domenica 3 luglio 2022

La prima forza armata della RSI fu la Guardia Nazionale Repubblicana


La volontà di difesa delle autorità repubblicane sembrò così andare nella direzione della mobilitazione di ogni risorsa disponibile, anche nella militarizzazione “totalitaria” del PFR, così come anticipato nei telegrammi di Prinzing e, parzialmente, negli esiti di Klessheim. Nella comunicazione di inizio giugno inviata da Pavolini a tutti i commissari federali, il segretario ordinò la mobilitazione del partito, nella prospettiva di reagire ad eventuali attacchi in parallelo con l’ipotetica insurrezione antifascista. Per evitare che “la caduta di Roma porti a tentativi avversari (incrudimento dell’attività ribellistica e terroristica, agitazioni o altro) metti subito e precauzionalmente in stato d’allarme i Fasci. Sorveglia attentamente la situazione” <25. La comunicazione come detto era stata anticipata da un giro di ispezione di Pavolini presso le federazioni delle province meridionali della RSI, così da riferire a voce sulle successive modalità di mobilitazione, nella prospettiva di evitare un crollo immediato dopo la prima “spallata” alleata sul fronte. Tra i timori più gravi per i fascisti repubblicani e per chi, come i commissari federali era stato compreso sin dall’autunno precedente tra gli obiettivi principali della Resistenza armata, vi era la possibilità di subire direttamente le conseguenze dell’insurrezione partigiana e le vendette proprie della conclusione della guerra civile. In tal senso, sebbene nella circolare del 4 giugno non si faccia un riferimento preciso alla mobilitazione militare degli iscritti, è decisamente probabile che alcune direttive fossero già ben presenti nelle menti dei commissari. Lo comprovano gli atteggiamenti del federale di Reggio Emilia, Wender e dei dirigenti del partito di Milano e Torino. Wender, in particolare, il 5 giugno ordina agli iscritti “disponibili” di tenersi pronti a confluire collettivamente nella federazione o nei locali del Fascio; qui il responsabile della sede cittadina del partito avrebbe diretto le operazioni successive, finalizzate a reprimere in collaborazione con la GNR “manifestazioni o dimostrazioni” antifasciste che potrebbero seguire al ripiegamento delle forze tedesche <26. Si anticipava qui uno schema che avrebbe successivamente influenzato le dipendenze interne alle Brigate Nere, suddivise in presidi che, almeno a livello formale, avrebbero avuto un comandante nella persona del segretario politico o commissario del fascio della città, sede dello stesso distaccamento. Naturalmente tale “automatismo” di comando andrà criticato, in quanto in molti casi, in relazione alla nomina dei comandanti delle Brigate il commissario federale o lo stato maggiore delle forze ausiliarie in camicia nera avrebbe deciso in autonomia quali personalità sarebbero state confermate. La comunicazione di Wender fu seguita, a distanza di pochi giorni da un annuncio simile, proveniente da Vincenzo Costa. L’otto giugno, il commissario milanese comunicava la costituzione di un “reggimento federale”, il “Carroccio”, composto dai fascisti milanesi abili, in armi, con la consegna di presidiare ogni fascio della provincia e circolo rionale <27. Il reggimento, secondo Costa comprendeva più di 1.800 uomini, armati però con poche centinaia di pistole e moschetti, e per i quali era ancora necessaria la distribuzione del “permesso di porto d’armi controfirmato dal comando tedesco” <28. Lo stesso attivismo è confermato dalla condotta di Solaro, in funzione di organizzazione dell’embrione di quella che diverrà nel luglio, la Brigata “Ather Capelli”, dal nome del giornalista della federazione torinese, ucciso dai partigiani garibaldini nella primavera del ’44 <29.
La rapida mobilitazione dei fascisti reggiani, dei 1.800 mobilitati milanesi e di alcune centinaia di fascisti torinesi deve naturalmente portarci a comprendere come ben prima delle circolari del 4 e dell’11 giugno, Pavolini abbia potuto comunicare parte dei “suoi piani” ai commissari federali, con modalità che naturalmente sfuggono alla conservazione ed all’analisi archivistica. Tuttavia, così come era stato per le squadre, lo spontaneismo fascista aveva reagito con rapidità, forse dettata tanto dalla minaccia diretta alle personalità più in vista del fascismo provinciale, quanto da una “cultura politica propria dello squadrismo”, tendente comunque all’adozione di modalità organizzative comuni o simili.
