lunedì 3 marzo 2025

L’evolversi delle vicende belliche del secondo conflitto mondiale portò quindi l’Abruzzo a ritrovarsi proprio lungo la «linea del fuoco» fino al giugno 1944



In Abruzzo «tra l’11 e il 20-25 settembre, i tedeschi assunsero dunque il controllo di molte località della regione e di tutti i maggiori centri di comunicazione» <46 mentre in assenza di ordini, tutti gli apparati militari italiani - sia la flotta che le sessanta divisioni dell’esercito con 1 milione e 700 mila uomini <47 - «si sciolsero con fulminea rapidità; le caserme e gli acquartieramenti furono abbandonati in massa da ufficiali e soldati, molti dei quali si vestirono da civili e con un’unica preoccupazione: raggiungere le proprie case. Chi non aveva lasciato le postazioni venne affrontato, disarmato e catturato dai tedeschi: cominciò la loro odissea sui carri bestiame che li avrebbe condotti nel lager tedeschi» <48. In questo stesso periodo, si risolse anche la polemica a distanza tra Rommel <49 e Kesselring <50 in merito alla strategia da adottare per contrastare l’avanzata alleata. Il primo riteneva che «convenisse ai tedeschi ritirarsi sulla linea Pisa-Rimini, la più breve come larghezza dell’intera penisola, facilmente difendibile potendosi appoggiare agli Appennini tosco-emiliani» <51. Kesselring invece, che aveva visto sperimentare «in Sicilia la tattica di una ritirata graduale tutto sommato redditizia, non aveva alcuna intenzione di abbandonare l’Italia meridionale e centrale, che offrivano altrettante possibilità di valida difesa grazie a fiumi e catene montuose disposte trasversalmente lungo le direttrici dell’avanzata alleata» <52. A prendere la decisione finale fu Hitler in persona che il 2 ottobre ordinò che «la linea Gaeta Ortona (posizione B) [… doveva essere] «difesa con decisione». Questo orientamento [… venne] poi ribadito da successive disposizioni dello stesso tenore e infine, nella seconda metà di novembre, dal richiamo di Rommel in Germania, con il conseguente passaggio della Wehrmacht in Italia agli ordini del solo Kesselring» <53. Nei fatti, per l’Artese, «Hitler rimase tuttavia titubante fino all’ultimo se affidare o meno a Kesselring l’incarico di comandante delle forze tedesche in Italia» e solo «il 21 novembre gli affidò i pieni poteri su tutte le truppe delle tre armi della Wermacht e delle Waffen S.S. impegnate come forze di terra, sulle forze navali impegnate nelle operazioni, e sulle parti dell’organizzazione Todt impegnate in Italia» <54. Mentre Rommel «fu richiamato dall’Italia e destinato alla difesa del «Vallo atlantico» in allestimento sulle coste nordorientali francesi. Kesselring diventava così l’incontrastato «signore della guerra» <55.
La strategia del Feldmaresciallo, approntata il 12 di settembre e resa operativa il 30 dello stesso mese, era incentrata su di «un vero e proprio sistema difensivo (su cui attestare le forze della 10a Armata tedesca <56). Esso consisteva in una successione di linee tattiche ritardatrici, coincidenti in gran parte con le vallate di alcuni fiumi appenninici. Le linee erano designate da postazioni fortificate e punti topografici e indicavano la direzione di importanti terreni tattici: su di esse - a seconda delle necessità - sarebbero state realizzate fortificazioni leggere da campagna o più articolati dispositivi organizzati di difesa. La condotta tedesca in Italia, stabilita da Kesselring il 2 ottobre e poi definita dalla [sic!] direttive di Hitler del 4 ottobre, perseguiva ora come obiettivo principale l’arresto dell’offensiva alleata a sud della linea Gaeta-Ortona; con una relativa elasticità di azione, determinata dai possibili mutamente della situazione tattica. E i massicci montuosi dell’Appennino centro-meridionale, incisi da anguste valli sovente trasversali alla catena, offrivano in quel momento un eccellente terreno di difesa, senza dubbio il migliore lungo la penisola italiana» <57. Scrisse Kesselring: «la «linea Gustav» venne notevolmente rafforzata nei settori soggetti prevedibilmente ad attacchi e trasformata in un sistema di fortificazioni in profondità a compartimenti successivi, per renderla atta a sostenere qualsiasi prova» <58.
