La censura a un certo punto porta al blocco quasi totale della produzione cinematografica prodotta dal Pci. Anche molti film dei paesi comunisti che il Pci volevano distribuire vennero fermati.
La censura, da un certo punto in poi, ha sistematicamente bocciato tutti i documentari indipendentemente dal loro contenuto. E questo per una ragione precisa e che non si limitava solo alla produzione di propaganda diretta, ma riguardava tutta la produzione cinematografica che faceva capo direttamente o indirettamente, al partito comunista. Mi riferisco, soprattutto, alla Libertas, che era una casa di distribuzione specializzata nella diffusione dei film dei paesi dell’est europeo che venne costantemente presa di mira. Si giunse al punto di vietare un documentario su una partita di calcio disputata tra la famosa Dinamo sovietica e non mi ricordo quale altra squadra, adducendo il pretesto che il film istigava all’odio fra i popoli. C’era stata una circolare di Scelba che partiva da un presupposto errato e cioè che questa casa di distribuzione servisse per portare soldi al Pci e che dunque questo filone di denaro doveva essere interrotto. In realtà non portavano soldi, casomai li hanno spesi, ma certo è che dopo una serie di interventi censori, la Libertas chiuse i battenti.
Per controbattere la censura, gli interventi dei questori e dei prefetti vennero realizzate le “filmine”. Ci racconti la storia di questo curioso escamotage?
Le filmine nascono casualmente, nel senso che un giorno si presentò alla Direzione del Partito comunista un ex prete, - un ex missionario allontanato dalla missione perché si diceva fosse troppo interessato ai bambini da evangelizzare - e mi chiede di parlare con Pajetta, che però era occupato. Allora lo ricevette Paolo Robotti. Robotti era - com’è noto - un personaggio abbastanza singolare perché era il comunista di “specie sovietica”. Era un uomo che camminava dritto come un fuso, con un busto prorompente. Si venne a sapere che la polizia sovietica gli aveva spaccato la spina dorsale, ma naturalmente lui di questo non parlava. Si vantò, però, di aver resistito agli interrogatori.
Sosteneva così la tesi, un po’ paradossale, che se un uomo non parlava, non si autoaccusava, veniva rilasciato e che quindi chi aveva parlato aveva fatto male a farlo.
Robotti parlò con l’ex prete che gli chiese: «ma perché voi comunisti non fate come noi preti che ci serviamo delle filmine, cioè delle diapositive, per attrarre la gente e per trasmettere degli elementi educativi?». Robotti capì che aveva ragione e, tra l’altro, gli tornò alla mente che nell’Unione Sovietica queste filmine venivano usate largamente. E allora si fece la scelta di produrre materiali di propaganda attraverso la filmina. Le leggi del cinema, e dunque le leggi di censura, infatti, riguardavano le immagini in movimento e queste invece erano immagini statiche. Appigliandoci a questa caratteristica, ci si buttò nella battaglia.
Con le filmine siete riusciti a evitare le censure?
Siamo quasi sempre riusciti a sfuggire agli interventi della polizia e delle prefetture, che trovavano sempre qualche pretesto per cercare di impedire le nostre iniziative. Queste specie di proiezioni avvenivano in modo capillare: nei caseggiati, nelle campagne, nelle piazze di piccoli paesi. Erano delle proiezioni che spesso venivano effettuate con una certa inventiva da parte dei propagandisti perché si inserivano dei commenti a voce, delle musiche (usando dei giradischi). Insomma, hanno avuto una loro funzione ed efficacia almeno fino al momento in cui è nata la televisione. Dunque si può dire che le filmine occuparono il periodo che andò grosso modo dal 1952 al 1955: questo è l’arco di tempo. Io ero il responsabile di questo lavoro.
Quindi hai cominciato a lavorare per Botteghe Oscure per realizzare le “filmine”?
