L’occasione per assestare un colpo decisivo alla Cgil avrebbe dovuto essere l’elezione per le commissioni interne della Fiat, previste a fine marzo ’55. Come ha ricordato Maria Eleonora Guasconi, si verificò una sostanziale inversione di tendenza: la Fiom-Cgil passò dal 63.2% al 36.69%, la Cisl raggiunse il 40.49% e la Uil il 22.52%. L’autrice tende a non enfatizzare troppo il ruolo positivo della “guerra psicologica” e pone l’accento sugli errori della Cgil. Altro elemento da considerare è il mancato riavvicinamento tra i due “vincitori” Cisl e Uil. Cosa che, secondo gli osservatori americani, allontanava la prospettiva della sospirata unità dei sindacati occidentali e democratici <62. In ogni caso, la Fiat poté trarre beneficio dalle elezioni tramite l’assegnazione del progetto F-86K. Con la sconfitta della Cgil riprese quota «l’approccio “pressioni-ricompense”» che tanti sospetti aveva attirato all’inizio. Il caso della Fiat ne era la riprova <63.
Un ruolo di primo piano nella clamorosa sconfitta della Fiom-Cgil, è stato svolto da “Pace e Libertà”, pur non versando in condizioni particolarmente felici. Il movimento di Sogno, infatti, aveva subito una scissione che ne avrebbe potuto pregiudicare il futuro. All’origine dei dissidi c’erano fattori interni ed esterni. In primo luogo, erano aumentate le frizioni tra i due principali leader, Sogno e Cavallo. Secondo un rapporto della Prefettura, Cavallo e gli esponenti del neonato movimento “Pace e Lavoro” (poi rinominata “Fronte del Lavoro”), giudicavano l’anticomunismo di “Pace e Libertà” «troppo borghese e quasi fine a sé stesso». L’intento, invece, doveva essere «agire direttamente sulla massa di militanti comunisti». In secondo luogo - ed è la ragione esterna - lo scandalo Ingic e le pressioni esercitate da Scelba sono state decisive nell’accelerare il divorzio tra Sogno e Cavallo <64.
Con la scissione, “Pace e Libertà” perse parte dei finanziamenti. Ma fu soprattutto a causa della fine del legame privilegiato con Valletta che Sogno si vide costretto a chiedere aiuto altrove. Dopo il suo decisivo impegno nella fabbrica torinese - spesso assai criticato dalla storiografia <65 - Cisl e Uil trionfarono nelle elezioni per le commissioni interne. Raggiunto lo scopo, il Professore decise di tagliare le sovvenzioni. Come racconta il fondatore di “Pace e Libertà” all’ambasciatrice nell’aprile ’55, aveva bisogno tra i 5 e i 10 milioni al mese per continuare le sue attività. A questo proposito, aveva programmato un viaggio negli Usa per la metà di maggio. Chiese esplicitamente l’aiuto di Mrs. Luce, sia affinché «mettesse una buona parola con Valletta» e sia per avere indicazioni su persone interessate oltreoceano. Sogno, notava Clare Luce, era «pubblicamente conosciuto come uomo di destra», ma stava facendo di tutto per identificare «il suo anticomunismo con un movimento di centro democratico e non di destra». Ora che “Pace e Libertà” aveva raggiunto una certa visibilità, era in una posizione che consentiva di «attaccare i fascisti». Che non meritavano alcun tipo di attenzione <66.
Prima del viaggio negli Stati Uniti, gli alti funzionari destinati a incontrare Sogno avevano fatto il punto della situazione. Ecco quanto scrisse C.D. Jackson a Henry Luce, qualche giorno prima dell’incontro tra il marito dell’ambasciatrice e l’ex partigiano monarchico <67:
"Una breve ricapitolazione su Sogno, in previsione del tuo appuntamento con lui. È qui per raccogliere denaro perché la Fiat, cioè la sua principale fonte, sta per esaurirsi. Sogno vuole ottenere circa 30.000 dollari al mese per continuare la sua operazione su vasta scala. Ha paura che dovrà cessare le attività se non riuscirà a trovare i soldi tramite risorse americane. In maniera educata gli avevo detto che trovavo questo molto desolante perché, se il suo lavoro anticomunista era efficace, come mi era sembrato, lo era più nell’interesse italiano che americano. Perciò non capivo perché i capitalisti italiani non potevano metterci dei soldi, dopotutto Valletta non era l’unico industriale italiano ricco. La sua risposta è stata “loro davvero non capiscono”. E La mia replica: “Bene, tu [sottolineato] dovresti farglielo capire”. Non ti consiglierei certo di aiutarlo, né personalmente né prendendo impegni per coinvolgere altri industriali americani. Quando torni in Italia potresti fare un discorso a qualche imprenditore italiano sul sostegno a “Pace e Libertà”, e potresti, eventualmente, dire a Sogno che hai intenzione di farlo. Penso che questo sia il massimo a cui tu debba arrivare."
Se ne deduce un fondo di scetticismo per certi versi sorprendente: la presentazione, dunque, fu tutt’altro che favorevole. Sempre in quei giorni, Sogno illustrò le sue richieste a C.D. Jackson, sperando che lui e Luce potessero fare qualcosa. In particolare, confidava «in un qualche aiuto di cui così disperatamente aveva bisogno». L’aiuto più grande, però, sarebbe stata l’opera di convincimento presso la classe imprenditoriale italiana <68.