In quel periodo il Molise ebbe il triste primato di essere attraversato da tutte le linee ritardatrici e da quella difensiva costruite nel Sud dai tedeschi. Questa situazione costrinse la popolazione a vivere «tra due fuochi», da una parte gli occupanti teutonici e dall’altra gli alleati che tentavano la risalita verso Nord <59. Delle provincie abruzzesi, due si ritrovarono ad essere attraversate dalla Gustav lungo «la dorsale del bacino Sangro-Aventino e successivamente dell’Alento» <60: l’area a sud est della provincia aquilana a ridosso di Roccaraso e l’area centrale della provincia di Chieti da Palena fino ad Ortona.
A favorire l’attestamento delle truppe tedesche e il mantenimento delle posizioni per i mesi successivi, concorsero senza dubbio alcune caratteristiche morfologiche del territorio - i massicci montagnosi, le gole impervie, i torrenti impetuosi - nonché le condizioni meteo di una stagione invernale particolarmente inclemente - l’aggettivo usato da Churchill fu «infame» <61 - con piogge insistenti, nevicate a media quota e nebbie fitte che «si susseguono per giorni e giorni da novembre a febbraio, avvolgendo uomini e cose in un’atmosfera grigia, oppressiva ed inospitale» <62. Annotò ancora Churchill nelle sue memorie che dopo «un anno di ritirate quasi ininterrotte in Africa, in Sicilia e nell’Italia meridionale, le truppe tedesche furono liete di voltarsi e cominciare a combattere» <63.
L’evolversi delle vicende belliche del secondo conflitto mondiale portò quindi l’Abruzzo a ritrovarsi proprio lungo la «linea del fuoco» <64, fino al giugno 1944: dal cielo i bombardamenti alleati, da terra «le ben più devastanti distruzioni germaniche» <65 e le loro severissime disposizioni alle popolazioni occupate, avallate e troppo spesso sostenute, come già detto, dalle forze italiane fasciste della Repubblica di Salò. Fu proprio l’individuazione di un duplice nemico - tedesco e fascista - che caratterizzò la Resistenza italiana che, come scrisse Bobbio, fu "«un movimento di liberazione non solo dallo straniero, ma anche da un regime che aveva […] da vent’anni […] soppresso tutte le libertà costituzionali, e infine gettato l’Italia disarmata e nolente nel rogo dell’incendio nazista. Nella maggior parte dei paesi in cui si sviluppò un movimento di resistenza, questo fu esclusivamente un momento patriottico di guerra allo straniero. In Italia la Resistenza fu insieme un movimento patriottico e antifascista, contro il nemico esterno e contro il nemico interno; ebbe il duplice significato di lotta di liberazione nazionale (contro i tedeschi) e politica (contro la dittatura fascista), per la riconquista dell’indipendenza nazionale e della libertà politica e civile. Fu contemporaneamente una lotta su due fronti, contro due avversari, che mirava contemporaneamente a due risultati: restituire l’Italia all’indipendenza, non diversamente da quel che fu il compito della Resistenza olandese o danese, e restaurare il regime democratico che il fascismo aveva soppresso»" <66.