L’11 giugno, Pavolini inviò quindi a tutte le sedi federali la seguente circolare segreta, recante la tripartizione dei compiti dei fascisti di provincia, che avrebbero dovuto agire con modalità differenti nella prospettiva di reazione alle ipotesi di invasione alleata e di contemporanea insurrezione antifascista.
[...] In tal modo il segretario voleva evitare, da una parte, la cattura dei fascisti più noti a livello provinciale, dall’altra intendeva scongiurare la distruzione ed il saccheggio delle sedi, il cui impatto sull’opinione pubblica della Repubblica avrebbe segnata una crisi definitiva per le possibilità di legittimazione del fascismo repubblicano. In tal senso vennero rinfocolati gli appelli alla difesa della RSI, mentre i commissari dovevano preparare le sedi provinciali, per essere “occupate da sfollati, indigenti ecc.”, senza gagliardetti, ritratti o bandiere, così da evitare saccheggi ed assalti, nell’ipotesi di fronteggiare un “secondo 25 luglio” <31.
Come già attestato da Gagliani, la circolare dimostra un certo tipo di sudditanza, anche solo filologica, rispetto al movimento antifascista ed alle brigate partigiane <32, spesso definite come “clandestine, ribelli, banditistiche e terroriste”; veniva in tal modo evidenziata una distanza effettiva, antropologica prima ancora che politica, rispetto alla Resistenza. Tale diversità venne ribaltata nel contesto caotico del rischi di “sommersione” repubblicana, nel caos portato dalle prospettive di “insurrezione partigiana”, proclamata nel primo degli annunci pubblici del generale Harold Alexander il 6 giugno 1944, lo stesso giorno dell’infrazione del “Vallo Atlantico”: il “D-day”. Il generale britannico invitò i resistenti in armi, e non solo, a cooperare con gli sforzi delle armate alleate: “Patrioti italiani, in meno di un mese (dall’inizio dell’offensiva di Cassino) la forza armata tedesca è stata schiantata e la città di Roma è stata liberata. (…) D'ora innanzi le armate tedesche in Europa verranno attaccate da tutte le parti. Il giorno da voi tanto atteso è finalmente giunto. Faccio appello a tutti i patrioti d'Italia d’insorgere compatti contro il comune nemico (…) colpendolo con ogni mezzo”.
La crescita numerica dei partigiani si attestò tra giugno e luglio sui 60/70.000 combattenti in montagna, un aumento da considerare come parziale conseguenza degli accordi interni ai partiti del CLN e alla relativa caduta della pregiudiziale antimonarchica conseguente alla “svolta” togliattiana di Salerno; le organizzazioni ciellenistiche avrebbero in questa fase sviluppato una prima “struttura regolare” alla base della lotta ribellistica. L’organizzazione militare della Resistenza poté in questo contesto sfruttare sia un credito maggiore da parte degli Alleati - concretizzato in un ampiamento dei rifornimenti militari per le bande in montagna - sia una struttura complessa come quella dipendente dai comandi del Corpo Volontari della Libertà, finalizzata all’ipotetico coordinamento delle bande ribelli <33.
La virulenza degli attacchi delle bande era stata in realtà rafforzata ancor prima di giugno, con cause già accennate in considerazione degli esiti della leva di classe anziane; dopo la caduta di Roma, la prospettiva della sollevazione compatta delle bande partigiane, unita alle notizie dei successi alleati che raggiungevano le province poste a nord della linea di combattimento, gettò nel caos le autorità repubblicane, dando agio ad una particolare narrazione degli eventi, fornita da Pavolini a Mussolini, nelle conseguenze di un suo viaggio nelle province toscane, alla metà di giugno.
