venerdì 5 agosto 2022

Il Pci ed il caso Slánský


L’appoggio dato a livello internazionale da Stalin e da tutto il blocco sovietico alla nascita di Israele nel breve periodo che va dal maggio 1947 alla fine del 1948 non implicò una liberalizzazione dell’emigrazione dall’Unione Sovietica e dai paesi dell’Europa dell’Est verso il nuovo Stato ebraico, né coincise con l’adozione di politiche interne tolleranti verso le manifestazioni di autonomia culturale dei cittadini di origine ebraica. Subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, anzi, nell’ambito del tentativo di riaffermare l’ortodossia comunista in campo ideologico e culturale - portato avanti da Andrej Ždanov fino al momento della sua improvvisa, e misteriosa, morte nell’agosto del 1948 - si sviluppò una sempre più dura campagna contro il “cosmopolitismo” che, nell’intento di rimuovere dalla letteratura e dall’arte qualsiasi influenza straniera, finì per assumere chiari accenti antiebraici <434. Mentre in Unione Sovietica in seguito allo scioglimento del Comitato antifascista ebraico (21 novembre 1948) iniziarono gli arresti dei suoi esponenti più noti, Stalin utilizzò proprio la scomparsa di colui che sembrava essere il suo braccio destro dapprima per liquidare tutti i membri del partito vicini a Ždanov, nel cosiddetto affare di Leningrado, e poi per montare e denunciare l’esistenza di un complotto che mirava all’uccisione dei leaders del Cremlino e coinvolgeva illustri medici di origine ebraica <435. Contemporaneamente, la rottura dei rapporti tra la nazione guida del blocco comunista e la Jugoslavia di Tito ebbe profonde ripercussioni nelle “democrazie popolari”, dando il via ad una serie di processi che videro comparire al banco degli imputati - assieme ai loro “complici” - il ministro degli Interni ungherese László Rajk (16-24 settembre 1949), il leader comunista bulgaro Trycho Kostov (7-14 dicembre 1949) e l’ex segretario del Partito comunista cecoslovacco Rudolf Slánský (20-27 novembre 1952) <436.
«In terms of overt anti-Semitism, the Slansky trial far exceeded the show trials in the 1930s» <437; e anche rispetto agli analoghi e coevi processi politici che ebbero luogo negli altri paesi del blocco sovietico rappresentò in un certo senso una svolta. Un presunto collegamento tra titoismo e sionismo era stata già enunciato e formulato nel corso del processo Rajk. Tuttavia, al processo di Praga gli argomenti dominanti, a livello politico-ideologico, nell’atto di accusa e nel dibattimento giudiziario non furono più il trotzkismo ed il titoismo degli imputati, ma i loro presunti rapporti con i rappresentanti dello Stato d’Israele a Praga ed il loro preteso sionismo. Si trattava di un artificio verbale dovuto all’impossibilità formale di bollare come “ebrei” gli undici imputati di origine ebraica individuati per essere processati come capi del complotto che mirava a portare la Cecoslovacchia al fianco dell’Occidente <438, e di «a particularly bizarre allegation given that most of the Jewish communists were long-time anti-Zionists who had always rejected any association with specific Jewish concerns or causes» <439. Oltre a mascherare i contenuti antisemitici del processo Slánský, infatti, l’accusa rivolta alle organizzazioni sioniste di essere al servizio dell’imperialismo americano rifletteva anche l’evoluzione della politica mediorientale dell’Unione Sovietica, derivava dal progressivo peggioramento dei rapporti israelo-sovietici e combaciava con la scelta del Cremlino di «concentrarsi maggiormente sulla giungla della politica araba» <440. Pochi mesi dopo, sarebbe stata rilanciata con forza nella pubblica denuncia del complotto dei medici <441.
Il contenuto “antisionista” del processo di Praga e del complotto dei medici, e più in generale le condizioni delle comunità ebraiche in Unione Sovietica e nei paesi del blocco comunista, furono oggetto di un’aspra polemica in Italia. Tuttavia, prima di soffermarci su questi aspetti e - soprattutto - sulle ripercussioni che questi eventi esterni allo scenario mediorientale ebbero nell’interpretazione da parte dei partiti della sinistra italiana di quella che potremmo definire la funzione internazionale di Israele e nei loro giudizi sull’ideologia che era stata all’origine dello Stato ebraico, è doveroso spendere alcune parole sull’atteggiamento tenuto dai dirigenti del Pci di fronte agli avvenimenti cecoslovacchi.