Tornando all’Abruzzo, Costantino Felice scrisse che venne «a trovarsi a ridosso del fronte nel momento in cui dai supremi comandi alleati - stando a quanto dichiarato dal capo dell’aviazione americana - si [… decise] di far entrare in azione «con tutta la sua potenza» la flotta aerea statunitense, bombardando la penisola in modo da «scompigliare il flusso di rifornimenti e di rinforzi ai tedeschi e di isolare le comunicazioni ferroviarie e stradali» <67. Il 27 agosto, Sulmona - «importante nodo ferroviario sulla linea Pescara-Roma, oltre che sede di rilevanti servizi militari e di un’industria bellica» <68 - subisce il primo attacco. Quattro giorni più tardi è la volta di Pescara che riportò «centinaia di morti e feriti» nonché ingenti distruzioni materiali <69. In breve tempo a subire bombardamenti furono tutti i centri abruzzesi di una qualche rilevanza strategica - come Avezzano nella cui vicina Massa d’Albe si stabilì il comando delle 10a armata tedesca - ma anche centri più defilati come Teramo, nonché «una infinità di paesetti montani e collinari» <70. Devastanti le ripercussioni sulla popolazione che oltre all’impatto di morte, distruzioni e terrore, conobbero anche una «condizione psicologica inscrivibile, nelle sue grandi linee, in quel quadro di «disperata angoscia mortale» ben noto in psicopatologia» <71.
Dal canto loro le forze tedesche misero in atto, la tattica della «terra bruciata»: «non solo abbattere ponti, strade, ferrovie, porti, per creare ostacoli e difficoltà alla marcia del nemico, ma annientare ogni possibile condizione di vita, radere al suolo centri abitati e casolari di campagna, azzerare qualunque fonte di sostentamento, col proposito deliberato di non lasciare dietro di sé che macerie e campi minati. Interi paesi e villaggi di montagna una volta divenuti indifendibili, [… vengono] minati e fatti saltare in aria» <72. Detto metodo fu applicato nelle forme più «esasperate e brutali» <73, sui paesi rientranti nell’ampia fascia a ridosso della Gustav tra i quali l’ordine di evacuazione dei civili, - il cui primo ordine venne emanato il 24 ottobre dal prefetto di Chieti su disposizione di Kesselring. Questa disposizione indicava di liberare dalla «presenza dei civili una fascia di territorio profonda dieci chilometri «al di qua della linea di combattimento principale» e altri cinque aldilà di essa, nonché ulteriori cinque chilometri lungo la costa» <74. «Sennonché» - scrive Costantino Felice - «la quasi totalità dei comuni chiamati in causa, 16 per la precisione <75, risponde che il piano è inattuabile, mancando, per una tale massa di persone, i mezzi di trasporto e di sostentamento. Vengono proposti in alternativa sfoltimenti limitati e scaglionati. Le autorità tedesche insistono. Alla data però dell’8 novembre, ultimo giorno fissato per la partenza, soltanto un terzo di quanti hanno ricevuto il foglio di via si è realmente allontanato» <76. Non sopportando più ulteriori ritardi, vengono allora inviate dal comando tedesco «le pattuglie della Wehrmacht che armi in pugno costringono, spesso nel giro di poche ore, intere comunità all’abbandono totale delle proprie case, trasformate poi in macerie dalle mine»77. Decine di migliaia di persone furono così costrette, prive di ogni bene, a lasciare le proprie abitazioni e «ad avventurarsi in lunghe e incerte peregrinazioni alla ricerca di un rifugio; secondo gli approssimativi calcoli delle autorità ecclesiastiche chietine, per esempio, oltre 200 000 nella zona dei combattimenti e altre 100 000 nelle immediate retrovie» <78.
