Non esiste in tutta la flora della Riviera Ligure una pianta più rappresentativa, più emblematica dell'Oleandro: una Apocinacea che nel proprio battesimo attraverso il corso dei secoli, nel latino come nella nostra lingua, ha immutabilmente conservato la sua denominazione derivata dell' antico termine ellenico usato per definire i luoghi costantemente umidi in cui ha deciso di nascere spontaneamente.
Lo ritroviamo infatti, allo stato selvaggio, nei greti dei fiumi e dei torrenti che si gettano nel Mar Ligure, dove non è difficile scoprirne le fronde arbustive o arborescenti, ma sempre verdi e riccamente decorative.
Lo affermò Bartolomeo Clarici nel XVII° secolo evidenziando la familiarità della pianta con l’ambiente naturale della nostra regione e scrivendo testualmente: “l’Oleandro è la pianta più tipica della Liguria fra Nizza e Genova”.
Anche l'illustre naturalista piemontese Michele Lessona così si espresse nell’ormai lontano 1883: “Gli Oleandri abitano l'alveo dei fiumi quali il Centa, l’Argentina, il Roya e nei torrenti come il Nervia, l'Armea e l’Impero, dove piantano le loro radici nei luoghi sassosi ed umidi”.
Ed infine, per terminare la serie delle citazioni letterarie d’epoca, nella sua illustrazione accurate sui fiori spontanei della zona attorno ad Alassio, il già citato Dottor Vincenzo Nam scriveva nel 1920 con non celato entusiasmo: “Ad Andora è così fitto che nel letto del torrente Merula, dà a questo l’aspetto di un fiume di fuoco visto dalle soprastanti colline, quando è il periodo della massima fioritura”.
Le stesse sensazioni riemergono in una recentissima Enciclopedia dei Fiori redatta da Ippolito Pizzetti il quale si dichiara scontento di come l’Oleandro sia trattato nei centri turistici di massa dove “sembra proprio aver abdicato per sempre alla sua dignità. Eppure, se per caso capita di trovarsi in quelle zone dove l'Oleandro è spontaneo, poche piante, restituite alla loro natura e alla loro cornice, offrono uno spettacolo più bello e selvaggio. Li ho visti nelle gole cosparse di uliveti abbandonati, lungo le rive dei piccoli corsi d'acqua della Liguria ravvivare improvvisa niente la roccia grigia con i loro ciuffi rosa o rossi”.
La più antica citazione che lo riguarda si trova invece nel Vecchio Testamento dove si legge che gli Ebrei durante la schiavitù a Babilonia sfruttarono rami di oleandro per appendere le loro arpe.
I popoli antichi conoscevano la forte tossicità di queste piante e pare accertato che essi non ne abbiano mai tentato applicazioni medicinali come avvenne in seguito. La riprova si riscontra in un capitolo delle Metamorfosi dove Apuleio parla di Lucio, tramutato in asino, all’affannosa ricerca di un cespo di Rosa, l’unica pianta in grado di riportarlo allo stato di essere umano. Visto un Oleandro e scambiatolo per la Regina dei fiori, stava per brucarlo, ma si accorse che i colleghi animali del branco evitavano con cura di avvicinarsi alla pianta; allora rinunciò temporaneamente alla salvezza, o meglio, evitò la sicura morte.
I Romani gli avevano conferito ben tre nomi: Rododendro, Dafne ed un mix fra i due: quello di Rhododafne. Lo ammiravano e lo temevano nello stesso tempo. “Ha fiori che somigliano alla Rosa; è velenoso per le bestie da soma, le capre e le pecore mentre l’uomo ne fa uso medicinale contro il veleno dei serpenti”.
Un celebre episodio storico, citato in tutti i testi di Storia naturale in cui si parli dell'Oleandro, documenta la tossicità di queste bellissime piante: il fatto avvenne durante le guerre napoleoniche contro la Spagna nei dintorni di Madrid. Alcuni soldati per arrostire fecero arrostire dei pezzi di carne usarono come spiedo alcune bacchette ricavate dai suoi rami con il tragico bilancio di otto morti e di quattro intossicati.
Queste citazioni non scalfiscono minimamente l'indiscutibile fascino dei suoi cespugli fioriti nel selvaggio ambiente naturale, più che nella costrizione delle aiuole o dei viali, dove l’Oleandro viene sovente mortificato e costretto ad assumere innaturali volumi ad alberello.