Dal 17 al 21, il segretario è infatti occupato nel “disciplinamento della rotta” fascista nella “propria” regione, con particolare attenzione alla situazione della sua città natale, Firenze; qui venne organizzata, in collaborazione con Manganiello, una particolare forma di resistenza contro la minaccia di “sommersione”. Nel resto delle province, in particolare per quelle meridionali di Grosseto, Siena <34 e, in parte Arezzo, le autorità del partito e quelle della prefettura avevano dato una prova “pessima” nella prospettiva di resistenza ad oltranza disposta da Pavolini; buono il morale e accettabile la resistenza delle province di Pisa e Livorno, mentre in una posizione intermedia vengono poste le condotte dei federali e dei capi della provincia di Firenze e Pistoia <35; nelle province abruzzesi e laziali, invece, la Guardia Nazionale si era “squagliata” senza sparare un colpo, manifestando con azioni considerate “vili” un’esplosione di panico diffuso e difficilmente controllabile. Un esempio viene dato dalla GNR di Frosinone che, già sul finire di maggio diede prova di “codardia”, concretizzatasi nell’atteggiamento di numerosi suoi ufficiali che si tolsero i fascetti dal bavero, sostituendoli con le stellette <36. Un atteggiamento che in realtà comprendeva anche molte province del nord, in cui era maggiormente pressante la presenza delle bande partigiane, come nel Cuneese ed a Torino, ma non solo.
A Brescia, nelle immediate vicinanze del centro governativo gardesano, Casalinuovo riportava una “affannosa corsa” dei legionari della Guardia per ottenere abiti borghesi, confermando che i timori di crollo superavano anche la Valle del Po <37. La prova fortemente negativa data dalla GNR è del resto confermata dagli stessi notiziari, raccolti da Pansa nella sua monografia sull’esercito della Repubblica <38. Lo sbandamento della GNR venne quindi preso a pretesto da Pavolini per affermare che, gli unici che avevano “retto la situazione sono stati i fascisti e solo i fascisti (,) quelli immessi nella Guardia e nella Polizia e quelli propriamente del Partito per quanto coi ranghi ridotti dall’arruolamento volontario di tutti i giovani (sic). Inoltre i fascisti non erano quasi per niente armati (dato che in molte province i depositi di armi erano stati affidati ai carabinieri immessi nella GNR...) Naturalmente in tutto ciò gioca anche la concezione germanica, giusta in astratto, per cui non si debbano armare i “civili” e solo i reparti militari. Ma, in concreto, il problema è solo di fedeltà degli uomini” <39.
Le parole di Pavolini suonano in maniera molto simile a quello che fu il successivo resoconto dell’incontro tra lo stesso segretario e Kesselring, avvenuto verosimilmente durante il “giro di ispezione” nelle province meridionali della RSI, mentre il feldmaresciallo stava guidando le fasi di sganciamento e ritirata del grosso delle forze della Wehrmacht.
[NOTE]
25 Comunicazione di Pavolini alle federazioni provinciali del Partito, del 4 giugno 1944, in Archivio dell’Istituto per la Storia dell’età contemporanea di Reggio Emilia (da ora ISTORECO), b. 14H, f. Carteggio fascista, sf. Circolari del PFR, citato anche in Gagliani, Brigate Nere, op. cit. p. 36.
26 Ivi, sf. GNR e Brigate Nere, e ibidem.
27 Costa, op. cit. p. 92.
28 Ibidem.
29 Adduci, Gli altri, op. cit. p. 167.
31 Gagliani, Brigate Nere, op. cit., pp. 34-36.
32 Ibidem.
33 Peli, Storia della Resistenza, op. cit. pp. 79 e seg. Sulle difficoltà di effettivo coordinamento tra organismi di direzione militari e politici con le bande in montagna, si rinvia a id. Vecchie bande e "nuovo esercito"; i contrasti tra partigiani nella "grande estate" del '44 in id. La Resistenza difficile, op. cit.
34 Il capo della provincia senese Chiurco, per l’eccessiva “arrendevolezza” dimostrata venne successivamente sottoposto ad una commissione d’inchiesta, cfr. Relazioni del Ministero dell’Interno del 15 e del 22 marzo 1945, in Nara, Rg. 226. e. 174, b. 22, f. 151
35 Lettera di Pavolini a Mussolini del 24 giugno 1944, in ACS, SPD, CR, RSI, b. 62, f. 631, sf. 2. Il rapporto di Pavolini si basava, come scritto in Gagliani, Brigate Nere, pp. 40, 41, sulla relazione dello stesso segretario sottoposta al duce, sulla situazione politica in Toscana, in ivi, b. 61, f. 630, sf. 6/c.
36 Relazione dell’ispettore generale delle forze ausiliarie Casalinuovo del 28 giugno 1944, in ACS, RSI, PFR, b 2, f. 4, sf. 5.
