lunedì 9 agosto 2021

E questo gioco comincia a fare tanti nuovi proseliti


Il Ministero emette il 19 luglio 2018 un francobollo ordinario appartenente alla serie tematica “lo Sport” dedicato alla Federazione Italiana Giuoco Calcio, nel 120° anniversario della fondazione, relativo al valore della tariffa B.
Il francobollo è stampato dall'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato S.p.A., in rotocalcografia, su carta bianca, patinata neutra, autoadesiva, non fluorescente; grammatura: 90 g/mq; supporto: carta bianca, autoadesiva Kraft monosiliconata da 80 g/mq; adesivo: tipo acrilico ad acqua, distribuito in quantità di 20 g/mq (secco); formato carta: 40 x 30 mm; formato stampa: 40 x 26 mm; formato tracciatura: 46 x 37 mm; dentellatura: 11 effettuata con fustellatura; colori: tre più oro; tiratura: ottocentomila esemplari.
Bozzetto: a cura del Centro Filatelico della Direzione Officina Carte Valori e Produzioni Tradizionali dell'Istituto Poligrafico e Zecca Dello Stato S.p.A.
La vignetta, delimitata da due bande orizzontali, riproduce il logo del 120° anniversario della fondazione della Federazione Italiana Giuoco Calcio, nata a Torino nel 1898. [...]
Redazione, Comunicato - Emissione francobollo dedicato alla Federazione Italiana Giuoco Calcio, nel 120° anniversario della fondazione, Ministero dello sviluppo economico, 10 Luglio 2018

Il gioco del calcio l’hanno “inventato” gli inglesi, i primi calci, in Italia, a quello strano coso che si chiama pallone li hanno dati i genovesi, ma il calcio organizzato, il calcio ufficiale, il calcio con regole e misure è una faccenda tutta nostra, tutta torinese. Venite a leggere.
E’ strano che per svolgere una storia del calcio in Piemonte e nella Valle d’Aosta, si debba parlare, innanzi tutto, di ginnastica, poi di canottaggio (arte remiera, s’usava dire!) e solo dopo di foot-ball. Già, la ginnastica… il canottaggio… il foot-ball, scritto con il trattino a dividere o unire i due vocaboli, termini che sembrano voler raccontare una storia bislacca ed invece sono accumunati dal medesimo destino.
E’ successo proprio così, la disciplina del mens sana in corpore sano aveva attecchito, nel diciannovesimo secolo, in diverse località della nostra penisola, poi si era tramutata nel gioco del calcio per merito, quasi esclusivo, degli equipaggi di diverse navi del Regno Unito, dove era stato inventato il gioco, e, in considerazione del fatto che le navi attraccano ai moli dei porti marini e… ben difficilmente ai piedi di una montagna, Genova, Napoli, Livorno possono vantare la primogenitura di qualche partita estemporanea, al solito giocata tra marinai inglesi e frequentatori di quel ben determinato porto, mentre se vogliamo parlare di ufficialità, anche di “nobiltà”, ma soprattutto di organizzazione dobbiamo puntare diritto verso le prime anse della valle del Po, verso quella Torino che è stata fucina di ogni tipo di innovazione e, per non smentirsi, anche della regolamentazione del gioco del calcio in Italia.
Se si vuole essere cronisti corretti di un evento che si è sviluppato enormemente nel tempo non si può non raccontare come tutto ciò che sa di ufficialità sia partito da Torino. E’ risaputo, infatti, che il calcio organizzato bene, fine, con metodo e cognizione è nato nella città sabauda in un freddo mese di marzo dell’anno 1898. E’ meno conosciuto il fatto che i tanti personaggi legati a questa disciplina, gente dedita, prima di tutto, al proprio lavoro e, soltanto dopo, all’hobby dello sport, provengano da altre latitudini, da altre esperienze, da altri ambienti ma, comunque, impregnati di quell’humus piemontese in generale e torinese in particolare che ne hanno contraddistinto i gesti e, perché
no, le gesta. Per tracciare il cammino di questa nuova disciplina non possiamo non accennare a qualche episodio che ha finito per diventare una sorta di icona nel periodo iniziale del gioco del calcio e che ne caratterizza la stessa crescita esponenziale avvenuta in seguito.
[...] Le prime gare furono organizzate sui prati di Piazza d’Armi (sino ai primi anni ottanta del secolo scorso il campo esisteva ancora e chi ci giocava, quasi esclusivamente la domenica mattina, usava gli spogliatoi situati sotto le tribune dello Stadio Comunale, con ingresso dal cancello situato sotto la Torre Maratona e attraversamento, svestiti e sudati, del Corso Sebastopoli), poi al Valentino, quindi anche in Piazza della Cittadella e al velodromo di Corso Re Umberto e, infine, ma parecchio dopo, nel famoso “Stadium”, l’enorme, invivibile impianto sportivo piazzato, grosso modo, alle spalle dell’attuale Politecnico.