Nella vastissima bibliografia sulla storia del partito di Togliatti, e persino nelle opere specificatamente dedicate ai suoi rapporti con l’Unione Sovietica, sono pochissimi gli accenni all’atteggiamento tenuto dal Pci in occasione dell’ondata di epurazioni che colpì le democrazie popolari nel secondo dopoguerra - e, nello specifico, del caso Slánský -; inoltre, nella maggior parte dei casi tali accenni vengono formulati in un’ottica retrospettiva, ovvero nell’ambito dell’analisi dei problemi posti dalla cosiddetta destalinizzazione <442. Una lacuna obiettivamente riconducibile alla scarsissima - se non inesistente - documentazione al riguardo. Il Pci seguì sempre con grande attenzione ciò che avveniva in Cecoslovacchia e intrattenne stretti rapporti con il partito omologo cecoslovacco <443. Per di più, tra le carte della Sezione Estero del Pci sono conservati “materiali del C.C. cecoslovacco” del 21-24 febbraio 1951 <444, ovvero della sessione in cui vennero denunciati l’esistenza di un complotto ai danni della democrazia popolare ordito da Otto Šling, Marie Švermová e Karel Šváb e il lavoro frazionistico antipartito svolto dai “nazionalisti borghesi slovacchi” Vladimír Clementis e Gustáv Husák, e fu approvata «una risoluzione grazie alla quale la costruzione della “grande congiura” diventava linea politica impegnativa per i fabbricanti del processo spettacolo» <445.
Ciononostante non vi sono tracce di scambi di vedute, tanto meno di discussioni sui sommovimenti che stavano scuotendo dall’interno il partito cecoslovacco nei verbali delle riunioni degli organi centrali del Pci tenutesi tra il febbraio ’51 e il dicembre ’52 <446, quando con l’impiccagione degli undici condannati a morte la vicenda ebbe il suo tragico epilogo <447.
D’altra parte, non si può sottacere che, a proposito di un coinvolgimento diretto del Pci nell’intricata vicenda Slánský, pesanti accuse sono state mosse a Togliatti da colui che per oltre un ventennio fu il suo segretario. In un’intervista concessa alla Rai nel 1992 e, successivamente, in un libro memorialistico del 2000, Massimo Caprara ha sostenuto di essere stato avvicinato - con circospezione - dalla moglie dell’ex segretario del Partito comunista cecoslovacco alla fine di novembre del 1951, mentre si trovava a Praga per svolgere un incarico del Cominform, e di aver ricevuto da lei la notizia dell’arresto di Slánský e «una busta intestata “Al compagno Togliatti”». La donna l’avrebbe pregato di far giungere la lettera direttamente al segretario del Pci e gli avrebbe detto che «Togliatti era noto per essere un capo devoto alla causa. […] “Stalin ha fiducia in lui. Potrà chiarire la posizione di mio marito”». Caprara affermava poi di aver chiesto, tre settimane dopo, prima di ripartire per la capitale cecoslovacca, al segretario del Pci se doveva riferire qualcosa a Josefa Slánská e che Togliatti gli avrebbe risposto «con tono perentorio» di no <448.
Va detto che i ricordi dell’ex segretario di Togliatti sono pieni di lampanti incongruenze temporali <449, e soprattutto che la veridicità della sua testimonianza appare fortemente inficiata - come rilevato già nel 1992 da Giorgio Gandini in una lettera a «l’Unità» - dal fatto che «Josefa Slánská fu arrestata col marito la stessa sera del 23 novembre 1951, mentre rientravano a casa dopo aver festeggiato il compleanno di Gottwald» <450, e non fece alcun riferimento a questo episodio nelle sue memorie <451, né ad analoghi tentativi di mettersi in contatto con i più alti dirigenti del Pci <452. D’altra parte, è difficile pensare che Caprara abbia scientemente inventato tutta la vicenda. Se il suo intento era quello di screditare l’immagine del “Migliore”, di quel partito che nel 1969 l’aveva radiato - assieme agli altri membri del gruppo de «il Manifesto» - per aver criticato l’invasione sovietica della Cecoslovacchia, e l’ideologia che l’aveva deluso, gli sarebbe stato più che sufficiente ricordare - come, del resto, fece in più occasioni - altri silenzi, più difficilmente contestabili, come quelli sulla sorte degli antifascisti italiani emigrati in Unione Sovietica, o dei dirigenti comunisti polacchi, quando Togliatti aveva un ruolo di primo piano all’interno dell’Esecutivo del Comintern <453.