Fui chiamato dalla Sezione cinema della Direzione del partito, dove allora il responsabile era Beppe Alessandri, mentre il suo braccio destro era Elio Petri. Per questa attività, in un primo momento, avevano pensato ad Umberto Barbaro, però non era disponibile perché doveva andare in Polonia a fare un film con Vergano e ad insegnare alla scuola di cinema. E allora mi fu affidato il compito di seguire questo settore. L’idea che avevo - non ero da solo, naturalmente, poiché c’era un giro di collaboratori tra i quali Giorgio Grillo - era di cambiare in linguaggio delle diapositive, che era in genere di tipo illustrativo, quindi molto statico. Il nostro sforzo fu quello di applicare le tecniche del cinema alla filmina, usando il montaggio per analogia o quello per contrasto. Abbiamo usato le filmine per parlare un po’ di tutto. Ad esempio, nel 1953 siamo riusciti a spiegare attraverso i disegni che cosa sarebbe successo se fosse passata la “Legge truffa”. Toccavamo molti temi politici come il riarmo della Germania o la bomba atomica e gli effetti tragici dei bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki. In quegli anni, infatti, stavano venendo fuori le testimonianze, anche visive, dei danni, dei guasti causati dalle radiazioni a distanza di anni. Affrontammo anche gli scandali che già allora fiorivano nel nostro paese. Alcune filmine avevano il carattere del reportage, dell’inchiesta. E, poi, man mano siamo arrivati a fare un vero e proprio settimanale in filmina, tutto visivo: con pezzi di politica interna, politica esterna, una parte documentaria, una parte sulla recensione cinematografica e, dulcis in fundo, la striscia comica di Pino Zac. Zac, che aveva cominciato allora a fare le vignette del gatto Filippo su «Paese Sera», contemporaneamente lavorava anche per noi per la striscia finale. Questo inserto nella filmina funzionava molto bene perché, scattando vignetta dopo vignetta, l’effetto comico finale risaltava ancora di più.
Nell’ultima fase delle filmine abbiamo creato anche delle collane indirizzate ai bambini con delle favole. A volte traducevamo delle filmine sovietiche.
Abbiamo lavorato con vari disegnatori italiani. Roberto Bonchio fece un adattamento de L’ultima frontiera di Howard Fast. In sintesi, cercammo di spaziare abbastanza. Però, come ho già detto, il colpo finale lo diede l’avvento della televisione. A quel punto le filmine erano ormai improponibili, anacronistiche.
[...] Le vostre iniziative si configuravano come un disegno di “controinformazione”, quasi il Pci e le sue organizzazioni fosse una sorta di stato nello stato?
Negli anni cinquanta un disegno di controinformazione ci fu. Però venne frustrato dalla censura, come nel caso della Cooperativa Spettatori Produttori Cinematografici che fu costituita per realizzare due film: uno sulla resistenza, Achtung banditi; mentre l’altro, Cronache di poveri amanti, riguardava l’avvento del fascismo. Erano film impensabili in quel momento, al di fuori di un’iniziativa autonoma. Era il popolo della sinistra a tenere in piedi la Cooperativa. Una volta realizzati, questi due film, gli unici che in quel periodo toccavano i temi della resistenza, assieme a Gli sbandati di Maselli, furono colpiti dalla censura che ne vietò l’esportazione per cinque anni. Questo fatto, l’impossibilità di una distribuzione all’estero, contribuì al fallimento della cooperativa Spettatori Produttori. Quindi, in conclusione, se un progetto di controinformazione ci fu, conobbe dei grandi contraccolpi.
Quando cambia questo quadro, con il centro-sinistra? Quando la legge sulla censura venne riformata?
Le cose cominciarono a cambiare negli anni sessanta. Innanzitutto perché fu rimosso quel macigno rappresentato dalla legge fascista sulla censura. Finalmente, grazie al primo centro-sinistra, si ebbe una legge sulla censura compatibile con i principi della Costituzione, contrariamente a quello che abbiamo sostenuto per tanto tempo, cioè che la censura fosse incostituzionale. Anche se la Costituzione legittimava l’intervento, preventivo, solo contro la pornografia, tanto per usare un termine spiccio. Comunque, se le leggi in vigore fino al 1962 lasciavano campo libero alla censura, da quell’anno cambiò un po’ tutto. In quel momento per il Pci si trattò di ripensare, per molti versi, la sua azione nel campo della propaganda, servendosi con più incisività del mezzo cinematografico. E’ allora, per raccogliere le forze, che venne costituita l’Unitelefim, che, a sua volta, era stata preceduta da un’altra società che si chiamava Lo specchio. Era una società - a cui si era dedicato Marcello Bollero e, credo, anche Gillo Pontecorvo - e che aveva prodotto alcuni film, non molti per la verità.