Al contempo venne diramata una direttiva in base alla quale le truppe dovevano sostentarsi «esclusivamente a spese del paese» e la campagna doveva «essere completamente depredata soprattutto di carne ed ortaggi». L’ordine prevedeva anche l’imperativo: «Agire senza scupoli!» <79. Come ribadito da Kesselring, la Wehrmacht doveva raggiungere «una quasi completa autarchia» <80. Ne conseguirono «interminabili e odiose razzie di viveri e di altri generi» <81. «Particolarmente nefaste» - scrive Costantino Felice - «sono le conseguenze delle razzie nel settore zootecnico, principale e spesso unica fonte di sostentamento in ampie zone dell’Abruzzo montano. A un certo momento se ne preoccupano le stesse autorità repubblicane, che pure normalmente - in questo campo forse più che in altri - sono prone ai comandi tedeschi. Il questore di Pescara, ad esempio, si lamenta che le requisizioni di bestiame avvengano senza alcun criterio né censimento preventivo. E qui si parla di quelle ufficiali, giacché le arbitrarie, al di fuori persino di ogni normativa di guerra, erano ben più gravi e depauperanti. In provincia di Teramo si calcola che il «prelievo» mensile potesse aggirarsi sui 650 bovini e 2000 ovini. Significativo è poi quanto riferisce il prefetto dell’Aquila: prima dello «sfascio» seguito all’armistizio in provincia si contavano 522.222 pecore, di cui 274 000, transumanti, di proprietà dei grossi armentari, e le rimanenti, a carattere stanziale, appartenenti a piccoli allevatori; quando egli scrive (24 marzo 1944) non ne restavano che 100000, con migliaia di pastori e altri addetti nell’«indotto» finiti miseramente sul lastrico. Nella sola cittadina di Castel di Sangro (circa 4500 abitanti) nel giro di tre giorni - ricorda l’arciprete Francesco Catullo - vengono razziati ben 400 suini, cui poi ne seguono altri 700 ancora» <82.
Non bastasse, i tedeschi avviarono fin da subito il rastrellamento di uomini in considerazione del fatto che «le barriere offerte dalla natura, per quanto solide e sicure, non bastano: occorrono, […] fortificazioni e difese artificiali. […] Ecco allora le continue richieste di braccia - fatte sempre attraverso le autorità e gli uffici italiani - per i cosiddetti servizi del lavoro» <83. Il primo bando in questo senso «(per tutti gli uomini dai 18 ai 33 anni obbligo tassativo di presentarsi entro cinque giorni ai comandi militari […]), firmato dallo stesso Kesselring, è datato 18 settembre 1943» <84. Del 26 settembre 1943 quello emanato dal prefetto di Chieti <85, con tanto di minacce ai disobbedienti, che avrebbero subito il trattamento secondo le «leggi germaniche di guerra»86. «Le normali vie amministrative dei bandi e degli avvisi pubblici non ottengono però che scarsissimi risultati. E dunque, di fronte alla resistenza popolare, per avere manodopera a scopi paramilitari» non rimasero che compiere «atti di forza» e «razzie». Non venne «risparmiato nessuno, anche se inadatto o addirittura inabile». La promessa poi, di salari più elevati rispetto ai normali, spinse alcuni a «presentarsi spontaneamente» alla chiamata <87.
Un «ulteriore indicatore delle condizioni psicologiche e materiali in cui il popolo subisce l’occupazione tedesca e il dominio nazifascista è dato dal diffuso rifiuto di arruolarsi nell’esercito e negli altri servizi della Repubblica sociale. Anche questo settore di coercizione con il tempo andrà facendosi progressivamente più cupo e persecutorio, coinvolgendo non soltanto i singoli renitenti ma anche i loro familiari: genitori, mogli, figli e parenti in genere. Le forme di pressione e ricatto [… furono] molteplici: confisca dei beni, ritiro di licenze commerciali, chiusura di esercizi, arresto, deportazione, fino alla pena di morte (decreto 18 febbraio 1944)» <88. Il rifiuto a combattere per Hitler e per Mussolini, «sebbene non sempre frutto di una consapevole scelta antifascista, diventa anche in Abruzzo, come nel resto d’Italia […], un fenomeno di massa» <89.
È in questo contesto che si formano le bande partigiane abruzzesi «senza un disegno prestabilito, solo per rispondere a elementari bisogni di sopravvivenza e autodifesa». La grandissima maggioranza degli uomini, rifiutando di servire la Rsi e al tempo stesso «consapevoli dei patimenti e dell’incerto destino cui si sarebbe andati incontro con i servizi del lavoro», preferirono «darsi alla fuga» abbandonando i centri abitati e «a gruppi o singolarmente, si disperdono per i boschi e le campagne, rincontrandosi poi, nottetempo, in qualche luogo precedentemente designato. È in queste circostanze, alla macchia, che molto spesso si pone ineludibile l’esigenza di doversi organizzare e difendere, visto anche che in scontri con i tedeschi c’è chi ci rimette la vita» <90.