E questo gioco comincia a fare tanti nuovi proseliti. Anche le squadre, perché in undici si gioca, cominciano a proliferare. Con le maestranze di un’industria torinese di ottica che, in massa, chiedono di partecipare, i tanti nobili che non disdegnano, anzi, di correre su un prato e i vecchi amici di Bosio vengono formate altre squadre. Una di queste è il Football Club Torinese e, nel 1897, anche la Reale Società Ginnastica dà corpo ad una squadra di calciatori.
Ma accanto a questi famosi “undici”, c’erano le tante combriccole di ragazzotti che in qualsiasi spiazzo libero si davano da fare come dannati con un pallone (la palla di cuoio era ormai diventata il “pallone”) raccattato chissà dove. Questi “ragazzotti” di cui, purtroppo, non conosciamo alcun nome o “casato” sarebbero scesi in campo, negli anni seguenti, sotto l’egida di denominazioni come “Amatori”, “Audace”, “Cavour”, “Minerva”, “Pastore”, “Petrarca”, “Piemonte” e “Vigor”. Il calcio cominciava a diventare di massa, anche se una massa limitata: che siano stati loro i veri, unici, autorevoli, primi calciatori dilettanti?
Questo è un vocabolo che, all’epoca, manco era pronunciato in quanto del professionismo non esisteva neanche l’ombra e pertanto o si era giocatori di calcio o, come dicevano gli snob, footballers.
Come a Torino, seppur in misura minore in relazione alla quantità, anche in altre città del nord Italia il calcio aveva attecchito. Dapprima a Genova, era la capostipite, poi a Treviso, Udine, Milano e in altre località minori. Ma, sia chiaro, in ogni dove si giocavano delle gare cosiddette “amichevoli” (a volte neanche molto amichevoli, in quanto già all’epoca avvenivano scazzottature niente male sia tra soli giocatori che tra pubblico e gli stessi atleti o tra il solo pubblico che ancora non veniva chiamato “tifoso”, tanto che molto sovente, prima di incominciare, veniva chiamata la “forza pubblica” a far da… garante dell’incolumità generale, pur se occorreva pagarne il “servizio”!). Tutto era
improvvisato, dettato dalla voglia di agitarsi, sgranchirsi le membra e il vocabolo sopra indicato, scapestrati, era il titolo più comune con il quale venivano additati i giocatori del calcio dalla gente comune e dalle stesse autorità amministrative, militari o istituzionali che fossero.
[...] Con il proposito di fondare la F.I.F. (Federazione Italiana del Football) si riunirono a Torino i dirigenti delle quattro società sopradette allo scopo di organizzare metodicamente le attività calcistiche e di garantire il rispetto delle regole del gioco. Così avvenne il 16 marzo del 1898.
La sede della F.I.F. fu stabilita a Torino, in Piazza Castello (sotto i portici, nel tratto tra Via Roma e Via Accademia delle Scienze) presso l’emporio di Adolfo Jourdan, negozio specializzato nella vendita di «scarpe, cappelli, chincaglierie in generi di lusso, finticolli, polsini, cravatte e camicie».
Presidente, il primo della storia, fu nominato Mario Vicary, mentre, quale segretario, fu indicato lo stesso Adolfo Jourdan, motivo per cui si spiega l’alloggiamento della sede sociale presso la sua azienda.
Le cronache del tempo non accennano al luogo in cui si tenne la riunione decisiva, anche se negli atti della Reale Società Ginnastica, ospitata dalla sua fondazione in Via Magenta, appare uno scritto che riporta pochi elementi di una riunione tra appassionati footballers.
Gli stessi giornali dell’epoca, per tutti La Gazzetta del Popolo, non fanno cenno alla nascita ufficiale di una nuova disciplina sportiva, ma, per rimarcare gli ambienti, lo spirito e la compostezza dei torinesi, è gradevole osservare che, su quel famoso quotidiano, appariva in bella evidenza, il 4 marzo 1898, quindi poco prima della fondazione della F.I.F., un articolo che ricordava il Cinquantenario dello Statuto Albertino (emanato, appunto, il 4 marzo 1848) e che quello stesso Statuto era stato sostenuto da un certo Camillo Benso, conte di Cavour, descritto, cinquant’anni prima, in tal maniera: “V’era in Torino un uomo, ben maturo per senno e per metodici studi alla vita politica,”.
