La Liberazione di Parigi - Fonte: Patria Indipendente |
Emigrato nel 1922 a Parigi all'età di 14 anni, dopo che a Verona, città dove risiedeva la sua famiglia, Darno Maffini aveva preso parte alla difesa della Camera del lavoro da un assalto dei fascisti ed era stato in seguito minacciato. Nella capitale francese già vi risiedevano alcuni suoi familiari, vi erano infatti sua nonna e uno zio paterno, Venceslao Maffini, che aveva una calzoleria dove confezionava scarpe di lusso, in Place Breteuil, era un uomo di sinistra, non militava in nessun partito, ma faceva parte del sindacato. Nel 1924 Darno entrò come operaio in una fabbrica di calzature, da Hellstern, in Place Vendome: ciò gli permise di regolarizzare la sua posizione alla prefettura. Fu in questi anni che entrò anche lui nel sindacato dei calzolai e nel 1926 divenne segretario della sezione italiana “Cuoi e pelli cuciti a mano” della C.G.T.U., il sindacato comunista, incarico che svolse fino al 1936. Maffini nel 1930 si sposò con Pauline Persico, nata in Francia ma figlia di italiani, con la quale andò ad abitare nel quartiere popolare dell'XI arr, in Boulevard Voltaire dove vi era una forte presenza di italiani. Durante gli anni venti e trenta aiutò molti italiani, che arrivavano a Parigi in fuga dal fascismo a trovare un alloggio nonché un lavoro. Non aderì mai al partito comunista francese tuttavia frequentò le riunioni del gruppo di lingua italiano del MOI quando erano aperte ai non iscritti. Maffini a Parigi aderì a molte manifestazioni, sia quelle più propriamente di tipo sindacale sia quelle di tipo politico, come ad esempio la manifestazione di Sacco e Vanzetti nel 1927, o quella contro il tentativo di colpo di stato da parte delle leghe di destra del 12 febbraio 1934 e quelle degli anni del Fronte Popolare. Durante la guerra di Spagna fu membro di un Comitato che organizzava l’arruolamento dei volontari e si occupò anche di aiutarli al loro ritorno dalla Spagna. Per i servizi resi ha ricevuto il titolo di Cavaliere dell’Ordine della Repubblica Spagnola nel dopoguerra. Con la tragica fine della Repubblica Spagnola, ha ricordato in un'intervista nel 1997 allo storico Antonio Bechelloni, che rinunciò alle illusioni rivoluzionarie nutrite nei confronti dell'Italia ma che si fece più forte in lui la convinzione che fosse possibile un sollevamento della popolazione contro le dittature: “La guerra di Spagna ci aveva tolto le illusioni rivoluzionarie. In questo senso la Spagna ci è lo stesso servita: non si può esser soli, non si può improvvisare una rivoluzione. Quello che è possibile, invece, è un sollevamento della popolazione contro le dittature. Ecco cosa abbiamo conservato della guerra di Spagna. E’ in questa direzione che abbiamo lavorato in seguito”.
Al momento della firma del patto Molotov-Ribbentrop, l’emigrazione comunista italiana in Francia era in serie difficoltà. Maffini ha raccontato allo storico Bechelloni quali furono le sue impressioni riguardo al patto di non aggressione:
“Durante la drôle de guerre, dal settembre del ’39 al giugno del ’40, per noi italiani fu veramente terribile. Il patto tedesco-sovietico aveva fatto molto male non solo ai comunisti italiani ma anche ai francesi. Avevamo grosse difficoltà nell’impedire la dispersione dei compagni. E’ vero che esisteva una spiegazione… E’ un trucco di Baffone, di Stalin, egli sa quel che fa'… ma io non ho mai tollerato questo atteggiamento, avevo l’impressione che fosse la stessa considerazione che facevano i fascisti nei confronti di Mussolini, 'il Duce ha sempre ragione'.” “I contatti che avevamo con il sindacato e il partito erano stretti, ma non c’era ancora una strategia precisa, a causa del comportamento dell’Unione Sovietica. Con il patto Hitler-Stalin di non aggressione c’è stato un vero e proprio sbandamento, non sapevamo più quale posizione prendere.”
Al momento dell'inizio della guerra, Maffini, che era ben integrato nella società francese, fu tra gli emigrati che scelsero di arruolarsi nell'esercito francese come dimostra un documento conservato nel Fonds Maffini. Il 4 settembre 1939, all'indomani della dichiarazione di guerra, si mise a disposizione delle autorità militari e civili della Repubblica Francese per la durata della guerra” e si presentò al centro d’arruolamento situato alla Caserma del Fort de Vincennes. Ma dopo esservi rimasto per tre giorni, capì che nessuno voleva prendersi la responsabilità di arruolare degli stranieri: le autorità francesi preferivano che entrassero nella Legione Straniera. Durante il periodo della drôle de guerre, dalla dichiarazione di guerra alla Germania, del settembre ’39, all’attacco di Hitler alla Francia del maggio '40, Maffini rimase a Parigi e continuò a svolgere il suo lavoro di calzolaio; nel palazzo in cui abitava era rimasto l’unico uomo: tutti gli altri o erano stati richiamati o erano fuggiti a sud della Francia. Il giorno dell'arrivo dei tedeschi lo descrisse come il giorno in cui grazie 'allo spirito antifascista' scelse di non rassegnarsi all'occupante e continuare la lotta: “(...) E noi, gli italiani immigrati, il sindacato nel frattempo era stato dissolto non restava che la struttura di partito, avevamo conservato lo spirito antifascista non volevamo sottometterci tanto facilmente all’occupazione. Abbiamo cominciato il giorno stesso dell’ingresso dei tedeschi a Parigi, eravamo un piccolo gruppo e abbiamo cercato di creare loro delle difficoltà. Era il maggio 1940. Li abbiamo visti entrare a Parigi e la gente nelle strade diceva: ‘ ma sono fatti come noi, ce ne sono certi che sono anche belli, puliti ….’. Noi avevamo deciso che, se avessero chiesto delle informazioni, avremmo cercato di indirizzarli altrove. Questo è successo una o due volte, il primo giorno del loro ingresso. Ma a partire dal giorno dopo, abbiamo cambiato, quando e dove abbiamo potuto, il senso dei pannelli indicatori, e ciò ha spesso funzionato. E’ stato uno dei nostri primi atti di resistenza”. L'arrivo dei tedeschi e i primi bombardamenti rinsaldarono il clima di solidarietà tra la gente, e dopo lo scoramento del Patto Hitler-Stalin furono proprio gli ex volontari di Spagna che si riattivarono “ (…) poi ci siamo ripresi proprio grazie agli ex-brigatisti…per loro la guerra non era finita…furono soprattutto loro che aiutarono a riprendere le lotte…Si faceva parte della MOI.”
