venerdì 17 giugno 2022

Un’altra occasione ufficiale aveva già legato l’arte di Bistolfi all’opera di Lombroso

Fig. 1. Leonardo Bistolfi, Monumento a Cesare Lombroso, Verona, 1921, stampa fotografica, Torino, Museo di Antropologia criminale “Cesare Lombroso”, Fondo Cesare Lombroso, inv. 76 - Fonte: Maria Paola Soffiantino, art. cit. infra

Il 25 settembre 1921 si inaugurò a Verona il monumento a Cesare Lombroso: ultimo omaggio dell’artista e amico Leonardo Bistolfi al famoso antropologo veronese. Il Comune di Verona aveva deliberato di erigere il monumento nel 1909, poco dopo la morte di Lombroso, stanziando un contributo e aprendo una sottoscrizione per raccogliere i fondi necessari. Si costituirono due Comitati: uno promotore, con sede a Roma, e uno esecutivo, con sede a Verona e «non appena lanciata l’idea, Leonardo Bistolfi, legato al grande antropologo da fraterna amicizia, offerse l’opera sua con rinuncia a ogni onorario» <1. Dalla morte di Lombroso all’inaugurazione del monumento erano passati dodici anni e una serie di fattori differenti, scientifici, culturali e politici, aveva determinato, in Italia, il declino dell’Antropologia criminale come disciplina autonoma e di conseguenza della memoria del suo fondatore; infatti alla cerimonia inaugurale, con il discorso commemorativo tenuto da Enrico Ferri, erano pressoché assenti le autorità politiche e accademiche.
[...] Il monumento raffigura Cesare Lombroso seduto e assorto ed è significativo che il titolo dell’opera sia: Il Pensatore (Fig. 1). I giudizi sulla scultura si divisero tra chi vedeva un superamento del «bistolfismo», inteso come l’esasperazione di quelle figure allegoriche e simboliche che avevano caratterizzato la produzione dell’artista fino al periodo della guerra, con il ritorno a un vigoroso realismo, e chi ne coglieva l’aspetto troppo dimesso e borghese, sminuente per la personalità e il ruolo del ritrattato. In realtà, come per tante altre opere, Bistolfi deve aver affrontato la scultura con il consueto faticoso travaglio creativo se, come riferisce la Berresford, nei taccuini dell’artista vi sono degli schizzi con i primi pensieri dell’opera, in cui compare anche una figura femminile <3. Del ritratto si conosce il modello in gesso, conservato nella Galleria d’Arte Moderna di Torino <4, un calco in gesso a tasselli, del particolare del modello con il busto di Lombroso e il bozzetto in gesso, conservati nel Museo Civico di Casale Monferrato <5. Quest’ultimo è di particolare importanza perché costituisce il passaggio immediatamente successivo al bozzetto, in creta o in plastilina, fissa l’idea dell’artista plasmata nella materia ed è per Bistolfi l’atto creativo più autentico e profondo. Non a caso, molti anni dopo, Emilio Zanzi, critico d’arte per la «Gazzetta del Popolo», alla morte dello scultore scriveva: "Un giorno ormai lontano, il maestro aveva detto al povero Ernesto Ragazzoni e a chi scrive, mentre parlava - entusiasta - della strana statua di Cesare Lombroso, allora ancora in creta: «La terra, credete, ha un’anima: è una cosa viva, che soffre e gode quando noi la maneggiamo. Dio ha fatto Adamo dalla terra pensate!... Ma gli scultori non possono soffiare la vita nei loro burattini... Dio comanda alla terra: noi invece siamo servi della creta». In queste frasi, pur tenendo conto di quel tanto di letterario e di retorico che era diventato un suo modo di ragionare, anzi di vivere, c’è tutto Bistolfi, uomo e artista, con le aspirazioni un po’ vaghe e le inquietudini un po’ volute: c’è lo scultore che illuso di poter fare della letteratura, anzi della poesia, colla scultura, ha - senza volerlo - impedito a se stesso di ascendere più di frequente verso la perfezione" <6.
