giovedì 17 novembre 2022

Ipotesi che i transatlantici siano effettivamente stati il secondo strumento di ricostruzione identitaria e culturale del Paese

Il Conte Biancamano

Proseguendo l’analisi dei fattori che nel secondo dopoguerra hanno contribuito all’affermazione del “Made in Italy”, non ci si può esimere dal considerare il peso propagandistico dei transatlantici italiani. Le navi adibite al trasporto passeggeri sono infatti movente determinante e chiara testimonianza del successo dell’Italia, anzitutto in America e quindi nel mondo. L’argomento è a tratti citato nelle pubblicazioni che negli anni più recenti hanno raccontato la fortunata epopea e la triste scomparsa dei transatlantici, ma non è mai stato affrontato e sondato. Non è mai esistito come “questione” da contestualizzare ed esaminare, come “quesito” da interrogare. La bibliografia lo ha sfiorato (soprattutto in merito alla vicenda degli arredi interni), senza però confrontarsi con premesse e dibattiti che hanno suggerito di avvalersi della forza promozionale e dell’autorevolezza politica e culturale della nave quale strumento di propaganda del Paese di cui batte bandiera <268.
La prima parte dell’elaborato ha permesso di ricostruire le operazioni e le esposizioni italo-americane che sono state in grado di avviare la ricostruzione del Paese, anticipando le ufficiali istituzioni governative e ripartendo dall’unica cosa che l’Italia potesse offrire in quei fragili anni di fine guerra: la propria creatività (o il proprio “ingegno”, come aveva suggerito Max Ascoli). Mostre museali ed eventi espositivi che sono stati individuati quali input della rinascita italiana e dunque genesi dell’attenzione americana verso il prodotto italiano (nella fattispecie, l’artigianato artistico), e l’Italia in generale.
È in questo solco che è possibile collocare il proseguo della ricerca: lo studio inedito di un importante evento di moda italiano organizzato e allestito nel febbraio del 1956 a bordo di un transatlantico postbellico sbarcato a New York (già oggetto di ricerca in quanto la risonanza e l’impatto americani dell’iniziativa sono stati tali da poterlo annoverare tra gli episodi responsabili della consacrazione dell’Italia), è sfociato in un’analisi a più ampio raggio del fenomeno dei transatlantici italiani nel secondo dopoguerra: il successo di quell’evento di moda non poteva non essere legato anche alla più generale reputazione dei transatlantici italiani in quella fase storica di ricostruzione.
L’analisi dei contenuti di “House and Garden”, a conclusione del capitolo precedente, aveva già anticipato alcuni indizi a riguardo: a partire dal 1951 gli annunci completavano infatti il messaggio promozionale con riferimenti estranei alla dimensione artigiana, quali il clima e il paesaggio italiano. Quelle allusioni “turistiche” sono state le prime avvisaglie di una nuova narrazione italiana in atto; il primo segnale che un nuovo racconto italiano stesse circolando in America. Un racconto, però, non molto dissimile da quello artigiano.
Un parallelo studio sulle fotografie e sulle poche e rare pubblicazioni originali dedicate agli allestimenti e agli arredi delle nuove unità navali, ha infatti svelato come nei cantieri di decoro degli interni fossero presenti molte delle maestranze artistico-artigiane già patrocinate dalla Handicraft Development Inc. e dalla C.A.D.M.A., e quindi esibite presso la House of Italian Handicraft e nelle successive mostre.
Individuare un collegamento tra l’iniziativa artigiana dei secondi anni Quaranta e il nuovo panorama dei transatlantici - già evidente in quegli annunci dell’Italian State Tourist Office - è stato inevitabile.
L’indagine circa la questione delle “arti a bordo” (che, come si vedrà, sarà causa di dibattito tra gli architetti), il successo dei servizi alberghieri di linea “all’italiana” e l’analisi delle conseguenze mediatiche che essi hanno generato, convalideranno l’ipotesi che i transatlantici siano effettivamente stati il secondo strumento di ricostruzione identitaria e culturale del Paese.
Il racconto del singolo evento cosiddetto “Transatlantico della moda”, scaturito dal preliminare e iniziale lavoro condotto sulle carte del “Fondo Giorgini” presso l’Archivio di Stato di Firenze e che avrebbe dovuto inaugurare il capitolo in corso, è quindi stato posto in apertura al capitolo successivo, preferendo proporre una premessa che illustri i motivi dell’importanza e della fortuna dei transatlantici. Motivi precedenti e senza dubbio risolutivi della scelta di organizzare una sfilata di moda a bordo di una nave diretta a New York.