[NOTE]
46 Giovanni Artese, La guerra in Abruzzo e Molise 1943-1944. Le battaglie del Biferno, del Trigno e dell’Alto Volturno. L’avanzata dell’8a Armata fino al fiume Sangro, Vol. I, Casa Editrice Rocco Carabba, Lanciano, 1993, pp.83-84.
47 Cfr. Rick Atkinson, Il giorno della battaglia. Gli alleati in Italia 1943-1944, Mondadori, Milano, 2008, p. 231.
48 Gianni Rocca, L’Italia invasa 1943-1945, cit., p. 98. «Con la dissoluzione dell’esercito e la fine della breve illusione di uscire dal conflitto e di schierarsi tempestivamente dalla parte degli angloamericani, togliendosi di dosso il marchio di nemico sconfitto, l’intero paese fu abbandonato alla violenta vendetta dei tedeschi, che repressero sanguinosamente ogni tentativo di reazione da parte dell’esercito italiano e punirono con la deportazione e l’internamento in Germania circa 750.000 militari italiani», Elena Aga Rossi, Una nazione allo sbando 8 settembre 1943, il Mulino, Milano, 2003 [prima ed. 1993], p. 25.
49 Allora a capo del gruppo di armate stanziatisi nel nord Italia.
50 Allora capo delle forze tedesche nell’Italia Meridionale. «Gli Alleati conoscevano bene il feldmaresciallo Albert Kesselring. Come comandante tedesco di grado più elevato nel Mediterraneo, di fatto la controparte di Eisenhower, era l’uomo che aveva impedito agli anglo-americani di conquistare rapidamente la vittoria in Tunisia […]. In apparenza Kesselring dipendeva dagli italiani (era il contentino concesso a Mussolini nel 1939, alla firma del Patto d’acciaio, per lusingarne il senso di proprietà sul Mediterraneo), ma in realtà riservava la sua lealtà a Hitler, «il salvatore della Germania dal caos», e aveva imparato da tempo a chiudere gli occhi davanti agli aspetti meno piacevoli del regime nazista. […] Cinquantasettenne, Kesselring aveva un sorriso smagliante, espressione della sua bonomia bavarese: i soldati lo chiamavano «Albert il sorridente». «Kesselring è un inguaribile ottimista» aveva detto Hitler il 20 marzo «e noi dobbiamo fare attenzione a che l’ottimismo non lo accechi». […] La sua strategia era imperniata sull’idea di tenere la guerra il più lontano possibile dalla Germania: da aviatore sapeva benissimo quali sarebbero state le conseguenze per Monaco, Vienna, Berlino se gli anglo-americani avessero conquistato delle basi in Italia. A differenza di molti altri generali tedeschi, compreso il rivale Erwin Rommel, Kesselring riteneva che si potesse difendere tutta l’Italia, se gli italiani avessero fatto la loro parte. E pensava che l’avrebbero fatta, anche se la sua italofilia era temperata dal sarcasmo. «Gli italiani si accontentano facilmente» diceva. «In realtà hanno soltanto tre vere passioni: il caffè, le sigarette e le donne». Quanto ai militari, non erano «soldati nell’anima». Già verso la fine della primavera Kesselring aveva definito «d’argilla» le difese siciliane», Rick Atkinson, Il giorno della battaglia. Gli alleati in Italia 1943-1944, cit., p. 111.
51 Gianni Rocca, L’Italia invasa 1943-1945, cit., pp. 77-78.
52 Ibidem.
53 Costantino Felice, Dalla Maiella alle Alpi. Guerra e Resistenza in Abruzzo, cit., pp. 3-4.
54 Giovanni Artese, La guerra in Abruzzo e Molise 1943-1944. Le battaglie del Sangro. La battaglia del Moro e di Ortona. I combattimenti nell’area a nord di Venafro, Vol. II, Edigrafital Edizioni Grafiche Italiane, Teramo, [1994?], p. 9.