E in un'altra intervista ha parlato di quella resistenza portata avanti dagli emigrati fin dal 1941: le prime persone che si opposero ai tedeschi e pensarono ad organizzare una resistenza provenivano da paesi stranieri. Furono gli italiani, i polacchi, gli ebrei, gli ex-volontari in Spagna, cioè tutti coloro che erano stati costretti a fuggire dai loro paesi perché vi si erano instaurate delle dittature “(…) quelli che hanno combattuto in Spagna sono stati i primi ad organizzarsi, perché all’inizio erano loro che sapevano usare le armi e hanno allenato delle persone come noi per fare parte dei commando. Non si sono fatti prendere dalla questione del patto Hitler-Stalin, hanno ritenuto che occorresse continuare nella stessa direzione, e in seguito hanno mostrato che avevamo avuto ragione a non disperderci troppo, perché dopo durante la Resistenza erano quasi tutti comunisti, nel ’41 ..., perché la Resistenza era nel ’41, ma prima, nel ’40, siamo stati sorpresi, abbiamo dovuto organizzarci… Noi italiani dovevamo farci perdonare la Spagna poiché molte persone non avevano apprezzato che fossimo andati in Spagna, essendo residenti in Francia. Molto poi erano contro la guerra di Spagna, i fascisti, le autorità, la gente di destra. Inoltre c’era l’OVRA che era in agguato. Soprattutto dopo che l’Italia era entrata in guerra, essi volevano arrestare coloro che erano contro l’aggressione italiana. In seguito i tedeschi, che a loro volta diffidavano degli italiani, degli italiani antifascisti ben inteso, perché eravamo i loro nemici. E in questo avevano ragione perché i primi a prendere le armi contro i tedeschi furono effettivamente gli stranieri. Gli italiani, gli ebrei, i polacchi, tutti coloro che fuggivano da dittature. Che avevano espatriato e raggiunto la Francia. Qui erano più o meno stati accolti ed infine vi avevano trovato di cosa vivere. Ma la loro idea era uguale alla nostra cioè ritornare nel proprio paese liberato. Dunque furono tra i primi ad arruolare uomini per la Resistenza. I francesi erano forse meno, non come numero ma in proporzione alla popolazione. I francesi furono più numerosi dopo, diciamo che i francesi hanno cominciato ad aderire in massa alla resistenza quando si prevedeva uno sbarco americano …poi allora dopo lo sbarco erano tutti resistenti …come in Italia tutti quelli che erano stati fascisti, perché per mangiare erano obbligatoriamente fascisti…poi un momento dopo erano antifascisti.”
Durante l'occupazione nazista, Maffini offrì la sua casa per le riunioni della MOI e per quelle dei garibaldini: nelle carte del suo archivio privato è documentata la sua adesione ai gruppi garibaldini dal settembre 1942 ma sui due anni precedenti non si hanno informazioni. Nel suo dossier personale presso l'Archivio della Prefettura di Parigi, un documento della polizia giudiziaria ci informa che il 21 luglio 1941 venne ascoltato per infrazione alla legge dell'8 ottobre 1940: esercitava la professione artigianale di calzolaio senza essere munito della carta d'identità specifica per questa professione e per la quale venne condannato il I marzo 1943 al pagamento di un'ammenda.
In un'attestazione sulla sua attività di resistenza, è descritto che in seguito alla sua adesione al gruppo di garibaldini, dopo un breve periodo di preparazione, gli fu affidato il compito delicato di raccogliere soldi presso amici e commercianti favorevoli alla resistenza, con lo scopo di provvedere ai bisogni alimentari e vestiari di numerosi ebrei ospitati dai Garibaldini per sottrarli alla deportazione.
Maffini è stato un agente di contatto tra la MOI e i Garibaldini e venne poi sostituito in questo compito da Persico. Il suo ruolo nella resistenza forse era anche più incisivo dati i suoi contatti con il MOI e con gli ex brigatisti di Spagna: infatti nel 1942 a Parigi, il delegato del partito comunista, Riccardo Ravagnan, futuro membro del CILN parigino e senatore nel dopoguerra, fece a Maffini 'scuola quadri' per un periodo di tre mesi. In seguito lo stesso Ravagnan lo mise in contatto, tramite un intermediario della MOI, con un altro esponente del PCd'I, Bruno Tosin, che saputo dei suoi contatti con alcuni comunisti di Verona gli chiese di partire per l’Italia.
Maffini acconsentì e raggiunse la penisola nel marzo 1943, perchè non essendo conosciuto dalla polizia italiana avrebbe potuto portare del materiale a stampa senza difficoltà e con i suoi contatti a Verona avrebbe potuto iniziare a sviluppare un’attività di resistenza. Gli fu affidato il compito di prendere contatto con i comunisti veronesi e lavorare per la riorganizzazione locale del partito.
Dopo la nascita della Repubblica di Salò, Maffini, che per poter circolare a Verona aveva un lasciapassare tedesco falso, abitò presso l’amico scultore Zampieri, un comunista, comandante del GAP veronese, il cui studio, situato in Via San Giusto 9, dal 1940 era diventato luogo di ritrovo per gli antifascisti della città. Nel suo atelier si svolgevano le riunioni, anche dopo la nascita della Repubblica di Salò e l’occupazione della città da parte dei tedeschi e alcuni di questi frequentatori formeranno, dopo l'8 settembre il primo CLN di Verona. Il PCI assegnò a Maffini la responsabilità di curare l’organizzazione di un importante settore della città: Veronetta, Borgo Trento e San Michele. Inoltre si dedicò alla diffusione di stampa clandestina comunista.” Il 9 settembre partecipò ai combattimenti per la difesa della città di Verona, con Zampieri e Vincenzo d’Amore che comandava il corpo di guardia di fanteria, si accordò per presidiare la Prefettura e il Palazzo delle Poste. Dopo aver resistito per diverse ore in Piazza delle Poste agli attacchi dei tedeschi, vennero catturati e fatti prigionieri.