La ragguardevole considerazione riservata alla marina nel corso delle trattative presidenziali italo-americane del gennaio 1947 è stata indice primo d’ipotesi della sua rilevanza nel processo di ricostruzione del Paese <269.
Alla fine del secondo conflitto mondiale il settore navale è tra i più colpiti e devastati comparti industriali italiani. Solo quindici navi, delle duecentosedici di cui si componeva la flotta pubblica anteguerra, sono sopravvissute alle ostilità. La maggior parte è stata distrutta dai bombardamenti, smarrita sul fondo degli oceani o requisita dalle potenze vincitrici. In una fase storica che spinge i paesi europei a proiettare oltreoceano le proprie esigenze di sviluppo e ripresa economica, appare chiaro che una Nazione priva di navi non abbia alcuna possibilità di rilancio commerciale.
Si rammenti che nel dicembre del 1945, stilando il suo Report on Conditions in Italy, Frank M. Tamagna già annotava l’urgenza di un immediato ripristino dei sistemi di comunicazione quale “number one problem” <270: 7.000 km di binari, pari al 25% della rete ferroviaria, sono stati distrutti; i ponti crollati ammontano a 4.750 e l’85% della marina non esiste più <271. Quest’ultimo è il dato più urgente: senza una flotta mercantile capace di traghettare grano e carbone, materie prime e vettovaglie, esuli e fuggiaschi, soldati ed ex prigionieri di guerra, ma soprattutto - e in un secondo momento - turisti, l’Italia non avrebbe mai potuto ricostruirsi.
La marina italiana è dunque posta ai vertici dei negoziati ed è motivo di dibattito tra i Presidenti Harry Truman e Alcide De Gasperi nello storico e già menzionato incontro del gennaio del 1947. L’intervento americano a sostegno e riavvio della navigazione italiana è tanto preminente a causa della delicata natura del comparto: il settore è quasi totalmente a controllo pubblico e non può dunque contare sulle remunerative iniziative private.
Il diretto e invasivo controllo dello Stato - in quei settori considerati strategici quali il siderurgico, il minerario, l’elettrico, le telecomunicazioni e il navale/cantieristico - è ancora un vecchio retaggio fascista, e al termine delle ostilità circa il 20% del patrimonio industriale del Paese è quindi ancora di afferenza statale <272.
In particolar modo, il fallimento del business armatoriale privato è di oltre un decennio antecedente <273: nel 1936 l’IRI (Istituto fascista di Ricostruzione Industriale) inseriva il settore navale nella lista delle industrie di “Primario Interesse Nazionale” (PIN), chiedendone la completa statalizzazione di controllo e proprietà. A dicembre veniva quindi istituita la “FINMARE - Società Marittima Finanziaria”, una holding a partecipazione pubblica nella quale sarebbe confluita la proprietà delle quattro principali compagnie di navigazione del Paese: l’“Italia di Navigazione” di Genova, il “Lloyd Triestino” del capoluogo giuliano, l’“Adriatica di Navigazione” di Venezia e la “Tirrenia di Navigazione” di Napoli¸ i cui nomi storici scomparirono per sempre nella nuova “Italia Società Anonima di Navigazione”, che con un capitale sociale di 500 milioni di lire era posseduta all’82% dalla FINMARE e dunque dallo Stato. È il coronamento della statalizzazione economica e della politica interna di regime <274.
L’ingombrante provvedimento fascista del 1936 - pensato per un’Italia diversa, autarchica e centralizzata, economicamente isolata e autosufficiente, ma soprattutto sottratta agli investimenti privati - nel dopoguerra rischia di isolare il Paese dalle più recenti e filoamericane aspirazioni di liberalizzazione commerciale <275.
Nel luglio del 1946 è quindi istituito il primo “Ministero della Marina Mercantile” della storia italiana, preposto al coordinamento delle più urgenti problematiche del settore nautico; e il 15 ottobre del 1946 è convocato il primo consiglio direttivo postbellico dell’ufficiosamente ricostruita “Italia - Società di Navigazione”, che perde l’appellativo fascista “Anonima” e diviene il solo referente di settore <276.
Ristabilite parti e gerarchie, immediatamente si prende atto delle richieste da presentare in sede di colloquio con gli americani.
