Particolare menzione merita il tentativo portato avanti dal raggruppamento franco-marocchino, sempre durante la giornata del 29 maggio 1944, che si muove attraverso la contrada Maiura e a ridosso della pedemontana del monte Siserno. Sin dalle 6,10 della mattina, infatti, dopo una preparazione di fuoco di artiglieria, il plotone Malavoy si muove all’attacco dei soldati tedeschi dall’ovest. Ancora una volta tale tentativo fallisce. Le mine poste sul terreno fanno saltare per aria 12 jeep. Il maresciallo maggiore Fresse e il brigadiere Maitta, anche se feriti, riescono a ripiegare, mentre il brigadiere Ben Sekta resta sul terreno. Nelle vicinanze il cacciatore Duriex è ferito ma riesce a mettersi al riparo in un fossato. Intanto il cacciatore Baudet ripiega dopo aver localizzato esattamente la posizione del campo minato. Il cacciatore Vial viene ucciso da una palla in fronte mentre cerca di portare aiuto ai suoi compagni. Per gli alleati è un disastro. La situazione appare compromessa. I tedeschi, anche in questa parte di territorio, hanno efficienti tiratori scelti, ma il plotone francese, pur con tante perdite, mantiene il contatto stretto e riesce a istallare un posto di osservazione avanzato in una casa isolata. Il cacciatore Durieux, pur ferito e nascosto in un fosso, riesce ancora a muoversi fino a quando non arriva il maresciallo Lignon che lo porta al posto di osservazione.
Il cacciatore Abrham con la sua jeep passa attraverso il fuoco nemico per andare a cercarli. La condizione delle avanguardie sembra essere migliorata in quanto il maresciallo Lignon, dalla casa isolata dove è istallato il punto di osservazione, è nelle condizioni di definire con esattezza la forza tedesca che consiste in poche unità combattenti che hanno a disposizione quattro fucili mitragliatori, due mitragliatrici pesanti e un mortaio. Sta per svilupparsi la battaglia del Boschetto, a quota 235, località situata in prossimità di Colle Campanaro, dove oggi esistono impianti sportivi, presso via Aia del Tufo. I francesi dovranno impiegare più assalti e, come da testimonianze orali ricevute, potrebbero essere stati più di tre. Il tenente Malavoy, verso la fine della giornata, abbatte la resistenza, conquista la cresta e tiene la linea per tutta la notte. Il Diario dei cacciatori e il libro di Gautard “Dans la campagne d’Italie” non riportano le perdite avute dalle truppe francesi, mentre le perdite tedesche vengono valutate in maniera completamente diversa: il primo riporta sette prigionieri, mentre l’altro riporta la morte di quaranta tedeschi <303.
Nel frattempo, già alla fine della giornata: "alla Badia si è stabilito un piccolo quartiere generale dell’ufficialità francese e un piccolo posto di pronto soccorso. Questo costituisce la salvezza di fratel Andrea (Salvati) il cui braccio stroncato qualche giorno prima minacciava di incancrenire pel mancato intervento chirurgico. Medicato sommariamente nel pronto soccorso veniva subito inviato ad un ospedaletto da campo; ma per salvarlo bisognò amputargli il braccio quasi all’altezza della spalla. Intanto una teoria interminabile d’automezzi giungeva alla Badia per una strada improvvisata alle falde del Siserno dall’esercito avanzante. Giunge anche l’ospedale da campo che si alloga negli stessi locali occupati già dai tedeschi. Personale deferente, cordiale". <304
23.2 Gli alleati entrano nel centro di Ceccano.
Il giorno successivo, 30 maggio alle ore 9, il plotone Malavoy, parte insieme a un plotone del 3° RSM, dotato di carri armati Scherman, e attraverso via Badia entra in Ceccano, dove vengono fatti due prigionieri. <305
Sull’asse sud, invece tre uomini appartenenti al plotone Periquet: il brigadiere Zuber, l’aspirante Cordier e il cacciatore Poussier tornano indietro alla ricerca del corpo di un aspirante del genio ucciso, ma ancora una volta sono costretti a ripiegare.