Maffini venne portato ad Innsbruck, in Austria, da dove sarebbe stato deportato in Germania ma riuscì ad evadere insieme ad altri prigionieri. Con altre cinque persone tornò verso Verona riparando per alcuni mesi in montagna, insieme a numerosi refrattari e soldati coi quali combatté contro i tedeschi, mentre alcuni dei resistenti con i quali era in contatto a Verona furono arrestati dalla Gestapo e lui stesso sarebbe stato ricercato. Nel novembre, grazie a Croci, un suo conoscente di Milano che aveva vissuto a Parigi ed era stato un aviatore ex brigatista in Spagna, entra in contatto con la formazione autonoma comandata dal colonnello Giacinto Lazzarini, con Argenton.
Da un'attestazione sulla partecipazione alla resistenza del Maffini rilasciata dal Colonnello Lazzarini, Ufficiale del 2677th Regiment OSSS Us Army, comandante la Formazione Militare Lazzarini del Corpo Volontari della Libertà, emerge che Maffini prese parte ad alcune battaglie contro i tedeschi e contro la X MAS fino all'aprile del 1944. Inoltre con la Formazione Lazzarini, Maffini si specializzò nell’evasione di prigionieri sovietici e britannici, e di ebrei, organizzandone il passaggio oltre confine, in territorio svizzero.
Il 30 aprile 1944, Maffini fu inviato in missione speciale in Francia, per un servizio di controspionaggio: avrebbe dovuto scovare spie dell’Ovra e delatori che operavano in Haute Savoie. Individuato dalle autorità elvetiche non poté più rientrare alla base; riuscì comunque a far passare, via filiera (Belluno), le notizie richieste. Da questo momento Maffini ritornò in Francia: la sua missione in Italia era finita, ha dichiarato di avere atteso per otto giorni alla frontiera di Ventimiglia la guida che lo doveva aiutare a superare il confine, con lui c'era anche una famiglia di ebrei. In Italia nel luglio del 1944, mentre il CLN di Verona veniva catturato, anche Maffini era ricercato dalla
Gestapo. Vittore Bocchetta, messo sotto tortura alle Casermette di Montorio da parte dei fascisti che cercavano di sapere chi fosse quel contatto che avevano con Parigi, fu abile nel nascondere la vera entità di Maffini. Il CLN poi fu posto sotto processo e gli imputati vennero tutti condannati a morte. In seguito invece di essere uccisi, furono consegnati alle SS e deportati insieme ad altri antifascisti veronesi in vari lager nazisti: Dachau, Flossenburg ed Hersbruck, dai quali sarebbero tornati in patria solo in tre a guerra finita.
L'esperienza di Maffini è un caso atipico poiché mentre numerosi italiani comunisti rientrarono in Italia per fare propaganda antifascista e per organizzare dopo l'8 settembre la resistenza, Maffini dopo quasi un anno di attività partigiana tornò in Francia. Egli racconta che, rientrato a Parigi nell’aprile del 1944, riprese i contatti col gruppo dei garibaldini italiani dell’XI arr., a cui si era avvicinato fin dalla guerra di Spagna e a cui aveva appartenuto dal settembre del 1942 e vi sarebbe appartenuto fino all’agosto del 1944.
In alcune interviste rilasciate allo storico Antonio Bechelloni ha raccontato che guidò un gruppo specializzato all’evasione di soldati italiani della IV armata che, avendo rifiutato di arruolarsi nell’esercito tedesco, all'indomani dell'8 settembre 1943, erano tenuti prigionieri e costretti a lavorare alla costruzione del muro dell’Atlantico in un campo vicino Abbeville (Somme). Ospitò a casa sua tre di questi evasi che, dopo essere stati addestrati alla “tattica dei francs-tireurs”, parteciparono a diverse azioni contro i tedeschi.
Nei mesi che precedettero la Liberazione di Parigi, si occupò di reclutamento, stampa e propaganda. Il suo domicilio in Boulevard Voltaire servì da buca delle lettere per il Comitè Italien de Libération National, dal mese di giugno del ’44 fino alla Liberazione. Ospitò a casa sua anche alcuni soldati sovietici, uno era un ufficiale della marina, gli altri due erano sottufficiali fuggiti da un campo nazista. Ha dichiarato più volte che soprattutto gli italiani dell’XI arr., ma anche quelli che abitavano nel XII, erano i meglio organizzati durante la guerra grazie anche ad alcuni membri che già avevano combattuto in Spagna e alcuni avevano preso parte ad azioni contro i tedeschi già all'indomani dell'occupazione.
“Dopo lo sbarco siamo divenuti più attivi nel quartiere, abbiamo fatto alcune azioni, in Boulevard Charonne abbiamo lanciato una bomba, abbiamo requisito un garage tenuto dai tedeschi…erano quattro e si sono arresi subito perché li avevamo sorpresi, un tedesco iniziò a piangere, è voluto venire con noi e ha fatto la resistenza con noi. Ci è stato utile perché l’abbiamo messo nell’armeria, provvedeva alla manutenzione delle armi”.