Al termine delle trattative, lo si è visto, l’Export Import Bank ha concesso all’Italia un assegno iniziale di 97.300.000 dollari destinato ai grandi gruppi industriali “which are important to the export trade of Italy”. Nella nota ufficiale di ripartizione delle spese, un pacchetto finanziario di 5.800.000 dollari è registrato alla voce “shipyards” (cantieristica navale) <277.
L’Ansaldo è risultato il principale benefattore del prestito statunitense e questo è il primo indicatore che giustificherà alcune importanti scelte, decisive durante le fasi di ricostruzione della flotta: investire sull’Ansaldo significa infatti investire su Genova <278.
La strategia americana sceglie il capoluogo ligure quale principale asse marittimo nazionale, perché le circostanze del dopoguerra proiettano un cono d’ombra su Trieste: la perdita degli “esotici” insediamenti coloniali raggiungibili dai soli porti triestini e l’incertezza riguardo la sua stessa sorte geo-politica (affidata ora al “Governo Militare Alleato”), fanno virare l’oscillografo americano verso “la più italiana” Genova. Il nuovo scenario economico richiede meno viaggi verso l’Africa (ma anche l’India e l’Australia) e di contrappunto esige più attenzione verso l’oltre Atlantico, e Genova è da sempre la più atlantica delle città portuali italiane.
In un mondo così profondamente trasformato dal conflitto, Trieste e i suoi storici cantieri riusciranno a fatica a ricollocarsi, perdendo presto idee e uomini “di mare” che ritroveremo proprio a Genova <279.
Ai fini della ricerca, il secondo e rilevante punto delle negoziazioni presidenziali di fine guerra è rappresentato dalla restituzione dei soli quattro transatlantici italiani sopravvissuti al conflitto: i Conti Biancamano e Grande e le motonavi Saturnia e Vulcania <280. L’intensa opera di riallestimento cui saranno sottoposti i rimpatriati “Conti” sarà infatti il primo, vero atto italiano di “italianità” del dopoguerra. Il gioco di parole rivela subito la cesura con quanto raccontato nel secondo capitolo.
Le mostre pocanzi descritte, pur esponendo prodotti e manufatti italiani, hanno infatti un imprinting americano: proposte e iniziative hanno preso il via da filantropi italo-americani o da curatori museali statunitensi e in America hanno avuto luogo. Il transatlantico è invece prima e originale testimonianza di un tentativo nazionale di proporre un’immagine “italiana” all’estero. Un’immagine veicolata da una nave che sappia “parlar d’Italia” attraverso componenti d’arredo e opere decorative, proseguendo dunque lungo quel binario promozionale già inaugurato.
Per comprendere l’entità, la portata e il valore dei lavori di riallestimento iniziati nel 1948, è però quanto mai necessario un confronto con la cultura navale precedente.
[NOTE]
268 La bibliografia di riferimento, descrivendo ambienti e allestimenti di bordo, non si è mai soffermata sugli antefatti e sul significato sotteso alla scelta di affidare ad artisti e artigiani la decorazione di un transatlantico del secondo dopoguerra. In particolare, due pubblicazioni hanno solo velatamente suggerito il concetto di nave quale “materializzazione di propaganda”: dopo una lunga e dettagliata presentazione dedicata alle navi d’anteguerra, brevi paragrafi sono purtroppo dedicati alla flotta del dopoguerra, L’arte in viaggio. Architettura e arredamento dei transatlantici italiani, in M. Eliseo, P. Piccione, Transatlantici. Storia delle grandi navi passeggeri italiane, Tormena Editore, Genova 2001, pp. 176-209. Qualche riflessione, ma solo un lungo e decontestualizzato elenco di artisti sono invece proposti nel capitolo Sulle rotte dell’arte. Dalla decorazione totale alla galleria d’arte galleggiante, in P. Campodonico, M. Fochessati, P. Piccione (a cura di), Transatlantici. Scenari e sogni di mare, Skira, Ginevra-Milano, 2004, pp. 239-305.