55 Gianni Rocca, L’Italia invasa 1943-1945, cit., p. 117.
56 «Al 1[°] ottobre 1943, la 10a Armata tedesca non disponeva che di 8 divisioni, per un totale di 60.443 combattenti, “compresi quelli momentaneamente assenti”. Il XIV Panzerkorps contava 917 ufficiali, 6220 sottufficiali e 26.636 soldati, per un totale di 33.773 uomini; il LXXVI Panzerkorps 672 ufficiali, 4342 sottufficiali e 19.763 soldati, per un totale di 24.777 uomini; e l’Oberkommando della 10a Armata 57 ufficiali, 256 sottuficiali e 1580 uomini di truppa, pari a 1893 in totale», Giovanni Artese, La guerra in Abruzzo e Molise 1943-1944, Vol. I, cit., p. 99.
57 Ivi, pp. 95-96. «Le maggiori linee tattiche ritardatrici previste per l’autunno-inverno 1943-44, erano note alla 10a Armata tedesca di von Vietinghoff con i nomi di Viktor, Barbara e Bernhard. La linea Viktor seguiva generalmente i fiumi Volturno, Calore e Biferno. Essa correva attraverso la penisola da Castel Volturno, sulla costa occidentale, per Guardia-S. Giuliano-Campodipietra-Casacalenda-Guglionesi; e raggiungeva la costa orientale circa due chilometri a sud di Termoli. La linea Barbara, più a nord, correva da Mondragone, sulla costa ovest, verso Teano-Presenzano-Colli a Volturno-Sessano e quindi, seguendo il corso del fiume Trigno, giungeva a San Salvo, sulla costa est. Entrambe queste linee erano state progettate per sostenere un’azione di retroguardia di breve periodo, in vista del rafforzamento della linea Bernhard. Quest’ultima correva da vicino Minturno, sulla costa occidentale, lungo il basso Garigliano e poi attraverso Mignano-Venafro-Castelnuovo a Volturno-Alfedena-Roccaraso; quindi, superando il piano delle Cinquemiglia e il massiccio della Maiella, essa raggiungeva la costa orientale a nord del Sangro, nei pressi di Fossacesia. Sorta come semplice linea ritardatrice, la Bernhard, in seguito allo sviluppo degli avvenimenti, sarebbe stata rafforzata fino a divenire la più importante del sistema difensivo tedesco. Durante l’inverno 1943-44, caduti i bastioni avanzati, essa fu approfondita con le posizioni della linea Gustav (Garigliano-Cassino-Alfedena-Stazione di Palena-Maiella-Guardiagrele-Orsogna-Ortona) e, sul solo versante tirrenico, dalla linea Hitler o Senger (Fondi-Pontecorvo-Monte Cairo-S. Biagio-Alfedena). L’intero complesso venne poi più semplicemente indicato dagli alleati con il nome di “Winter Line” (Linea invernale tedesca). Le speranze di Kesselring erano riposte soprattutto nella linea Bernhard, che avrebbe dovuto essere messa in stato di difesa non prima del 1[°] novembre. Egli riteneva che la 10a Armata potesse mantenerla a lungo fino al nuovo anno, ciò che avrebbe consentito di creare solide fortificazioni sulla linea Gustav, concepita per la resistenza ad oltranza. Era chiaro tuttavia che la Bernhard poteva essere mantenuta ad una sola condizione: che le forze tedesche tenessero il passo di Mignano e la Quota 1170, perno dell’intero sistema», ivi, pp. 96-97.
58 Albert Kesselring, Memorie di guerra, cit., p. 218.
59 Giovanni Cerchia, Lungo la linea Gustav, in Id. (a cura di), Il Molise e la guerra totale, Cosmo Iannone editore, Isernia, 2001, pp. 34 e ss.
60 Costantino Felice, Guerra Resistenza Dopoguerra in Abruzzo, cit., p. 104.
61 Winston Churchill, La Seconda guerra mondiale. La morsa si stringe. La campagna d’Italia, Parte V, Vol. I, Mondadori, Milano, 1951, p. 258.