Tra le tappe del viaggio non mancò l’Office of Western European Affairs del Dipartimento di Stato. In tale sede, a colloquio con Jones, Tyler e Engle, ribadì la sua appartenenza al centro democratico. Appartenenza che, però, era in bilico a causa della precaria condizione finanziaria. E poteva essere inficiata da aiuti provenienti da una certa parte politica. In altri termini, Sogno affermava che “Pace e Libertà”, rispetto ad altri gruppi che combattevano il comunismo, aveva il vantaggio di non avere una connotazione partitica e, soprattutto, di non essere legato ai neofascisti. Questo gli dava, implicitamente, una legittimazione trasversale nello spettro politico. Ad ogni modo, senza il denaro della Fiat, aveva bisogno di almeno 50.000 dollari, cioè quasi il doppio di quelli prospettati da C.D. Jakson. Poteva certo avere - continuava - «un aiuto dai fascisti come Cini, ma un’assistenza del genere avrebbe rovinato “Pace e Libertà”, perché un’organizzazione su base fascista o finanziata dai fascisti non poteva essere efficace nella lotta al comunismo». Da qui l’importanza di ottenere fondi dal governo Usa o dall’ambasciata. Per continuare a combattere da una posizione di centro democratico. E anche perché, se fosse tornato a mani vuote dall’America, «tutti avrebbero riso di lui, specialmente i comunisti». Evasivo fu il commento dei funzionari, che non poterono garantire alcunché <69.
Stando alle testimonianze rilasciate da Sogno, il giugno ’55 avrebbe costituito una svolta. Si sarebbe recato, con l’obiettivo di chiedere un sostegno economico, da Allen Dulles, il quale rispose «né sì, né no».
Poi, tornando in Italia, Sogno ricevette una busta tramite Pizzoni, presidente del Credito italiano, di «cinque o sei milioni, che poi divennero dieci al mese» <70. Sulla vicenda, però, rimangono alcuni punti oscuri. Non è chiaro se e quando i finanziamenti effettivamente arrivarono. Va detto, intanto, che difficilmente possono trovarsi tracce scritte di un flusso di denaro del genere. A maggior ragione quando i personaggi coinvolti sono esperti della diplomazia e di covert operations come Dulles, Pizzoni e Sogno. È naturale, quindi, affidarsi a ricordi personali, il più delle volte - purtroppo - imprecisi e approssimativi.
La corrispondenza scritta del tempo può aiutare a comprendere meglio gli eventi. Allen Dulles, in una lettera del 25 giugno a Henry Luce, affermò di aver seguito con interesse l’azione di “Pace e Libertà”. Tuttavia, dopo essersi consultato con Gerry Miller - capo della Cia a Roma - ritenne che la situazione finanziaria del movimento «non fosse così cupa» come Sogno aveva lasciato intendere <71. Perfino il direttore della Cia, amico personale del Conte piemontese da una decina d’anni, nutriva dubbi sulla genuinità delle richieste. Almeno fino a luglio ’55, quando l’editore di «Time» informò Sogno di un qualche spiraglio <72, non c’era ancora chiarezza sulla questione.
Se Dulles si era dimostrato tutt’altro che entusiasta in giugno, non è detto che successivamente abbia cambiato idea. Resta il fatto che Sogno, incontrando Pizzoni, rimase colpito dal «viso tumefatto» e dai «segni del male che di lì a poco lo avrebbe stroncato» <73. Visto che erano già evidenti i segni della malattia, la data poteva essere solo dopo l’ottobre 1957. Pizzoni morì nei primi giorni del ’58, quindi avrebbe fatto da tramite solo per novembre e dicembre <74. L’ipotesi del finanziamento della Cia tramite il presidente del Credito italiano, quindi, sarebbe ipotizzabile solo per gli ultimi mesi del ’57, peraltro non particolarmente intensi per “Pace e Libertà”.
Insomma, a differenza di quanto ricorda Sogno e di quanto si legge nella dettagliata biografia di Luciano Garibaldi, l’atteggiamento statunitense - e di Allen Dulles in particolare - non risulta molto ben disposto verso le sue attività. Tanto che, dal settembre ’55 non fu il denaro americano a permettere a Sogno di ripartire. Grazie a De Micheli, presidente di Confindustria, e alla ripresa dei finanziamenti della Fiat, il movimento riuscì a sopravvivere e a riprendersi. Queste notizie provengono dal resoconto, ampiamente noto <75, di un colloquio tra Dell’Amico e Stabler tenutosi all’ambasciata americana. Con l’accordo, si legge, Sogno aveva ottenuto 25 milioni al mese da De Micheli, a condizione di abbandonare gli apprezzamenti al centro-sinistra e i favoritismi per la Uil. E di aprire i ranghi a tutto il fronte anticomunista, dal Msi al Psdi. Sogno, sempre secondo Dell’Amico, lo aveva fatto «malvolentieri», ma si rendeva conto che rimaneva l’unica possibilità per non chiudere. Dopo due-tre mesi di inattività, fu costretto a cedere, annunciando il ritorno per ottobre. Il coinvolgimento dei neofascisti, comunque, oltre ad essere mal digerito dal Conte, risultò poco gradito anche agli americani <76.
A questo punto è logico domandarsi l’incidenza dei finanziamenti - veri o presunti - ottenuti da Dulles e Pizzoni. Se, infatti, Sogno fu comunque obbligato ad aprire le porte ai neofascisti, probabilmente la quantità di denaro presente nelle famose buste non era molto alta. E poi, visto che gli americani erano tanto antifascisti quanto anticomunisti, pare difficile pensare che concorressero a finanziare un movimento con una folta presenza missina. Nel settembre ’55 all’ambasciata erano a conoscenza dei nuovi sviluppi inerenti le casse di “Pace e Libertà”. A fine ottobre - ecco un altro tassello che fa propendere per un finanziamento americano tardivo o, in ogni caso, non essenziale - Edgardo Sogno scriveva preoccupato a C.D. Jackson <77:
"In seguito alle conclusioni negative a cui eravamo arrivati nell’incontro con lei e Mr. Luce, ho ricevuto una comunicazione, sempre da parte di Mr. Luce, in cui si alludeva ad un cambiamento della situazione. Ancora oggi non so a cosa si stesse riferendo, ma il punto è che non è arrivata la benché minima conferma di queste speranze legate alla sopraccitata comunicazione. Il debito della nostra organizzazione è stato saldato, ma i pochi mezzi a nostra disposizione per continuare l’attività sono assolutamente sproporzionati rispetto al compito. In ogni caso, non abbiamo rinunciato alla nostra battaglia e, nonostante tutto, non posso fare a meno di pensare che lei e i vostri amici troverete una maniera concreta di dimostrare la vostra solidarietà. Apprezzerei molto, in ogni caso, i vostri commenti sul tema e, se dovesse essere necessario, sono sempre pronto a partire e a farvi visita di nuovo."