269 Negli anni della ricostruzione europea la nave diviene oggetto della più accesa competizione, perché testimonianza concreta della rivalsa e della potenza in crescita di una Nazione. La proprietà di una flotta compatta, funzionante e tecnologicamente all’avanguardia sarebbe stato sintomo di un’economia altrettanto forte e ben strutturata. In Italia, in particolar modo, la marina di Stato ha potuto contare sui finanziamenti americani erogati dall’ExImBank prima e dal Piano Marshall poi, sussidi pubblici quali la “Legge Saragat” e consistenti mutui concessi dall’Istituto Mobiliare Italiano. La pluralità degli investimenti destinati al settore nautico testimonia la sua importanza strategica. Un’indagine completa è tracciata in G. Mellinato, Lo stato navigatore. Finmare tra servizio pubblico e business, 1944 – 1999, in F. Russolini (a cura di), Storia dell’IRI 5. Un gruppo singolare. Settori, bilanci, presenze nell’economia italiana, Editori Laterza, Bari 2014, pp. 430-460; nel capitolo Rovine, rinascita, in P. Ciocca, Storia dell’IRI 6. L’IRI nella economia italiana, Editori Laterza, Bari 2014, pp. 115-117; e nel saggio R. Giulianelli, Ship financing in Italy in the first half of the twentieth century, in “The International Journal of Maritime History”, vol. 28(2), 2016, pp. 335-355, in particolare Credit and the rebuilding of the merchant fleet after 1945, pp. 351 e segg.
270 Economista e consulente della Federal Reserve Bank of New York, si ricorda che Max Ascoli si fosse rivolto a Tamagna affinché potesse investigare le condizioni delle imprese artigiane italiane alla fine del conflitto mondiale e chiedendo lui di redigere un “report” finale che notificasse lo stato di giacenza e sopravvivenza italiano. Registrandone le gravi condizioni post-belliche, Tamagna annota l’importanza di “riparare” e “riaprire” le vie di comunicazioni quale condizione prima della ricostruzione. Cfr. p. 20 del Report on Conditions in Italy, cit.
271 Molte navi italiane sono cadute sin dalle primissime fasi della guerra e la débâcle è soprattutto imputabile al ritardo con il quale sono state avvisate dell’inizio delle ostilità. Sorprese in mare aperto, le unità della marina sono state precoci vittime del conflitto, La situazione dell’industria italiana all’indomani del conflitto. I danni di guerra, in F. Fauri, Il Piano Marshall e l’Italia, Il Mulino, Bologna 2010, pp. 85-87. Per una bibliografia ulteriore: M.A. Bragadin, Il dramma della marina italiana 1940-1945, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1968; G. Giorgerini, La guerra italiana sul mare. La marina tra vittoria e sconfitta. 1940-1943, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2001; J. J. Sadkovich, La marina italiana nella seconda guerra mondiale, Libreria Editrice Goriziana, Gorizia 2006.
272 Sull’argomento, G. Mori (a cura di), Storia dell’Ansaldo. 7: Dal dopoguerra al miracolo economico, 1942-1962, Editori Laterza, Roma-Bari 2000, p. 6.
273 Per un prima panoramica sull’evoluzione societaria della navigazione italiana - dalla fortuna dei primi armatori privati quali i Florio e i Rubattino sino all’intromissione del governo fascista - si consigliano i capitoli introduttivi delle seguenti pubblicazioni: M. Eliseo, P. Piccione, Transatlantici: storia delle grandi navi passeggeri italiane, Tormena Editore, Genova 2001; AA.VV, Transatlantici. Scenari e sogni di mare, Skira, Ginevra-Milano 2004; M. Eliseo, W. H. Miller, Transatlantici tra le due guerre. L’epoca d’oro delle navi di linea, Ulrico Hoepli Editore, Milano 2004; C. Donzel, Transatlantici. L’età doro, Istituto Grafico De Agostino, Novara 2006; F. Magazzù, L’epopea dei transatlantici. Evoluzione e declino delle navi passeggeri italiane dal 1860 al 1980, Youcanprint Self-Publishing, Lecco 2015.
274 Nel 1932 la “Società Anonima” era stata anticipata dall’“Italia Flotte Riunite”, una società pubblica di navigazione cui facevano capo le tre più importanti società ammiraglie italiane: la “Navigazione Generale Italiana” di Genova, il “Lloyd Sabaudo” di Torino e la “Cosulich Line” di Trieste, che concorrendo rispettivamente con 9, 8 e 18 unità, avevano creato la più grande flotta passeggeri che mai avrebbe navigato sotto il tricolore. Posto in liquidazione dopo soli quattro anni, l’esperimento pubblico delle “Flotte Riunite” servì da banco di prova per la successiva “Società Anonima” che, istituita con i R. D. L. 2081 e 2082 il 7 dicembre 1936, segna l’esclusione definitiva del ceto privato dal settore navale. All’estero sarà conosciuta con l’inconfondibile nomenclatura di Italian Line.
