martedì 3 agosto 2021
Razzismo più o meno consapevole in alcune canzoni italiane del secondo dopoguerra
Il caso di Sugarbush ci pone esattamente dal fronte opposto al precedente, ovvero il caso di invenzione tematica, in una ricreazione di stampo coloniale italo-abissina.
In questo caso si tratta di traduzione multipla, e d’adattamento di seconda mano. Essendo l’originale di questa canzone tradizionale in lingua afrikaans certamente nessuno in Italia avrebbe controllato la versione originale degli anni Trenta (1933), composta da Fred Michel (n. 1898). In Gran Bretagna e Sud Africa Sugarbush fu cantata sia in inglese che in afrikaans da Eve Boswell (1922-1998), cantante di origini ungheresi che viveva appunto tra Sud Africa e Londra.
Ma il grande successo internazionale fu quello della versione americana di Doris Day e Frankie Laine del 1952, nota come la Sugarbush Polka (1952). Frankie Laine (Francesco Paolo Lo Vecchio) era allora all’apice della sua fama.
Sugarbush o mia Zulù, fu un altro successo di Nilla Pizzi in duetto con Gino Latilla (1953-1954). L’ambientazione italiana era sulla falsariga di Bingo Bongo, e di Zikipaki Zikipu (v. oltre), con echi di parodia coloniale che echeggiavano il bel ventennio. Forse nessuno si era reso conto che la canzone era stata composta in Sud Africa, da compositori afrikaner. Era una canzone composta durante la depressione degli anni Trenta. Diviene successo internazionale proprio negli anni Cinquanta, negli anni dell’inasprimento dell’Apartheid, divenendo il motivetto più popolare in Sud Africa. Sugarbush, o Suikerbossie, è anche la pianta nazionale emblema del Sud Africa, una protea. <15
Non aveva niente a che fare con la ‘piccola Zulù’, replicante della Zikipaki zikipu del 1929.
[...] Da notare che in Sugarbush vi è una totale assenza di neri, sia nella tematica che nella storia delle performances.
La versione italiana (1954) li ha introdotti, ma in modo caricaturale. La versione cantata ha una parte parlata:
Sugarbush
Misteriosi tamburi Zulù
rullate, rullate,
avvertite ogni capo tribù
che balla Sugarbush.
[...]
Traduzione semantica
Sugarbush,
Cosa dirà la tua mamma...
Allora passeggiamo assieme sotto la luna
Io, con la mia Sugarbush.
Non sa cucinare cibo
il suo cibo è crudo
non sa fare il té
il suo tè è debole
non sa infornare il pane
questo fermenta.
Ma ti aspetterò Sugarbush.
[...]
Lo spartito italiano riporta anche la versione originale inglese, e informa che è un fox-trot, e aggiunge istruzioni su battere le mani, e sulla pronuncia ‘Sciugarbusc’ ovvero ‘Balabù’.
Ritornello
Sugarbush oh mia Zulù,
tutta zucchero sei tu
ed hai una magica virtù,
sai ballare il Balabù.
Tanto bella ma tabù
Bala...Bala...Balabù
canta in coro la tribù
mentre al bianco cacciator
il tuo ballo infiamma il cuor.
Dice il piccolo servo Zulù:
“Badrone, badrone,
i leoni di asbeddano e du
non sbari e non fai più “bum!”.
Sugarbush insieme a te
balla bure il vecchio re
traballando biano bian
sveglia al collo e tuba in man.
Gli stereotipi aggiuntivi caricaturali sono l’ambientazione nel villaggio con un capo che ha una tuba in mano, e sveglia al collo, la figlia che balla il Balabù, il piccolo zulù che invita il bianco cacciatore suo Badrone a cacciare il leone. Curioso questo rullio dei tamburi che implica una percussione prodotta da bacchettine: non tamburi africani. Lo stesso stereotipo di sveglia al collo e tuba si ritrova anche in libri per bambini [...] L’imitazione caricaturale della parlata dei neri era già iniziata nei media con il cinema, sia in a Cinecittà che a Hollywood, e con i cartoni animati. Nella copertina dello spartito, la caricaturalità è enfatizzata con l’aggiunta dei tukul della tribù. Manca l’anello al naso, che però abbiamo in Bingo Bongo (v. oltre). Le parole di Sugarbush erano di Nisa, pseudonimo del grande paroliere napoletano Nicola Salerno (1910-1969), autore di molte canzoni di Renato Carosone, tra cui Guaglione e Tu vuò fa’ l’americano, e della versione italiana di Rosamunda. Per l’occasione nella copertina italiana era anche diventato Nisa Alik. Con Sugarbush sostanzialmente si replica il modello di Zikipaki (1929), la indù baiadera, figlia del gran capo. La copertina dello spartito evidenzia una stereotipizzazione echeggiante un vago esotismo afro-indiano, orientaleggiante, con uno schizzo della bella bajadera.