Proprio in ottobre, nota Garibaldi, l’organizzazione di Sogno riprese a lavorare sotto il nome di “Comitato di Difesa Nazionale”, con metodi assai più discreti, lontani da quelli di “Pace e Libertà”. Con il nuovo anno sarebbero cambiate le priorità e gli strumenti utilizzati: meno poster e «giornali murari»; più attenzione alla distribuzione capillare di volantini in luoghi molto frequentati, come cinema, fabbriche e stazioni. Diminuiva, in altri termini, «l’utilità della propaganda d’urto con affissioni massicce di manifesti “esplosivi”». E aumentava il peso della propaganda anticomunista «a favore o in appoggio di persone, organizzazioni, enti, agenti sul piano economico, sindacale, culturale […] all’interno del Pci del Psi e della Cgil, dei loro organismi di massa, dei loro alleati per approfondire l’attuale crisi comunista e sindacale e frapporre ostacoli ai tentativi di colloquio coi cattolici, apertura a sinistra e riunificazione socialista». Il testo del rapporto Khruschev, ha ricordato Guasconi, «fu inviato a migliaia di operai delle maggiori industrie e ad altrettanti attivisti del Pci, con una diffusione pari a 160.000 copie» <78.
A differenza di ciò che aveva dichiarato Dell’Amico, Sogno affermò di non aver ricevuto finanziamenti da Confindustria, a causa delle pesanti condizioni politiche imposte. Rimase vago sulla sua attuale fonte di finanziamento. Accennò a una stretta collaborazione con il ministro della Difesa Taviani, che gli aveva garantito qualche entrata, e con il ministro dell’Interno Tambroni, che lo stava aiutando nel reperire informazioni.
Certo è che Sogno stava attuando una sorta di evoluzione “governativa” piuttosto distante dalle prese di posizione di qualche anno prima. Dopo le incomprensioni con Scelba, i rapporti con l’esecutivo Segni erano nettamente migliori. E questo, con ogni probabilità, ebbe effetti anche sulle entrate dell’organizzazione. Il fondatore di “Pace e Libertà”, comunque, continuò a chiedere che l’ambasciata intercedesse per lui con alcuni imprenditori, per esempio con Faina della Montecatini <79.
[NOTE]
62 M.E. Guasconi, L’altra faccia della medaglia. Guerra psicologica e diplomazia sindacale nelle relazioni Italia-Stati Uniti durante la prima fase della guerra fredda (1947-1955), Rubbettino, Soveria Mannelli, 1999, pp. 126-135; E. Ortona, Anni d’America, cit., p. 74. Per un giudizio molto duro sull’esito delle pressioni americane si veda L. Sebesta, L’Europa indifesa. Sistema di sicurezza atlantico e caso italiano, 1948-1955, Ponte alle Grazie, Firenze, 1991, pp. 227-228.
63 M. Del Pero, L’alleato scomodo, cit., p. 260.
64 Lo scandalo Ingic (Istituto Nazionale Gestione Imposte di Consumo) esplose nel 1954 e coinvolse funzionari e dirigenti dei tre maggiori partiti (Dc, Pci, Psi). Ci furono tangenti versate dagli imprenditori alle amministrazioni in cambio di appalti per la riscossione delle imposte. L’inchiesta partì per un attacco di “Pace e Libertà” al sindaco comunista di Perugia. Su questo e sul dissidio Sogno-Cavallo si vedano: M.E. Guasconi, L’altra faccia della medaglia, cit., p. 149 (da cui è tratta la citazione della Prefettura); E. Sogno, A. Cazzullo, Testamento di un anticomunista. Dalla resistenza al «golpe bianco», Mondadori, Milano, 2000, p. 91; L. Garibaldi, L’altro italiano, cit., p. 198.
65 Soprattutto da L. Sebesta, L’Europa indifesa, cit., p. 228. Altri, invece, hanno posto l’accento sul maggior impegno di “Pace e Lavoro” di Cavallo. Tale constatazione consigliava, comunque, di diminuire i finanziamenti a Sogno, M.E. Guasconi, L’altra faccia della medaglia, cit., p. 150 e n. Oltre a Valletta, i soldi arrivavano da un «gruppo ristretto di Confindustria: Costa, Valerio, Faina e Cini», E. Sogno, A. Cazzullo, Testamento di un anticomunista, cit., p. 97.
66 Memorandum of conversation, E. Sogno, C.B. Luce, E. Freers (First Secretary of Embassy), April 19, 1955, NARA, RG 59, CDF, Box 3603. Sulla non collaborazione di Sogno coi neofascisti anche E. Sogno, A. Cazzullo, Testamento di un anticomunista, cit., p. 82.
67 Citazione tratta dalla seguente lettera, con alcune parti ancora coperte da segreto: C.D. Jackson to H. Luce, June 3, 1955, DDEL, CDJ, Box 70, f. Luce, Henry R. & Clare, 1955 (4).