Considerando il clima dell’epoca, e i picchi che i deliri paranoici di Stalin stavano raggiungendo, non si può neppure escludere che Caprara fu veramente avvicinato da una donna che si gli presentò come “la signora Slánský”, ma che in realtà era stata mandata proprio per saggiare la fedeltà di Togliatti alla linea del Cremlino <454. Come è noto, nell’estate del 1950 il segretario del Pci, in seguito ad un grave incidente automobilistico, si era recato a Mosca per curarsi e lì ricevette da Stalin in persona la proposta di trasferirsi a Praga per assumere la direzione del Cominform. «Non è un caso che la proposta giunga […] simultaneamente al trasferimento di Thorez a Mosca e alle critiche nei confronti de “l’Unità”, nonché alla vigilia della recrudescenza repressiva tinta di antisemitismo che, nel giro di qualche mese, estenderà alla Cecoslovacchia l’ondata di morte dei processi staliniani con l’esecuzione capitale dell’ex segretario del partito Rudolf Slánský e di altri dieci dirigenti nel novembre 1952» <455. Nel gennaio del 1951, però, nonostante il parere favorevole alla richiesta sovietica della quasi totalità dei membri della Direzione del partito, Togliatti si oppose ad un progetto che - ufficialmente - mirava a rafforzare e rilanciare l’organismo che aveva preso il posto del Comintern in una fase internazionale resa particolarmente tesa dalla guerra di Corea, ma che avrebbe comportato il suo allontanamento dal Pci <456. Inoltre, come rilevato da Giovanni Gozzini e Renzo Martinelli, il fatto che il rifiuto dell’«unico esponente di prestigio della vecchia guardia cominternista» di assumere la guida del Cominform sarebbe stato all’origine del suo «epilogo inglorioso» e al suo scioglimento ufficiale nell’aprile ’56 «appare singolare e solleva delle domande destinate a rimanere, allo stato della documentazione attuale, senza risposta. La personalità di Togliatti è davvero così insostituibile da rendere impossibili altre candidature alla guida del Cominform? Il Cremlino ritiene inutile il mantenimento in vita di questa struttura senza una personalità carismatica in grado di rilanciarla efficacemente? La proposta di Stalin aveva soltanto un valore strumentale per garantire un nuovo e più fedele segretario alla testa del Pci?» <457.
Avesse ricevuto o meno - tramite Caprara - una lettera firmata dalla moglie di Rudolf Slánský, o da qualcun’altro che si spacciava per lei, non risulta comunque che Togliatti si interessò in qualche modo della sorte di autorevoli dirigenti comunisti con cui aveva collaborato durante la sua permanenza a Mosca e con i quali - fino a pochi mesi prima - aveva intrattenuto stretti rapporti, accusati ingiustamente di essere spie al servizio delle potenze imperialiste. Di fatto il Pci - nel suo complesso - avallò pubblicamente il giro di vite imposto da Stalin.
[NOTE]
434 Cfr. L. Poliakov, “La Russia nel XX secolo”, cit., p. 285: «gli ebrei, prima di essere stigmatizzati in qualità di “sionisti”, furono perseguitati in quanto “cosmopoliti senza patria”». Più in generale sui problemi delle nazionalità e delle religioni nell’Unione Sovietica del secondo dopoguerra si veda N. Riasanovsky, Storia della Russia. Dalle origini ai giorni nostri, Bompiani, Milano, 2005, pp. 578-580 e 590-592.
435 La «Pravda» annunciò ufficialmente la scoperta del cosiddetto complotto dei camici bianchi il 13 gennaio 1953. Tuttavia, i primi arresti risalivano alla fine del 1950 e alla metà del 1951. Per una ricostruzione piuttosto dettagliata delle vicende inerenti allo scioglimento del Comitato antifascista ebraico, all’affare di Leningrado e al complotto dei camici bianchi si rimanda a M. Flores, L’età del sospetto, cit., pp. 217-221, 226-230 e 237-241.
436 Come è noto, a rendere di pubblico dominio la spaccatura interna al campo comunista fu la condanna del deviazionismo nazionalista dei dirigenti jugoslavi pronunciata dal Cominform - l’organizzazione fondata nel settembre ’47 per favorire lo scambio di informazione tra i partiti comunisti europei - al termine della riunione del 28 giugno 1948. Le epurazioni non risparmiarono neppure la Polonia e la Romania. I processi a Rajk e Kostov, conclusi con la loro condanna a morte, furono preceduti dalla destituzione - alla fine del 1948 - del segretario del Partito operaio polacco, Wladislaw Gomulka, che alcuni anni dopo - nell’agosto del 1951, poco prima di Slánský - sarebbe stato anche arrestato. Nel febbraio del 1953, invece, la stessa sorte toccò all’ex ministro degli Esteri romeno, Anna Pauker, già espulsa dal partito - assieme a Vasile Luca e Teohari Georgescu - nel maggio ’52. Solamente la morte di Stalin (5 marzo 1953) salvò la vita a Gomulka e alla Pauker, e pose fine all’organizzazione di un ennesimo processo-farsa che si sarebbe dovuto svolgere a Mosca ai danni dei medici accusati di aver deliberatamente causato la morte di Ždanov e di attentare alla vita dei massimi dirigenti del Pcus. Sulle cause della crisi sovietico-jugoslava e sulla “caccia alle streghe” che questa originò nei paesi del blocco comunista cfr. A.B. Ulam, Storia della politica estera sovietica (1917-1967), cit., pp. 659-669; e K. Kaplan, Relazione sull’assassinio del segretario generale, Valerio Levi Editore, Roma, 1987. Sulla stretta correlazione tra i contenuti antiebraici della campagna contro il “cosmopolitismo” in Unione Sovietica e le epurazioni ispirate dal Cremlino nell’Europa dell’Est si veda anche G. Golan, Soviet policies in the Middle East, cit., p. 40.
