lunedì 14 giugno 2021

Enrico Prampolini ed il passaggio dalla plastica murale all’arte polimaterica

E. Prampolini, G. Rosso, salone della Prima Mostra Nazionale di Plastica Murale, Genova, 1934 - Fonte: Eva Ori, Op. cit. infra

In un articolo del 1917 pubblicato sulla rivista “Noi”, Prampolini torna esplicitamente sull’opera di Picasso come modello, affermando che «questo nuovo valore dato in pittura, agli elementi eterogenei, alla loro aggregazione, questa valutazione del lirismo che si sprigiona dalle singole cose e dalla disposizione, del loro agglomerato, la preoccupazione del volume e della costruzione, stabiliscono per la nostra sensibilità un nuovo schema teorico d’arte pura, una nuova coscienza plastica: e questo lo dobbiamo al cubismo, al suo genio creatore, PICASSO» <101. Dunque, inizialmente egli assegna al genio spagnolo il merito di aver aperto la strada al plurimaterismo - ma, successivamente, come si avrà modo di vedere più avanti, ritratterà questa dichiarazione ne l’Arte polimaterica del 1944.
Se durante gli anni Dieci Prampolini nelle sue opere generalmente impiega diversi materiali come frammento di realtà, proseguendo nella sua ricerca l’artista investe la materia anche di un lato emotivo e sensibile, fino ad arrivare a una teorizzazione sistematica del suo percorso sperimentale negli anni Quaranta. Com’era avvenuto anche per gli altri futuristi, egli sperimenta prima a livello pratico idee e soluzioni che solo in un secondo momento porta a teorizzazione sistematica.
Per elaborare le sue teorie legate al polimaterismo, Prampolini parte dal “dinamismo plastico” e dagli “stati d’animo plastici” di Umberto Boccioni - come lui stesso dichiara in un articolo del 1932 <102 - per giungere alla concezione del manifesto Costruzione assoluta di moto-rumore del 1915. Se dunque Boccioni è il primo che enuncia i concetti base di un’arte polimaterica all’interno del movimento futurista, Prampolini è il primo che li elabora e porta a espressione concreta nella sue opere e nei suoi scritti.
In Un’arte nuova? Costruzione assoluta di moto-rumore Prampolini dichiara di voler «esplicare i valori della nostra sensibilità nella loro totale espressione […] in un’unica sintesi [di] sensazioni, plastiche, cromatiche, architettoniche, di moto, rumore, odore, ecc. [attraverso] un'espressione materiale con la creazione dei complessi plastici, o costruzioni-assolute di moto-rumore, che compendino, esprimano con equivalenti astratti la sensazione, l'emozione suscitataci da un qualunque elemento realistico» <103.
Egli arriva a concepire, in parallelo ai compagni futuristi Balla e Depero, dei “complessi plastici” che chiama “costruzioni-assolute di moto-rumore” da ottenersi abbandonando «il quadro tradizionale in pittura, la statua in scultura, il casamento in architettura, il concerto orchestrale, il libro infine». Difatti secondo l’artista modenese «la pittura, la scultura, l'architettura, e tutte le altre arti, concepite a sé, non hanno più valore, essendo impotenti di raggiungere (separatamente) quell'efficacia emotiva, quel risultato d'espressione materiale […] Le costruzioni-assolute di moto-rumore, […] riuniscono in sé non solo i valori materiali di tutte le arti, ma tutte le sensazioni, che sin ora erano fissate singolarmente da ciascuna arte» <104.
In queste parole ritroviamo il fulcro del credo artistico di Prampolini, teso al raggiungimento di una “arte totale”: un’idea quasi ossessiva che lo guiderà come un filo rosso per tutta la sua attività, in cui la materia gioca sempre il ruolo di protagonista.
