domenica 11 agosto 2024

Questa liberazione Lanza del Vasto l’ha compiuta in India


Non è possibile separare un’icona da colui che la incide, né un libro dall’umana vicenda di chi lo scrive. Questa prima parte della tesi si prefigge l’obiettivo di evidenziare i nessi tra il percorso di un uomo e l’emersione di una filosofia, solo in parte politica. Un ‘habitus’ intellettuale si imprime gradualmente, dapprima circondati dalla famiglia ereditata alla nascita, poi nella famiglia di pensiero che si sceglie, infine in quella spirituale di cui si riceve per grazia la chiamata: poco a poco si delinea una traiettoria unica e irripetibile, al crocevia della quale possono affondare e innalzarsi i pilastri di un pensiero. Caratteristica fondante della personalità di Lanza del Vasto è stata, secondo l’opinione di Antonino Drago, suo attento discepolo da molti decenni, il compimento di una conversione totale <43. Citando Erich Fromm, lo storico della fisica ha osservato: “l’essenza della religione è un processo di crescita verso l’indipendenza da tutti quei legami ai quali ci ha vincolato la nascita (il luogo materiale [...], i bisogni essenziali, la famiglia, la nazione e ogni altro legame), in modo da giungere a vederli dall’alto della raggiunta liberazione. Questo processo inizia sin dai primi anni ed ha per termine massimo la liberazione dai legami con la propria civiltà. Questa liberazione Lanza del Vasto l’ha compiuta in India” <44. Il suo anelito di liberazione non si è arenato, tuttavia, sul piano individuale, ma si è esteso all’ambito sociale e istituzionale. “Pur trovandosi nella società dei padroni del mondo e davanti alla struttura religiosa più gerarchica e potente del pianeta, il cristianesimo cattolico” <45, Lanza del Vasto ha innescato, attraverso la fondazione delle prime comunità gandhiane in Occidente, un mutamento spirituale e politico di estrema rilevanza, nei termini in primis di una non-violenza integrale come fulcro di una ‘nuova inter-religiosità’: aver dosato “saggezza, tenacia, rigore e tenerezza per unire delle famiglie nel lavoro in comune” <46 non è stato affatto un merito trascurabile. Egli, inoltre, figura tra i primi intellettuali europei ad aver mostrato con il proprio esempio una via concreta e accessibile di emancipazione dalla “massima violenza ideologica” <47 della ‘piovra’ scientista e bio-tecnocratica, dell’oppressione burocratica, della distrazione mediatica di massa. “Le statistiche - come è stato altrove commentato in modo calzante per l’odierna congiuntura - di fronte alle quali spesso capitoliamo come davanti a un argomento irrefutabile, non sono il mezzo di una scienza oggettiva, ma uno strumento retorico che serve a intimorire sulla base di una pretesa forza della maggioranza a cui la minoranza dovrebbe piegarsi, o di un’abitudine che si vorrebbe fosse considerata norma” <48.
Arnaud de Mareuil, compagno dell’Arca per un quarto di secolo, ha esordito nella corposa ricostruzione biografica dedicata al suo mentore con un elogio della ‘bella vita’ da questi trascorsa. Ha rievocato, a tal proposito, un aneddoto del tutto personale: in occasione dell’ottantesimo compleanno di Shantidas e dopo gli auguri levati dai presenti esultanti, l’anziano Patriarca Pellegrino gli poggiò la mano sulla spalla e, guardandolo con la coda dell’occhio, disse: “Bisogna augurarsi una vita […] piena: pienezza di vita!” <49. Amante della ‘Grande Vita’, avversario implacabile e risoluto d’ogni forza di morte, servitore del Divino sotto ogni forma e nome, Shantidas si definiva con sincera modestia ‘amico della saggezza’ e ‘ricercatore di santità’: “sono un amore felice, felice di vivere, accontentandomi di ciò che la natura mi dona” <50.
