La storia letteraria del Novecento ligure è stata fino a qui una vicenda da raccontare in versi piuttosto che in prosa. Nobili esperienze poetiche, di levatura non solo nazionale ma spesso anche europea, “ingombrano” la scena e adombrano le presenze degli autori in prosa che, numerose, delineano di rispetto un ritratto articolato e disomogeneo, nel quale a prevalere, almeno fino allo spartiacque dell’ultima guerra, è la frequentazione, a tratti straordinariamente fortunata, della narrativa di consumo. Fra avventura e sentimento, costume e storia sono di frequente le appendici dei giornali e le alte tirature di editori come Treves e Sonzogno a laureare alcuni campioni dell’affermazione e diffusione del genere romanzesco in Italia (rammentando appena, al riguardo, la preminenza assoluta guadagnata da Edmondo De Amicis, legato alla Liguria da circostanze biografiche, la nascita a Oneglia nel 1846 e la morte a Bordighera nel 1908, e assai meno dalle rade occorrenze registrabili nell’opera narrativa o giornalistica, il cui baricentro di valori è nella Torino e nell’Italia postunitaria). Dall’anziano Barrili, attivo ancora ad inizio secolo, al suo “discepolo” Alessandro Varaldo, divenuto, fra l’altro, prima firma italiana di polizieschi nella neonata collana «Libri Gialli» di Mondadori, per arrivare alle giornaliste-scrittrici (Flavia Steno, Willy Dias, Irene Brin, Marise Ferro), che conferiscono e mantengono inalterato alla regione un primato di consistenza rispetto al fenomeno della scrittura al femminile (dal dopoguerra, per richiamare alcuni nomi, Milena Milani, Camilla Salvago Raggi, Beatrice Solinas Donghi, Gina Lagorio, Elena Bono).
Oltre a quella di Giovanni Boine, il cui anti-romanzo Il peccato, dal «lirico intrecciarsi di molto pensiero sulla scarsezza di pochi fatti» (come esplicitava l’autorecensione di «Plausi e botte»), gettava un ponte tra il frammentismo vociano e la narrativa lirica in misure brevi di alcuni liguri d’eccezione, sono però almeno altre due le figure di primo piano che, muovendo dalla Liguria o rimanendo avvinte alla sua anima ruvida e malinconica insieme, hanno partecipato pienamente della civiltà letteraria del secondo Novecento.
In una lontana intervista del 1960 Carlo Bo, dalla Liguria all’Italia voce critica individuata allo spartiacque fra rigore etico e religioso della tradizione cattolica e posizione esistenzialistica, distingueva i corregionali in due grandi categorie: «quelli attaccati ai propri luoghi come patelle allo scoglio» e «quelli che per casa hanno il mondo e dovunque siano si trovano come a casa loro» ma che a casa « tornano regolarmente [...] restano attaccati al loro paese non meno dei primi». In questa seconda famiglia può legittimamente trovare accoglienza Italo Calvino che, nato vicino a L’Avana nel 1923, fu ligure per ascendenza paterna e nell’estremo Ponente crebbe, studiò, visse il tempo drammatico della guerra e della Resistenza e il trauma della speculazione edilizia e della progressiva provincializzazione della San Remo del dopoguerra, trasformata da cittadina cosmopolita a periferia lombardo-piemontese.
[...]