Cinema, televisione e propaganda nel Partito comunista italiano, Intervista a Mino Argentieri di Tatti Sanguineti ed Ermanno Taviani in Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico, Annali, 11 2008, Propaganda, cinema e politica 1945-1975, a cura di Ermanno Taviani, marzo 2009
La censura, da un certo punto in poi, ha sistematicamente bocciato tutti i documentari indipendentemente dal loro contenuto. E questo per una ragione precisa e che non si limitava solo alla produzione di propaganda diretta, ma riguardava tutta la produzione cinematografica che faceva capo direttamente o indirettamente, al partito comunista. Mi riferisco, soprattutto, alla Libertas, che era una casa di distribuzione specializzata nella diffusione dei film dei paesi dell’est europeo che venne costantemente presa di mira. Si giunse al punto di vietare un documentario su una partita di calcio disputata tra la famosa Dinamo sovietica e non mi ricordo quale altra squadra, adducendo il pretesto che il film istigava all’odio fra i popoli. C’era stata una circolare di Scelba che partiva da un presupposto errato e cioè che questa casa di distribuzione servisse per portare soldi al Pci e che dunque questo filone di denaro doveva essere interrotto. In realtà non portavano soldi, casomai li hanno spesi, ma certo è che dopo una serie di interventi censori, la Libertas chiuse i battenti.
Per controbattere la censura, gli interventi dei questori e dei prefetti vennero realizzate le “filmine”. Ci racconti la storia di questo curioso escamotage?
Le filmine nascono casualmente, nel senso che un giorno si presentò alla Direzione del Partito comunista un ex prete, - un ex missionario allontanato dalla missione perché si diceva fosse troppo interessato ai bambini da evangelizzare - e mi chiede di parlare con Pajetta, che però era occupato. Allora lo ricevette Paolo Robotti. Robotti era - com’è noto - un personaggio abbastanza singolare perché era il comunista di “specie sovietica”. Era un uomo che camminava dritto come un fuso, con un busto prorompente. Si venne a sapere che la polizia sovietica gli aveva spaccato la spina dorsale, ma naturalmente lui di questo non parlava. Si vantò, però, di aver resistito agli interrogatori.
Sosteneva così la tesi, un po’ paradossale, che se un uomo non parlava, non si autoaccusava, veniva rilasciato e che quindi chi aveva parlato aveva fatto male a farlo.
Robotti parlò con l’ex prete che gli chiese: «ma perché voi comunisti non fate come noi preti che ci serviamo delle filmine, cioè delle diapositive, per attrarre la gente e per trasmettere degli elementi educativi?». Robotti capì che aveva ragione e, tra l’altro, gli tornò alla mente che nell’Unione Sovietica queste filmine venivano usate largamente. E allora si fece la scelta di produrre materiali di propaganda attraverso la filmina. Le leggi del cinema, e dunque le leggi di censura, infatti, riguardavano le immagini in movimento e queste invece erano immagini statiche. Appigliandoci a questa caratteristica, ci si buttò nella battaglia.
Con le filmine siete riusciti a evitare le censure?
Siamo quasi sempre riusciti a sfuggire agli interventi della polizia e delle prefetture, che trovavano sempre qualche pretesto per cercare di impedire le nostre iniziative. Queste specie di proiezioni avvenivano in modo capillare: nei caseggiati, nelle campagne, nelle piazze di piccoli paesi. Erano delle proiezioni che spesso venivano effettuate con una certa inventiva da parte dei propagandisti perché si inserivano dei commenti a voce, delle musiche (usando dei giradischi). Insomma, hanno avuto una loro funzione ed efficacia almeno fino al momento in cui è nata la televisione. Dunque si può dire che le filmine occuparono il periodo che andò grosso modo dal 1952 al 1955: questo è l’arco di tempo. Io ero il responsabile di questo lavoro.
Quindi hai cominciato a lavorare per Botteghe Oscure per realizzare le “filmine”?