Ma come ottenere a livello pratico queste “costruzioni-assolute di moto-rumore”? Sempre utilizzando le parole di Prampolini: mettendo «realmente in moto armature plastiche, cromatiche […] che appunto muovendosi determineranno il dramma plastico di un rumore, ecc. […] Qualunque mezzo materiale, vale per caratterizzare adeguatamente le sensazioni che l'artista vuole tradurre in queste costruzioni-assolute, in cui ciascun elemento ha un valore non solo formale e cromatico, ma di moto e rumore, trasformandosi questi complessi plastici, mutando aspetto, staccandosi da una parte per compenetrarsi nell'altra, propagheranno un rumore in rapporto al movimento e all'evoluzione plastica che dato elemento richiede» <105.
A tale proposito, nel suo studio monografico recentemente edito sull’artista modenese, Giovanni Lista sostiene che Prampolini ignora il principio dell’assemblage polimaterico, dato che come materiale utile per realizzare le “costruzioni assolute” era contemplato solo il metallo <106; in realtà, nel testo citato di Prampolini non ci sono riferimenti espliciti a materie esclusive, e l’artista stesso, in altre occasioni, ribadisce più volte la sua apertura verso l’uso di materiali diversi: «Qualunque mezzo materiale, vale per caratterizzare adeguatamente le sensazioni che l'artista vuole tradurre in queste costruzioni-assolute» <107. È vero che attorno al 1917 Prampolini stava svolgendo esperimenti di sculture metalliche mobili <108, ma è anche vero che non ci sono prove fotografiche che attestino la composizione esclusivamente metallica di queste sperimentazioni.
Alcune delle idee e dei concetti descritti nell’articolo del 1915 erano stati già anticipati da Prampolini nei suoi manifesti Scultura dei colori e totale <109 dell'ottobre del 1913 e sull’architettura futurista L’«Atmosferastruttura». Basi per un’Architettura futurista del gennaio-febbraio 1914 nel quale approfondisce la sua visione plastica teorizzando l’importanza dell’influenza dell’atmosfera sull’architettura e sulla scultura <110.
Le teorie prampoliniane degli anni Dieci, tuttavia, non sono accompagnate da opere rispecchianti gli intenti dichiarati nei manifesti, anche perché, purtroppo, diverse opere di questo periodo sono state distrutte dallo stesso Prampolini; le sculture che rimangono di questi anni risultano in gran parte monomateriche e convenzionali e le uniche opere che rispecchiano l’esaltato plurimaterismo sono quelle già citate, intitolate Forme e odori di un’attrice e Beguinage, nelle quali Prampolini impiega la tecnica dell’assemblage.
Aeropittura, idealismo cosmico e polimaterismo
Il percorso artistico sperimentale di Prampolini attraversa negli anni Venti l’estetica meccanica e l’aeropittura per approdare al cosiddetto “idealismo cosmico” - aspetti tutti convergenti poi nel polimaterismo <111.
Risalgono alla fine degli anni Venti le prime opere polimateriche in forma di quadri dell’artista modenese, conosciute come la serie delle “Interviste con la materia”: ovvero un’esplorazione del divenire della materia, la quale avviene per esperienza sensoriale diretta. Questo studio della materia rispecchia un orientamento della poetica prampoliniana di quegli anni verso un’accezione spirituale della realtà <112, che si spinge sino all’indagare i misteri del cosmo - direzione aperta dalla teorizzazione futurista dell’aeropittura <113.
L’ispirazione di Prampolini all’aeropittura - che recupera la prospettiva tradizionale per scardinarla e per aprire nuovi orizzonti, sia dal punto di vista visivo che spirituale - non riproduce visioni di prospettiva aerea, ma sottolinea l’aspetto eterogeneo della materia nuda e cruda vista dall’alto. Da lì il passo è breve per approdare all’idealismo cosmico, come superamento della realtà apparente per proiettarsi verso l’infinito oltre lo spazio terrestre. Scrive Prampolini che il «divenire di un mondo nuovo si manifesta con uno sviluppo che parte dall’interno e va verso l’esterno, in un processo concettualistico di trasfigurazione spirituale e di trasposizione formale» <114. Questa nuova poetica prampoliniana necessita di nuovi linguaggi plastici che la rappresenti: e la materia sembra essere l’elemento adatto per attuarla.