68 E. Sogno to C.D. Jackson, June 6, 1955, DDEL, CDJ, Box 93, f. Sn-So Misc.
69 Memorandum of conversation, E. Sogno, J.W. Jones, W.R. Tyler, J.B. Engle, June 15, 1955, NARA, RG 59, CDF, Box 3603. Scorrendo il libro intervista di Sogno pare che Cini, in realtà, finanziasse già il movimento. Si tratterebbe, quindi, o della possibilità di non dipendere più da lui o di un ricordo impreciso - più che comprensibile - relativo a vicende di qualche decennio prima, E. Sogno, A. Cazzullo, Testamento di un anticomunista, cit., p. 97.
70 E. Sogno, A. Cazzullo, Testamento di un anticomunista, cit., pp. 98-99; L. Garibaldi, , L’altro italiano, cit., pp. 202-203. Il medesimo contenuto emerge dalla testimonianza presente in M.E. Guasconi, L’altra faccia della medaglia, cit., p. 151.
71 A. Dulles to H. Luce, June 25, 1955, DDEL, CDJ, Box 93, f. Sn-So Misc.
72 H. Luce to E. Sogno, July 5, 1955, DDEL, CDJ, cit.
73 E. Sogno, Le memorie di Alfredo Pizzoni: spunti e considerazioni, «Storia contemporanea», a. XXV, n. 3, giugno 1994, pp. 450-451.
74 T. Piffer, Il banchiere della Resistenza. Alfredo Pizzoni, il protagonista cancellato della guerra di liberazione, Mondadori, Milano, 2005, p. 235 e pp. 296-297.
75 Memorandum of conversation, L. Dell’Amico (“Pace e Libertà”), W. Stabler (Second Secretary of Embassy), L. Schineau (Rumanian refugee, close to PSDI), September 23, 1955, NARA, RG 59, CDF, Box 3604. Citato in C. Gatti, Rimanga tra noi. L’America, l’Italia, la “questione comunista”: i segreti di cinquant’anni di storia, Leonardo, Milano, 1990, pp. 37-38; M.E. Guasconi, L’altra faccia della medaglia, cit., pp. 150-151. Su Dell’Amico, collaboratore di “Pace e Libertà” ed ex missino, si veda G. De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, Editori Riuniti, Roma, 1991, p. 156.
76 C. Gatti, Rimanga tra noi, cit., p. 38.
77 E. Sogno to C.D. Jackson, October 25, 1955, DDEL, CDJ, Box 93, f. Sn-So Misc.
78 L. Garibaldi, L’altro italiano, cit., p. 203. Citazioni dall’Archivio privato di Edgardo Sogno tratte da M.E. Guasconi, L’altra faccia della medaglia, cit., pp. 152-153. Conferme dell’avvenuto cambio di strategia anche in E. Sogno to C. D. Jackson, July, 1956, DDEL, CDJ Papers, 1931-1967, Box 93, f. Sn-So Misc.
79 Memorandum of conversation, E. Sogno, W. Stabler, May 2, 1956, NARA, RG 59, CDF, Box 3605, 765.00/5-756.
Federico Robbe, Gli Stati Uniti e la Destra italiana negli anni Cinquanta, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 2009/2010
[...] Nel 1940, dopo un secondo tentativo vano di entrare in diplomazia, Sogno si laureò in Lettere e in Scienze politiche, rafforzando la propria adesione alla cultura angloamericana. Cominciò anche a collaborare col “Telegrafo”, il giornale del mussoliniano Galeazzo Ciano. Assunto dal ministero degli Esteri, nell’estate del 1942 presentò domanda di arruolamento nel Savoia Cavalleria in partenza per il fronte russo, deciso a combattere, ancora al fianco dei nazifascisti, contro l’Armata rossa degli odiati bolscevichi; ma in seguito a pressioni di suoi familiari, venne dirottato a Nizza, tenente del Nizza Cavalleria in funzione antisbarco, dove nel maggio 1943, espressosi in pubblico in favore della vittoria alleata, venne posto agli arresti domiciliari fino al 25 luglio (caduta del Duce e del fascismo).
Quello che Sogno enfatizzerà poi come un proprio fervido antifascismo, in realtà era l’ambiguo afascismo di un aristocratico monarchico destrorso e ossessionato dal comunismo. Ne era una conferma il fatto che, sebbene si dicesse molto amante degli ebrei («Per la sensibilità, l’intelligenza, la cultura, la profondità che avvertivo [in loro]... Il saperli esposti alle persecuzioni sollecitava il mio animo da donchisciotte [sic! nda]. E poi ero innamorato di una ragazza ebrea»), al varo delle leggi razziali mussoliniane, nel settembre 1938, controfirmate da re Vittorio Emanuele III, Sogno aveva reagito con un episodico happening: «Quel giorno passeggiai per tutto il pomeriggio, con tre amici, sotto i portici di via Po, davanti all’università, con una stella gialla appuntata sul petto. Anni dopo scoprii che il fatto era stato segnalato alle autorità, ma non furono presi provvedimenti» <2. Solo nelle sue memorie postbelliche, Sogno scriverà: «Nel 1941 ho letto il primo rapporto sui massacri degli ebrei in Polonia. Era un rapporto della Segreteria di Stato [vaticana]. Da quel momento il problema non era più politico, diventava un problema morale [sic! nda]. Sapendo, non si poteva in nessun modo rimanere solidali con la Germania [sic! nda]. Sono arrivato all’armistizio come un cane attaccato alla catena» <3.
Al momento assai poco turbato dall’antisemitismo e dallo stesso nazifascismo, il giovane conte Sogno aveva la fissazione della monarchia: «Noi giovani monarchici cercavamo un aggancio a corte, e lo trovammo in Maria José [moglie di re Umberto II di Savoia, nda]. La frequentai abitualmente tra l’autunno del ’42 e l’estate del ’43... Conoscevo bene i gentiluomini di corte» <4. E soprattutto condivideva col nazifascismo un anticomunismo viscerale e irriducibile.