La sua vicenda esistenziale dischiude l’appassionante e corale epopea delle riflessioni e delle azioni non-violente intuite, pianificate e condotte nell’imperversare del ‘secolo breve’ dalla prospettiva di un testimone di eccezione. Si potrebbe sinteticamente dire che i primi quattro decenni di vita gli permisero di sviluppare e consolidare una certa prospettiva e linea di pensiero, per mezzo di studi, incontri e viaggi; i secondi quarant’anni, d’altro canto, sono stati la mirabile concretizzazione dei suoi ideali. La storia che ci apprestiamo a ripercorrere con l’ausilio di vari studiosi, puó essere, quindi, paragonata ad un triangolo con un vertice rivolto verso il basso e la base in alto: dalla nascita del fondatore, l’Ordine e il Movimento dell’Arca, “grande creazione dell’anima” <51, “geometria di pensiero incarnata” <52, hanno svettato per oltre settant’anni nei corpi e nei cuori di una sterminata galassia di persone e famiglie che, a varie intensità, su più generazioni e in diverse regioni del mondo, hanno accolto per sempre o in periodi circoscritti la sua inconfondibile chiamata. “‘Dio scrive dritto su linee curve’. Il proverbio non è mai stato più vero che per i Compagni dell’Arca” <53. Molti di quanti hanno ricevuto la grazia e l’onore di incontrarlo e ascoltarlo dal vivo, celebrando, faticando e lottando al suo fianco, hanno potuto scoprire “in quest’uomo vestito di lana bruna, […] in questa sorta di monaco laico, di Templare contadino, di re senza terra, eretto, itinerante da un luogo all’altro, seminatore di retta parola, predicatore di testimonianza, dalla vita esemplare, un maestro, un padre spirituale, un poeta” <54.
Ribadiamo, comunque, correndo il rischio di sembrare banali, che la storia dell’Arca non si esaurisce nella vita della persona che ne ha veicolato l’apparizione, che ne ha impersonificato la missione, per quanto carismatico o visionario fosse. Ovunque il messaggio e il modello dell’Arca è penetrato e si é radicato, esso si è declinato con maggiore o minore fedeltà sino ai giorni nostri. Una narrazione onnicomprensiva dell’Arca, se sarà mai possibile ricostruirla, è ancora tutta da scrivere. Il sottoscritto, purtroppo, non è stato in grado di realizzarla per mancanza di mezzi e tempo. Al cospetto di tale incommensurabile impresa, scegliamo perciò di restare ‘principianti’, risalendo con cautela e gratitudine la corrente dell’ispirazione, volgendo sempre la prua a quel “Purusha primigenio da cui è sorto il primo impulso all'azione” <55.
Genealogia di una nobile nascita
“Competizione e obbedienza all’autorità si scontrano con qualsiasi arte del vagabondare, con l’erranza dello spirito e con l’avventura fuori dai sentieri. Praticare queste arti é forse oggi tra gli atti piú rivoluzionari e sovversivi.” <56
Giuseppe Giovanni Luigi Maria Enrico Lanza di Trabia nacque a mezzodì il 29 settembre 1901, epoca di vendemmia <57, in un giorno consacrato agli arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele, sotto il segno della Bilancia, a ‘Specchia di Mare’, tenuta nobiliare donata dal principe Dentice, nella campagna circostante San Vito dei Normanni, in Puglia. Era il primogenito di don Luigi Lanza di Trabia, avvocato al foro di Parigi, a sua volta figlio illegittimo del principe Giuseppe Lanza di Trabia, già residente al palazzo Butera di Palermo. La madre di Luigi, Louise Alexandre, parigina, aveva sposato da giovane il conte Antonio Dentice, figlio minore di Gerardo Dentice di Frasso, principe di San Vito dei Normanni, molto più anziano di lei, che avrebbe tradito a Firenze con il principe Giuseppe Lanza. Nato in segreto a Ginevra, Luigi era stato inizialmente nascosto e fatto crescere, senza conoscere l’identità dei veri genitori, nel castello di Escoville in Normandia, presso amici della famiglia materna. Suo padre Giuseppe, intanto risposatosi con una nobildonna fiorentina, morì quando Luigi aveva undici anni, senza averlo potuto mai più rivedere dalla nascita. Conclusi gli studi, Luigi si era recato a Palermo per ritrovare la madre e tentare di riconciliarsi con il casato nobiliare d’appartenenza. Sulla quarantina, il giorno esatto dell’inaugurazione dell’Esposizione Universale a Parigi nel 1900, ai piedi della torre Eiffel, aveva incontrato Anne-Marie NautsÖdenkoven <58, donna fiamminga dell’alta borghesia liberale di Anversa. Si sposarono quello stesso anno, tre giorni prima di Natale. Costei, di lì a poco, sarebbe diventata madre di Giuseppe Giovanni, poi di Lorenzo Ercole (nel 1903) e, infine, di Angelo Carlo (nel 1907). Il padre dei tre fratelli, molto sensibile alle sofferenze dei lavoratori e ispirato da un forte sentimento di giustizia sociale, si era laureato in economia con una tesi incentrata sui ‘magazzini generali’, quale servizio pubblico di distribuzione teso ad attenuare i rischi del libero mercato: “le sue proposte si fondavano su un concetto di economia cooperativa, cosicché i lavoratori, riscattati dal semplice ‘lavoro delle braccia’, avrebbero partecipato alla direzione degli affari stessi” <59.