L’ultimo scorcio del Novecento letterario in Liguria riconduce il percorso fino a qui compiuto là dove ha preso le mosse, nelle terre dell’estremo Ponente, dalla cui angolata prospettiva lo sguardo sul mondo pare doversi specialmente affilare e accuminare. E così, se nell’orizzonte culturale e sociale dello spezzino e della Val di Magra, e negli ambienti anarchici da là trapiantati nell’Egitto di Ungaretti e Pea, si avvia il primo romanzo di successo di Maurizio Maggiani (Castelnuovo Magra, 1951), Il coraggio del pettirosso (1995), e se nella couche dialettale di un borgo di contadini e pescatori aggrappato alle pendici del Golfo dei Poeti affonda l’immaginario e la lingua dei versi e dei racconti di Paolo Bertolani, legato a La Serra dalla nascita nel 1931 e amico di Sereni e Bertolucci, di Giudici e Soldati, è nella culla delimitata dal tratto di costa compreso fra San Remo e Nizza e dalle incavate ed erte valli Argentina e Ròia che sono cresciute tre importanti figure di narratori dell’ultimo ventennio. Da una parte quella di Giuseppe Conte (nato ad Imperia nel 1945), intrisa agli esordi dell’intensità lirica della parallela ricerca poetica (Equinozio d’autunno, 1987) e poi trasposta sul terreno avventuroso dell’incontro fra mito e storia (L’impero e l’incanto del 1995 e Il ragazzo che parla col Sole del 1997) e condotta con scrittura camaleontica a difesa della vitalità dell’invenzione attraverso un esibito codice letterario (D’Annunzio e Montale, Shelley e Lawrence); dall’altra quella di Nico Orengo (1944), torinese per nascita ma ligure per ascendenza ed elezione, tanto da individuare nel paesaggio ponentino di costa e di entroterra alcuni scenari privilegiati per la sua osservazione ironica della società contemporanea (si pensi alla rivoluzione indotta dalla televisione nel tempo immobile della provincia raccontata in Ribes, del 1988, o all’inquinamento che insidia l’isola incontaminata delle vacanze ne La guerra del basilico, del 1994, senza trascurare le sottili e sfumate investigazioni esistenziali de Le rose di Evita e de L’autunno della signora Waal, rispettivamente del 1990 e del 1995).
Di una generazione precedente, ma, con i tempi riflessivi e lenti di una maturità lungamente coltivata, giunto anch’egli all’esordio letterario nei primi anni Ottanta, era Francesco Biamonti (1928-2001). Iniziata, consumata e conclusa nel piccolo paese di San Biagio della Cima, nell’immediato retroterra bordigotto, la biografia di Biamonti descrive un uomo schivo e appartato, ligure per una reticenza vicina al silenzio e per misura e discrezione; ma dischiude, al contempo, nelle letture, nei viaggi e negli incontri degli anni che separano la giovinezza dal tardivo affacciarsi sulla scena editoriale, il retroterra di un autore della cui opera e poetica sempre più si chiariscono in sede critica le sorprendenti e feconde intersezioni con le esperienze di pensiero [...]
Federica Merlanti, La letteratura in Liguria fra Ottocento e Novecento, 4. L’altra storia: la Liguria e i suoi narratori, in La letteratura in Liguria fra Ottocento e Novecento - Storia della cultura ligure (a cura di Dino Puncuh), Società Ligure di Storia Patria - biblioteca digitale - 2016
Oltre a quella di Giovanni Boine, il cui anti-romanzo Il peccato, dal «lirico intrecciarsi di molto pensiero sulla scarsezza di pochi fatti» (come esplicitava l’autorecensione di «Plausi e botte»), gettava un ponte tra il frammentismo vociano e la narrativa lirica in misure brevi di alcuni liguri d’eccezione, sono però almeno altre due le figure di primo piano che, muovendo dalla Liguria o rimanendo avvinte alla sua anima ruvida e malinconica insieme, hanno partecipato pienamente della civiltà letteraria del secondo Novecento.
In una lontana intervista del 1960 Carlo Bo, dalla Liguria all’Italia voce critica individuata allo spartiacque fra rigore etico e religioso della tradizione cattolica e posizione esistenzialistica, distingueva i corregionali in due grandi categorie: «quelli attaccati ai propri luoghi come patelle allo scoglio» e «quelli che per casa hanno il mondo e dovunque siano si trovano come a casa loro» ma che a casa « tornano regolarmente [...] restano attaccati al loro paese non meno dei primi». In questa seconda famiglia può legittimamente trovare accoglienza Italo Calvino che, nato vicino a L’Avana nel 1923, fu ligure per ascendenza paterna e nell’estremo Ponente crebbe, studiò, visse il tempo drammatico della guerra e della Resistenza e il trauma della speculazione edilizia e della progressiva provincializzazione della San Remo del dopoguerra, trasformata da cittadina cosmopolita a periferia lombardo-piemontese.