Nome di battaglia “Franco Franchi”
Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, il tenente Sogno lasciò Torino e raggiunse l’esercito monarchico e il governo italiano a Brindisi, dove erano riparati il re Vittorio Emanuele III, il governo Badoglio e i vertici militari.
Coinvolto nella riorganizzazione del Sim (il Servizio informazioni militari partecipe dei crimini fascisti culminati nell’uccisione dei fratelli Carlo e Nello Rosselli), Sogno venne inserito nella rete spionistica Nemo, collegata alla Number one Special force della britannica Soe-Special operations executive. L’operato della rete spionistica del “nuovo Sim” preposta allo spionaggio nel Nord Italia aveva lo scopo strategico di contribuire alla stabilizzazione politico-sociale del primo dopoguerra.
Gli Alleati volevano per l’Italia postbellica un assetto istituzionale moderato e liberaldemocratico, mentre le componenti maggioritarie del movimento partigiano - comunisti, socialisti e azionisti - si proponevano una radicale trasformazione (per i comunisti “rivoluzionaria”) dell’assetto istituzionale del Paese. Così gli angloamericani intendevano circoscrivere la portata della Resistenza partigiana, limitando la forza socio-politica delle componenti di sinistra, attraverso l’azione dei Servizi alleati: l’Oss-Office of strategic services statunitense, e soprattutto il Sis-Secret intelligence service britannico.
Gli inglesi, che dirigevano la politica alleata nel Mediterraneo, appoggiavano la monarchia sabauda, mentre diffidavano del movimento partigiano perché in prevalenza non solo di sinistra, ma soprattutto comunista.
[...] L’agente speciale Franchi, insubordinato, ardimentoso e spericolato, attivo all’interno della lotta armata di Liberazione, era mosso dal patriottismo monarchico e dall’anticomunismo: combatteva i nazifascisti «per il riscatto della patria e la liberazione del territorio nazionale», ma al tempo stesso osteggiava e contrastava i partigiani comunisti «che si battevano per instaurare anche in Italia un regime bolscevico di marca sovietica» <14. Per Sogno, la guerra in corso ai nazifascisti era il preludio a quella contro i comunisti, e si trattava di un doppio binario che presupponeva una particolare sofisticatezza. Del resto, Franco Franchi all’apparenza aveva ben tre committenti, ma in realtà agiva in proprio: «Lavoro per il Cln, per gli inglesi e per il Comando italiano, ma dipendo soltanto da me» <15.
Alla fine di marzo 1944 Sogno, col suo carico di informazioni politico-militari da trasmettere agli Alleati, si recò a Genova con documenti falsi per incontrare i rappresentanti dell’organizzazione Otto con la quale collaborava. Rete informativa costituita nel capoluogo ligure, nel settembre 1943, dal neurologo filocomunista Ottorino Balduzzi, la “Otto”, autonoma dal Comitato di liberazione di Genova e anche dal Comando militare del Clnai, era in rapporti diretti con i Servizi alleati che la finanziavano, ed era attiva, attraverso una rete di 12 stazioni radio (e collegamenti col quartier generale alleato di Algeri), in Liguria, Piemonte, Lombardia e Veneto. Formatasi in maniera tumultuosa nel volgere di poche settimane, l’organizzazione Otto era «un nucleo d’intelligence» nel quale c’erano le provenienze più disparate, compresi alcuni militari già mussoliniani e ufficiali monarchici, e anche «molti agenti doppiogiochisti e di dubbia fama, reclutati nei vecchi apparati fascisti e in quelli della Rsi» <16. Entro pochi mesi «la Otto aveva pompato dalla sua rete di spie ottimo materiale informativo, che era stato regolarmente trasmesso al Comando alleato [il quale] non poteva non apprezzare enormemente il lavoro dell’organizzazione fondata dal neurologo di Genova» <17. L’incontro di Franchi con la rete spionistica genovese fu compromesso da una o più delazioni, per cui quel giorno la Gestapo arrestò, a Genova, i vertici della “Otto” e lo stesso Sogno (che però evase subito con facilità), mentre a Torino la polizia nazista arrestava il Comitato militare del Clnai fucilandone quasi tutti i componenti.
«Partii per Genova, per tentare di prendere contatto con l’organizzazione Otto. Era il primo gruppo clandestino a essersi collegato via radio con gli Alleati e a fare da tramite con le bande partigiane, come più tardi e in larga scala facemmo noi dell’organizzazione Franchi. La “Otto” si chiamava così dal nome del fondatore, Ottorino Balduzzi, chirurgo al San Martino di Genova, comunista. Il contatto con gli Alleati era stato stabilito grazie ad Alberto Li Gobbi, che era con me a Brindisi ed era poi stato paracadutato al Nord. E proprio con Li Gobbi avevo appuntamento a Genova, in via San Luca, il mattino del 30 [marzo]. Poi sarei tornato a Torino... Ma quel giorno Li Gobbi non venne. In base ai nostri accordi, l’appuntamento si intendeva rinviato al giorno dopo, stesso posto, stessa ora. Il 31 marzo, mentre i miei amici torinesi venivano arrestati, la Gestapo ci sorprese a Genova. Il fratello di Alberto, Aldo Li Gobbi, fugge, viene colpito alla schiena, cade. Alberto e io finiamo in cella [nella Casa dello studente, nda]. Riusciamo a forzare le sbarre della finestra. Potremmo fuggire insieme, ma Alberto teme che i tedeschi si vendichino sul fratello, non sa che Aldo è già morto, e decide di restare. Lo riducono in fin di vita per farlo parlare di me. Invano. E io prendo con me stesso l’impegno di liberarlo. Magari con uno scambio di ostaggi» <18.