Fui chiamato dalla Sezione cinema della Direzione del partito, dove allora il responsabile era Beppe Alessandri, mentre il suo braccio destro era Elio Petri. Per questa attività, in un primo momento, avevano pensato ad Umberto Barbaro, però non era disponibile perché doveva andare in Polonia a fare un film con Vergano e ad insegnare alla scuola di cinema. E allora mi fu affidato il compito di seguire questo settore. L’idea che avevo - non ero da solo, naturalmente, poiché c’era un giro di collaboratori tra i quali Giorgio Grillo - era di cambiare in linguaggio delle diapositive, che era in genere di tipo illustrativo, quindi molto statico. Il nostro sforzo fu quello di applicare le tecniche del cinema alla filmina, usando il montaggio per analogia o quello per contrasto. Abbiamo usato le filmine per parlare un po’ di tutto. Ad esempio, nel 1953 siamo riusciti a spiegare attraverso i disegni che cosa sarebbe successo se fosse passata la “Legge truffa”. Toccavamo molti temi politici come il riarmo della Germania o la bomba atomica e gli effetti tragici dei bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki. In quegli anni, infatti, stavano venendo fuori le testimonianze, anche visive, dei danni, dei guasti causati dalle radiazioni a distanza di anni. Affrontammo anche gli scandali che già allora fiorivano nel nostro paese. Alcune filmine avevano il carattere del reportage, dell’inchiesta. E, poi, man mano siamo arrivati a fare un vero e proprio settimanale in filmina, tutto visivo: con pezzi di politica interna, politica esterna, una parte documentaria, una parte sulla recensione cinematografica e, dulcis in fundo, la striscia comica di Pino Zac. Zac, che aveva cominciato allora a fare le vignette del gatto Filippo su «Paese Sera», contemporaneamente lavorava anche per noi per la striscia finale. Questo inserto nella filmina funzionava molto bene perché, scattando vignetta dopo vignetta, l’effetto comico finale risaltava ancora di più.
Nell’ultima fase delle filmine abbiamo creato anche delle collane indirizzate ai bambini con delle favole. A volte traducevamo delle filmine sovietiche.
Abbiamo lavorato con vari disegnatori italiani. Roberto Bonchio fece un adattamento de L’ultima frontiera di Howard Fast. In sintesi, cercammo di spaziare abbastanza. Però, come ho già detto, il colpo finale lo diede l’avvento della televisione. A quel punto le filmine erano ormai improponibili, anacronistiche.
[...] Le vostre iniziative si configuravano come un disegno di “controinformazione”, quasi il Pci e le sue organizzazioni fosse una sorta di stato nello stato?
Negli anni cinquanta un disegno di controinformazione ci fu. Però venne frustrato dalla censura, come nel caso della Cooperativa Spettatori Produttori Cinematografici che fu costituita per realizzare due film: uno sulla resistenza, Achtung banditi; mentre l’altro, Cronache di poveri amanti, riguardava l’avvento del fascismo. Erano film impensabili in quel momento, al di fuori di un’iniziativa autonoma. Era il popolo della sinistra a tenere in piedi la Cooperativa. Una volta realizzati, questi due film, gli unici che in quel periodo toccavano i temi della resistenza, assieme a Gli sbandati di Maselli, furono colpiti dalla censura che ne vietò l’esportazione per cinque anni. Questo fatto, l’impossibilità di una distribuzione all’estero, contribuì al fallimento della cooperativa Spettatori Produttori. Quindi, in conclusione, se un progetto di controinformazione ci fu, conobbe dei grandi contraccolpi.
Quando cambia questo quadro, con il centro-sinistra? Quando la legge sulla censura venne riformata?
Le cose cominciarono a cambiare negli anni sessanta. Innanzitutto perché fu rimosso quel macigno rappresentato dalla legge fascista sulla censura. Finalmente, grazie al primo centro-sinistra, si ebbe una legge sulla censura compatibile con i principi della Costituzione, contrariamente a quello che abbiamo sostenuto per tanto tempo, cioè che la censura fosse incostituzionale. Anche se la Costituzione legittimava l’intervento, preventivo, solo contro la pornografia, tanto per usare un termine spiccio. Comunque, se le leggi in vigore fino al 1962 lasciavano campo libero alla censura, da quell’anno cambiò un po’ tutto. In quel momento per il Pci si trattò di ripensare, per molti versi, la sua azione nel campo della propaganda, servendosi con più incisività del mezzo cinematografico. E’ allora, per raccogliere le forze, che venne costituita l’Unitelefim, che, a sua volta, era stata preceduta da un’altra società che si chiamava Lo specchio. Era una società - a cui si era dedicato Marcello Bollero e, credo, anche Gillo Pontecorvo - e che aveva prodotto alcuni film, non molti per la verità.
Cinema, televisione e propaganda nel Partito comunista italiano, Intervista a Mino Argentieri di Tatti Sanguineti ed Ermanno Taviani in Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico, Annali, 11 2008, Propaganda, cinema e politica 1945-1975, a cura di Ermanno Taviani, marzo 2009