Traiettoria intellettuale di un giovane pensatore
L’infanzia dei tre fratelli, poliglotti già in tenera età, trascorse in viaggio fra Italia, Francia, Belgio ed Inghilterra. Come il nostro autore avrebbe raccontato: “non ho passato un solo anno della mia vita nello stesso paese e ho ricordi d’infanzia in tutta Europa” <60. Giuseppe, tra le quattro mura scolastiche, non fu uno studente brillante, benché sin da fanciullo dimostrasse un’indole tanto vivace e appassionata, quanto solitaria e riflessiva. L’instabilità affettiva del padre Luigi, afflitto dal controverso blasone e da una cronica infedeltà coniugale, gravò da subito sulle gracili spalle del primogenito: iniziò la scuola elementare con due anni di ritardo e manifestò ben presto difficoltà
nell’apprendimento della lettura. Da allora la madre Anne-Marie decise di prendersi cura dei tre figli da sola. All’età di dodici anni, in piena separazione coniugale, i quattro si trasferirono a Parigi e Giuseppe fu ammesso nel prestigioso Liceo Condorcet <61. Da subito in classe “ciò che mi sbalordì e mi colpì era l’estremo disordine nel quale ci gettavano dinnanzi le nozioni. […] Alle nostre domande sulla vita, la morte, gli animali, la luce, Dio… non v’erano risposte, mentre imponevano al nostro povero intelletto mille risposte che non ci interessavano” <62. Nel corso degli studi ‘Peppino-Fagiolo’, come lo motteggiavano i compagni, si appassionò alla poesia (soprattutto Heredia e Dante), al greco, all’arte oratoria e alla filosofia, interrogandosi, senza ricevere risposte soddisfacenti dal clero interpellato, anche sulla religione: “con una pietà bruciante [...] si alzava di notte, si inginocchiava e pregava il Buon Dio: per gli animali perseguitati dal carrettiere, dal macellaio, dal cacciatore e persino dal commensale d’ogni giorno; per le anime dell’inferno: mio Dio, fa’ che non vi siano dannati in eterno...” <63.
Allo scoppio della prima guerra mondiale la madre ritornò in Italia, mentre il quindicenne Giuseppe, ormai noto a scuola per i versi improvvisati, viveva tra la capitale e le isolate lande normanne. Gli ultimi due anni di studi secondari furono particolarmente importanti per la formazione del futuro scrittore e pensatore. Scoprì il nichilismo, l’ateismo, l’evoluzionismo e il positivismo, studiando, fra gli altri, Nietzsche, Darwin e Comte. Fu a quel tempo che Lanza cominciò “a scrivere i [...] primi testi pieni di furori filosofici e di sarcasmi, scandalizzando così i cristiani più tiepidi del mio ambiente. Scrissi anche un poema dal titolo ‘La storia del buon Dio’ (che il buon Dio mi perdoni!), dove predicavo la ‘religione nuova’, la religione senza Dio, in cui la Scienza era il Dogma e l’Arte il Culto” <64. A diciannove anni conseguì finalmente il diploma; alla prova orale, su invito del docente estrasse a sorte il tema ‘giustizia’, su cui si cimentò in un episodio memorabile riportato nei Viatici <65: “strano calcolo degli uomini che pretendono di fermare il male facendo del male a coloro che hanno fatto del male”. Il professore si destò dal torpore, commentando “Non è così falso! […] É una citazione? Di chi? Dove avete letto questa cosa?”, al che l’esaminando rispose: “Dico quel che penso”. “Ed ora - continuava l’annotazione - più ci penso più ci credo, essi continuano a fare il male per arrestare il male. Si susseguono guerre e rivoluzioni a catena. Così sono forgiate le catene della Storia”. A quel 1920 risalgono anche le prime pagine del diario personale, testimonianza di un acuto slancio contemplativo, incline allo stupore e affascinato dalla luminosità di un mondo percepito come “un grande cristallo nelle cui sfaccettature si rifrange la luce” <66.