[...] Altra canzone tradotta negli anni Cinquanta, da un musical americano era Bingo Bongo. Bingo Bongo era percepita ancora una volta come stereotipo di Africa italiana, nonostante le buone intenzioni della canzone originale. Nel musical vi è la figura del missionario in Africa, che vuole convincere la popolazione nativa dei vantaggi della civiltà. Nel testo originale, la risposta del nativo è saggia, antesignana di una consapevolezza ecologica e antinucleare. Se però è cantata deformando la lingua secondo gli stereotipo caricaturali, l’effetto è sempre quello del dileggio. La canzone, in inglese Civilisation, risale al 1947, dal musical di Broadway Angel in the Wings, autori Bob Hilliard e Carl Sigman. Entrambi famosi songwriters e parolieri (Sigman era anche autore delle parole di Buonasera Signorina). La versione che all’epoca fu un successo internazionale fu quella di Danny Kaye con le Andrews Sisters
[...] La versione italiana inserisce enfasi negativa, sia linguistica che tematica. Viene marcato l’infinito sgrammaticato, secondo gli stereotipi del doppiaggio italiano, come quel sdare bene solo in Congo. La versione italiana elimina il missionario e i suoi buoni propositi, inserendo gli items di dileggio già visti: un grande esploratore, un capo tribù con la sveglia appesa al collo, anello al naso, ripetendo anche il no bono, che include anche saponette, in quanto presumibilmente i neri non si lavano. Inoltre, hanno anche ‘l’anello al naso,’ così come appare nella deformante ferocia caricaturale dello spartito italiano, dove un negroide con un osso infilato nelle mutande indossa sulle gambe nude delle ghettine. In mano una zagaglia [...]
La conclusione è che ‘Rimanere bono zulu! No impazzire tra voi laggiù Non sono scemo! Sdar bene qui!' Una versione registrata di Nilla Pizzi continua con intenti parodistici e sfociano nella satira politica con delle aggiunte: ‘no bono sigaredde la mia testa fare girar’, ‘ no bono pasciasciutta, meglio scimmia basta ragù', rafforzata da un clamoroso ‘no bono votazione elezione, tutto imbrogliar’. Vista la censura dell’epoca, non è presente nello spartito.
La contestualizzazione dell’adattamento italiano in chiave di argomentazione contro la civiltà, è quello dell’Italia delle elezioni del 1948 (18 aprile). Sparito il missionario, il negro risponde all’esplorator (che fa rima con equator e allor).
Il paroliere, inoltre, inserisce dell’ironia sull’esotizzazione dei ritmi ballabili italiani in voga: no bono vostra rumba, vostra samba, vostro spirou.
Oltre che dare una rappresentazione dell’Africa vista dall’Italia, all’epoca avevamo anche parolieri e musicisti che creavano ritmi latini e sambe, che sembravano originali. È il caso di El Negro Zumbon, con copertina al solito caricaturale, in quanto /Zumbòn/ contiene connotazione di buffonesco, nel 1952. Viene scritto per il film Anna, con musica di Armando Trovajoli (Roman Vatro) e parole di Francesco Giordano, protagonista una splendida Silvana Mangano.
Negro Zumbon
Ya viene el negro zumbòn
Bailando alegre el baion
Repica la zambomba
Y llama a la mujer
Tengo gana de bailar el nuevo compass
Dicen todos cuando me ven pasar
“Chicà, donde vas?”
“Me voy a bailar, el bayon!”
[...]
15 La Sugarbush o Suikerbossie è la Protea repens, una delle prime protee descritte da Linneo nel 1753. Produce nettare dalle proprietà medicinali, e fungeva anche da nutrimento per lo Sugarbird, la cui popolazione nella zona del Capo sta diminuendo. Non mancano allusività e giochi di parole su Sugarbird e Sugarbush. Non viene dato un nome in lingua africana. Attualmente usata come brand-name, anche nella comunicazione del turismo in Sud Africa.
Rosanna Masiola, Canzoni in Traduzione: Stereotipizzazione etnica negli Anni ’50, Visioni interdisciplinari, Gentes, anno II numero 2 - dicembre 2015
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