Il polimaterismo degli anni Trenta di Prampolini nasce quindi come conseguenza diretta dell’elaborazione dell’aeropittura e dell’idealismo cosmico, rimanendo però in parte ancora legato ad una dimensione da “quadro da cavalletto” - nonostante gli sforzi ad abbandonare questa pratica per proiettarsi sul campo dell’architettura. Le opere di Prampolini di questo periodo sono composte dall’assemblaggio di materiali eterogenei scatenanti interazioni molteplici che, a scopo compositivo ed espressivo, vogliono innescare cortocircuiti percettivi nell’osservatore.
In un articolo pubblicato nel 1930 per la Biennale veneziana egli scrive a tale proposito: «La superficie piana del quadro si è animata nello spazio. La simultaneità prospettica ha trovato un nuovo ordine costruttivo. La compenetrazione dei piani, la costruzione plastica a tre dimensioni, l’atmosfera dinamica quadrimensionale, come l’architettura spaziale cromatica da me definita “base stilistica della plastica futurista” si è materiata nello spazio, creando una nuova lontananza spirituale, una nuova dimensione emotiva evadendo da ogni permanenza teorica e puramente stilistica verso un mondo di magia costruttiva di magnetismo d’immagini, di simultaneità analogiche» <115.
Polimaterismo e Plastica Murale
Gli anni Trenta risultano un decennio ricco di innovazioni nelle teorie sulla materia sull’uso di diversi materiali nelle opere d’arte. In un momento in cui si stava rivalutando l’arte murale attraverso la pittura nelle architetture, i futuristi lavorano sul polimaterismo per sviluppare la “plastica murale futurista”: un’idea nata anche per rappresentare un’alternativa forte e riconoscibile al gruppo Novecento, che sosteneva la pittura murale, nel concorrere per le commesse pubbliche del governo fascista finalizzate a dare un nuovo volto all’Italia.
Si arriva così alla distinzione tra “polimaterico” e “plastica murale”: termini che in alcuni casi coincidono e in altri hanno invece significati diversi, come vedremo meglio di seguito.
Prampolini partecipa da subito a questo acceso dibattito, del quale egli stesso – con poca modestia – si propone come protagonista nell’articolo Dalla pittura murale alle composizioni polimateriche: «Le mie ricerche polimateriche iniziate contemporaneamente a quelle pittoriche nel 1914, suscitarono allora il più vivo interesse anche da parte di stranieri (come Picasso e Cocteau che visitarono il mio studio) e mi hanno portato in questi ultimi anni a delle più concrete realizzazioni, che pur destando stupore nelle folle visitatrici delle Biennali Veneziane (1930-1932) e Quadriennale di Roma (1931) erano l’inizio di una nuova era plastica destinata ad arricchire le superfici spaziali da una nuova dimensione emotiva» <116. A proposito dei lavori esposti alla Biennale di Venezia, abbiamo la cronaca – un po’ meno di parte – di Bruno Sanzin nell’articolo Quadri polimaterici di Enrico Prampolini alla Biennale apparso sul “Piccolo della Sera” di Trieste:
«Enrico Prampolini valendosi di elementi inconsueti, allarga, quando gli conviene le possibilità comunicative per mezzo appunto di questi materiali, che alle volte hanno una funzione plastica, tal’altra assurgono ad importanza tattile (vedi Quadriennale romana), ecc. È in certo senso logico che questi tentativi audaci del pittore Prampolini non trovino nel solito visitatore – che va a passeggiare all’Esposizione come più tardi andrà in Piazza S. Marco – riscontro di comprensione. È certo che i suoi tentativi coinvolgono una sensibilità ristretta a pochi. […] Enrico Prampolini rimane l’ingegno che osa per il bisogno prepotente di creare al di là del finora raggiunto. Enrico Prampolini è da considerarsi oggi il maggior esponente della pittura futurista italiana, di quella pittura che l’estero applaude ed imita» <117.