437 C. Shindler, Israel and the European Left, cit., p. 143. Anche nel corso della “grande purga” (1936-38) che liquidò la vecchia guardia bolscevica, infatti, un gran numero di comunisti di origine ebraica furono processati ed uccisi.
438 Sulla costruzione del processo Slánský, oltre alle più o meno celebri memorie dei sopravvissuti o dei parenti dei morti (A. London, La confessione. Nell’ingranaggio del processo di Praga, Garzanti, Milano, 1969; e J. Slánská, Rapporto su mio marito, Editori Riuniti, Roma, 1969), si vedano le ricostruzioni fatte dal segretario della Commissione per le riabilitazioni istituita dal Comitato Centrale del Partito comunista cecoslovacco nel 1968 e sciolta l’anno seguente, Karel Kaplan, in Relazione sull’assassinio del segretario generale, Valerio Levi Editore, Roma, 1987 e nel più volte citato M. Flores, L’età del sospetto, cit., pp. 140-147 e 152-156. A proposito della composizione degli imputati è stato rilevato da Kaplan che «gli autori del processo fissarono i criteri per la scelta delle persone. Ogni settore, ogni momento dell’attività sociale, importante dal punto di vista del potere, doveva avere il proprio rappresentante nella direzione del centro, e insieme si doveva garantire una maggiore presenza di persone di origine ebraica, per caratterizzare la linea sionista del processo» (p. 242).
439 P. Mendes, Jews and the Left. The Rise and the Fall of a Political Alliance, Palgrave Macmillan, Basingstoke, 2014, pp. 72-73.
440 A.B. Ulam, Storia della politica estera sovietica, cit., p. 839. Cfr. anche G. Golan, Soviet policies in the Middle East, cit., p. 40: «the anti-semitic nature of at least the czechoslovak trials was dictated by the Soviets’ shift to a pro-Arab foreign policy». Sulle possibili spiegazioni del progressivo peggioramento dei rapporti tra Unione Sovietica e Israele si rimanda alla nota 227.
441 Secondo Léon Poliakov, infatti, «il processo Slansky, a Praga (1950 [sic]), nel quale mezza dozzina di ex dignitari ebrei “confessarono spontaneamente”, funse da prova generale» all’«ultimo progetto di Stalin»: la denuncia del complotto dei camici bianchi (L. Poliakov, “La Russia nel XX secolo”, cit., pp. 288 e 289).
442 Cfr. in particolare A. Agosti, Storia del Partito comunista italiano. 1921-1991, Laterza, Roma-Bari, 1999; S. Pons, “L’Urss e il Pci nel sistema internazionale della guerra fredda”, in R. Gualtieri (a cura di), Il Pci nell’Italia repubblicana 1943-1991, Carocci, Roma, 2001, pp. 3-46; A. Agosti, Togliatti. Un uomo di frontiera, UTET, Torino, 2003; e A. Vittoria, Storia del Pci. 1921-1991, Carocci, Roma, 2006. Qualche indicazione in più sui rapporti tra comunisti italiani e Mosca negli ultimi anni di Stalin e sullo «zelo del gruppo dirigente del Pci nel sostenere il sanguinario giro di vite staliniano» è contenuta in E. Aga-Rossi, V. Zaslavsky, Togliatti e Stalin. Il Pci e la politica estera staliniana negli archivi di Mosca, Il Mulino, Bologna, 2007 (ed. originale del 1997), pp. 255-292; e G. Gozzini, R. Martinelli, Storia del Partito comunista italiano, VII. Dall’attentato a Togliatti all’VIII congresso, Eiunaudi, Torino, 1998 (la cit. è in quest’ultimo, a p. 161). In entrambi i casi è riferito - tra l’altro - della lettera inviata il 5 aprile 1963 da Togliatti all’allora segretario del Partito comunista cecoslovacco Antonin Novotný per chiedere di posticipare la - già tardiva - riabilitazione di Slánský a dopo le elezioni italiane per evitare di fornire argomenti polemici agli avversari politici, e pubblicata in K. Bartosek, Les Aveux des Archvies: Prague-Paris-Prague 1948-1968, Paris, Seuil, 1996, p. 372. Tuttavia, anche nei due suddetti volumi non vi è un riferimento alla posizione assunta del Pci in occasione dell’arresto di Slánský e del suo processo.