Il doppio arresto Genova-Torino fu «un’operazione coordinata sui maggiori obiettivi di cui le polizie erano a conoscenza. Infatti, mentre ci stavano trasferendo nella sede del comando alla Casa dello studente, da un dialogo fra i poliziotti appresi che una parte degli italiani e dei tedeschi impiegati nell’operazione era arrivata la sera prima da Torino» <19. I sospetti di tradimento si appuntarono soprattutto sul sottotenente Italo Cavallino, reclutato dal Sim e dai Servizi inglesi, il primo della “Otto” a essere arrestato dai tedeschi. Ma l’organizzazione spionistica genovese venne scardinata anche a causa di «tutti gli errori cospirativi commessi, per inesperienza, per la leggerezza degli Alleati nell’addestrare gli agenti segreti, per l’imprudenza di Balduzzi nel reclutare collaboratori, per l’incoscienza di molti di questi e per la debolezza di alcuni».
Tuttavia era la fine di un’araba fenice: «Dalle ceneri del gruppo fondato da Balduzzi risorgeva però quasi subito un’altra organizzazione destinata a restare celebre negli annali della Resistenza: la “Franchi” fondata da Edgardo Sogno dopo la sua fuga avventurosa» <20.
Infatti il 10 aprile 1944 Sogno si recò a Berna (Svizzera) per una serie di incontri con John McCaffery, capo della Number one Special force britannica per l’Europa, dopo i quali nacque l’organizzazione Franchi. Per facilitare il passaggio del confine con tappa a Lugano, e preservare la missione elvetica, Franco Franchi fornì ai Servizi svizzeri materiale informativo e notizie militari opportunamente selezionate. Il monarchico McCaffery, allarmato dal fatto che il Clnai fosse «pieno di comunisti e di sovversivi», disse a Sogno: «So che sei stato mandato al Nord con compiti informativi; però le notizie, invece di mandarle, è meglio farle» <21.
McCaffery concordò con Sogno il varo della organizzazione Franchi, una rete collegata all’Intelligence service britannico con speciali compiti informativi, di spionaggio e controspionaggio, di sabotaggio e infiltrazione. Finanziata dagli Alleati e sostenuta da Radio Londra (con quotidiani messaggi cifrati), la “Franchi” doveva inoltre coordinare gli aviolanci di armi e rifornimenti destinati alle varie brigate partigiane del Nord Italia, previa infiltrazione: «Sogno avrebbe dovuto individuare i campi di lancio, inserire uomini suoi nelle formazioni in Piemonte, fornire notizie sulle bande e sui loro comandanti. Quello che si voleva da lui era una specie di “nulla osta” per poter mandare gli aiuti» <22. Altri compiti della “Franchi”: «Disarmo e neutralizzazione di sentinelle e militari isolati, cattura di ostaggi, liberazione di prigionieri, eliminazione di spie e di elementi pericolosi, distruzione o sottrazione di armi» <23.
La nascente organizzazione Franchi, definita dallo stesso capo-fondatore Sogno «un’organizzazione militare autonoma, in collegamento diretto con gli Alleati e con il Comando italiano del Sud» <24, era formata all’inizio da «ufficiali in servizio permanente o di complemento, o membri di missioni alleate paracadutati al Nord» <25 disposti a «obbedire agli ordini senza discutere» <26. E aveva un preciso presupposto politico, esplicitato da Sogno con queste parole: «Fra noi ci possono essere appartenenti a qualunque partito antifascista o anche militari apolitici, purché sentano il dovere di battersi contro i tedeschi. Questa era la posizione che aveva inizialmente il vecchio Comitato militare, prima che i partiti cominciassero a dare un colore politico alle bande. È la posizione che permette di conservare il movimento di Resistenza su di un piano nazionale. Oggi i partiti tendono invece a trasformare le bande in strumenti di azione politica. Noi dobbiamo, per quanto possibile, combattere questa tendenza» <27.
Tra i fondatori della “Franchi” c’era il torinese Adolfo Beria di Argentine, classe 1920, rampollo dell’alta borghesia piemontese e monarchica (madre di nobili ascendenze, padre magistrato), laureato in giurisprudenza. «Mobilitato all’inizio del 1942 come allievo ufficiale [e] assegnato al XV Reggimento autieri dell’Autocentro di Savona», Beria di Argentine nel febbraio 1943 era stato «chiamato a Roma, come addetto all’ufficio centrale corrispondenti di guerra: riceveva i dispacci e i telegrammi inviati dai giornalisti al fronte, e li trascriveva in un linguaggio idoneo alla pubblicazione sulla stampa»; dopo l’armistizio del settembre 1943 «col dissolvimento delle forze armate italiane», il monarchico Beria aveva cominciato a collaborare col movimento resistenziale, nome di battaglia “Nuccio” <28. All’inizio della organizzazione Franchi, nell’aprile 1944, Beria «si occupò del settore informativo», e in un secondo tempo «dell’organizzazione dei campi di lancio allestiti per ricevere materiali dagli Alleati» <29.
Lo strumento in funzione anticomunista
Con l’avanzata delle truppe alleate e l’approssimarsi della sconfitta nazifascista, Londra e Washington cominciarono a preoccuparsi e occuparsi della forza sociopolitica, organizzativa e militare del Pci. Un memorandum dell’aprile 1944 della Commissione di controllo alleata segnalava che «il potere del Partito comunista cresce ogni giorno». Gli angloamericani temevano che in Italia alla imminente Liberazione potesse seguire una presa del potere da parte dei comunisti, e proprio allo scopo di contrastare questa prospettiva progettarono il recupero di strutture e personaggi compromessi col nazifascismo. La stessa “Franchi” costituiva uno strumento in funzione anticomunista: attraverso l’organizzazione di Sogno, e a partire da una mappatura completa di tutte le bande e formazioni partigiane con i relativi organigrammi e parole d’ordine, gli Alleati intendevano assumere il pieno controllo della Resistenza partigiana.