37 Ibidem.
38 Pansa, op. cit. pp. 131 e seg.
39 Lettera di Pavolini a Mussolini del 24 giugno 1944, doc. cit.

Jacopo Calussi, Fascismo Repubblicano e Violenza. Le federazioni provinciali del PFR e la strategia di repressione dell’antifascismo (1943-1945), Tesi di dottorato, Università degli Studi Roma Tre, 2018

Pavolini inoltre, scontrandosi con le ritrosie di Graziani, avanzò la richiesta a Mussolini di formare un corpo di difesa aggiuntivo alla frammentaria G.N.R. Il 26 giugno il Duce firmò un decreto per la costituzione del “Corpo ausiliario delle squadre d’azione delle Camicie Nere”, affidando il loro comando generale al segretario del Partito, che a sua volta affiderà il comando delle Brigate nelle varie provincie della Repubblica a fedelissimi Commissari Federali che prenderanno il nome di Comandante di Brigata (tutti comunque di comprovata ed antica fede fascista) <5. Pavolini, volle quindi creare o meglio tentare di riprodurre sul modello partigiano un movimento antipartigiano con le stesse caratteristiche <6. La loro nuova divisa di riconoscimento per la popolazione, sarebbe stata composta da un giubbetto a vita di panno ovviamente nero con sopra un maglione dello stesso colore, il berretto da sciatore e pantaloni alla zuava. Le federazioni fasciste assunsero il nome di “Brigate Nere del Corpo Ausiliario”, dandosi il nome di un caduto gloriosamente morto in servizio per la causa fascista della loro zona <7.
5 Cfr. Arienti Pietro, La Resistenza in Brianza 1943‐1945, Bellavite Missaglia Editore 2006, p.113;
6 Cfr. Roncacci Vittorio, op. cit., p.130;
7 Cfr. Arienti Pietro, op. cit., p.113;
Laura Bosisio, Guerra e Resistenza in Alta Brianza e Vallassina, Tesi di Laurea, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Anno Accademico 2008-2009

Come sostiene Aurelio Lepre, “la formazione dell’esercito della RSI fu determinante nel dare un carattere fortemente drammatico alla spaccatura fra gli italiani. Per questo, le responsabilità di Graziani nello scoppio della guerra civile furono quasi uguali a quelle di Mussolini. Mentre la Milizia di Ricci mobilitava solo i fascisti, la formazione dell’esercito di Graziani costrinse tutti i giovani attraverso la leva, a prendere le armi accanto ai tedeschi o a disertare” <296.
Effettivamente quasi tutti gli studi recenti e passati sono concordi nel mettere in luce come, al di là dell’immagine propagandistica di un esercito di Salò coeso e unito, la realtà fosse ben diversa <297. A minare le basi del giovane esercito repubblicano furono soprattutto la diffusa renitenza alla leva e l’altrettanto esteso fenomeno delle diserzioni che la propaganda tentava in tutti i modi di nascondere. Agirono, contemporaneamente, anche altri aspetti come i forti dissidi interni tra le autorità della RSI e l’atteggiamento critico e ostruzionista dei tedeschi, dopo l’8 settembre, poco inclini a fidarsi degli italiani e “sempre pronti ad attrarre nuovi uomini per le loro unità” <298.
La frammentazione delle forze armate repubblicane era, d’altra parte, una caratteristica congenita, presente sin dall’atto costitutivo dell’esercito e dovuta, in primo luogo, al confluire in esso di numerosi reparti, molti dei quali dipendenti solo nominalmente dal Ministero della Difesa Nazionale.
L’esercito repubblicano nacque ufficialmente con il Decreto del Duce del fascismo del 27 ottobre 1943. Il decreto stabiliva lo scioglimento delle regie forze armate e la costituzione delle forze armate repubblicane <299. Lo stesso giorno il governo emanò la legge fondamentale sull’esercito, inquadrato in reparti costituiti da volontari e da militari di leva. Ne entrarono a far parte i militari e gli ufficiali dell'ex esercito regio che decisero di aderire alla RSI <300 (ce ne furono alcune migliaia anche tra gli internati militari) <301 e le reclute del 1924 e 1925, sulle quali piombò il primo bando di arruolamento emanato il 4 novembre 1943. Già in quella prima chiamata alle armi, erano previste misure di rappresaglia, per evitare le evasioni al reclutamento, che andavano dall’arresto dei familiari del renitente al rastrellamento: in campo nazionale su 180.000 precettati, se ne presentarono circa 87.000.