Il diploma ottenuto a Parigi lo abilitò formalmente all’insegnamento di latino, greco e filosofia. Desideroso di approfondire gli studi in questa sfera dell’umano sapere, Giuseppe Lanza del Vasto decise di iscriversi nel 1920 dapprima all’Istituto di studi superiori pratici e di perfezionamento, quindi alla facoltà di Filosofia dell’Università di Firenze. Degni di menzione sono i tre principali insegnanti di quel breve periodo fiorentino, grazie ai quali, ipotizza de Mareuil, il giovane studente sarebbe riuscito a non scivolare dall’agnosticismo laico in una prospettiva ciecamente materialista: il lucano Francesco de Sarlo (1864-1937), spiritualista <67, co-redattore tra il 1912 ed il 1915 della rivista fiorentina ‘Psiche’ insieme a Roberto Assaggioli, antifascista, critico dello scientismo e del neoidealismo allora imperanti; il conterraneo Eustachio Lamanna (1885-1967), allievo e genero di De Sarlo, teorico <68 dell’esperienza morale e religiosa, giuridica e politica, sostenitore del regime fascista; Giovanni Calò, (1882-1970), pedagogista pugliese, accademico dei Lincei e sottosegretario alla pubblica istruzione nella prima metà del ‘22. Lanza si trasferì nel 1921, sotto il rettorato di Giovanni Gentile, all’Università di Pisa, la città ‘cogitabunda’ dove avrebbe vissuto per quattro anni. Qui respirò l’atmosfera bollente di rivendicazioni operaie e ardori fascisti in ascesa. Frequentava poco i corsi, impregnati di utilitarismo inglese, studiando alacremente <69 in autonomia e dedicandosi a brevi viaggi lungo la penisola, alle prime avventure romantiche, a nuove intense amicizie. Fra queste, spiccarono l’incontro con Giovanni Acquaviva, studente di giurisprudenza e pittore futurista in erba, e con Antonino da Empoli, fervente cattolico. Cominciò proprio allora ad abbozzare un sistema filosofico dialettico che superasse Cartesio, Kant ed Hegel, imperniato sulla ‘trinità spirituale’: un pensiero “ritmato da opposizioni senza contraddizioni, da complementarietà dinamiche, da triadi che riassorbono la dualità nell’unità” <70. Leggeva, fra i numerosi pensatori, Einstein, von Ruysbroek, santa Caterina da Siena, approcciava per la prima volta gli insegnamenti del Buddha, di Lao Tse e Śaṅkarācārya; curava i cronici reumatismi, eliminati negli anni a venire grazie al regime vegetariano e ai protratti cammini, con le cauterizzazioni. Riuscì ad evitare l’arruolamento nell’esercito per la clemente complicità dell’ufficiale preposto, il quale in ossequio alla sua ascendenza nobiliare addusse l’altezza eccessiva come pretesto d’esonero. La poesia ‘Parole sulla Montagna’ <71 del giugno 1923 rivelava per la prima volta un sincero amore per Dio, volto a trasmutare i tormentati attaccamenti alla logica razionale, all’orgoglio e alla sensualità in occasioni altrettanto appassionate di adorazione e devozione. Ispirato dal pacifismo internazionalista liberale che circolava negli anni ‘20 tra le élites erudite europee <72, il giovane Giuseppe fu invitato agli incontri periodici organizzati dal suo vecchio professore di greco, il signor Desjardins, presso il circolo ospitato nell’ex-abbazia cistercense di Pontigny <73, denominato la ‘Casa degli Amici’ e animato da intellettuali e artisti provenienti da tutto il continente. In quegli stessi anni il fratello Lorenzo, studente di agraria, lo introdusse a ‘Il Capitale’ di Karl Marx <74, rispetto al quale la sua postura critica, solidale verso la condizione proletaria, avrebbe conosciuto una pluridecennale evoluzione. L’amico Giovanni Acquaviva, nel frattempo, gli proponeva audacemente di redigere al suo posto la tesi di laurea in filosofia del diritto, in cambio di opere pittoriche. Fu così che Lanza del Vasto scrisse <75 la celebre ‘Tesi di Acquaviva’, intitolata ‘Una concezione dell’etica e del diritto’, nella prima metà del 1925. Dattiloscritta e con correzioni autografe dell’autore (di cui non figura, comunque, il nome), la tesi, che consentì all’amico giurista di conseguire il titolo e di intraprendere una lunga carriera da magistrato indulgente, è ancora oggi reperibile presso gli archivi dell’ateneo pisano.