443 Praga, oltre ad accogliere un gran numero di militanti italiani emigrati per motivi politici, rappresentò «uno snodo importante del raccordo tra Pci e Cominform» e «il crocevia di importanti traffici finanziari» (G. Gozzini, R. Martinelli, Storia del Partito comunista italiano, VII. Dall’attentato a Togliatti all’VIII congresso, cit., pp. 153 e 154). L’importanza attribuita dal Pci alla Cecoslovacchia ci pare confermata dalla presenza nell’archivio del Pci di una cartellina titolata “Il punto di vista del Governo cecoslovacco nei riguardi del piano Marshall - mesi di giugno-luglio 1947” (FIG, FM, Serie “Documenti riservati”, MF 196*), ma anche dal fatto che fu Togliatti in persona a guidare la delegazione italiana al IX Congresso del Partito comunista cecoslovacco (25-29 maggio 1949).
444 Materiali del C.C. cecoslovacco - 22 febbraio 1951, in FIG, APCI, Anno 1951, Serie “Estero”, Mf 341, ff. 1036-1142.
445 K. Kaplan, Relazione sull’assassinio del segretario generale, cit., p. 139. Si tenga presente che in quel momento il nome di Rudolf Slánský figurava non tra i promotori del presunto complotto interno al partito, ma - accanto a quelli del presidente della Repubblica Klement Gottwald e del primo ministro Antonín Zápotocký - come possibile vittima. Fu solamente nei mesi successivi che - seguendo le pressioni provenienti dal Cremlino - si cercò di coinvolgere anche il segretario del Partito comunista cecoslovacco nel processo che si andava fabbricando. Slánský sarebbe stato sollevato dall’incarico di segretario del partito il 6 settembre 1951 e arrestato il 27 novembre di quell’anno.
446 Cfr. FIG, FM, Serie “Segreteria del Pci”, Anni 1951-1952, MF 266, 218 e 189; Serie “Direzione del Pci”, Anni 1951-1952, MF 191 e 262; e APCI, Serie “Comitato Centrale”, Anni 1951-1952, MF 39/1, ff. 1387-2042.
447 Oltre a Slánský, Šling, Šváb e Clementis, furono condannati a morte Bedřich Reicin, Josef Frank, Ludvík Frejka, Otto Fischl, André Simone, Rudolf Margolius e Bedřich Geminder. Arthur London, Vavro Hajdü e Evžen Löbl, invece, furono condannati all’ergastolo.
448 M. Caprara, Paesaggi con figure. Togliatti, Malaparte, De Luca, Amendola, Nenni, Che Guevara, Lauro, Gramsci, Stalin, Slansky, Moro e Berlinguer, Jotti, Appendice storica di Ugo Finetti, Edizioni Ares, Milano, 2000, pp. 153-161. Le cit. sono nell’ordine alle pp. 155, 157 e 159.
449 A proposito della situazione cecoslovacca dell’epoca, Caprara accostava e confondeva più volte eventi del biennio ’47-48 ed eventi del ’51. Ad esempio, affermava che dopo aver consegnato la lettera a Togliatti, cercò «informazioni sui fatti cecoslovacchi» e fu confortato dalle iniziali aperture dal governo di coalizione guidato da Gottwald al piano Marshall (M. Caprara, Paesaggi con figure, cit., pp. 158-159).
450 G. Gandini, La “confusione” di Caprara su Togliatti e la vedova Slánský, «l’Unità», 7 febbraio 1992, p. 16. L’ex direttore del settimanale della Federazione ferrarese del Pci («la Nuova Scintilla») che nell’ottobre del 1956 fu costretto a rifugiarsi a Praga per ragioni politico-giudiziarie contestò a Caprara anche il riferimento all’albergo Alcron, che non era quello in cui «gli ospiti della Direzione del Pcc venivano alloggiati».
451 Cfr. J. Slánská, Rapporto su mio marito, Editori Riuniti, Roma, 1969; o la più recente ripubblicazione J. Slànskà, Slànskij, 1952. Processo & impiccagione di un gerarca comunista, Ares, Milano, 2010.
452 Più recentemente, un giornalista de «il Giornale», Giancarlo Lehner, denunciando la «spietatezza» di Togliatti e Nilde Iotti nei confronti di «due ebrei cecoslovacchi, che accolsero nella loro dacia appena fuori Praga i piccioncini allo sbocciare dell’amore in fuga dall’occhiuto bigottismo del Pci», ha sostenuto che «Josefa [Slánská], attraverso un carceriere umano, fece giungere all’esterno un bigliettino rivolto all’amica-sorella, Nilde Iotti», che la lettera giunse «regolarmente» a destinazione, ma che quest’ultima «fece finta di niente» (G. Lehner, Togliatti e Iotti. Nessun aiuto agli amici ebrei nelle mani di Stalin, «il Giornale», 1° febbraio 2010, p. 9). Nell’ultima parte dell’articolo il giornalista lasciava intendere che l’intera vicenda gli fosse stata confidata dalla stessa Slánská, che aveva visitato a Praga nel 1990, e che, però, nelle sue memorie non ha fatto alcun riferimento alla Iotti e a suoi tentativi di contattarla.