I primi coscritti e una parte di militari internati in Germania finirono col formare le prime, e uniche, quattro divisioni del nuovo esercito (inizialmente nei progetti di Graziani ne dovevano essere create venticinque). Inviate in Germania, furono addestrate dai tedeschi e, una volta rientrate in Italia, furono impiegate principalmente in azioni contro i partigiani.
Le Grandi Unità addestrate in territorio tedesco furono la Divisione Fanteria di Marina San Marco, la Divisione Bersaglieri Italia, la Divisione Granatieri e Alpini Littorio e la Divisione Alpina Monterosa. <302
In basse alla Relazione sintetica sulla riorganizzazione dell’esercito, redatta dall’Ufficio Operazioni e Servizi dello Stato Maggiore del 29 marzo 1944, il gettito complessivo dell’esercito e dell’aeronautica fornito dalle regioni italiane non occupate dagli anglo-americani, toccava i 211.105 richiamati e volontari <303.
La costituzione del nuovo esercito si presentò sin dagli esordi problematica. I primi ad aderire furono i fascisti di antica e nuova fede. La prima forza armata della RSI fu la Guardia Nazionale Repubblicana (GNR), “nata tra il novembre e il dicembre 1943 attorno a quei reparti della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (MVSN), nominalmente formati da soli volontari che avevano rifiutato l’Armistizio” <304. La GNR raccolse i Carabinieri, la Guardia di Finanza, i reparti di Camicie Nere (CC.NN.), e le formazioni di polizia stradale, confinaria e carceraria, arrivando a inquadrare nei suoi ranghi anche la ormai superflua Polizia dell’Africa Orientale (PAI) <305.
La storia dell’esercito di Salò inizia nello stesso modo. In Italia settentrionale un primo nucleo del futuro esercito repubblicano si radunò attorno alle esigue formazioni rimaste immuni dal naufragio dell'otto settembre. Nello stesso modo si formeranno anche le poche unità dell'Aeronautica e della Marina che serviranno sotto l'emblema del gladio e dell'alloro <306.
Si aggiunsero poi i volontari italiani già arruolati dalla Wehrmacht, compresi una cinquantina di battaglioni di operai addetti alle fortificazioni che si avvicendarono lungo la mutevole linea del fronte italiano <307.
I battaglioni di lavoratori italiani furono integrati all’interno dell’Organizzazione Todt, nota anche con la sigla O.T. Dipendente dal Ministero della Difesa Nazionale e posta sotto il controllo di Fritz Sauckel (plenipotenziario del lavoro militarizzato del Reich) e della Wehrmacht <308. Fu addirittura creata un’Intendenza militare del lavoro con l’incarico di gestire questi reparti, che ben presto finirono paradossalmente coll’alimentare l’emorragia dei giovani dall’esercito repubblicano. Infatti, pur non essendo obbligatorio, il reclutamento nella Todt sostituiva altre forme di coscrizione e offriva migliori condizioni di vita rispetto all’esercito.
In alcuni casi in Italia l’O.T. reclutò forzatamente la manodopera soprattutto per costruire fortificazioni e, nelle due zone speciali (Litorale adriatico e Prealpi), per sorvegliare le vie di comunicazione, obiettivi sensibili della lotta partigiana.
Oltre alla Todt, come forza a essa sussidiaria, in Italia operò l’Organizzazione Paladino, fondata dal generale Francesco Paladino. Essa aveva funzioni simili alla struttura germanica ed era organizzata in Ispettorati, con sedi dislocate in alcune città dell’Italia centro settentrionale (Roma, Firenze, Milano e Verona). La Paladino reclutava manodopera per la costruzione delle fortificazioni nell’Italia centrale <309. Molti italiani erano stati arruolati nella FLAK (FlugabwehrKanone – cannone contraerei). L’acronimo indicava l'artiglieria contraerea tedesca durante la Seconda guerra mondiale. Tra il 1944 e il 1945, almeno 10.000 soldati (comprese 677 donne) finirono col militare nella Flak tedesca di stanza in Italia, posti agli ordini del generale Von Hippel <310. La promiscuità tra personale italiano e tedesco non dava sempre frutti positivi, considerato l’atteggiamento sospettoso dei tedeschi e l’insofferenza degli italiani di fronte agli scomodi alleati.
[NOTE]
296 A. Lepre, La storia della Repubblica di Mussolini. Salò: il tempo dell’odio e della violenza, Mondadori, Milano 1999, pp. 146-166.
