lunedì 13 giugno 2022

Nella prosa di Montale ricorrono molti dei contenuti già presenti nel repertorio poetico, integrati da nuovi spunti


Il maggiore poeta del Novecento italiano, Eugenio Montale, è stato anche un notevolissimo e prolifico prosatore. Esordendo con una recensione ai Trucioli sbarbariani nel 1920, con due anni di anticipo rispetto alla stampa dei primi versi (nel 1922 su «Primo tempo»), Montale dimostra immediatamente di possedere un temperamento - come lui stesso diagnostica in un celebre passo epistolare - «polarizzato nel senso della lirica e della critica letteraria». L’attività di critico, rivolta da subito non solo alla letteratura italiana, ma anche a quella straniera, è condotta con costanza negli anni Venti e nei Trenta su un ampio numero di riviste (come il «Convegno», la «Fiera Letteraria», «Solaria», «Letteratura», «Paragone», etc.), e si infittisce ulteriormente nel secondo Dopoguerra, in particolar modo dopo l’assunzione al «Corriere» (1948), che per contratto richiedeva allo scrittore un numero fisso di articoli ogni mese. Anche, ma non esclusivamente, in conseguenza al nuovo impiego gli anni Quaranta assegnano un inedito rilievo alla prosa all’interno dell’opera montaliana: ciò comporta tra le altre cose l’apertura a generi testuali in precedenza non praticati. Tra il 1938 e il 1943 Montale allarga la propria esperienza di traduttore, sino a quel momento limitata alla poesia, cimentandosi nella versione italiana di romanzi e racconti di autori spagnoli e angloamericani.
Nel ’43 tenta la strada del petit poéme en prose, componendo e pubblicando per la prima volta pezzi come Dov’era il tennis e Visita a Fadin che saranno poi inclusi nell’Intermezzo della Bufera. Ma soprattutto, dalla metà del decennio, l’intenso impegno nelle vesti di pubblicista - prima sulle pagine del «Mondo», poi dal principio del ’46 specialmente su quelle del «Corriere» - chiama il prosatore a misurarsi con una grande varietà di argomenti e di forme. Negli anni a venire, selezionando e riorganizzando questo materiale, l’autore allestirà - o lascerà che siano allestiti - vari volumi, evidentemente con l’intenzione di riscattare questi scritti dalla loro origine occasionale e attribuendo loro un ruolo importante nel definire la propria figura di artista e di intellettuale. In veste di giornalista, oltre ai necrologi e agli articoli più strettamente legati alle cronache - a tutt’oggi perlopiù disponibili solo nell’archivio storico del quotidiano milanese - Montale scrive infatti brevi racconti, spesso a fondo auto-biografico, i più importanti fra i quali vengono poi raccolti nella Farfalla di Dinard (1956); elabora saggi di argomento civile e culturale, riflessioni sul contemporaneo e sulla società di massa, di cui Auto da fé (1966) presenta una selezione; si dedica a reportages di viaggio, mescolando alla narrazione una componente saggistica, come testimonia la silloge Fuori di casa (1969).
Alla critica letteraria - della quale alcuni dei risultati più significativi sono riuniti in Sulla poesia (1976) - affianca poi quella musicale, che gli viene affidata ufficialmente dal «Corriere d’Informazione» nel 1954 e della quale accetta di fornire una scelta nelle Prime alla scala (uscito postumo nel 1981).
La grandissima parte  di questa produzione concepita nell’arco di sessant’anni - dal 1920 al 1980 - si trova ora nei quattro Meridiani Mondadori pubblicati a metà degli anni Novanta, che hanno definitivamente consacrato Montale anche come prosatore. Ma non è tutto: accanto alle opere pensate per la pubblicazione si situa il versante della scrittura privata, che comprende il diario giovanile del 1917, il così detto Quaderno genovese (pubblicato per prima volta nel 1983), e i numerosi carteggi, solo in parte editi, fra i quali spiccano quelli con figure fondamentali della cultura italiana del Novecento (su tutti Svevo, Contini e Solmi) e con le donne amate (Brandeis, Tanzi, Spaziani).