Moise George, capo del Corpo Franchi-tiratori della Polizia, alcuni mesi prima della Liberazione era in contatto col Maffini in vista di azioni coordinate da organizzare. Da un’attestazione rilasciata nel 1965 dalla signora Arnault, segretaria amministrativa del Cabinet du Prèfet de Police, si apprende che Maffini aveva reso importanti servizi alla Prefettura di Polizia nei giorni che precedettero la Liberazione. Dopo lo sbarco degli Alleati, si tenne costantemente in contatto telefonico con i servizi di polizia a proposito dell’avanzata delle armate del Generale Leclerc. Quando quest’ultime occuparono la riva sinistra della Senna, a Parigi, una parte del personale della Prefettura, risoluta a rimanere sul posto, si trovava, di fatto, isolata, e Maffini non esitò ad attraversare, più volte, le linee tedesche per ristabilire i contatti. Ha inoltre preso parte, con dei poliziotti resistenti, a delle ronde, e a dei turni di guardia intorno agli edifici della Prefettura, e infine ai combattimenti per la presa della Kommandatur. Il 25 agosto ha partecipato alla presa della Caserma Prince Eugène in Place de la République. Nel corso dei combattimenti le perdite del Gruppo furono di 17 uomini e 45 rimasero feriti. Il giorno seguente mentre ormai la gente festeggiava per le strade, Maffini rimase ferito insieme ad altri 4 garibaldini in un conflitto a fuoco coi tedeschi in Boulevard Voltaire. In un'intervista ha raccontato con tono enfatico quei giorni della liberazione: “Ci preparavamo alla Liberazione. Aspettavamo sempre le armi, ma ne abbiamo ricevute una volta sola. Gli alleati non facevano mai cadere dall’aereo le armi nei luoghi giusti: finivano sempre dentro le proprietà private, o nei castelli. Secondo me perché avevano paura che, dopo la resistenza, un movimento popolare potesse servirsi delle armi per fare la rivoluzione. Si favorivano alcuni e non altri. All’inizio d’agosto abbiamo creato nell’XI arr. la Milice Patriotique, abbiamo fatto un sacco di lavoro affinché la popolazione fosse pronta a sollevarsi al momento buono. Il 24 agosto, noi, i garibaldini dell’undicesimo abbiamo dato un apporto formidabile all’organizzazione della liberazione di Parigi, perché, con il IV e XX arr., abbiamo attaccato la Caserma Prince-Eugène, in Place de la République. Era l’ultimo bastione tedesco. Avevo con me 72 uomini, tutti garibaldini. Il 25 Agosto, quando De Gaulle è arrivato, alle quattro del pomeriggio, mi trovavo alla Prefettura di Polizia, nel Gabinetto del Prefetto, dove De Gaulle è stato ricevuto. Il 26 agosto tutti danzavano nelle strade, ma il
pericolo non era ancora finito, c’erano ancora dei tedeschi a Parigi, e c’erano ancora dei miliziani francesi, che tiravano dalle finestre. Con quattro garibaldini sono partito in macchina da Place de la Nation, alla sera verso le otto, in Place Voltaire, le FFI ci hanno fermato per dirci che c’erano dei franchi tiratori. Ma noi avevamo l’ordine di contrattaccare e di snidare tutti quelli che ancora tiravano dai tetti. Ci hanno permesso di passare, e subito dopo siamo stati feriti tutti e cinque. Sono restato un mese all’ospedale e ho poi dovuto fare otto mesi di riabilitazione. Questo all’indomani della liberazione”.
Maffini fu ricoverato all’ospedale di Saint-Ouen il 26 agosto 1944, dove rimase fino al 29 settembre e successivamente all’Ospedale della Salpétrière fino al maggio del ’45. E’ risultato essere invalido al 35% ed ha ricevuto una pensione militare di invalidità che gli è stata attribuita il 14 maggio del 1945. Il 9 novembre del 1944 e l’8 gennaio 1945, quando ancora in Italia si combatteva contro i tedeschi e i repubblichini, tenne alla radio americana, due discorsi che erano rivolti agli antifascisti italiani in Francia. Cercò di raccontare alcuni episodi della resistenza italiana che aveva vissuto in prima persona. Cercò di fare comprendere cosa stava vivendo e aveva vissuto la popolazione italiana,
parlò anche della propria esperienza, da quando era stato inviato dal PCd'I in Italia nel marzo del ’43, alle battaglie che aveva combattuto sia Verona che nella zona del varesotto con la Formazione Lazzarini, al ritorno in Francia e alla liberazione di Parigi. Battersi per la capitale francese, disse in quell’occasione, era stato come battersi per la liberazione di un lembo di terra italiana. Anche in un suo articolo "Des barricade de Verone", pubblicato sul giornale L’Italia Libera, a Parigi, il 25.11.44, parlò della sua esperienza di resistente in Italia e in Francia.
Dopo la liberazione continuò ad essere impegnato coi garibaldini, ad esempio fu mandato dal Capitano Brasile il 13 dicembre del 1944 nel dipartimento del Loiret, con una macchina messa a sua disposizione per svolgere servizio di reclutamento ed il suo ritorno avrebbe dovuto effettuarsi entro il 21 dicembre del 1944.
La polizia francese apre un dossier su Maffini all'indomani della II guerra mondiale, nel 1945, lo descrive come un attivo membro sindacalista da molto tempo, un fervente partigiano delle teorie socialiste, che non ha mai aderito ad alcun partito, e che ha avuto un ruolo importante al momento della liberazione della Place de la République dove è rimasto ferito. In un'informativa del novembre 1945 si apprende che Maffini era il presidente della sezione locale dell'XI arr. del Comitato “Italia Libera”, ex CILN, che verrà disciolto in seguito con decreto ministeriale del 18 gennaio 1948. Nel 1949 ottenne la naturalizzazione diventando così cittadino francese e continuò la sua attività di sindacalista per l'emigrazione italiana, e divenne membro d'ufficio della Commissione intersindacale italiana della CGT. Svolse in seguito un ruolo di primo piano nell'associazionismo resistente e, proprio perché aveva già ottenuto la cittadinanza francese, gli fu possibile rivestire degli incarichi altrimenti negati agli stranieri, in particolare agli stranieri sospettati di essere comunisti.
Nel 1949 era un membro della Federation 'Ile de France' de La Résistance italienne, nel 1958 era il tesoriere dell'Association des Garibaldiens e nel 1964 ne divenne il presidente, incarico che rivestì fino al 2001. Nel 1964 era anche molto attivo nel Comité pour le respect et la dignité des Italiens emigrés en France, con sede a Saint-Denis, associazione che la polizia francese descrive come “Comitato ispirato dai circoli comunisti della capitale, si sforza, sotto copertura dell'azione sindacale di aiuto, di avvicinare l'emigrazione italiana”. L’associazione dei Garibaldini di Maffini aderiva all’Union des éngagés volontaires résistants, UGEVRE, e Darno Maffini vi ha sempre svolto un ruolo importante; dal dopoguerra fino al 1979 è stato membro del Bureau executiv, poi è divenuto il Presidente dell’associazione, incaricato delle questioni di gestione,491 fino alla fine degli anni ’90.