Dalla Svizzera il Soe britannico informò il Foreign office che «Sogno sta costituendo un corpo speciale composto da 200 uomini [i quali] dovrebbero agire da polizia, da organizzazione di sicurezza e per compiere azioni sul campo, agli ordini del Clnai. Si tratta di elementi non appartenenti a partiti politici, scelti tra le migliori formazioni partigiane. Saranno utilizzati al momento dello scoppio della crisi [cioè quando, sconfitti i nazifascisti, si sarebbero dovuti neutralizzare i partigiani comunisti, nda]. Vi chiediamo quindi di paracadutare armi per questo corpo speciale (località 106). Per telegrammi di questo tipo usate il prefisso “Franchi”» <30.
La “Franchi” incorporò la organizzazione Otto, senza guida dopo l’arresto del suo capo-fondatore Balduzzi. «Sgominata la “Otto” dalla Gestapo», ricorderà Sogno, «creiamo un’altra organizzazione di collegamento, la “Franchi”» <31. Lo stesso Balduzzi, alla fine della guerra, ricorderà: «Edgardo Sogno, del Cln torinese e nostro collaboratore, arrestato con il gruppo della “Otto”, potette evadere dalla Casa dello studente di Genova con il nostro aiuto, e potette, qualche mese dopo, riprendere contatti con gli Alleati e dare luogo all’organizzazione Franchi, che sostituì la scomparsa “Otto”» <32.
La fusione tra la “Otto” e la “Franchi” non fu priva di ombre e sospetti: «In seguito, molti uomini della “Otto”, circostanza davvero curiosa, fuggiranno dai campi di prigionia (Li Gobbi da quello di Carpi) oppure saranno liberati dai tedeschi e confluiranno nella rete “Franchi”» <33.
La struttura e l’articolazione della organizzazione capeggiata da Sogno era particolare, assai simile a quella che molti anni dopo caratterizzerà le Brigate rosse, a partire dalla più rigida compartimentazione: «Da un punto di vista operativo, la Franchi era una struttura nuova e tutt’altro che ortodossa rispetto ai canoni del Soe britannico, secondo i quali nessuno dei membri avrebbe dovuto conoscersi, se non attraverso parole d’ordine e nomi di battaglia... Rispecchiava quella dei Gap mutuata invece dai canoni della Gpu sovietica e alla quale si rifaranno, quasi trent’anni dopo, le Brigate rosse, con la loro suddivisione in “regolari”, “irregolari” e “fiancheggiatori”. Al vertice della Franchi stavano infatti i membri organizzatori, che arrivarono a essere una cinquantina: si conoscevano tutti tra loro [e il cemento che li unificava], la garanzia di sicurezza, era l’amicizia comune con Sogno. Ogni organizzatore poteva contare su una rete di collaboratori affiliati alla “Franchi” secondo il modello dei réseaux francesi, specializzati in determinati servizi (lanci, trasporti, collegamenti radio, fabbricazione di documenti falsi, operazioni attivistiche, controspionaggio). Questi collaboratori, che nel periodo di massima espansione arrivarono a essere oltre 200, erano in genere conosciuti solo dall’organizzatore cui facevano capo. Infine venivano gli organizzati (i “fiancheggiatori”), che fornivano prestazioni occasionali: lavori gratuiti, ospitalità, collegamenti saltuari. Gli organizzati arrivarono a essere alcune migliaia [...]. [Quanto alle basi della “Franchi”] erano appartamenti presi in affitto da tranquilli studenti iscritti all’università, o di cui gli organizzatori s’erano procurate le chiavi dai legittimi proprietari, di solito elementi “organizzati” o “simpatizzanti”...
A novembre del 1944 la “Franchi” era articolata su cinque gruppi cittadini: Torino (capogruppo Ferdinando Prat “Gigi”, 14 organizzatori, 10 squadre); Milano (capogruppo Pierluigi Tumiati “Tum”, 9 organizzatori, 9 squadre); Genova (capogruppo Giacomo Medici “Gigetto”, 4 organizzatori, 4 squadre); Biella (capogruppo Lorenzo Levis “Gianni”, 4 organizzatori, 4 squadre); Venezia (capogruppo Alessandro Cicogna “Sandro”, 4 organizzatori, 5 squadre)» <34.
[NOTE]
2 Edgardo Sogno con Aldo Cazzullo, op. cit., pagg. 26-27.
3 Edgardo Sogno, Guerra senza bandiera, Mursia 1970, pag. 256. In pratica, a detta dell’antifascista donchisciottesco Sogno, senza l’antisemitismo il nazismo sarebbe stato un semplice «problema politico», e solo la persecuzione antiebraica impediva di «rimanere solidali» con il Reich hitleriano.
4 Edgardo Sogno con Aldo Cazzullo, op. cit., pagg. 32-33.
15 Edgardo Sogno, Guerra senza bandiera, cit., pag. 159.
16 M.J. Cereghino e Giovanni Fasanella, Il golpe inglese, Chiarelettere 2014, pag. 120.
17 Franco Fucci, op. cit., pag. 135.
18 Edgardo Sogno con Aldo Cazzullo, op. cit., pagg. 54-55. Enigmatico il destino di Ottorino Balduzzi: non venne fucilato, ma deportato nel lager di Mauthausen; e dopo qualche tempo ottenne dalle autorità naziste lo straordinario privilegio di lavorare come medico in un ospedale militare specialistico nella zona di Linz. «La generosità dei nazisti verso Balduzzi stupisce... Tutti sappiamo che i nazisti fucilavano una persona per molto meno» (Franco Fucci, op. cit., pag. 135).