297 Per un’esaustiva bibliografia sulla questione dell’esercito repubblicano si veda la n. 251 del cap.1.
298 L. Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia, 1943-1945, Bollati Borighieri, Torino 1993, pp. 266-296.
299 Decreto del duce 27 ottobre 1943, Scioglimento delle Forze Armate Regie e costituzione delle Forze Armate Repubblicane, Gazzetta Ufficiale 10 novembre 1943, n. 262.
300 Ibidem, Art. 2: “Gli ufficiali e i sottoufficiali di carriera sono tutti volontari. La provenienza degli ufficiali è unica: tutti debbono cominciare il servizio come soldati in corpo di truppa e avanzare per meriti esclusivamente militari, secondo le norme che saranno in seguito emanate”.
301 Sulla questione degli Internati Militari Italiani in Germania (IMI) si vedano: N. Labanca, Internamento militare italiano, in Dizionario della Resistenza, a cura di E. Collotti, R. Sandri, F. Sessi, vol I, Einaudi, Torino 2000, pp. 113-119; Associazione nazionale ex internati (Anei), Resistenza senz’armi. Un capitolo di storia italiana (1943-1945) dalle testimonianze di militari toscani internati nei lager nazisti, Le Monnier, Firenze 1984 (2^ edizione 1988); E. Collotti, L. Klinkhammer, Il fascismo e l’Italia in guerra. Una conversazione tra storia e storiografia, Ediesse, Roma 1996; N. Labanca (a cura di) Fra sterminio e sfruttamento. Militari internati e prigionieri di guerra nella Germania nazista(1939-1945), Le Lettere, Firenze 1992; A. Natta, L’altra Resistenza. I militari internati in Germania, Einaudi, Torino 1997.
302 C. Cucut, Le Forze Armate della R.S.I. 1943-1945. Forze di terra, Gruppo Modellistico Trentino di studio e ricerca storica, Trento 2005, p. 34 e sgg.
303 AUSSME, fondo I/1, busta 1, fascicolo 6, 1944 marzo 29, Relazione sintetica sulla riorganizzazione dell’esercito.
304 A. Rossi, Le guerre delle Camicie Nere. La milizia fascista dalla guerra mondiale alla guerra civile, Edizioni Biblioteca Franco Serantini, Pisa 2004.
305 Decreto legislativo del duce, 8 dic 1943, n. 913, Istituzione della Guardia Nazionale Repubblicana, in V. Caputo e G. Avanzi, Le leggi per le forze armate…, cit., pp. 98 – 99. N. Arena, RSI: Forze armate della Repubblica sociale italiana: la guerra in Italia 1943, Albertelli editore, Parma 1999.
306 E. Mastrangelo, Presenti arbitrari. Le diserzioni nelle Forze Armate della Repubblica Sociale Italiana, Italia Storica, Genova 2012, pp. 26-29.
307 Ibidem.
308 Il nome Organizzazione Todt deriva dal plenipotenziario per le costruzioni edili Fritz Todt, che fu individuato come responsabile dei progetti civili e militari nell’ambito del Piano quadriennale e della preparazione economica per la guerra in Germania. Per realizzare tali progetti, Todt utilizzò la manodopera messa a disposizione dall’introduzione del servizio del lavoro obbligatorio in Germania. Durante la guerra, l’ingegnere Todt progettò monumentali fortificazioni militari come il Vallo atlantico a cui si aggiunsero altri lavori per la riparazione dei danni provocati dalla guerra. A tal fine l’Organizzazione Todt, autonoma dall’autorità militare, si avvalse di manodopera coatta, tra cui molti prigionieri provenienti dai campi di concentramento, installandosi in tutti i Paesi occupati. E. Collotti, L’occupazione tedesca in Italia, in Dizionario della Resistenza, a cura di E. Collotti, R. Sandri, F. Sessi, vol. 1, Einaudi, Torino 2000, p. 63.
309 L. Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia, 1943-1945, cit., pp. 266 e sgg.; C.A. Clerici, L’Organizzazione Todt e le sue attività in Italia durante la Seconda guerra mondiale, “Uniformi & Armi”, ottobre 1995, pp. 56 - 63.

Samuele Tieghi, Le Corti Marziali di Salò. Il Tribunale Regionale di Guerra di Milano (1943-1945), Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Milano, Anno Accademico 2012-2013