453 Emblematico è il racconto della sua reazione alla lettura delle bozze del libro dell’ex comunista Renato Mieli, Togliatti 1937. Come scomparvero i dirigenti europei: «Di fronte al testo, Togliatti cambiò atteggiamento, apparve meno sicuro, pur dicendo a Marcella Ferrara e a me [Caprara] che avemmo occasione di chiederglielo: “Tutte fandonie”, riferendosi alle sue responsabilità nell’eccidio dei capi comunisti polacchi. Una mattina in ascensore, Ulisse [Davide Lajolo] gli chiese a bruciapelo: “Gramsci, al tuo posto, che cosa avrebbe fatto nella questione polacca?”. Senza pensarci su, egli replicò tagliente: “Sarebbe morto”. Sarebbe morto perché avrebbe dissentito. Lui no, Togliatti visse, ma a che prezzo? Di seppellire la propria vita sotto un cumulo di fango e sangue» (M. Caprara, Paesaggi con figure, cit., p. 39).
454 In tal senso, ci pare significativa anche la reazione - descritta da Caprara nel suo libro - della moglie dell’ex segretario del Pc cecoslovacco di fronte alla non risposta di Togliatti. Dopo aver ricordato l’inerzia di Togliatti quando alla fine degli anni ’30 fu sottoposto a processo il suo amico Bucharin, gli avrebbe detto: «“Io non ho mai sperato di convincere Ercoli a favore di mio marito”, osservò con puntiglio. “Ho sperato soltanto di fargli sapere che a Mosca hanno intrapreso la vecchia strada terribile delle persecuzioni. In fondo ho cercato di metterlo in guardia”, concluse parlando con sé stessa» (M. Caprara, Paesaggi con figure, cit., p. 160). Nell’ipotesi sopraccennata tali parole, considerate dal segretario di Togliatti come un tentativo della donna di giustificare un gesto di cui sapeva già l’infruttuoso risultato, acquisterebbero tutt’altro significato.
455 G. Gozzini, R. Martinelli, Storia del Partito comunista italiano, VII. Dall’attentato a Togliatti all’VIII congresso, cit., p. 189. Il segretario del Partito comunista francese, Maurice Thorez, recatosi a Mosca nell’ottobre 1950 per curarsi, fu trattenuto nella capitale russa ben oltre la sua volontà e sarebbe potuto tornare a Parigi solo due settimane dopo la morte di Stalin. In sua assenza il Pcf fu guidato da Jacques Duclos e radiò - nel 1952 - André Marty, ex segretario dell’Internazionale comunista (1935-43) che era stato inviato in Spagna durante la guerra civile per organizzare le Brigate internazionali.
456 Sul “gran rifiuto” di Togliatti cfr. A. Vittoria, Storia del Pci, cit. pp. 70-72; A. Agosti, Togliatti, cit., pp. 384-388; e soprattutto G. Gozzini, R. Martinelli, Storia del Partito comunista italiano, VII. Dall’attentato a Togliatti all’VIII congresso, Eiunaudi, Torino, 1998, pp. 184-199. In quest’ultimo, tra l’altro, viene rilevato come dietro alle considerazioni legate alla sicurezza personale di Togliatti che sin dal luglio ’50 avevano spinto il gruppo dirigente italiano a prendere in considerazione l’ipotesi di un suo allontanamento dall’Italia, si celassero anche profonde divisioni interne e malcelate ambizioni personali che la parziale inattività del segretario - dovuta alle sue condizioni di salute - aveva approfondito ed alimentato; ma anche come l’opposizione di Togliatti alla richiesta di Stalin riveli l’esistenza di «un dissenso esplicito di fondo» (p. 192) sull’interpretazione della situazione internazionale e sui compiti che spettavano al Pci. Su questi aspetti si veda anche S. Pons, “L’Urss e il Pci nel sistema internazionale della guerra fredda”, cit., pp. 19-21.
457 G. Gozzini, R. Martinelli, Storia del Partito comunista italiano, VII. Dall’attentato a Togliatti all’VIII congresso, Eiunaudi, Torino, 1998, la prima cit. è a p. 189, le altre sono a p. 198.