In quella «strana statua», lontana dai canoni della ritrattistica monumentale e ufficiale, si può leggere la volontà, quasi affettuosa, dell’artista di ritrarre il professore anziano, concentrato sui suoi pensieri, forse nell’atteggiamento di chi medita sulle sorti future della propria disciplina con la consapevolezza dei fondamenti scientifici e metodologici delle ricerche e dunque la mano appoggiata su un cranio, posto a lato della figura, quasi diviene l’attributo iconografico del personaggio.
Un’altra occasione ufficiale aveva già legato l’arte di Bistolfi all’opera di Lombroso. L’artista fu infatti incaricato di eseguire una targa e una medaglia in occasione del giubileo accademico nell’aprile del 1906. La medaglia in bronzo (Fig. 2) <7 è un ritratto intenso che riprende l’impostazione di una nota fotografia <8 in cui Lombroso è ritratto alla sua scrivania intento alla scrittura. L’ufficialità della rappresentazione, secondo l’iconografia consolidata dello studioso al lavoro con il teschio sul tavolo, immancabile attributo iconografico, non impedisce a Bistolfi di trattare con maestria l’aspetto fisionomico e contemporaneamente di rendere percepibili aspetti del carattere e dell’atteggiamento di Lombroso quali la determinazione, la capacità di concentrazione e la dedizione instancabile alla ricerca e alla pubblicazione degli studi.
Di segno stilistico molto diverso, che possiamo definire liberty, è la targa di cui si conosce una versione di piccole dimensioni <9, oltre a quella di grandi dimensioni del Museo di Antropologia criminale Cesare Lombroso (Fig. 3) <10.
Al centro c’è una figura femminile ieratica e tormentata, ai lati del suo trono compaiono a destra un giovane che scrive o disegna e una figura maschile avvolta in un manto, ispirata in una sorta di rigida meditazione, sulla sinistra, dal lato della cariatide a forma di scimmia, un groviglio tumultuoso di figure sofferenti e scomposte. Qui «il geniale scultore aveva sintetizzato l’opera di Lombroso in una figura centrale ‘La follia’ da cui scaturivan d’un lato il delitto, il cretinismo, l’atavismo, e dall’altra il genio» <11. La citata lettura dell’opera, che in tempi successivi non fu sempre compresa con chiarezza, è della figlia Gina Lombroso e induce a pensare che l’artista conoscesse le teorie e gli studi lombrosiani; vero è che l’opera fu commissionata da un comitato di colleghi e seguaci del professore che possono aver influito sulle scelte iconografiche, ma è credibile che la frequentazione del salotto di Lombroso da parte di Bistolfi, l’amicizia che li legava e una serie di comuni argomenti di riflessione abbiano facilitato l’artista in una creazione di tale simbolica efficacia <12. Egli rielaborò uno dei temi che segnarono la sua svolta simbolista a partire dalla "Sfinge per la tomba Pansa" di Cuneo (1890) <13, una delle prime impressionanti sculture che danno forma alle sue riflessioni sulla morte e sulla vita <14.
Probabilmente intorno all’inizio dell’ultimo decennio dell’Ottocento Leonardo Bistolfi cominciò a frequentare la cerchia di intellettuali che si ritrovava in casa Lombroso in via Legnano <15 [...]
 