19 Edgardo Sogno, La Franchi. Storia di un’organizzazione partigiana, Il Mulino 1996, pag. 69.
20 Franco Fucci, op. cit., pag. 134.
21 Ibidem, pag. 147.
22 Luciano Garibaldi, op. cit., pagg. 68-69.
23 Edgardo Sogno, La Franchi, cit., pag. 114.
24 Ibidem, pag. 190.
25 Luciano Garibaldi, op. cit., pag. 111.
26 Edgardo Sogno, La Franchi, cit., pag. 192.
27 Ibidem.
28 Mimmo Franzinelli con Pier Paolo Poggio, Storia di un giudice italiano. Vita di Adolfo Beria di Argentine, Rizzoli 2004, pagg. 13-14.
29 Ibidem, pag. 15.
30 Cit. in Mario José Cereghino e Giovanni Fasanella, op. cit., pag. 106.
31 Edgardo Sogno e Aldo Cazzullo, op. cit., pag. 57.
32 Cit. in Franco Fucci, Spie per la libertà, cit., pag. 145.
33 Mario José Cereghino e Giovanni Fasanella, op. cit., pag. 101.
34 Luciano Garibaldi, op. cit., pagg. 113-15.
Aa.Vv., Esecuzione capitale. Edgardo Sogno e il delitto Moro, Kaos, 2021
Il generale Bozzo aggiunse che «nell’ultima fase della guerra partigiana, un certo numero di repubblichini in contatto con uomini della Franchi avevano infiltrato diverse Brigate Garibaldi per indurle a compiere azioni particolarmente efferate, in modo da metterle in cattiva luce agli occhi dell’opinione pubblica o per portarle all’annientamento soffiando informazioni ai reparti della RSI» <17; e che «le persone utilizzate per le infiltrazioni «erano uomini e donne» che avrebbero agito per conto di «qualche servizio segreto alleato (…) una struttura (…) che non si è mai sciolta ed è tutt’ora operante dietro il terrorismo rosso e nero».
Bozzo avrebbe riferito un tanto al suo superiore, che in seguito lo convocò ad un incontro con Edgardo Sogno, al quale però, Sogno non volle che Bozzo fosse presente. E dopo il colloquio, Dalla Chiesa avrebbe detto a Bozzo «lascia perdere (…) è una storia più grande di noi, qui siamo a livelli internazionali, le BR non c’entrano più» <18.
[...] Nel citato 'Golpe inglese', troviamo la descrizione di una serie di manovre molto interessanti. Alla fine degli anni ‘40 l’Information Research Department <43, iniziò un lavoro di avvicinamento nei confronti di personalità della cultura che si ritenevano «disilluse dal comunismo» (tra cui Ignazio Silone, Elio Vittorini, Alberto Moravia ed Elsa Morante), da utilizzare per promuovere una cultura antisovietica ed anticomunista. Fu in questo periodo che venne lanciata l’operazione Packet (in collaborazione con i servizi statunitensi) il cui primo atto fu la convocazione di un “Congresso per la libertà della cultura”, svoltosi a Berlino nel 1950, organizzato da Ignazio Silone e presieduto da Benedetto Croce. Tra i membri della delegazione italiana «spiccano i nomi di Nicola Chiaromonte, Altiero Spinelli, Enzo Forcella», e l’attività in Italia si concretizzerà nella fondazione di una serie di testate giornalistiche e letterarie, tra le quali ricordiamo Tempo presente di Silone e Chiaromonte ed il Mondo di Pannunzio. Nello stesso periodo iniziò l’attività editoriale dell’ex agente del SOE, l’industriale Adriano Olivetti (che si era fatto un nome come “socialista riformatore”) <44, il cui prodotto più importante sarà la rivista l’Espresso “regalata” a Carlo Caracciolo, figlio del suo ex collega nel SOE, l’agente Filippo Caracciolo.
[NOTE]
17 Possiamo riconoscere in questo punto alcune delle indicazioni del “piano Graziani”, ma anche il modo d’agire di Zolomy. Consideriamo che il 26/11/44 nella zona controllata dai partigiani di Moranino furono fucilati i componenti della “missione Strassera”, ritenuti spie nazifasciste, e per tale azione il comandante Gemisto fu perseguito negli anni ’50, come vedremo.
18 Mario José Cereghino e Giovanni Fasanella, Il golpe inglese, Chiarelettere 2011, p. 245-246, che citano una «testimonianza di Nicolò Bozzo a Sabina Rossa», inserita in G. Fasanella e S. Rossa, Guido Rossa, mio padre, BUR 2006.
43 Durante il secondo conflitto mondiale era attivo lo Psychological Warfare Branch (PWB), l’Ufficio per la propaganda e la guerra psicologica dei servizi angloamericani; successivamente l’ufficio si divise, la sezione statunitense divenne United States Information Service (USIS), quella britannica Information Research Department (IRD).
44 Vicino al “socialismo empirico” di Gaetano Salvemini, Olivetti prese contatto con gli Alleati nei primi mesi del ’43, introdotto da Silone, allo scopo di illustrare un piano di pace che aveva redatto; dopo l’armistizio fu arrestato ed accusato di “intelligenza col nemico” ma riuscì a riparare in Svizzera. «Preso atto del fallimento dell’ideologia socialista e della crisi del capitalismo, elabora una nuova idea di Stato basato sulla Comunità come nucleo fondante della società», in collaborazione con Luigi Einaudi ed Ernesto Rossi. Tale progetto viene presentato nel volume L’ordine politico delle Comunità (pubblicato nel 1945) ed è così riassunto: «un piano organico di riforma di struttura dello Stato, inteso ad integrare i valori sociali del marxismo con quelli di cui è depositaria la civiltà cristiana, così da tutelare la libertà spirituale della persona» (cfr. https://www.fondazioneadrianolivetti.it/).
Claudia Cernigoi, Le serpi in seno. L’infiltrazione e la provocazione nei movimenti comunisti in Supplemento al n. 416 - 3/12/21 de “La Nuova Alabarda e la Coda del Diavolo”, Trieste, 2021