Pur non destando il medesimo interesse della poesia e faticando in un primo momento ad affrancarsi dal ruolo ancillare rispetto ai versi che le veniva affidato, la prosa di Montale ha ricevuto grande attenzione da parte degli studiosi, come illustrano egregiamente i profili bibliografici acclusi al recente volume Montale a cura di Paolo Marini e Niccolò Scaffai (Roma, Carocci, 2019) o alle edizioni montaliane pubblicate nella collana “Lo Specchio”, e come dimostra l’uscita di due commenti, entrambi ad opera di Scaffai, l’uno nel 2008 dedicato a una selezione di prose narrative di varia estrazione, l’altro del 2021 riservato all’intera Farfalla di Dinard.
Un campo tanto vasto tuttavia non ha certo esaurito le sue possibilità di indagine. L’interpretazione e la collocazione storica dei testi, l’esame delle relazioni culturali che essi presuppongono, lo sviluppo del pensiero e dei giudizi critici montaliani, l’analisi delle forme, della lingua e dello stile, in diacronia e nei differenti generi testuali sperimentati, sono, per fare qualche esempio, tra le tante questioni meritevoli di essere riprese e ulteriormente approfondite. Nuove prospettive in queste o in altre direzioni, inoltre, possono essere aperte da una valutazione più accurata delle zone meno battute dell’opera in prosa di Montale (quelle esterne alle raccolte ufficiali, o alcuni carteggi), ma anche dall’emergere di documenti inediti, come i numerosi di cui è stata data notizia durante il convegno di Pavia dell’aprile 2019 (di cui ora sono disponibili gli atti, a cura di Gianfranca Lavezzi, Le carte di Eugenio Montale negli archivi italiani, Novara, Interlinea, 2021).
Leonardo Bellomo e Giacomo Morbiato, Premessa in (a cura di) Leonardo Bellomo e Giacomo Morbiato, La prosa di Eugenio Montale. Generi, forme, contesti, Padova University Press, 2022

Tra il 1946 e il 1950 l’autore genovese si era dedicato alla stesura di una serie di racconti brevi per la terza pagina del «Corriere della Sera» e del «Corriere d’Informazione», poi pubblicati nel 1956 da Neri Pozza sotto il titolo Farfalla di Dinard <51, titolo omonimo della prosa ultima del titolo, ambientata nella cittadina francese di Dinard. La raccolta verrà poi ristampata da Mondadori nel 1960, nel ’61, nel ‘69 e ancora nel ’73 con una copiosa integrazione di racconti.
Il secondo libro di prose dopo Farfalla di Dinard, Fuori di casa, copre il lungo silenzio poetico che intercorre tra La bufera e Satura. Raccoglie scritti di viaggio che risalgono agli anni dal 1946 al 1964 poi pubblicati in volume nel ’69, ma anche nuovi spunti di riflessione rielaborati in seguito, in forma poetica, proprio in Satura. Si tratta di un vero e proprio diario di esperienze di vita composto da servizi giornalistici, appunti, ritratti e racconti minimi. Dalle natie Cinque Terre ai paesi europei, il paesaggio di riferimento si estende fino al Medio Oriente.
La raccolta degli scritti in prosa di Auto da fé fu pubblicata nel 1966 da Il Saggiatore, ma prima di confluire nel volume i racconti erano apparsi precedentemente anch’essi su giornali e riviste; si compone di 85 scritti che risalgono al 1925 <52.