275 Si noti come le operazioni di ricostruzione abbiano dovuto e continuino a rimedire agli strascichi della politica di regime: Max Ascoli ha tentato, con successo, di ricostruire un’identità nazionale attraverso l’iniziativa artigiana; e la navigazione deve ora essere epurata dalle gravose scelte fasciste.
276 Istituito con “Decreto del Capo Provvisorio dello Stato” il 13 luglio 1946 e inserito nella “Gazzetta Ufficiale” n°167 del 27 luglio 1946, il “Ministero della Marina Mercantile” sancisce il controllo statale sull’immenso patrimonio produttivo e umano della cantieristica italiana, La situazione dell’industria italiana all’indomani del conflitto. L’Istituto di Ricostruzione Industriale (IRI), in F. Fauri, Il Piano Marshall e l’Italia, Il Mulino, Bologna 2010, pp. 92-93.
277 Il pacchetto di 5.8 milioni di dollari è così suddiviso: 3 milioni sono investiti sull’“Ansaldo”, seguono i “Cantieri Riuniti dell’Adriatico” con 1.5 milioni, l’“Odero-Terni-Orlando S.p.a.” che si aggiudica un investimento di 800.000 dollari e la “Navalmeccanica S.p.a.” 500.000 dollari. I capitoli di spesa sono pubblicati nel documento relativo agli investimenti della ExImBank per il secondo semestre del 1947, Fith Semiannual Report to Congress for the period July - December 1947, in “Annual Reports Collection”, Export-Import Bank Digital Archives Collection, Washington D.C, 1947, pp. 8-10.
L’ingegnere Cesare Sacerdoti - direttore della già citata “Delegazione Tecnica Italiana” (DELTEC) - è stato consulente e responsabile anche della questione navale per il Governo italiano presso l’ambasciata di Washington garantendo i primi finanziamenti dell’ExImBank, e sarà promotore e garante dei successivi fondi del Piano Marshall: nel primo biennio il Piano investirà 8.5 miliardi di lire (dei quali 1.5 assicurati al solo Ansaldo), garantendo il 63% del tonnellaggio di nuova costruzione alla risorta “Italia - Società di Navigazione” (in E. Ortona, Anni d’America. La ricostruzione 1945/1951, Società editrice il Mulino, Bologna 1984, p. 105). Prosegue dunque la mediazione della DELTEC: coinvolta personalmente e privatamente da Ascoli affinché l’ExImBank concedesse il prestito di 4.625.000 dollari; e invece ufficialmente in prima linea nelle trattive governative riguardanti il settore della navigazione.
278 Si vedano, M. Doria, Ansaldo: l’impresa e lo Stato, Franco Angeli, Milano 1990; F. Degli Esposti, L’Ansaldo industria bellica, in “Italia Contemporanea”, n. 190, marzo 1993, pp. 149-167, in particolar modo pp. 161 e segg. sul conversione della produzione cantieristica a scopi bellici.
279 La difficile situazione triestina nel dopoguerra è ben definita nel saggio, G. Mellinato Tra mercato e propaganda. La ricostruzione del settore marittimo nella Trieste del secondo dopoguerra, in “Acta Histriae”, n. 13, Annales Publishing House, 2005 (II), pp. 447-458; e nel libro A. Cova (a cura di), Il dilemma dell’integrazione. L’inserimento dell’economia italiana nel sistema occidentale. 1945-1957, Franco Angeli, Milano 2008, pp. 377-381.
280 Nonostante siano transatlantici italiani, è l’America a deciderne le sorti: al termine delle ostilità la proprietà sequestrata dei “Conti” era ancora sotto la giurisdizione statunitense; e le due motonavi Saturnia e Vulcania, che secondo il “Trattato di Parigi” avrebbero dovuto essere cedute dall’Italia alla Grecia a compensazione dei danni di guerra, vengono invece concesse all’Italia. L’accordo americano prevede anche la vendita all’Italia a un prezzo di favore di cinquanta navi di tipo “Liberty” (residuate di guerra, relativamente lente e quindi economiche, perfette per una fase storica tanto instabile e precaria); e la costruzione di una nuova unità per la rotta atlantica verso New York di stazza non superiore alle 30.000 tonnellate lorde, in E. Ortona, Anni d’America. La ricostruzione 1945/1951, cit., p. 172. Sull’argomento anche, I mercantili Liberty, in F. Fauri, Il Piano Marshall e l’Italia, cit., pp. 153-156.
Clara Pellegris, Homo Faber. La ricostruzione identitaria italiana e la nascita del “Made in Italy”, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Bergamo, Anno Accademico 2019/2020