Alle ore 10,00 il tenente Periquet si dirige verso l’ovest e lo squadrone Breuil appoggia l’8° RTM. L’avanzata, ancora una volta, è ritardata. Decisivo è ciò che sta per succedere a ridosso di Colle Morrone, in prossimità del Castellone. Il Castellone e il Morrone rappresentano i punti più elevati a ridosso del Siserno. La difesa di questa area, da parte dei tedeschi, è funzionale alla difesa del Passo della Palombara situato a qualche chilometro di distanza. Le due colline sono boscose e i Tedeschi resistono con accanimento, sostenuti da una forte artiglieria e dal fuoco dei carri. Dopo vari assalti e scontri violenti il battaglione Reniè, alle ore 19,30, conquista la quota 247.
Alla stessa ora il colonnello tedesco Wolf Ewert ordina alle retroguardie tedesche di ripiegare.
Il plotone Malavoy, dei Cacciatori d’Africa, dopo tre giorni impegnativi e stressanti, riesce a stabilire il collegamento con il raggruppamento Buron e a sostare, dopo le ore 20, presso il Casino Marella in località Celleta, fra i comuni di Ceccano, Patrica, Giuliano di Roma, a poca distanza dalla strada che porta al mare. E’ lo stesso tenente ad accendere il fuoco dove si cuoceranno dei polli, ovviamente rapinati, per festeggiare, appagati, l’esito della battaglia di Ceccano <306. Nelle campagne, per la terza notte consecutiva, si sentiranno grida di donne violentate ma nessun libro francese scriverà di queste scelleratezze.
23.3 La battaglia di Colle Morrone
Quella che i libri francesi chiamano la battaglia di Colle Morrone, quota 247 o del Castellone, quota 239, in verità è stata combattuta prevalentemente nelle vicinanze delle due colline. Per l’esattezza presso la Macchia dei Tocchi. Gli avvenimenti sono tratti dal racconto di tre testimonianze che, pur non coincidendo nei particolari, nella sostanza convergono.
Così li ricorda Luigi Giudici, classe 1926: “I marocchini quando passarono lì, a via Castellone, le resistenze tedesche le avevano già piegate. I tedeschi lasciavano nuclei di retroguardia che dovevano proteggere la loro ritirata. Comunque sì, li vidi passare per via Castellone. Presero un prigioniero tedesco e lo legarono a una corda. Questa corda venne fatta passare sopra un albero e il corpo di questo tedesco fu più volte sollevato a una certa altezza e lasciato cadere a terra. Quando terminarono di fare questo lo sgozzarono. Scene di violenza sulle donne non le ho viste direttamente, ma sentivo distintamente urla e lamenti di donne violentate. Cominciò a circolare la voce, tra i civili, che si doveva andare alla Badia, e così facemmo. Durante questo tragitto quattro marocchini fermarono mio padre che portava in braccio mio nipote piccolissimo (Ugo Ricci) perché nato nel 1943. Con sé mio padre aveva duecento lire. Faticosamente riuscì a convincere i marocchini che quei soldi servivano a sfamare il piccolo e fu lasciato andare. Però nascose le 200 lire nei panni del bambino. Alla Badia girava la notizia che, se si andava a prestare servizio come barellieri per il recupero dei feriti delle truppe del Corpo di Spedizione Francese, si aveva del cibo in cambio. Con quattro amici, allora, andammo sotto il Castellone e caricammo sulla barella un ufficiale francese ferito. Dovevamo ripercorrere via Castellone in salita, era molto faticoso. Lo stesso ufficiale ci disse di fermarci per riposare. Poggiammo la barella a terra con l’ufficiale, quando arrivò un marocchino con il fucile che ci obbligò a proseguire. Quando fummo lontani dalla sua vista però ci fermammo di nuovo” <307.