62 Costantino Felice, Dalla Maiella alle Alpi. Guerra e Resistenza in Abruzzo, cit., pp. 4-5,
63 Winston Churchill, La Seconda guerra mondiale. La morsa si stringe. La campagna d’Italia, cit., p. 257.
64 Costantino Felice, Dalla Maiella alle Alpi. Guerra e Resistenza in Abruzzo, cit., p. 8. «Il fronte sarebbe tornato a spostarsi, per poi fermarsi di nuovo sulla «Gotica», solo con l’offensiva del giugno 1944», ibidem.
65 Ivi, p. 12.
66 Norberto Bobbio, Eravamo ridiventati uomini. Testimonianze e discorsi sulla Resistenza in Italia, Einaudi, Torino, 2015, pp. 58-59.
67 Costantino Felice, Guerra Resistenza Dopoguerra in Abruzzo, cit., p. 105.
68 Ibidem. Soprattutto la «Dinamite Nobel nella vicina Pratola [Peligna] che con la guerra acquista crescente importanza», Costantino Felice, Dalla Maiella alle Alpi. Guerra e Resistenza in Abruzzo, cit., p. 9.
69 Costantino Felice, Guerra Resistenza Dopoguerra in Abruzzo, cit., pp. 105-106.
70 Ivi, p. 106.
71 Costantino Felice, Dalla Maiella alle Alpi. Guerra e Resistenza in Abruzzo, cit., p. 12.
72 Costantino Felice, Guerra Resistenza Dopoguerra in Abruzzo, cit., p. 121.
73 Ibidem.
74 Costantino Felice, Dalla Maiella alle Alpi. Guerra e Resistenza in Abruzzo, cit., p. 66.
75 Lanciano, Ortona a Mare, Francavilla al Mare, San Vito Chietino, Rapino, San Martino sulla Marrucina, Orsogna, Castelfrentano, Poggiofiorito, Frisa, Rocca San Giovanni, Fossacesia, Treglio, Filetto, Guardiagrele e Mozzagrogna. A questi paesi, soggetti allo sgombero totale, se ne aggiungevano altri otto - San Giovanni Teatino, Miglianico, Torrevecchia Teatina, Tollo, Arielli, Crecchio, Casacanditella e Pretoro - interessati solo per una porzione più o meno ampia del loro territorio. Cfr. ibidem.
76 Ibidem.
77 Costantino Felice, Guerra Resistenza Dopoguerra in Abruzzo, cit., pp. 122-123.
78 Costantino Felice, Dalla Maiella alle Alpi. Guerra e Resistenza in Abruzzo, cit., p. 67.
79 Gianni Rocca, L’Italia invasa 1943-1945, cit., p. 116.
80 Albert Kesselring, Memorie di guerra, cit., p. 218. Il 12 settembre Kesselring, capo allora del settore Sud, emana un’ordinanza in cui l’area è definita «territorio di guerra» soggetto alle «leggi di guerra tedesche», Costantino Felice, Guerra Resistenza Dopoguerra in Abruzzo, cit., p. 108, n. 183.
81 Ivi, p. 108.
82 Costantino Felice, Dalla Maiella alle Alpi. Guerra e Resistenza in Abruzzo, cit., pp. 59-60.
83 Costantino Felice, Guerra Resistenza Dopoguerra in Abruzzo, cit., p. 109.
84 Costantino Felice, Dalla Maiella alle Alpi. Guerra e Resistenza in Abruzzo, cit., pp. 61-62.
85 Cfr. Costantino Felice, Guerra Resistenza Dopoguerra in Abruzzo, cit., p. 109.
86 Costantino Felice, Dalla Maiella alle Alpi. Guerra e Resistenza in Abruzzo, cit., p. 62.
87 Ibidem.
88 Ivi, p. 50.
89 Ibidem.
90 Ivi, p. 65.
Fabrizio Nocera, Le bande partigiane lungo la linea Gustav. Abruzzo e Molise nelle carte del Ricompart, Tesi di Dottorato, Università degli Studi del Molise, Anno Accademico 2017-2018