua azienda, cosa che lo ha catapultato nell’Olimpo dell’alta società borghese, pur non possedendone l’habitus necessario per farne parte.
La condotta da bauscia di Perego fu sicuramente condizionata dalla consapevolezza «del ruolo di Strangio e della funzione di protezione che lo stesso svolge non solo rispetto alla gestione dei cantieri, ma pure ai creditori calabresi che Strangio contribuisce a controllare e tacitare» <1145.
Quest’aura di invincibilità portò Perego a sopravvalutare la sua capacità imprenditoriale, portando alla rovina una solida realtà imprenditoriale come l’azienda di famiglia e le 150 famiglie a cui dava lavoro, ma anche la sua capacità di uscire indenne dal rapporto con l’organizzazione mafiosa.
Tale era il suo coinvolgimento all’interno dell’organizzazione, che in primo grado nel 2012 fu condannato a 12 anni di reclusione per associazione mafiosa <1146, reato riqualificato in Corte d’Appello nel 2014 in concorso esterno in associazione mafiosa con riduzione della pena a 10 anni e 11 mesi <1147, poi confermata in Corte di Cassazione <1148. Ovviamente, insieme a lui, vennero condannati anche Salvatore Strangio e Andrea Pavone. L’assalto in Expo2015, attraverso la Perego, fallì anche per incapacità delle persone incaricate di gestire l’operazione. Tuttavia l’ingresso del potere mafioso nell’esposizione universale avvenne ugualmente, seppur in maniera decisamente più limitata rispetto alle intenzioni iniziali <1149: come ricorda Gianni Barbacetto <1150, «i molti allarmi e i tanti controlli che sono stati fatti hanno bloccato l’assalto che le organizzazioni mafiose preparavano da anni: se la politica è stata in ritardo fino all’ultimo, tant’è che rischiavamo di non aprire, le uniche non in ritardo erano le organizzazioni criminali che erano pronte da anni».
Una conferma in tal senso emerge anche dalla testimonianza del collaboratore di giustizia Gennaro Pulice, già referente della ‘ndrina dei Cannizzaro-Iannazzo-Daponte in Lombardia con la dote di santista: gli offrirono l’assegnazione di alcuni lavori ma «di fatto non accettai questa opportunità che mi veniva offerta perché l’Expo era sottoposto a numerosi controlli, quindi preferii non immischiarmi» <1151.
[NOTE]
1128 Gennari, G. (2010). Ordinanza di misura cautelare personale 47816/08 R.G.N.R., Tribunale di Milano - Ufficio del Giudice per le Indagini Preliminari, 6 luglio, p. 124. Zambetti fu arrestato nell’ambito dell’indagine Grillo Parlante, condannato in primo grado nel 2017 a 13 anni e 6 mesi, pena ridotta nel 2018 a 7 anni e 6 mesi in Appello per via del riconoscimento delle attenuanti generiche, confermata in via definitiva dalla Cassazione il 9 marzo 2021. Il suo arresto, insieme agli scandali legati alla sanità lombarda, fu determinante nello scioglimento anticipato del Consiglio regionale nel 2013 e alla fine dell’era Formigoni.
1129 Ivi, p. 117-118.
1130 Ivi, p. 121.
1131 Ivi, p. 119.
1132 Ivi, p. 120.
1133 Ivi, p. 119.
1134 Ivi, p. 123.
1135 Ivi, p. 126.
1136 Ivi, p. 127.
1137 Ivi, p. 129.
1138 Ivi, p. 134.
1139 Ivi, p. 135.
1140 Ivi, pp. 74 e 332.
1141 Bourdieu, La Distinzione, p. 315-316.
1142 Gennari, op. cit., p. 332.
1143 Ivi, p. 333.
1144 Citato in Corriere della Sera, L’assessore che organizzava le cene tra il boss della ‘ndrangheta e i politici, 14 luglio 2010
1145 Gennari, op. cit., p. 333.
1146 BALZAROTTI, M. L. (2012). Sentenza 13255/12 contro "Agostino Fabio + 43", Tribunale Ordinario di Milano - VIII Sezione Penale, 6 dicembre, p. 1230.
1147 MALACARNE, M. (2014). Sentenza n. 5339/14 contro "Agostino + 40", Corte di Appello di Milano - I Sezione Penale, 28 giugno, p. 809.
1148 ESPOSITO, A. (2015). Sentenza n. 34147/15 contro "Agostino + 40", Suprema Corte di Cassazione - II Sezione Penale, 30 aprile, p. 260.
1149 Il 31 gennaio 2014, alla Camera del Lavoro, Nando dalla Chiesa, all’epoca Presidente del Comitato Antimafia del Sindaco Pisapia, lanciò l’allarme (si veda sul Canale YouTube di WikiMafia “Dalla Chiesa, la mafia entrerà in Expo”), confermato anche dall’allora prefetto Francesco Paolo Tronca in una relazione alla Commissione parlamentare antimafia. Diverse sono state le inchieste sul tema Expo sviluppate dalla DDA negli anni successivi, nonostante le polemiche politiche per la sensibilità istituzionale dimostrata dall’allora Procuratore Capo Edmondo Bruto Liberati per evitare inchieste a ridosso dell’inizio della manifestazione e durante il suo svolgimento.
1150 Intervista all’autore, 21 gennaio 2021.
1151 SIMION, A. (2020). Ordinanza di applicazione di misura cautelare - Procedimento n. 15565/17 R.G.N.R., Tribunale di Milano - Ufficio del Giudice per le indagini preliminari, 2 luglio. p. 23. (Inchiesta Habanero). 
Pierpaolo Farina, Le affinità elettive. Il rapporto tra mafia e capitalismo in Lombardia, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Milano, Anno Accademico 2019-2020