In Francia l’impegno di Maffini è stato più volte riconosciuto dalle autorità sia militari che civili. Gli sono state conferite le seguenti decorazioni militari: Cavaliere della Lègion d’Honneur, medaglia conferitagli dal presidente della repubblica francese François Mitterand il 14.07.1987; Ufficiale della Lègion d’Honneur nel 1997, fu onorato dal Generale di divisione Henri Paris e dall'ex consigliere socialista del comune e poi sindaco della Mairie dell’XI arr. di Parigi George Sarre, per i suoi meriti nella Resistenza francese e nella Liberazione di Parigi: in quell’occasione gli hanno fatto comandare un picchetto d’onore all’Arco di Trionfo. Nel 2008 su proposta di alcune persone tra le quali Georges Sarre, e politici socialisti, radicali di sinistra, repubblicani e comunisti è stata fatta richiesta al Comune di Parigi di intitolare una piazza dell'XI arr. a Darno Maffini, la proposta è stata accolta e il 27 giugno 2013 è stata inaugurata: Place Darno Maffini, (1908-2002), Résistant FTP-MOI, Président des Garibaldiens.
Al momento della firma del patto Molotov-Ribbentrop, l’emigrazione comunista italiana in Francia era in serie difficoltà. Maffini ha raccontato allo storico Bechelloni quali furono le sue impressioni riguardo al patto di non aggressione:
“Durante la drôle de guerre, dal settembre del ’39 al giugno del ’40, per noi italiani fu veramente terribile. Il patto tedesco-sovietico aveva fatto molto male non solo ai comunisti italiani ma anche ai francesi. Avevamo grosse difficoltà nell’impedire la dispersione dei compagni. E’ vero che esisteva una spiegazione… E’ un trucco di Baffone, di Stalin, egli sa quel che fa'… ma io non ho mai tollerato questo atteggiamento, avevo l’impressione che fosse la stessa considerazione che facevano i fascisti nei confronti di Mussolini, 'il Duce ha sempre ragione'.” “I contatti che avevamo con il sindacato e il partito erano stretti, ma non c’era ancora una strategia precisa, a causa del comportamento dell’Unione Sovietica. Con il patto Hitler-Stalin di non aggressione c’è stato un vero e proprio sbandamento, non sapevamo più quale posizione prendere.”
Al momento dell'inizio della guerra, Maffini, che era ben integrato nella società francese, fu tra gli emigrati che scelsero di arruolarsi nell'esercito francese come dimostra un documento conservato nel Fonds Maffini. Il 4 settembre 1939, all'indomani della dichiarazione di guerra, si mise a disposizione delle autorità militari e civili della Repubblica Francese per la durata della guerra” e si presentò al centro d’arruolamento situato alla Caserma del Fort de Vincennes. Ma dopo esservi rimasto per tre giorni, capì che nessuno voleva prendersi la responsabilità di arruolare degli stranieri: le autorità francesi preferivano che entrassero nella Legione Straniera. Durante il periodo della drôle de guerre, dalla dichiarazione di guerra alla Germania, del settembre ’39, all’attacco di Hitler alla Francia del maggio '40, Maffini rimase a Parigi e continuò a svolgere il suo lavoro di calzolaio; nel palazzo in cui abitava era rimasto l’unico uomo: tutti gli altri o erano stati richiamati o erano fuggiti a sud della Francia. Il giorno dell'arrivo dei tedeschi lo descrisse come il giorno in cui grazie 'allo spirito antifascista' scelse di non rassegnarsi all'occupante e continuare la lotta: “(...) E noi, gli italiani immigrati, il sindacato nel frattempo era stato dissolto non restava che la struttura di partito, avevamo conservato lo spirito antifascista non volevamo sottometterci tanto facilmente all’occupazione. Abbiamo cominciato il giorno stesso dell’ingresso dei tedeschi a Parigi, eravamo un piccolo gruppo e abbiamo cercato di creare loro delle difficoltà. Era il maggio 1940. Li abbiamo visti entrare a Parigi e la gente nelle strade diceva: ‘ ma sono fatti come noi, ce ne sono certi che sono anche belli, puliti ….’. Noi avevamo deciso che, se avessero chiesto delle informazioni, avremmo cercato di indirizzarli altrove. Questo è successo una o due volte, il primo giorno del loro ingresso. Ma a partire dal giorno dopo, abbiamo cambiato, quando e dove abbiamo potuto, il senso dei pannelli indicatori, e ciò ha spesso funzionato. E’ stato uno dei nostri primi atti di resistenza”. L'arrivo dei tedeschi e i primi bombardamenti rinsaldarono il clima di solidarietà tra la gente, e dopo lo scoramento del Patto Hitler-Stalin furono proprio gli ex volontari di Spagna che si riattivarono “ (…) poi ci siamo ripresi proprio grazie agli ex-brigatisti…per loro la guerra non era finita…furono soprattutto loro che aiutarono a riprendere le lotte…Si faceva parte della MOI.”