E' un'avvilente, assurda, forma di schiavitù alla quale la pianta sovente si sottrae intristendo e rinunciando al vistoso fulgore di una abbondante fioritura.
Bellezza delicata e dolcezza sono i valori attribuiti dai francesi al "Lauriér rose" mentre nel nostro paese il linguaggio dei fiori gli assegna due significati decisamente negativi: di perfidia, baldanza ed ostentazione.
La tossicità dell'Oleandro è diffusa in tutte le sue parti ed è legata alla presenza di due alcaloidi, l'oleandrina e la pseudocurarina, oltreché a glucosidi come la neerina e la neriantina. Le foglie polverizzate si possono usare, ma con estrema cautela e solo esternamente, contro la scabbia, i parassiti cutanei e per far maturare gli ascessi. In uso interno, solamente il medico può deciderne l'impiego come cardiotonico alternandolo alla Digitale ed allo Strofanto.
L'avvelenamento da Oleandro si manifesta con forte vomito, coliche spasmodiche, seguite da diarrea ed accompagnate per tutta la crisi da forte febbre, vertigini, battito cardiaco fortemente alterato.
Se non si interviene in tempo sopravviene uno stato di coma profondo seguito dalla morte per arresto del cuore.
Maggiore successo hanno riscosso invece gli Oleandri nella ornamentazione di viali e di giardini nel cui ambito hanno trovato una grande diffusione; ma secondo i paesaggisti si è abusato di loro localizzandoli sovente in modo non consono alle loro caratteristiche, soprattutto quando viene costretto il lunghi filari a costituire una barriera antiabbagliante tra le corsie delle autostrade.
Il lungo periodo di fioritura, le molte varietà a foglie variegate ed a fiori doppi, ottenibili in un'ampia gamma di tinte sgargianti, continuano a proporlo come il più desiderabile degli arbusti ornamentali.
Su Riviera Nature notes, il documentatissimo libro di George Comerford Casey nel capitolo XIX° dedicato alle Piante velenose si possono leggere molte notizie su questa nostra splendida pianta ormai diffusa in tutti i giardini privati e pubblici dell'intero pianeta.
Nerium oleander L. (V- VII. Nasce nei greti dei torrenti e dei fiumi sino a circa 4-5 km dalla foce) E’ un grosso arbusto, glabro e sempreverde, a rami giovani lisci e pruinosi, alto sino a 5 metri. Le foglie sono persistenti e coriacee, di color verde scuro, strette, lanceolate, acute, intere, con molte nervature secondarie parallele e sorrette da un picciolo breve. Ha fiori grandi, sempre riuniti in corimbo assai vistoso, con la corolla tubulosa nella parte inferiore, ma successivamente divisa, in 5 lobi eguali e patenti, ciascuno dei quali, porta alla sua base una linguetta più o meno laciniata. Il colore dei petali è rosa-carminio, bianco, rosso o più raramente giallognolo. Il calice ha 5 lobi lanceolati ed appendici carnose all'interno. Nerium oleander: Belladonna a Genova, Bell'omo, Où ad Imperia, Sciù d'or ad Albenga, Léandro ad Alassio, Léandru a Pietra Ligure, Adolari a Camporosso.
Come raccogliere e coltivare
Va ricordato che l’Oleandro non ama le frequenti potature, salvo che non si dimostrino necessarie a regolarne la forma ed il volume di espansione, non dimenticando che come tutti i cespugli di riva tende a crescere molto in larghezza; in questi casi con la potatura bisognerà rinunciare alla fioritura dell’annata. L'Oleandro è diffuso anche come robusta pianta da tinozza nonché come arbusto da grandi vasi per l'appartamento dove necessita però di molta luce; nel vaso la pianta va concimata frequentemente e sorvegliata nei getti laterali che andranno tagliati per non impoverirla.
La coltivazione è decisamente facile soprattutto nella sua patria d’origine la Liguria dove cresce anche in terreni magri, ma non disdegna il più sostanzioso ed abituale substrato del giardino, soprattutto se sciolto e nutriente. Le specie selvatiche che si offrono in ogni torrente della regione possono essere altrettante piante madri dalle quali con cura ed attenzione si possono prelevare i polloni laterali o raccoglierne i semi. Il metodo più comunemente usato per la propagazione è la talea che, piantata nella sabbia, durante l'estate mette radici con grande facilità. Si possono innestare solo se si conoscono bene i metodi e le procedure.