A livello cronologico, volendosi attenere alla proposta di periodizzamento del modernismo italiano più accreditata (la linea Luperini-Tortora, sostanzialmente), buona parte degli scritti in prosa di Montale - fatta eccezione per alcuni contenuti in Auto da fé risalenti al 1925 - sembrano fuoriuscire da quei limiti individuati tra il 1904 (anno di pubblicazione de Il fu Mattia Pascal) e il 1929. E tuttavia, travalicando i limiti cronologici che, naturalmente, sono necessari come orizzonte di riferimento ma non possono essere assunti come assoluti quando si parla di esperienze letterarie, «il modernismo è destinato a continuare sotterraneamente e saltuariamente anche nella seconda metà del secolo e precisamente nella cosiddetta tradizione del moderno che comprende nella poesia il Montale della Bufera […]» <53. Riservandomi di trattare altrove il rapporto tra la poesia e la prosa montaliane, quel che interessa è che il modernismo montaliano (già ampiamente documentato da diversi studiosi) <54 non si esaurisce nell’arco cronologico che abbraccia le due prime raccolte poetiche (Ossi e Occasioni, quest’ultima più significativamente ricca di tópoi modernisti), ma permane nel substrato della sua scrittura narrativa, seppur con intonazioni diverse. E non solo perché Montale si forma, da giovane, in piena temperie modernista; ma anche perché temi e forme del modernismo attraversano tutto il suo lavoro, anche quello in prosa. Come afferma Niccolò Scaffai nell’Introduzione alle prose narrative da lui curate, «[…] per le prose, l’ufficio del commento non si limita alla cattura delle corrispondenze con la lirica (né alla conseguente ma parziale interpretazione dei racconti come smascheratura, contraffazione o rovesciamento delle poesie) ma implica altre incombenze che rendano possibile anche la comprensione del sistema in quanto tale» <55.
Il modernismo montaliano, che è stato ampiamente documentato soprattutto per Ossi e Occasioni, può essere rintracciato e valorizzato in tutta la maturità e la senilità montaliana; non solo nelle poesie da Satura in poi, ma anche nella produzione narrativa.
Montale stesso invita più volte il lettore a considerare la sua opera nella sua totalità, come un itinerario organico di esperienza conoscitiva ed espressiva scandito in tempi e articolato in fasi che maturano di volta in volta. Nella prosa ricorrono molti dei contenuti già presenti nel repertorio poetico (su cui oltre mi soffermerò), integrati da nuovi spunti. Gli innumerevoli contatti tra poesia e prosa riguardano spesso un medesimo contenuto referenziale, come ad esempio il paesaggio ligure della Farfalla <56, ma quel che interessa constatare a partire dallo studio delle prose è l’emergere di un nuovo punto di vista sulle cose (dato, questo, che scaturisce inevitabilmente anche dalle vicende storiche e politiche del secondo Novecento, come si vedrà oltre). Viene meno l’idea che la propria esperienza individuale possa assumere un valore universale <57; la realtà sensibile, quotidiana, apparente non è più un insieme di segni da decifrare né depositaria di un significato occulto e recondito, ma è quel che è: per interpretarla l’ironia e il grottesco sono più utili del mito e dello «scarnificato dialogo dell’aridità esistenziale» <58. Così come per la poesia, è certamente possibile e lecito considerare anche la produzione in prosa come un insieme omogeneo in cui i temi modernisti appaiono, per così dire, ripresi e rovesciati, adeguandosi coerentemente alla «nuova scrittura». Spunti di cronaca e attualità, incontri accidentali con personaggi singolari, avvii riflessivi o discorsivi a volte anche minimi divengono materia di una scrittura prosastica fondata esplicitamente e implicitamente su risorse umoristiche.
[NOTE]
51 Nel 1962 De Robertis commentava così la prima edizione di FD: “Il finissimo Neri Pozza pubblicava, quattr’anni or sono, «in occasione del Natale 1956», un’edizione non venale d’un prezioso libretto di Montale: Farfalla di Dinard, impressa «su carta di Maslianico della Burgo, in 450 esemplari numerati con cifre arabiche dal 3 al 452, destinata in omaggio agli amici dell’autore e dell’editore»: e il dono toccò in sorte anche a me (n. 292). [G. De Robertis, La «Farfalla di Dinard», in Altro Novecento, Le Monnier, Firenze 1962, pp. 316-321, cit. p. 316].