Marco Antonio Di Vico, classe 1941, ricorda quello che il padre raccontava: "I marocchini venivano da Castro dei Volsci e già si era sparsa la voce degli atti violenti che commettevano. Egli decise di raggiungere la Badia perché presso questo edificio sacro già si erano rifugiati molti ceccanesi (e non solo) e si diceva che lì si fosse al sicuro da queste violenze. Anche io dovetti seguire la famiglia in questo spostamento ma ero troppo piccolo e non sono in grado di ricordare. Avevo due sorelle e compiere questo tragitto era abbastanza rischioso. Lungo il cammino sempre mio padre ricordava che incontrò un amico detto Zì Lisandro, che gli disse testualmente: “Ntoniù, ‘ndo uai cu ‘ste femmine?!”. Già si era a conoscenza delle violenze sulle donne da parte dei soldati marocchini. Durante il tragitto papà ricordava che giungevano le grida delle donne violentate. Per sicurezza egli portava un pugnale con sé. Nel ricovero dove ci eravamo sistemati provvisoriamente i marocchini entrarono e volevano violentare una delle mie sorelle ma lei aveva le gambe fasciate perché nei giorni precedenti era caduta in una pozza di calce. Probabilmente per questo motivo non le fecero violenza. I combattimenti con i marocchini si svolsero in queste due zone: le colline di Macchia Tocchi e di Castellone, zone molto vicine. Sia la prima che la seconda erano presidiate dai tedeschi. A Macchia Tocchi abitava e abita ancora la famiglia Parmeni, presso la quale vi era un presidio tedesco. Mio padre ricordava distintamente le urla dei tedeschi sopraffatti dai marocchini e sgozzati che assomigliavano a quelle dei capretti quando subivano la stessa sorte".
Di Vico riporta un ricordo personale legato a queste vicende: "fino a quando avevo sette o otto anni, ma non posso essere preciso in merito, a Macchia Tocchi c’era un piccolo cimitero provvisorio tedesco, lo ricordo benissimo. Le sepolture dovevano essere una decina, erano tutte croci sormontate da un elmetto. Questi corpi vennero recuperati, all’incirca quando avevo sette o otto anni. Ricordo che queste salme furono caricate su un autocarro modello OM Taurus, con targa tedesca: non so se fosse un’operazione svolta dall’esercito tedesco, che per diversi anni non esistette dopo la guerra, o da qualche organizzazione. Non saprei fornire altre indicazioni". <308
[NOTE]
303 Cfr. Capitano Malavoy, Du Niger au Danube/ Jurnal de marce du 8° Regiment Chasseur d’Afrique, pp. 37-9.
304 Cfr. Padre Gioacchino Passionista, Badia nella tormenta, 1948, p.75.
305 Un video in circolazione nella rete, (http://www.loffredi.it/gli-alleati-a-ceccano.html) ne conferma la presenza presso la Badia prima e in via Madonna della Pace successivamente.
306 Capitano Malavoy, Du Niger au Danube/ Jurnal de marce du 8° Regiment Chasseur d’Afrique p. 39.
307 Cfr. Gianluca Coluzzi, Liceo Scientifico e Linguistico Ceccano, Ceccano 1944-2014, Testimonianza di Luigi Giudici, 2014, p.150.
308 Marco Antonio Di Vico, Testimonianza rilasciata il febbraio 2014.
Lucia Fabi e Angelino Loffredi, Il dolore della memoria. Ciociaria 1943-1944, ed. in pr., 2016
Il cacciatore Abrham con la sua jeep passa attraverso il fuoco nemico per andare a cercarli. La condizione delle avanguardie sembra essere migliorata in quanto il maresciallo Lignon, dalla casa isolata dove è istallato il punto di osservazione, è nelle condizioni di definire con esattezza la forza tedesca che consiste in poche unità combattenti che hanno a disposizione quattro fucili mitragliatori, due mitragliatrici pesanti e un mortaio. Sta per svilupparsi la battaglia del Boschetto, a quota 235, località situata in prossimità di Colle Campanaro, dove oggi esistono impianti sportivi, presso via Aia del Tufo. I francesi dovranno impiegare più assalti e, come da testimonianze orali ricevute, potrebbero essere stati più di tre. Il tenente Malavoy, verso la fine della giornata, abbatte la resistenza, conquista la cresta e tiene la linea per tutta la notte. Il Diario dei cacciatori e il libro di Gautard “Dans la campagne d’Italie” non riportano le perdite avute dalle truppe francesi, mentre le perdite tedesche vengono valutate in maniera completamente diversa: il primo riporta sette prigionieri, mentre l’altro riporta la morte di quaranta tedeschi <303.