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L’ultimo scorcio del Novecento letterario in Liguria riconduce il percorso fino a qui compiuto là dove ha preso le mosse, nelle terre dell’estremo Ponente, dalla cui angolata prospettiva lo sguardo sul mondo pare doversi specialmente affilare e accuminare. E così, se nell’orizzonte culturale e sociale dello spezzino e della Val di Magra, e negli ambienti anarchici da là trapiantati nell’Egitto di Ungaretti e Pea, si avvia il primo romanzo di successo di Maurizio Maggiani (Castelnuovo Magra, 1951), Il coraggio del pettirosso (1995), e se nella couche dialettale di un borgo di contadini e pescatori aggrappato alle pendici del Golfo dei Poeti affonda l’immaginario e la lingua dei versi e dei racconti di Paolo Bertolani, legato a La Serra dalla nascita nel 1931 e amico di Sereni e Bertolucci, di Giudici e Soldati, è nella culla delimitata dal tratto di costa compreso fra San Remo e Nizza e dalle incavate ed erte valli Argentina e Ròia che sono cresciute tre importanti figure di narratori dell’ultimo ventennio. Da una parte quella di Giuseppe Conte (nato ad Imperia nel 1945), intrisa agli esordi dell’intensità lirica della parallela ricerca poetica (Equinozio d’autunno, 1987) e poi trasposta sul terreno avventuroso dell’incontro fra mito e storia (L’impero e l’incanto del 1995 e Il ragazzo che parla col Sole del 1997) e condotta con scrittura camaleontica a difesa della vitalità dell’invenzione attraverso un esibito codice letterario (D’Annunzio e Montale, Shelley e Lawrence); dall’altra quella di Nico Orengo (1944), torinese per nascita ma ligure per ascendenza ed elezione, tanto da individuare nel paesaggio ponentino di costa e di entroterra alcuni scenari privilegiati per la sua osservazione ironica della società contemporanea (si pensi alla rivoluzione indotta dalla televisione nel tempo immobile della provincia raccontata in Ribes, del 1988, o all’inquinamento che insidia l’isola incontaminata delle vacanze ne La guerra del basilico, del 1994, senza trascurare le sottili e sfumate investigazioni esistenziali de Le rose di Evita e de L’autunno della signora Waal, rispettivamente del 1990 e del 1995).
Di una generazione precedente, ma, con i tempi riflessivi e lenti di una maturità lungamente coltivata, giunto anch’egli all’esordio letterario nei primi anni Ottanta, era Francesco Biamonti (1928-2001). Iniziata, consumata e conclusa nel piccolo paese di San Biagio della Cima, nell’immediato retroterra bordigotto, la biografia di Biamonti descrive un uomo schivo e appartato, ligure per una reticenza vicina al silenzio e per misura e discrezione; ma dischiude, al contempo, nelle letture, nei viaggi e negli incontri degli anni che separano la giovinezza dal tardivo affacciarsi sulla scena editoriale, il retroterra di un autore della cui opera e poetica sempre più si chiariscono in sede critica le sorprendenti e feconde intersezioni con le esperienze di pensiero [...]
Federica Merlanti, La letteratura in Liguria fra Ottocento e Novecento, 4. L’altra storia: la Liguria e i suoi narratori, in La letteratura in Liguria fra Ottocento e Novecento - Storia della cultura ligure (a cura di Dino Puncuh), Società Ligure di Storia Patria - biblioteca digitale - 2016