52 «Un auto da fé (atto di fede o meglio «della fede») è per me la presente raccolta di scritti pubblicati in due tempi diversi e separati da un lungo intervallo. Naturalmente, il tempo cronologico non sempre coincide col tempo psicologico. E cosi è potuto accadere che un saggio del ’56 sia entrato nella prima parte; mentre restano in una collocazione intermedia, e hanno funzione di cerniera, pochi brani del ’46-’47. E quanto al titolo: se il lettore volesse intenderlo nell’accezione più nota, sappia che io sono d’accordo con lui perché licenziando queste cronache ho l’impressione di buttarle nel fuoco e di liberarmene per sempre». [E. Montale, Auto da fé. Cronache in due tempi, Collana Saggi di arte e di letteratura n.1, Milano, Il Saggiatore, 1966].
53 R. Luperini, Il modernismo italiano esiste, in Sul modernismo italiano, a cura di Romano Luperini e Massimiliano Tortora, p. 11.
54 Del modernismo montaliano si comincia a parlare intorno agli anni Novanta, quando Guido Mazzoni valorizza la tecnica epifanica in chiave critica e la integra al concetto eliotiano di «correlativo oggettivo»: «La caratteristica principale della poesia montaliana, quella che ne ha sancito la centralità nella letteratura italiana di questo secolo, è la capacità di unire dei contenuti assolutamente moderni a un ordine stilistico che conserva un legame organico con alcuni aspetti della lirica del passato»; [cfr. G. Mazzoni, Il posto di Montale nella poesia moderna, in Montale e il canone poetico del Novecento, a cura di M. A. Grignani e R. Luperini, p. 397]. Con la formula «classicismo modernista» si intende una sintesi che contempla una riscoperta della tradizione (di qui il sostantivo), unita però a una forte consapevolezza della moderna crisi delle certezze (di qui l'aggettivo). La formula è modulata su una categoria che lo stesso Montale aveva coniato, quella di classicismo «sui generis» o «paradossale», a proposito di una parte della poesia moderna, non solo italiana, che più si avvicina a quella classica.
55 E. Montale, Prose narrative, (a cura di Niccolò Scaffai), Introduzione, p. LXXXIX; d’ora in avanti PN.
56 Ma, come ammonisce Forti, non si deve «cadere nell’abbaglio di credere di trovare molto semplicemente in questo libro [nella Farfalla, NdR] gli eventuali ritagli o cascami del gran mondo poetico di Montale»; [M. Forti, Eugenio Montale. La poesia, la prosa di fantasia e d’invenzione, Mursia, Milano 1973, pp. 309-310].
57 Tra le possibilità narrative che gli autori sviluppano nella cosiddetta «transizione al modernismo» vi è, secondo
Mazzoni, anche la lunghezza dei testi: «[…] fra gli ultimi decenni dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, la narrazione breve conosce un nuovo sviluppo e si lega alla mimesi seria della vita ordinaria. […] La prima spiegazione è sociologica: in molti paesi i giornali e le riviste iniziarono a commissionare racconti […]. Le esistenze ordinarie si rendono narrabili solo raramente e per poco. Circondata dalla prevedibilità e dalla noia, la vita dà solo barlumi - o episodi». [G. Mazzoni, Teoria del romanzo, p. 338 e sgg.].
58 «Il loro valore, insomma, [delle prose, NdR] va ricercato nel tentativo di apertura al mondo mutevole irrazionale della prosa e del quotidiano. Un tentativo perseguito non nei modi dello scarnificato dialogo dell’aridità esistenziale, né, tantomeno, in quelli sublimanti del mito - per riprendere una nota distinzione di Contini -, ma combattuto, invece, con le armi della satira e dell’invettiva polemica, dell’ironia e del grottesco». [R. Castellana, La metamorfosi di Alastor. Note su Montale prosatore (con un racconto raro), in M. A. Grignani e R. Luperini (a cura di), Montale e il canone poetico del Novecento, Laterza, Roma - Bari, 1998, p. 353].
Elisa Lancia, Stili dell’ironia. Le prose narrative di Eugenio Montale, Tesi di dottorato, Alma Mater Studiorum Università di Bologna, 2020