E in un'altra intervista ha parlato di quella resistenza portata avanti dagli emigrati fin dal 1941: le prime persone che si opposero ai tedeschi e pensarono ad organizzare una resistenza provenivano da paesi stranieri. Furono gli italiani, i polacchi, gli ebrei, gli ex-volontari in Spagna, cioè tutti coloro che erano stati costretti a fuggire dai loro paesi perché vi si erano instaurate delle dittature “(…) quelli che hanno combattuto in Spagna sono stati i primi ad organizzarsi, perché all’inizio erano loro che sapevano usare le armi e hanno allenato delle persone come noi per fare parte dei commando. Non si sono fatti prendere dalla questione del patto Hitler-Stalin, hanno ritenuto che occorresse continuare nella stessa direzione, e in seguito hanno mostrato che avevamo avuto ragione a non disperderci troppo, perché dopo durante la Resistenza erano quasi tutti comunisti, nel ’41 ..., perché la Resistenza era nel ’41, ma prima, nel ’40, siamo stati sorpresi, abbiamo dovuto organizzarci… Noi italiani dovevamo farci perdonare la Spagna poiché molte persone non avevano apprezzato che fossimo andati in Spagna, essendo residenti in Francia. Molto poi erano contro la guerra di Spagna, i fascisti, le autorità, la gente di destra. Inoltre c’era l’OVRA che era in agguato. Soprattutto dopo che l’Italia era entrata in guerra, essi volevano arrestare coloro che erano contro l’aggressione italiana. In seguito i tedeschi, che a loro volta diffidavano degli italiani, degli italiani antifascisti ben inteso, perché eravamo i loro nemici. E in questo avevano ragione perché i primi a prendere le armi contro i tedeschi furono effettivamente gli stranieri. Gli italiani, gli ebrei, i polacchi, tutti coloro che fuggivano da dittature. Che avevano espatriato e raggiunto la Francia. Qui erano più o meno stati accolti ed infine vi avevano trovato di cosa vivere. Ma la loro idea era uguale alla nostra cioè ritornare nel proprio paese liberato. Dunque furono tra i primi ad arruolare uomini per la Resistenza. I francesi erano forse meno, non come numero ma in proporzione alla popolazione. I francesi furono più numerosi dopo, diciamo che i francesi hanno cominciato ad aderire in massa alla resistenza quando si prevedeva uno sbarco americano …poi allora dopo lo sbarco erano tutti resistenti …come in Italia tutti quelli che erano stati fascisti, perché per mangiare erano obbligatoriamente fascisti…poi un momento dopo erano antifascisti.”
Durante l'occupazione nazista, Maffini offrì la sua casa per le riunioni della MOI e per quelle dei garibaldini: nelle carte del suo archivio privato è documentata la sua adesione ai gruppi garibaldini dal settembre 1942 ma sui due anni precedenti non si hanno informazioni. Nel suo dossier personale presso l'Archivio della Prefettura di Parigi, un documento della polizia giudiziaria ci informa che il 21 luglio 1941 venne ascoltato per infrazione alla legge dell'8 ottobre 1940: esercitava la professione artigianale di calzolaio senza essere munito della carta d'identità specifica per questa professione e per la quale venne condannato il I marzo 1943 al pagamento di un'ammenda.
In un'attestazione sulla sua attività di resistenza, è descritto che in seguito alla sua adesione al gruppo di garibaldini, dopo un breve periodo di preparazione, gli fu affidato il compito delicato di raccogliere soldi presso amici e commercianti favorevoli alla resistenza, con lo scopo di provvedere ai bisogni alimentari e vestiari di numerosi ebrei ospitati dai Garibaldini per sottrarli alla deportazione.
Maffini è stato un agente di contatto tra la MOI e i Garibaldini e venne poi sostituito in questo compito da Persico. Il suo ruolo nella resistenza forse era anche più incisivo dati i suoi contatti con il MOI e con gli ex brigatisti di Spagna: infatti nel 1942 a Parigi, il delegato del partito comunista, Riccardo Ravagnan, futuro membro del CILN parigino e senatore nel dopoguerra, fece a Maffini 'scuola quadri' per un periodo di tre mesi. In seguito lo stesso Ravagnan lo mise in contatto, tramite un intermediario della MOI, con un altro esponente del PCd'I, Bruno Tosin, che saputo dei suoi contatti con alcuni comunisti di Verona gli chiese di partire per l’Italia.
Maffini acconsentì e raggiunse la penisola nel marzo 1943, perchè non essendo conosciuto dalla polizia italiana avrebbe potuto portare del materiale a stampa senza difficoltà e con i suoi contatti a Verona avrebbe potuto iniziare a sviluppare un’attività di resistenza. Gli fu affidato il compito di prendere contatto con i comunisti veronesi e lavorare per la riorganizzazione locale del partito.
Dopo la nascita della Repubblica di Salò, Maffini, che per poter circolare a Verona aveva un lasciapassare tedesco falso, abitò presso l’amico scultore Zampieri, un comunista, comandante del GAP veronese, il cui studio, situato in Via San Giusto 9, dal 1940 era diventato luogo di ritrovo per gli antifascisti della città. Nel suo atelier si svolgevano le riunioni, anche dopo la nascita della Repubblica di Salò e l’occupazione della città da parte dei tedeschi e alcuni di questi frequentatori formeranno, dopo l'8 settembre il primo CLN di Verona. Il PCI assegnò a Maffini la responsabilità di curare l’organizzazione di un importante settore della città: Veronetta, Borgo Trento e San Michele. Inoltre si dedicò alla diffusione di stampa clandestina comunista.” Il 9 settembre partecipò ai combattimenti per la difesa della città di Verona, con Zampieri e Vincenzo d’Amore che comandava il corpo di guardia di fanteria, si accordò per presidiare la Prefettura e il Palazzo delle Poste. Dopo aver resistito per diverse ore in Piazza delle Poste agli attacchi dei tedeschi, vennero catturati e fatti prigionieri.
Maffini venne portato ad Innsbruck, in Austria, da dove sarebbe stato deportato in Germania ma riuscì ad evadere insieme ad altri prigionieri. Con altre cinque persone tornò verso Verona riparando per alcuni mesi in montagna, insieme a numerosi refrattari e soldati coi quali combatté contro i tedeschi, mentre alcuni dei resistenti con i quali era in contatto a Verona furono arrestati dalla Gestapo e lui stesso sarebbe stato ricercato. Nel novembre, grazie a Croci, un suo conoscente di Milano che aveva vissuto a Parigi ed era stato un aviatore ex brigatista in Spagna, entra in contatto con la formazione autonoma comandata dal colonnello Giacinto Lazzarini, con Argenton.
Da un'attestazione sulla partecipazione alla resistenza del Maffini rilasciata dal Colonnello Lazzarini, Ufficiale del 2677th Regiment OSSS Us Army, comandante la Formazione Militare Lazzarini del Corpo Volontari della Libertà, emerge che Maffini prese parte ad alcune battaglie contro i tedeschi e contro la X MAS fino all'aprile del 1944. Inoltre con la Formazione Lazzarini, Maffini si specializzò nell’evasione di prigionieri sovietici e britannici, e di ebrei, organizzandone il passaggio oltre confine, in territorio svizzero.