Fig. 2. Leonardo Bistolfi, Medaglia per Cesare Lombroso, 1906. Medaglia in bronzo, diam. cm 24,5. Torino, Museo di Antropologia criminale “Cesare Lombroso”, inv. 1940 - Fonte: Maria Paola Soffiantino, art. cit. infra

[NOTE]
1 In «Piccolo della sera - Trieste», 28 settembre 1921; un’ampia rassegna stampa, n. 176 articoli di giornale, sull’evento è conservata nell’Archivio del Museo di Antropologia criminale “Cesare Lombroso” di Torino: Fondo Cesare Lombroso, Serie Biografia (1854-1936), Inaugurazione del monumento a Cesare Lombroso, eretto a Verona, opera dello scultore Leonardo Bistolfi, n. 36; si veda anche CARRARA 1921.
3 Leonardo Bistolfi 1984, p. 125.
4 Galleria d’Arte moderna di Torino: inv. S/349.
5 Leonardo Bistolfi 1984, pp. 125, 273; La Gipsoteca 2001, p. 148.
6 ZANZI 1933.
7 La medaglia decorò lo studio di Cesare Lombroso e poi di Mario Carrara, suo genero e successore, e fu donata, insieme a tutto l’arredo dello studio stesso, dalla famiglia Carrara nel 1947 al Museo di Antropologia criminale “Cesare Lombroso” (inv. 1940, diam. cm 24,5). Si ricorda qui l’esistenza di una serie di repliche e copie che evidentemente sottolineano il consolidamento di questa iconografia del professore: una in lega leggera ricalcata, montata in una cornice lignea eseguita da Giacomo Cometti, in collezione privata torinese (diam. cm 24,7 pubblicata in Leonardo Bistolfi 1984, pp.136, 286); una replica in bronzo, priva della sigla incisa dell’artista (diam. cm 22,3) e un tondo in gesso verniciato, con montatura metallica (diam. cm 24,5) conservati nel Palazzo degli Studi Anatomici dell’Università degli Studi di Torino e provenienti dalla famiglia Raditza, della nipote di Gina Lombroso Ferrero; una versione in gesso di proprietà della Fondazione d’Arte Sella Pollone di Torino (pubblicata in PACCIAROTTI 1994, pp. 97, 99).
8 Una copia della famosa fotografia è nell’Archivio del Museo di Antropologia criminale “Cesare Lombroso”: Fondo Fotografie personali e familiari (XIX sec. - 1939), n. 65. Dalla stessa fotografia sono tratti due disegni a pastello che raffigurano Lombroso al tavolo di lavoro, datati 1910: uno pubblicato in FRIGESSI 2003, fig. 2 e uno conservato nel Palazzo degli Studi Anatomici dell’Università degli studi di Torino.
9 Il piccolo bassorilievo in bronzo (cm 11x22) con semplice cornice lignea, di proprietà degli eredi Lombroso, fu esposto alla mostra di Casale del 1984 (Leonardo Bistolfi 1984., p. 98); reca incise: la firma dell’autore, in basso a destra, e la scritta “A CESARE LOMBROSO / 28 APRILE 1906”; in occasione della stessa mostra fu reso noto un disegno preparatorio (p. 145, D14).
10 Il bassorilievo in bronzo (cm 46 x 87, con cornice cm 65 x 115, inv. 874) proveniente dall’abitazione di Lombroso, donato al Museo nel 1947 dalla famiglia Carrara, è firmato in basso a destra e reca la scritta incisa “A CESARE LOMBROSO / GLI AMMIRATORI / 28 APRILE 1906”. La cornice, come già ipotizza Walter Canavesio (CANAVESIO 2006, p. 25), potrebbe essere opera di Giacomo Cometti (Torino 1863-1938), scultore ed ebanista, collaboratore, dal 1883-1884 e per oltre vent’anni, di Leonardo Bistolfi e da questi indirizzato, all’inizio del Novecento, verso le arti applicate in particolare alla progettazione e realizzazione di arredi (GELLI 1994, pp. 630-631; CANAVESIO 2004a, pp. 55-56). Cometti realizzò il fregio inserito nella boiserie dello studio di Lombroso, dove sono intagliate nel legno le scritte che indicano i campi di ricerca del professore: “genio”, “follia”, “delitto”, “pellagra”. La scritta “G. COMETTI FECE PER DONO 1905”, incisa sul bordo, è certo indicativa di una certa confidenza. Non è da escludere che Cometti sia intervenuto per l’arredo dello studio nel suo complesso perché sembra di riconoscerlo nella descrizione di una stanza che Paola Lombroso scrive di aver visto decorare e arredare dall’artista con “strette biblioteche” (LOMBROSO 1906, p. 984). 11 LOMBROSO FERRERO 1921, p. 402.
12 CANAVESIO 2006, pp. 25-26.
13 CANAVESIO 2004b, con bibliografia precedente; Per Leonardo Bistolfi 2014.
14 CANAVESIO 2003a.
15 MICHELS 1911, pp. 362 sgg.; DOLZA 1991, pp. 53-54.
 

Fig. 3. Leonardo Bistolfi, Targa commemorativa per Cesare Lombroso, 1906. Bassorilievo in bronzo, cm 46 x 87. Torino, Museo di Antropologia criminale “Cesare Lombroso”, inv. 874 - Fonte: Maria Paola Soffiantino, art. cit. infra

Maria Paola Soffiantino, I contatti tra Leonardo Bistolfi e la famiglia Lombroso: tangibili e plasmati indizi (L’articolo riprende, con modifiche marginali, il testo già pubblicato con lo stesso titolo in Il Museo di Antropologia criminale "Cesare Lombroso" dell'Università di Torino, a cura di Silvano Montaldo e Cristina Cilli, Silvana editoriale, Milano 2015, pp. 92-99), Monferrato. Arte e Storia, Associazione Casalese "Arte e Storia, dicembre 2019, 31

Fotografia di un disegno, Autoritratto di Leonardo Bistolfi, con dedica a Nina Lombroso, post 1909 © Museo di antropologia criminale "Cesare Lombroso" - Università di Torino - Fonte: Museo Torino

Beppe Porcheddu non seguì la carriera paterna, a lui piaceva disegnare. Se ne accorse uno degli artisti che frequentavano la famiglia Porcheddu, Leonardo Bistolfi, quasi incredulo a vedere la maturità nel disegno del ragazzino. Elementari, medie e liceo a Torino, poi il Politecnico, senza dimenticare lo sport e lo studio del violino. Nel 1916, volontario, parte per la guerra, ma sul monte Tomba è gravemente ferito dallo scoppio di una granata. Trasferito all'ospedale militare di Carrara, salva per miracolo la gamba sinistra, ma è costretto da allora a camminare con il bastone. Le prime illustrazioni appaiono nel 1919 sul Pasquino, poi su un'infinità di altre testate, tra le quali il Corriere dei Piccoli e Topolino.
Leonardo Bizzaro, Porcheddu, la matita che sparì a Natale, la Repubblica, 20 ottobre 2007