[NOTE]
43 Lanza del Vasto visse, a suo avviso, “un momento folgorante che ribalta i rapporti stabili della sua gioventù, e che lo fa giungere da miscredente a religioso aperto a tutte le religioni, da razionalista a profondamente rispettoso della vita altrui, da individualista a fondatore di comunità, da aristocratico a nascosto in mezzo alla gente semplice e sperduta del mondo, da ricco a possessore dei suoi soli abiti”. [Fonte: Antonino Drago, La Comunità dell’Arca, Azione Nonviolenta, anno IX, novembre-dicembre 1972; p. 11]
44 Antonino Drago (a cura di), Il pensiero di Lanza del Vasto: una risposta al XX secolo, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani, 2010; p. 16.
45 Ibidem, p. 19. É interessante, a tal proposito, leggere il commento di un docente cattolico di teologia morale, in riferimento implicito ai ranghi di ‘Comunione e Liberazione’: “I suoi libri venivano letti dai militanti di un movimento molto vitale, interno al cattolicesimo italiano (la casa editrice Jaca Book era in quegli anni ad esso collegata), per i quali forse era l’unico contatto […] ‘non immediatamente missionario’ con l’Oriente”. [Fonte: Leonardo Lenzi, Lanza del Vasto e altre esperienze ‘disoccidentanti’, in: Antonino Drago (a cura di), Il pensiero di Lanza del Vasto: una risposta al XX secolo, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani, 2010; p. 83]
46 René Doumerc, Dialogues avec Lanza del Vasto, Les Éditions du Cerf, Parigi, 1980; p. 10.
47 Antonino Drago (a cura di), Il pensiero di Lanza del Vasto: una risposta al XX secolo, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani, 2010; p. 24.
48 Andrea Cozzo, Scienza, conoscenza e istruzione in Lanza del Vasto, in: Antonino Drago (a cura di), Il pensiero di Lanza del Vasto: una risposta al XX secolo, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani, 2010; p. 114.
49 Arnaud De Mareuil, Lanza del Vasto: Sa vie, son oeuvre, son message, Dangles, Saint-Jean-de-Braye, 1998; p. 15.
50 Roberto Pagni, Ultimi dialoghi con Lanza del Vasto, Edizioni Paoline, Roma, 1981; p. 26.
51 Fernando Vittorino Joannes, Premessa a: Ibidem, p. 7.
52 Leonardo Lenzi, Lanza del Vasto e altre esperienze ‘disoccidentanti’, in: Antonino Drago (a cura di), Il pensiero di Lanza del Vasto: una risposta al XX secolo, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani, 2010; p. 87.
53 Jean Toulat, Combattenti della nonviolenza, E.M.I., Bologna, 1984; p. 57.
54 Anne Fougère e Claude-Henri Rocquet, Lanza del Vasto: Pèlerin, Patriarche, Poète, Desclée de Brouwer, Parigi, 2003; p. 22.
55 Srīmad Bhagavad Gītā, Canto XV, v. 4.
56 Gabriella Falcicchio, Profeti scomodi, cattivi maestri: Imparare a educare con e per la nonviolenza, Edizioni La Meridiana, Molfetta, 2018; p. 32.