Il 30 aprile 1944, Maffini fu inviato in missione speciale in Francia, per un servizio di controspionaggio: avrebbe dovuto scovare spie dell’Ovra e delatori che operavano in Haute Savoie. Individuato dalle autorità elvetiche non poté più rientrare alla base; riuscì comunque a far passare, via filiera (Belluno), le notizie richieste. Da questo momento Maffini ritornò in Francia: la sua missione in Italia era finita, ha dichiarato di avere atteso per otto giorni alla frontiera di Ventimiglia la guida che lo doveva aiutare a superare il confine, con lui c'era anche una famiglia di ebrei. In Italia nel luglio del 1944, mentre il CLN di Verona veniva catturato, anche Maffini era ricercato dalla
Gestapo. Vittore Bocchetta, messo sotto tortura alle Casermette di Montorio da parte dei fascisti che cercavano di sapere chi fosse quel contatto che avevano con Parigi, fu abile nel nascondere la vera entità di Maffini. Il CLN poi fu posto sotto processo e gli imputati vennero tutti condannati a morte. In seguito invece di essere uccisi, furono consegnati alle SS e deportati insieme ad altri antifascisti veronesi in vari lager nazisti: Dachau, Flossenburg ed Hersbruck, dai quali sarebbero tornati in patria solo in tre a guerra finita.
L'esperienza di Maffini è un caso atipico poiché mentre numerosi italiani comunisti rientrarono in Italia per fare propaganda antifascista e per organizzare dopo l'8 settembre la resistenza, Maffini dopo quasi un anno di attività partigiana tornò in Francia. Egli racconta che, rientrato a Parigi nell’aprile del 1944, riprese i contatti col gruppo dei garibaldini italiani dell’XI arr., a cui si era avvicinato fin dalla guerra di Spagna e a cui aveva appartenuto dal settembre del 1942 e vi sarebbe appartenuto fino all’agosto del 1944.
In alcune interviste rilasciate allo storico Antonio Bechelloni ha raccontato che guidò un gruppo specializzato all’evasione di soldati italiani della IV armata che, avendo rifiutato di arruolarsi nell’esercito tedesco, all'indomani dell'8 settembre 1943, erano tenuti prigionieri e costretti a lavorare alla costruzione del muro dell’Atlantico in un campo vicino Abbeville (Somme). Ospitò a casa sua tre di questi evasi che, dopo essere stati addestrati alla “tattica dei francs-tireurs”, parteciparono a diverse azioni contro i tedeschi.
Nei mesi che precedettero la Liberazione di Parigi, si occupò di reclutamento, stampa e propaganda. Il suo domicilio in Boulevard Voltaire servì da buca delle lettere per il Comitè Italien de Libération National, dal mese di giugno del ’44 fino alla Liberazione. Ospitò a casa sua anche alcuni soldati sovietici, uno era un ufficiale della marina, gli altri due erano sottufficiali fuggiti da un campo nazista. Ha dichiarato più volte che soprattutto gli italiani dell’XI arr., ma anche quelli che abitavano nel XII, erano i meglio organizzati durante la guerra grazie anche ad alcuni membri che già avevano combattuto in Spagna e alcuni avevano preso parte ad azioni contro i tedeschi già all'indomani dell'occupazione.
“Dopo lo sbarco siamo divenuti più attivi nel quartiere, abbiamo fatto alcune azioni, in Boulevard Charonne abbiamo lanciato una bomba, abbiamo requisito un garage tenuto dai tedeschi…erano quattro e si sono arresi subito perché li avevamo sorpresi, un tedesco iniziò a piangere, è voluto venire con noi e ha fatto la resistenza con noi. Ci è stato utile perché l’abbiamo messo nell’armeria, provvedeva alla manutenzione delle armi”.
Moise George, capo del Corpo Franchi-tiratori della Polizia, alcuni mesi prima della Liberazione era in contatto col Maffini in vista di azioni coordinate da organizzare. Da un’attestazione rilasciata nel 1965 dalla signora Arnault, segretaria amministrativa del Cabinet du Prèfet de Police, si apprende che Maffini aveva reso importanti servizi alla Prefettura di Polizia nei giorni che precedettero la Liberazione. Dopo lo sbarco degli Alleati, si tenne costantemente in contatto telefonico con i servizi di polizia a proposito dell’avanzata delle armate del Generale Leclerc. Quando quest’ultime occuparono la riva sinistra della Senna, a Parigi, una parte del personale della Prefettura, risoluta a rimanere sul posto, si trovava, di fatto, isolata, e Maffini non esitò ad attraversare, più volte, le linee tedesche per ristabilire i contatti. Ha inoltre preso parte, con dei poliziotti resistenti, a delle ronde, e a dei turni di guardia intorno agli edifici della Prefettura, e infine ai combattimenti per la presa della Kommandatur. Il 25 agosto ha partecipato alla presa della Caserma Prince Eugène in Place de la République. Nel corso dei combattimenti le perdite del Gruppo furono di 17 uomini e 45 rimasero feriti. Il giorno seguente mentre ormai la gente festeggiava per le strade, Maffini rimase ferito insieme ad altri 4 garibaldini in un conflitto a fuoco coi tedeschi in Boulevard Voltaire. In un'intervista ha raccontato con tono enfatico quei giorni della liberazione: “Ci preparavamo alla Liberazione. Aspettavamo sempre le armi, ma ne abbiamo ricevute una volta sola. Gli alleati non facevano mai cadere dall’aereo le armi nei luoghi giusti: finivano sempre dentro le proprietà private, o nei castelli. Secondo me perché avevano paura che, dopo la resistenza, un movimento popolare potesse servirsi delle armi per fare la rivoluzione. Si favorivano alcuni e non altri. All’inizio d’agosto abbiamo creato nell’XI arr. la Milice Patriotique, abbiamo fatto un sacco di lavoro affinché la popolazione fosse pronta a sollevarsi al momento buono. Il 24 agosto, noi, i garibaldini dell’undicesimo abbiamo dato un apporto formidabile all’organizzazione della liberazione di Parigi, perché, con il IV e XX arr., abbiamo attaccato la Caserma Prince-Eugène, in Place de la République. Era l’ultimo bastione tedesco. Avevo con me 72 uomini, tutti garibaldini. Il 25 Agosto, quando De Gaulle è arrivato, alle quattro del pomeriggio, mi trovavo alla Prefettura di Polizia, nel Gabinetto del Prefetto, dove De Gaulle è stato ricevuto. Il 26 agosto tutti danzavano nelle strade, ma il
pericolo non era ancora finito, c’erano ancora dei tedeschi a Parigi, e c’erano ancora dei miliziani francesi, che tiravano dalle finestre. Con quattro garibaldini sono partito in macchina da Place de la Nation, alla sera verso le otto, in Place Voltaire, le FFI ci hanno fermato per dirci che c’erano dei franchi tiratori. Ma noi avevamo l’ordine di contrattaccare e di snidare tutti quelli che ancora tiravano dai tetti. Ci hanno permesso di passare, e subito dopo siamo stati feriti tutti e cinque. Sono restato un mese all’ospedale e ho poi dovuto fare otto mesi di riabilitazione. Questo all’indomani della liberazione”.