Nel frattempo, già alla fine della giornata: "alla Badia si è stabilito un piccolo quartiere generale dell’ufficialità francese e un piccolo posto di pronto soccorso. Questo costituisce la salvezza di fratel Andrea (Salvati) il cui braccio stroncato qualche giorno prima minacciava di incancrenire pel mancato intervento chirurgico. Medicato sommariamente nel pronto soccorso veniva subito inviato ad un ospedaletto da campo; ma per salvarlo bisognò amputargli il braccio quasi all’altezza della spalla. Intanto una teoria interminabile d’automezzi giungeva alla Badia per una strada improvvisata alle falde del Siserno dall’esercito avanzante. Giunge anche l’ospedale da campo che si alloga negli stessi locali occupati già dai tedeschi. Personale deferente, cordiale". <304
23.2 Gli alleati entrano nel centro di Ceccano.
Il giorno successivo, 30 maggio alle ore 9, il plotone Malavoy, parte insieme a un plotone del 3° RSM, dotato di carri armati Scherman, e attraverso via Badia entra in Ceccano, dove vengono fatti due prigionieri. <305
Sull’asse sud, invece tre uomini appartenenti al plotone Periquet: il brigadiere Zuber, l’aspirante Cordier e il cacciatore Poussier tornano indietro alla ricerca del corpo di un aspirante del genio ucciso, ma ancora una volta sono costretti a ripiegare.
Alle ore 10,00 il tenente Periquet si dirige verso l’ovest e lo squadrone Breuil appoggia l’8° RTM. L’avanzata, ancora una volta, è ritardata. Decisivo è ciò che sta per succedere a ridosso di Colle Morrone, in prossimità del Castellone. Il Castellone e il Morrone rappresentano i punti più elevati a ridosso del Siserno. La difesa di questa area, da parte dei tedeschi, è funzionale alla difesa del Passo della Palombara situato a qualche chilometro di distanza. Le due colline sono boscose e i Tedeschi resistono con accanimento, sostenuti da una forte artiglieria e dal fuoco dei carri. Dopo vari assalti e scontri violenti il battaglione Reniè, alle ore 19,30, conquista la quota 247.
Alla stessa ora il colonnello tedesco Wolf Ewert ordina alle retroguardie tedesche di ripiegare.
Il plotone Malavoy, dei Cacciatori d’Africa, dopo tre giorni impegnativi e stressanti, riesce a stabilire il collegamento con il raggruppamento Buron e a sostare, dopo le ore 20, presso il Casino Marella in località Celleta, fra i comuni di Ceccano, Patrica, Giuliano di Roma, a poca distanza dalla strada che porta al mare. E’ lo stesso tenente ad accendere il fuoco dove si cuoceranno dei polli, ovviamente rapinati, per festeggiare, appagati, l’esito della battaglia di Ceccano <306. Nelle campagne, per la terza notte consecutiva, si sentiranno grida di donne violentate ma nessun libro francese scriverà di queste scelleratezze.
23.3 La battaglia di Colle Morrone
Quella che i libri francesi chiamano la battaglia di Colle Morrone, quota 247 o del Castellone, quota 239, in verità è stata combattuta prevalentemente nelle vicinanze delle due colline. Per l’esattezza presso la Macchia dei Tocchi. Gli avvenimenti sono tratti dal racconto di tre testimonianze che, pur non coincidendo nei particolari, nella sostanza convergono.
Così li ricorda Luigi Giudici, classe 1926: “I marocchini quando passarono lì, a via Castellone, le resistenze tedesche le avevano già piegate. I tedeschi lasciavano nuclei di retroguardia che dovevano proteggere la loro ritirata. Comunque sì, li vidi passare per via Castellone. Presero un prigioniero tedesco e lo legarono a una corda. Questa corda venne fatta passare sopra un albero e il corpo di questo tedesco fu più volte sollevato a una certa altezza e lasciato cadere a terra. Quando terminarono di fare questo lo sgozzarono. Scene di violenza sulle donne non le ho viste direttamente, ma sentivo distintamente urla e lamenti di donne violentate. Cominciò a circolare la voce, tra i civili, che si doveva andare alla Badia, e così facemmo. Durante questo tragitto quattro marocchini fermarono mio padre che portava in braccio mio nipote piccolissimo (Ugo Ricci) perché nato nel 1943. Con sé mio padre aveva duecento lire. Faticosamente riuscì a convincere i marocchini che quei soldi servivano a sfamare il piccolo e fu lasciato andare. Però nascose le 200 lire nei panni del bambino. Alla Badia girava la notizia che, se si andava a prestare servizio come barellieri per il recupero dei feriti delle truppe del Corpo di Spedizione Francese, si aveva del cibo in cambio. Con quattro amici, allora, andammo sotto il Castellone e caricammo sulla barella un ufficiale francese ferito. Dovevamo ripercorrere via Castellone in salita, era molto faticoso. Lo stesso ufficiale ci disse di fermarci per riposare. Poggiammo la barella a terra con l’ufficiale, quando arrivò un marocchino con il fucile che ci obbligò a proseguire. Quando fummo lontani dalla sua vista però ci fermammo di nuovo” <307.