Lo ritroviamo infatti, allo stato selvaggio, nei greti dei fiumi e dei torrenti che si gettano nel Mar Ligure, dove non è difficile scoprirne le fronde arbustive o arborescenti, ma sempre verdi e riccamente decorative.
Lo affermò Bartolomeo Clarici nel XVII° secolo evidenziando la familiarità della pianta con l’ambiente naturale della nostra regione e scrivendo testualmente: “l’Oleandro è la pianta più tipica della Liguria fra Nizza e Genova”.
Anche l'illustre naturalista piemontese Michele Lessona così si espresse nell’ormai lontano 1883: “Gli Oleandri abitano l'alveo dei fiumi quali il Centa, l’Argentina, il Roya e nei torrenti come il Nervia, l'Armea e l’Impero, dove piantano le loro radici nei luoghi sassosi ed umidi”.
Ed infine, per terminare la serie delle citazioni letterarie d’epoca, nella sua illustrazione accurate sui fiori spontanei della zona attorno ad Alassio, il già citato Dottor Vincenzo Nam scriveva nel 1920 con non celato entusiasmo: “Ad Andora è così fitto che nel letto del torrente Merula, dà a questo l’aspetto di un fiume di fuoco visto dalle soprastanti colline, quando è il periodo della massima fioritura”.
Le stesse sensazioni riemergono in una recentissima Enciclopedia dei Fiori redatta da Ippolito Pizzetti il quale si dichiara scontento di come l’Oleandro sia trattato nei centri turistici di massa dove “sembra proprio aver abdicato per sempre alla sua dignità. Eppure, se per caso capita di trovarsi in quelle zone dove l'Oleandro è spontaneo, poche piante, restituite alla loro natura e alla loro cornice, offrono uno spettacolo più bello e selvaggio. Li ho visti nelle gole cosparse di uliveti abbandonati, lungo le rive dei piccoli corsi d'acqua della Liguria ravvivare improvvisa niente la roccia grigia con i loro ciuffi rosa o rossi”.
La più antica citazione che lo riguarda si trova invece nel Vecchio Testamento dove si legge che gli Ebrei durante la schiavitù a Babilonia sfruttarono rami di oleandro per appendere le loro arpe.
I popoli antichi conoscevano la forte tossicità di queste piante e pare accertato che essi non ne abbiano mai tentato applicazioni medicinali come avvenne in seguito. La riprova si riscontra in un capitolo delle Metamorfosi dove Apuleio parla di Lucio, tramutato in asino, all’affannosa ricerca di un cespo di Rosa, l’unica pianta in grado di riportarlo allo stato di essere umano. Visto un Oleandro e scambiatolo per la Regina dei fiori, stava per brucarlo, ma si accorse che i colleghi animali del branco evitavano con cura di avvicinarsi alla pianta; allora rinunciò temporaneamente alla salvezza, o meglio, evitò la sicura morte.
I Romani gli avevano conferito ben tre nomi: Rododendro, Dafne ed un mix fra i due: quello di Rhododafne. Lo ammiravano e lo temevano nello stesso tempo. “Ha fiori che somigliano alla Rosa; è velenoso per le bestie da soma, le capre e le pecore mentre l’uomo ne fa uso medicinale contro il veleno dei serpenti”.
Un celebre episodio storico, citato in tutti i testi di Storia naturale in cui si parli dell'Oleandro, documenta la tossicità di queste bellissime piante: il fatto avvenne durante le guerre napoleoniche contro la Spagna nei dintorni di Madrid. Alcuni soldati per arrostire fecero arrostire dei pezzi di carne usarono come spiedo alcune bacchette ricavate dai suoi rami con il tragico bilancio di otto morti e di quattro intossicati.
Queste citazioni non scalfiscono minimamente l'indiscutibile fascino dei suoi cespugli fioriti nel selvaggio ambiente naturale, più che nella costrizione delle aiuole o dei viali, dove l’Oleandro viene sovente mortificato e costretto ad assumere innaturali volumi ad alberello.
E' un'avvilente, assurda, forma di schiavitù alla quale la pianta sovente si sottrae intristendo e rinunciando al vistoso fulgore di una abbondante fioritura.