Claudio Brillanti, La sinistra italiana e il conflitto arabo-israelo-palestinese. Dalla nascita dello Stato di Israele alla guerra del Kippur, Tesi di Dottorato, Sapienza Università di Roma, 2017


Posta sulla frontiera dei due campi europei, la Cecoslovacchia, ultimo tassello del costituito blocco orientale sotto dominio sovietico, accrebbe notevolmente la propria importanza in termini strategici dopo la rottura tra Stalin e Tito, divenendo così retrovia dei territori di confine ungheresi colla Jugoslavia, di cui si temevano istericamente le mire egemoniche su Budapest, tanto che l’accusa di titoismo fu una costante nei processi di fine anni Quaranta anche a Praga <117. Per il PCI, la cui coalizione cogli alleati socialisti in subordine nel Fronte democratico popolare era stata sconfitta pesantemente, assumeva una vitale importanza mantenere per fini organizzativi un legame diretto col nascente blocco sovietico, fino allora assolto tramite il PCVG. Rotti celermente i legami con Tito dopo la seduta del Cominform a Bucarest nel giugno ’48, cui parteciparono anche gli italiani, che provvide all’espulsione del paese balcanico <118, e superato lo shock della scomunica anche grazie alla ruggine accumulatasi in una difficile collaborazione col PCJ nei territori orientali che si trascinava dagli anni della Resistenza, la Cecoslovacchia grazie alla relativa contiguità territoriale divenne rapidamente per i comunisti italiani la retrovia del mondo socialista. Sin dall’estate ’47 vi erano stati in verità i primi contatti tra PCI e KSČ in occasione della Festival mondiale della gioventù tenutosi a Praga ed organizzato dall’associazione cominformista della Federazione Mondiale della Gioventù Democratica. La delegazione italiana, composta tra gli altri dai fratelli Pajetta e Berlinguer, vide la partecipazione anche di quattromila giovani italiani appartenenti alla Unione Internazionale degli Studenti, parte dei quali si sarebbero fermati nella città boema per studiare presso l’università locale e soprattutto acquisire una formazione politica come quadri di Partito,
esperienza per molti conclusasi già nel ’50 <119. Del resto è proprio in quel periodo che su impulso di Stalin comincia un’ondata repressiva e di terrore che colpisce tutti i paesi del blocco orientale per evitare il contagio jugoslavo, e la Cecoslovacchia è in prima fila nella lotta contro ogni forma di dissenso, vero o presunto: tra maggio e giugno già alcuni tra i principali esponenti del Fronte Nazionale sono condannati a morte, come lo storico Záviš Kalandra e l’ex leader dell’Unione delle donne Milada Horáková, o a lunghi periodi di prigionia, a cui l’anno dopo si aggiunsero come “nazionalisti borghesi” il dirigente Gustáv Husák e il poeta Ladislav Novomeský e nel novembre ’52 alti dignitari del regime di origine ebraica come l’ex segretario generale Rudolf Slánský <120, condannati a morte dopo un processo farsa che ricordò da vicino quelli di Mosca tra ’36 e ’38, anche se nel suo caso specifico fu l’insuccesso delle riforme economiche e la necessità di trovare un capro espiatorio ad essergli fatale <121. In totale in questi anni si giunse alla pronuncia di 233 condanne a morte, di cui 128 furono eseguite, con migliaia di cecoslovacchi costretti a pesanti pene detentive <122, mentre più di ventimila persone vennero internate negli oltre trenta campi di lavoro forzato senza processo <123. Non fu esente dalla repressione nemmeno la Chiesa, a dispetto degli iniziali promettenti rapporti col governo praghese, dopo che l’arcivescovo di Praga Josef Beran nel ’49 rifiutò pubblicamente di sottomettersi all’autorità dell'apposito comitato deputato dei cattolici cecoslovacchi nominato dal governo l’anno precedente, paventando un’indebita interferenza dello Stato nella vita della Chiesa e nell’organizzazione del clero. Quando all’offensiva anti-cattolica del regime il Papa ricorse alla scomunica, la risposta fu durissima: una volta espulso il nunzio
apostolico in marzo, con vaste operazioni di polizia tra la primavera e l’autunno del ’50 furono soppressi i monasteri e conventi ed incarcerati 6.000 tra monaci e suore, mentre oltre 3.000 sacerdoti furono condannati attraverso numerosi processi farsa culminati tra il novembre ’50 ed il gennaio ’51 in procedimenti fotocopia in Cechia e Slovacchia contro l’episcopato locale <124.
[NOTE]
117 Bettanin, Stalin e l’Europa, p. 307.
118 Graziosi, L’URSS dal trionfo al degrado, pp. 89-90.
119 Turi R., Gladio Rossa, pp. 37-38.
120 Fowkes suggerisce tuttavia un’altra ipotesi, individuando nel discredito di Berija presso Stalin il motivo per cui il despota decise di consentire alla fazione capeggiata da Chruščëv di colpire in patria ed all’estero quei dirigenti vicini al capo del MVD, come i rumeni Ana Pauker e Vasile Luca, ed appunto Slánský, il cui processo vide inoltre la partecipazione di un ufficiale vicino al futuro segretario sovietico: Fowkes, L’Europa orientale dal 1945 al 1970, p. 83.