Maffini fu ricoverato all’ospedale di Saint-Ouen il 26 agosto 1944, dove rimase fino al 29 settembre e successivamente all’Ospedale della Salpétrière fino al maggio del ’45. E’ risultato essere invalido al 35% ed ha ricevuto una pensione militare di invalidità che gli è stata attribuita il 14 maggio del 1945. Il 9 novembre del 1944 e l’8 gennaio 1945, quando ancora in Italia si combatteva contro i tedeschi e i repubblichini, tenne alla radio americana, due discorsi che erano rivolti agli antifascisti italiani in Francia. Cercò di raccontare alcuni episodi della resistenza italiana che aveva vissuto in prima persona. Cercò di fare comprendere cosa stava vivendo e aveva vissuto la popolazione italiana,
parlò anche della propria esperienza, da quando era stato inviato dal PCd'I in Italia nel marzo del ’43, alle battaglie che aveva combattuto sia Verona che nella zona del varesotto con la Formazione Lazzarini, al ritorno in Francia e alla liberazione di Parigi. Battersi per la capitale francese, disse in quell’occasione, era stato come battersi per la liberazione di un lembo di terra italiana. Anche in un suo articolo "Des barricade de Verone", pubblicato sul giornale L’Italia Libera, a Parigi, il 25.11.44, parlò della sua esperienza di resistente in Italia e in Francia.
Dopo la liberazione continuò ad essere impegnato coi garibaldini, ad esempio fu mandato dal Capitano Brasile il 13 dicembre del 1944 nel dipartimento del Loiret, con una macchina messa a sua disposizione per svolgere servizio di reclutamento ed il suo ritorno avrebbe dovuto effettuarsi entro il 21 dicembre del 1944.
La polizia francese apre un dossier su Maffini all'indomani della II guerra mondiale, nel 1945, lo descrive come un attivo membro sindacalista da molto tempo, un fervente partigiano delle teorie socialiste, che non ha mai aderito ad alcun partito, e che ha avuto un ruolo importante al momento della liberazione della Place de la République dove è rimasto ferito. In un'informativa del novembre 1945 si apprende che Maffini era il presidente della sezione locale dell'XI arr. del Comitato “Italia Libera”, ex CILN, che verrà disciolto in seguito con decreto ministeriale del 18 gennaio 1948. Nel 1949 ottenne la naturalizzazione diventando così cittadino francese e continuò la sua attività di sindacalista per l'emigrazione italiana, e divenne membro d'ufficio della Commissione intersindacale italiana della CGT. Svolse in seguito un ruolo di primo piano nell'associazionismo resistente e, proprio perché aveva già ottenuto la cittadinanza francese, gli fu possibile rivestire degli incarichi altrimenti negati agli stranieri, in particolare agli stranieri sospettati di essere comunisti.
Nel 1949 era un membro della Federation 'Ile de France' de La Résistance italienne, nel 1958 era il tesoriere dell'Association des Garibaldiens e nel 1964 ne divenne il presidente, incarico che rivestì fino al 2001. Nel 1964 era anche molto attivo nel Comité pour le respect et la dignité des Italiens emigrés en France, con sede a Saint-Denis, associazione che la polizia francese descrive come “Comitato ispirato dai circoli comunisti della capitale, si sforza, sotto copertura dell'azione sindacale di aiuto, di avvicinare l'emigrazione italiana”. L’associazione dei Garibaldini di Maffini aderiva all’Union des éngagés volontaires résistants, UGEVRE, e Darno Maffini vi ha sempre svolto un ruolo importante; dal dopoguerra fino al 1979 è stato membro del Bureau executiv, poi è divenuto il Presidente dell’associazione, incaricato delle questioni di gestione,491 fino alla fine degli anni ’90.
In Francia l’impegno di Maffini è stato più volte riconosciuto dalle autorità sia militari che civili. Gli sono state conferite le seguenti decorazioni militari: Cavaliere della Lègion d’Honneur, medaglia conferitagli dal presidente della repubblica francese François Mitterand il 14.07.1987; Ufficiale della Lègion d’Honneur nel 1997, fu onorato dal Generale di divisione Henri Paris e dall'ex consigliere socialista del comune e poi sindaco della Mairie dell’XI arr. di Parigi George Sarre, per i suoi meriti nella Resistenza francese e nella Liberazione di Parigi: in quell’occasione gli hanno fatto comandare un picchetto d’onore all’Arco di Trionfo. Nel 2008 su proposta di alcune persone tra le quali Georges Sarre, e politici socialisti, radicali di sinistra, repubblicani e comunisti è stata fatta richiesta al Comune di Parigi di intitolare una piazza dell'XI arr. a Darno Maffini, la proposta è stata accolta e il 27 giugno 2013 è stata inaugurata: Place Darno Maffini, (1908-2002), Résistant FTP-MOI, Président des Garibaldiens.
Eva Pavone, Gli emigrati antifascisti italiani a Parigi, tra lotta di Liberazione e memoria della Resistenza, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Firenze, 2013