Bellezza delicata e dolcezza sono i valori attribuiti dai francesi al "Lauriér rose" mentre nel nostro paese il linguaggio dei fiori gli assegna due significati decisamente negativi: di perfidia, baldanza ed ostentazione.
La tossicità dell'Oleandro è diffusa in tutte le sue parti ed è legata alla presenza di due alcaloidi, l'oleandrina e la pseudocurarina, oltreché a glucosidi come la neerina e la neriantina. Le foglie polverizzate si possono usare, ma con estrema cautela e solo esternamente, contro la scabbia, i parassiti cutanei e per far maturare gli ascessi. In uso interno, solamente il medico può deciderne l'impiego come cardiotonico alternandolo alla Digitale ed allo Strofanto.
L'avvelenamento da Oleandro si manifesta con forte vomito, coliche spasmodiche, seguite da diarrea ed accompagnate per tutta la crisi da forte febbre, vertigini, battito cardiaco fortemente alterato.
Se non si interviene in tempo sopravviene uno stato di coma profondo seguito dalla morte per arresto del cuore.
Maggiore successo hanno riscosso invece gli Oleandri nella ornamentazione di viali e di giardini nel cui ambito hanno trovato una grande diffusione; ma secondo i paesaggisti si è abusato di loro localizzandoli sovente in modo non consono alle loro caratteristiche, soprattutto quando viene costretto il lunghi filari a costituire una barriera antiabbagliante tra le corsie delle autostrade.
Il lungo periodo di fioritura, le molte varietà a foglie variegate ed a fiori doppi, ottenibili in un'ampia gamma di tinte sgargianti, continuano a proporlo come il più desiderabile degli arbusti ornamentali.
Su Riviera Nature notes, il documentatissimo libro di George Comerford Casey nel capitolo XIX° dedicato alle Piante velenose si possono leggere molte notizie su questa nostra splendida pianta ormai diffusa in tutti i giardini privati e pubblici dell'intero pianeta.
Nerium oleander L. (V- VII. Nasce nei greti dei torrenti e dei fiumi sino a circa 4-5 km dalla foce) E’ un grosso arbusto, glabro e sempreverde, a rami giovani lisci e pruinosi, alto sino a 5 metri. Le foglie sono persistenti e coriacee, di color verde scuro, strette, lanceolate, acute, intere, con molte nervature secondarie parallele e sorrette da un picciolo breve. Ha fiori grandi, sempre riuniti in corimbo assai vistoso, con la corolla tubulosa nella parte inferiore, ma successivamente divisa, in 5 lobi eguali e patenti, ciascuno dei quali, porta alla sua base una linguetta più o meno laciniata. Il colore dei petali è rosa-carminio, bianco, rosso o più raramente giallognolo. Il calice ha 5 lobi lanceolati ed appendici carnose all'interno. Nerium oleander: Belladonna a Genova, Bell'omo, Où ad Imperia, Sciù d'or ad Albenga, Léandro ad Alassio, Léandru a Pietra Ligure, Adolari a Camporosso.
Come raccogliere e coltivare
Va ricordato che l’Oleandro non ama le frequenti potature, salvo che non si dimostrino necessarie a regolarne la forma ed il volume di espansione, non dimenticando che come tutti i cespugli di riva tende a crescere molto in larghezza; in questi casi con la potatura bisognerà rinunciare alla fioritura dell’annata. L'Oleandro è diffuso anche come robusta pianta da tinozza nonché come arbusto da grandi vasi per l'appartamento dove necessita però di molta luce; nel vaso la pianta va concimata frequentemente e sorvegliata nei getti laterali che andranno tagliati per non impoverirla.
La coltivazione è decisamente facile soprattutto nella sua patria d’origine la Liguria dove cresce anche in terreni magri, ma non disdegna il più sostanzioso ed abituale substrato del giardino, soprattutto se sciolto e nutriente. Le specie selvatiche che si offrono in ogni torrente della regione possono essere altrettante piante madri dalle quali con cura ed attenzione si possono prelevare i polloni laterali o raccoglierne i semi. Il metodo più comunemente usato per la propagazione è la talea che, piantata nella sabbia, durante l'estate mette radici con grande facilità. Si possono innestare solo se si conoscono bene i metodi e le procedure.