121 Sul caso Slánský si veda in dettaglio: Bettanin, Stalin e l’Europa, pp. 308-313.
122 Clementi, La Primavera di Praga, p. 42.
123 Pacini, A quaranta anni dalla Primavera di Praga, pp. 32-33.
124 Heimann, Czechoslovakia: the state that failed, pp. 185-189.
Massimo Sgaravato, La Primavera di Praga prima dell'invasione sovietica: la stampa comunista italiana, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, 2012 

Nel sistema socio-politico che caratterizzava le dittature comuniste, l’aspetto che ebbe maggiore risonanza nella comunicazione italiana fu quello relativo ai processi politici dell’età staliniana. Tra il 1949 e il 1953, i cronisti dovettero trattare gli episodi di “normalizzazione” stalinista dei regimi di democrazia popolare <821, registrando casi eclatanti come i processi che videro imputati Rajk in Ungheria e Slanski in Cecoslovacchia; per quanto riguarda l’Unione sovietica, nel gennaio 1953 si assistette ai repentini sviluppi che caratterizzarono il processo dei medici, accusati a gennaio e poi prosciolti subito dopo la morte di Stalin <822.
[...] A differenza di altri spunti iconografici, quello della forca fu riproposto nella comunicazione elettorale successiva, e anzi proprio negli anni 1952-1953, soprattutto a causa della possibilità di fare riferimento alla grande ondata di processi, esso trovò una diffusione universale, divenendo una delle cifre comuni del lessico anticomunista.
Nelle vignette del "Candido" di fine 1952, gli imputati del processo Slanski erano raffigurati come burattini mossi da Stalin, che guidava i loro fili tramite un sistema di forche <890; con l’arresto dei medici nel gennaio 1953, un’altra illustrazione raffigurava come nei laboratori per la fabbricazione delle forche fossero necessari stacanovisti particolarmente motivati <891.
[...] In alcune immagini, la forca era identificata con il programma elettorale del PCI («I comunisti vi offrono questo», era lo slogan di un manifesto prodotto dal periodico di area DC "Brancaleone") <896, ma un argomento su cui si calcava la mano era soprattutto il fatto che, stando a quanto era accaduto a Budapest e Praga, vittime designate di una eventuale “forca” esportata dall’URSS in Italia sarebbero stati proprio i comunisti e i loro alleati. “Salviamoli senza pietà!”, si leggeva su un manifesto che ritraeva Togliatti e Nenni pronti a dirigersi verso un cappio <897. Già nel corso del 1951 "Traguardo" aveva proposto un discorso simile, chiedendo ai suoi lettori di domandare agli elettori comunisti in quali paesi d’oltre cortina fosse possibile un’opposizione feroce e spesso violenta, come quella che il PCI poteva organizzare da noi; per il 1953 sull’organo della SPES questi spunti furono rielaborati con la pubblicazione del testo, diffuso in varie forme, di un immaginario telegramma scritto da Slanski a Togliatti: «meglio essere capi dell’opposizione in Italia che dirigenti comunisti in Cecoslovacchia stop Ringrazia De Gasperi altrimenti mia fine potrebbe essere, domani, la tua» <898.
Un altro elemento che trovò pieno sviluppo nei rivoli della propaganda anticomunista fu il valore simbolico dell’antimito di Stalin, idealmente contrapposto al culto della sua personalità che caratterizzava la cultura comunista.
[NOTE]
821 Il punto di partenza per un giudizio storiografico sui grandi processi è A Kriegel, Le grands procès dans les systèmes communistes. La pédagogie infernelle, Paris, Gallimard, 1972. La stessa Kriegel ha poi diretto il numero speciale di Communisme (26-27, 1990), Precès et terreur sous Staline. Cfr. anche M. Flores, L’età del sospetto cit.
822 Su questo tema, cfr. spec. la raccolta di fonti V. P. Naumov, J. Rubenstein (eds.), Stalin’s Secret Pogrom. The Postwar Inquisition of the Jewish Anti-Fascist Committee, New Heaven-London, Yale University Press, 2001.
890 Candido, VIII, 48, 30/XI/1952, p. 1.
891 Candido, IX, 2, 11/I/1953, p. 23.
896 ACS, MI, DGPS, AA.GG.RR., 1953, b. 22.
897 Cfr. www.manifestipolitici.it
898 Traguardo, 15/XII/1952, p. 25, e ACS, Raccolta di manifesti elettorali - Elezioni politiche, b. 1.

Andrea Mariuzzo, Comunismo e anticomunismo in Italia (1945-1953): strategie comunicative e conflitto politico, Tesi di perfezionamento in discipline storiche, Scuola Normale Superiore di Pisa, 2006