Quindi cenni di storia, abbozzi di politica e molte cronache dai distretti piemontesi, ma niente di sport o, per lo meno, di sport organizzato.
A questo punto e in considerazione del fatto che soltanto a Torino si poteva parlare di calcio ufficiale (pochi mesi dopo, precisamente l’8 maggio dello stesso anno 1898, si sarebbe disputato il primo Campionato di calcio italiano, sul prato del velodromo Umberto I, vinto dal Genoa dopo una semifinale e una finale disputatesi nello stesso giorno), non è artificioso annunciare che nel capoluogo piemontese era stato istituito il primo “comitato” della F.I.F., anche se quel termine, comitato, sarebbe diventato tale soltanto nel secondo dopoguerra e che, nel frattempo, avrebbe assunto, via via, altre denominazioni.
[...] I Campionati ufficiali di football, da quel 1898, continuarono a svolgersi regolarmente con prevalenza di vittorie dei rossoblu genovesi e, nel contempo, anche alcuni club lombardi fecero la loro apparizione. Si noti che tutte le manifestazioni calcistiche, cosiddette nazionali, erano comunque a base regionale in quanto soltanto nel nord ovest erano state formate squadre (società!) di rango, tanto è vero che le formazioni delle altre regioni, persino nelle amichevoli, rimediavano sistematicamente pesanti sconfitte anche da club non di primo piano.
E proprio come succede ai giorni nostri anche le polemiche erano, se non quotidiane, molto frequenti e di queste situazioni, qualcuno le chiamava “ibride”, altri “antagoniste” (erano i vocaboli che cominciavano ad apparire, per esempio, sulla “Gazzetta dello Sport” di Milano), ne approfittava qualche dirigente dell’una o dell’altra squadra, vuoi di Genova, vuoi di Milano. Il calcio, ancora football, manifestava la sua natura di istigatore delle genti (era un termine coniato dal giornalista e prima ancora calciatore, certo Edoardo Pasteur, sulle colonne del giornale ligure “Il Caffaro”) che si sarebbe ampiamente manifestata nei tanti anni a seguire.
I campionati avevano cominciato a divenire importanti non solo per coloro che giocavano le gare, ma anche per il pubblico che aveva cominciato ad apprezzare questo sport e, come sovente avviene, qualcuno voleva prevalere, nelle decisioni da prendersi, su qualcun altro [...]
Tito Delton, Una storia, tante storie, Volume 2°, Edizioni Libreria Cortina, Torino, 2012

[...] Tutto ha origine la sera di giovedì 7 settembre 1893. In un appartamento al numero 10 di Via Palestro, nel cuore di Genova, esattamente all'interno 4, si assiste a un fitto via vai di persone: Charles De Grave Sells, S. Green,  G.Blake, W. Riley, D.G. Fawcus, Sandys, E.De Thierry, Jonathan Summerhill Senior e Junior, Charles Alfred Payton.
Si tratta di distinti signori di passaporto britannico, che si accingono ascrivere una pagina molto importante nella storia del calcio italiano. Fra tutti spicca proprio Payton: futuro Baronetto dell'Impero britannico, ricopre la carica di Console generale di S. M. la Regina Vittoria a Genova.
L'appartamento in cui si riunisce la compagnia d'Albione è non a caso la sede del Consolato inglese nella Superba. I partecipanti alla riunione redimono l'atto di fondazione del Genoa Cricket and Football Club, ufficializzando di fatto il circolo che da oltre un anno svolgeva in città svariate attività sportive: principalmente il cricket (disciplina inglese di nobili origini), ma anche la waterpolo (l'attuale pallanuoto) e il calcio, disciplina, quest'ultima, considerata più popolare.
Ma cosa ci facevano i cittadini britannici a Genova in quegli anni? Con l'apertura del Canale di Suez, l'importante porto ligure era diventato centro commerciale privilegiato e attirava molte compagnie straniere, in particolare britanniche. E gli inglesi, una volta trasferitisi in città, amavano continuare a praticare gli sport che già praticavano in patria, fra cui, appunto, anche il calcio. Che una volta importato nella penisola avrebbe trovato largo seguito.
Il primo organigramma del Genoa così costituito vedeva Sir Charles Alfred Payton come patrono, la carica di presidente assegnata a Charles De Grave Sells e quella di vice a Summerhill senior. Come primo terreno di gioco viene scelto quello usato fino a quel momento in città, ovvero la Piazza d'Armi del Campasso a Sampierdarena, messo a disposizione già dal 1890 da due industriali scozzesi le cui aziende operavano nel capoluogo ligure, con le partite che venivano giocate al sabato. [...]
Paolo Camedda, Genoa, i 127 anni di storia del club più longevo d'Italia, GOAL, 7 settembre 2020