57 “Secondo le usanze, il neonato fu bagnato in un tino di vino nuovo, che si crede porti grande forza al futuro uomo, il quale, in seguito, non berrà vino. Il giorno dopo lo battezzarono e lo festeggiarono con petardi, piogge di fiori, chitarre e mandolini”. [Fonte: Jean Toulat, Combattenti della nonviolenza, E.M.I., Bologna, 1984; p. 22]
58 La madre di Lanza del Vasto era cugina, dal lato materno, di Henry Ödenkoven, figura di rilievo nella storia del pacifismo europeo agli inizi del XX secolo. Nato ad Anversa nel 1875, figlio di Louis Ödenkoven, facoltoso magnate e industriale (produzione di candele) di Anversa, e dell’inglese Elise Adderley, conobbe durante un soggiorno presso uno stabilimento di cura in Slovenia nel 1899 la pianista sassone, di adozione montenegrina, Ida Hoffmann, la quale sarebbe diventata col tempo la sua compagna di vita. Insieme a lei, a sua sorella Jenny, ai fratelli rumeni Karl e Gustav Gräser e alla giovane Lotte, Henry fondò nel 1900 il Monte Verità ad Ascona, in Svizzera, acquistando il terreno su cui era stata in precedenza progettata la costruzione di un convento teosofico. Grazie al cospicuo patrimonio familiare, la comunità, agricola, artigianale e non confessionale, fu progressivamente ampliata e trasformata in un centro vegano e naturista, improntato anche alla pratica delle arti e, in particolare, della musica e dell’architettura. Interessato alla spiritualità e attento all’emancipazione femminile, Henry si dedicò soprattutto alla conduzione del sanatorio, dove proponeva, fra l’altro, euritmia e bagni di sole integrali. La fama del Monte Verità si diffuse in tutta Europa e oltre oceano, al punto da essere ben presto frequentato da teosofi, riformatori, anarchici, comunisti, socialdemocratici, psicoanalisti, personalità letterarie, scrittori, poeti, artisti, esuli e persone di ogni risma. Fra le sue svariate centinaia di ospiti è possibile citare: Raphael Friedeberg, il principe Peter Kropotkin, Erich Mühsam (il quale definì Ascona ‘la repubblica dei senza patria’), Otto Gross (il quale vi progettò una ‘scuola per la liberazione dell’umanità’), August Bebel, Karl Kautsky, Otto Braun, Hermann Hesse, la contessa Franziska zu Reventlow, Else Lasker-Schüler, D. H. Lawrence, Rudolf von Laban, Mary Wigman, Isadora Duncan, Hugo Ball, Hans Arp, Hans Richter, Marianne von Werefkin, Alexej von Jawlensky, Arthur Segal, El Lissitzky. A partire dal 1914 Henry partecipò alle sedute dell'ordine del Tempio d'Oriente. Dopo aver lasciato il Monte Verità nel 1920, tentò di creare nuove colonie vegetariane in Spagna, poi in Brasile (‘Monte Sol’), che però fallirono in poco tempo. Morì a São Paulo nel 1935. [Fonti: OltreconfiniTI; Dizionario Storico della Svizzera; Stefan Bollmann, Monte Veritá, EDT, Torino, 2019 (2017).]
59 Giacomo Zaccaria, Lanza del Vasto: Note bio-bibliografiche, Città di San Vito dei Normanni, Settore Affari Generali, Ufficio Relazioni con il Pubblico, 2008.
60 Roberto Pagni, Ultimi dialoghi con Lanza del Vasto, Edizioni Paoline, Roma, 1981; p. 23.
61 Jean Toulat racconta con umorismo come il giovane Lanza dovesse qui “aggiungere allo studio delle declinazioni latine quello della musica, danza, scherma e dell’equitazione. […] Impara a fare l’inchino, a fare il baciamano alle signore, a mangiare la crema al cioccolato senza sporcarsi il colletto di pizzo”. [Fonte: Jean Toulat, Combattenti della nonviolenza, E.M.I., Bologna, 1984; p. 22]
62 Jean Toulat, Combattenti della nonviolenza, E.M.I., Bologna, 1984; p. 24.
63 Arnaud De Mareuil, Lanza del Vasto: Sa Vie, Son Oeuvre, Son Message, Éditions Dangles, Saint-Jean-de-Braye, 1998; p. 19.
64 Roberto Pagni, Ultimi dialoghi con Lanza del Vasto, Edizioni Paoline, Roma, 1981; p. 30.
65 Le Viatique I, Libro II, Firenze 1921, n° 12-13.
66 Ibidem, p. 20.
67 La novità centrale introdotta da De Sarlo, dal 1900 al 1933 cattedratico di filosofia teoretica presso il Regio Istituto di Studi Superiori di Firenze e influenzato dalle lezioni del concittadino Franz Brentano (1838-1917; celebre pensatore e autore de ‘La psicologia come esperienza empirica’, ex-sacerdote tedesco, contrario al dogma dell’infallibilità papale, poi professore all’Università di Vienna, ebbe tra i suoi allievi anche Sigmund Freud, Rudolf Steiner ed Edmund Husserl) è l’idea per cui qualsiasi fenomeno fisico esiste in quanto contemporaneamente psichico, contenuto cioè della coscienza umana. A suo parere, dunque, l'oggetto di studio della psicologia avrebbe dovuto concentrarsi sull'esperienza intenzionale del soggetto. L'unica vera esperienza diretta era, a suo avviso, quella psichica. Esperienza interna ed esterna andavano così a configurarsi come due aspetti interdipendenti e inscindibili del medesimo fenomeno.