Marco Antonio Di Vico, classe 1941, ricorda quello che il padre raccontava: "I marocchini venivano da Castro dei Volsci e già si era sparsa la voce degli atti violenti che commettevano. Egli decise di raggiungere la Badia perché presso questo edificio sacro già si erano rifugiati molti ceccanesi (e non solo) e si diceva che lì si fosse al sicuro da queste violenze. Anche io dovetti seguire la famiglia in questo spostamento ma ero troppo piccolo e non sono in grado di ricordare. Avevo due sorelle e compiere questo tragitto era abbastanza rischioso. Lungo il cammino sempre mio padre ricordava che incontrò un amico detto Zì Lisandro, che gli disse testualmente: “Ntoniù, ‘ndo uai cu ‘ste femmine?!”. Già si era a conoscenza delle violenze sulle donne da parte dei soldati marocchini. Durante il tragitto papà ricordava che giungevano le grida delle donne violentate. Per sicurezza egli portava un pugnale con sé. Nel ricovero dove ci eravamo sistemati provvisoriamente i marocchini entrarono e volevano violentare una delle mie sorelle ma lei aveva le gambe fasciate perché nei giorni precedenti era caduta in una pozza di calce. Probabilmente per questo motivo non le fecero violenza. I combattimenti con i marocchini si svolsero in queste due zone: le colline di Macchia Tocchi e di Castellone, zone molto vicine. Sia la prima che la seconda erano presidiate dai tedeschi. A Macchia Tocchi abitava e abita ancora la famiglia Parmeni, presso la quale vi era un presidio tedesco. Mio padre ricordava distintamente le urla dei tedeschi sopraffatti dai marocchini e sgozzati che assomigliavano a quelle dei capretti quando subivano la stessa sorte".
Di Vico riporta un ricordo personale legato a queste vicende: "fino a quando avevo sette o otto anni, ma non posso essere preciso in merito, a Macchia Tocchi c’era un piccolo cimitero provvisorio tedesco, lo ricordo benissimo. Le sepolture dovevano essere una decina, erano tutte croci sormontate da un elmetto. Questi corpi vennero recuperati, all’incirca quando avevo sette o otto anni. Ricordo che queste salme furono caricate su un autocarro modello OM Taurus, con targa tedesca: non so se fosse un’operazione svolta dall’esercito tedesco, che per diversi anni non esistette dopo la guerra, o da qualche organizzazione. Non saprei fornire altre indicazioni". <308
[NOTE]
303 Cfr. Capitano Malavoy, Du Niger au Danube/ Jurnal de marce du 8° Regiment Chasseur d’Afrique, pp. 37-9.
304 Cfr. Padre Gioacchino Passionista, Badia nella tormenta, 1948, p.75.
305 Un video in circolazione nella rete, (http://www.loffredi.it/gli-alleati-a-ceccano.html) ne conferma la presenza presso la Badia prima e in via Madonna della Pace successivamente.
306 Capitano Malavoy, Du Niger au Danube/ Jurnal de marce du 8° Regiment Chasseur d’Afrique p. 39.
307 Cfr. Gianluca Coluzzi, Liceo Scientifico e Linguistico Ceccano, Ceccano 1944-2014, Testimonianza di Luigi Giudici, 2014, p.150.
308 Marco Antonio Di Vico, Testimonianza rilasciata il febbraio 2014.
Lucia Fabi e Angelino Loffredi, Il dolore della memoria. Ciociaria 1943-1944, ed. in pr., 2016