68 Le prime pubblicazioni a Firenze fra il 1914 e il 1919, fra cui ‘La religione nella vita dello spirito’ (1914), ‘Il sentimento del valore e la morale criticistica’ (1915), ‘L'amoralismo politico’ (1916), ‘Il fondamento morale della politica secondo Kant’ (1916), ‘Il bene per il bene’ (1919), ‘Il diritto correlativo al dovere nell'idea di bene morale’ (1919), ‘L'eticità del diritto: l'esperienza giuridica’ (1919) permisero a Lamanna di conseguire la libera docenza, quindi di ottenere nel 1921 la cattedra di Filosofia Morale presso l'Università di Messina. Tre anni dopo assunse la direzione della cattedra di Storia della Filosofia all'Università di Firenze, dove si sarebbe poi svolta tutta la sua carriera accademica, anche da Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dal 1947 al 1953, fino alla quiescenza raggiunta nel 1961.
69 Dai taccuini si evince che gli anni di studio a Pisa furono per Lanza del Vasto particolarmente fecondi ed entusiasmanti. Si leggono, infatti, righe come queste: “Io cambio, e cambio, e cambio, sono inesauribilmente il contrario di me stesso!” (Viatique X, inedito, 2615), “Per portare a termine i miei progetti e le mie opere, non mi basterebbero tre vite, né quattro” (Le Viatique I, VI, 10, p. 226) e “Voglio vedere tutto, gustare tutto, soffrire tutto, conoscere tutto, fare tutto” (Le Viatique I, IV, 31, p. 150).
70 Daniel Vigne, La Relation Infinie: La Philosophie de Lanza del Vasto, vol. II: L’etre et l’esprit, éd. du Cerf, Parigi, 2010; p. 23.
71 Arnaud De Mareuil, Lanza del Vasto: Sa Vie, Son Oeuvre, Son Message, Éditions Dangles, Saint-Jean-de-Braye, 1998; p. 34.
72 Ci riferiamo, in particolare, insieme al MIR, a Pierre Cerésole e al ‘Service Civile Internationale’ da lui fondato nel 1920 in Svizzera.
73 A Pontigny Lanza del Vasto realizzò, in particolare, come “la pratica assidua e continua dell’intelligenza possa trasformare il carattere dell’uomo e della sua natura, raffinandola. L’uomo colto non merita questo titolo né per la massa del suo sapere, né per la potenza della sua originalità, ma per una certa trasformazione che il lavoro dell’intelligenza opera in lui. Può non essere sapiente, né artista, né filosofo, e ciò nonostante, nello scambio delle idee e nella discussione, tenere testa ai più grandi geni”. [Fonte: Roberto Pagni, Ultimi dialoghi con Lanza del Vasto, Edizioni Paoline, Roma, 1981; p. 32]
74 Frédéric Richaud, tra i più recenti biografi di Lanza del Vasto, non esita a definirlo in più occasioni un politologo ‘honoris causa’: “sebbene condividesse le critiche di Marx contro il salariato e le frontiere, il fatto che il teorico tedesco considerasse gli uomini come delle ‘macchine economiche’ e, soprattutto, che avesse escluso Dio e i propri valori dal suo sistema, inficiava in anticipo, a suo parere, il successo della sua impresa”. [Fonte: Frédéric Richaud, Voir Gandhi: l’extraordinaire périple de Lanza del Vasto, Editions Grasset & Fasquelle, Parigi, 2018; p. 34]
75 Cfr.: Arnaud De Mareuil, Lanza del Vasto: Sa Vie, Son Oeuvre, Son Message, Éditions Dangles, Saint-Jean-de-Braye, 1998; p. 37. Il biografo sottolinea come il giovane Lanza del Vasto si fosse ‘appassionato’ alla filosofia del diritto.
Alessandro Paolo, La Non-violenza di Lanza del Vasto e dell’Arca. Spunti filosofici, socio-politici e giuridici per percorsi di pedagogia interculturale, Tesi di Dottorato, Università degli Studi del Molise, Anno Accademico 2021-2022