Ciò che è interessante è che, nell’articolo del 1933, Prampolini impiega per la prima volta la parola “polimaterico” <118 ed è lo stesso Marinetti a riconoscergli questo merito, scrivendo in un articolo del 1938: «La Plastica Murale polimaterica considerata come l’anima e il nutrimento indispensabili della nuova architettura fu ideata e iniziata da Enrico Prampolini e trionfò nella Esposizione coloniale di Parigi del 1931 nelle maggiori sale della Mostra della Rivoluzione Fascista nelle mostre Nazionali di Plastica murale del Palazzo Ducale di Genova e dei Mercati Traianei a Roma e nella Mostra del Naturismo in Piemonte a Torino» <119.
Il testo dell’articolo di Prampolini del 1933 sarà poi rielaborato da lui stesso in un altro articolo dal titolo Al di là della pittura, verso i polimaterici, pubblicato in “Stile Futurista: estetica della macchina. Rivista mensile d’arte-vita” nell’agosto del 1934 <120. L’articolo è suddiviso in tre paragrafi: Evasione dalla pittura, L'agonia del quadro ultima esperienza romantica e Dal frammento alla composizione.
Nel primo paragrafo Prampolini sostiene il superamento della pittura come metodo espressivo: «noi – maestri dell'evoluzione dell'arte contemporanea – abbiamo portato con le nostre opere l'arte pittorica alle estreme conseguenze di intensità espressiva accelerando il ciclo storico, così da esaurire il significato di un tempo dei canoni plastici, per evadere dalla pittura, verso un nuovo mondo estetico e tecnico, chiamato ad esprimere – plasticamente – le contingenze umane della nuova mistica spirituale che viviamo». Nella seconda parte, afferma di considerare il quadro ormai obsoleto, espressione anacronistica di una società in mutamento: «I bifolchi del sentimento – i romantici – continuarono a lungo a speculare sopra questa misera superficie di pochi centimetri quadrati illudendosi di riassumere in un rettangolo di modeste proporzioni evaso dall'ambiente funzionale, la potenza suggestiva del linguaggio plastico dei primitivi o dei classici, di coloro cioè che a contatto con Dio o con la terra, con l'immagine plastica e con l'architettura avevano compreso il compito umano dell'arte».
Nell’ultima sezione dell’articolo infine, Prampolini spiega il passaggio a nuovi mezzi espressivi di cui i futuristi sono fautori: «Solo noi futuristi, e alcuni maestri dell’avanguardie straniere, abbiamo reagito, portando per primi il concetto dell'universale nella creazione e quindi nella composizione delle nostre opere. E se le contingenze sociali e pratiche ci avessero dato la possibilità di realizzare il nostro principio spirituale dell'arte-vita legandolo all’architettura lo avremmo fatto da tempo. […] Decretata così la fine del frammento, eredità d'oltr’alpe e simbolo di un periodo di decadenza, noi italiani dobbiamo trovare nella quiete di una nuova mistica spirituale e sociale gli elementi e i simboli delle nostre composizioni future».
Dopo la metà degli anni Trenta, nonostante la diffusione delle varie Mostre nazionali di Plastica murale, i termini “polimaterico” e “plastica murale” tendono ancora a confondersi – confusione che spesso ritroviamo nello stesso Prampolini che li concepiva a volte distinti.
Nel suo programma per un’Università per la Plastica murale, l’artista modenese divide in corsi distinti la “plastica murale” (professori Marino Marini e Mario Mirko Vucetich) e il “polimaterico” (professori Prampolini stesso e Bruno Munari) <121. In un altro promemoria per la fondazione dell’Università d’Arte plastica, Prampolini nell’elencare le diverse materie descrive l’arte polimaterica come «impiego e risultanza artistica ed emotiva delle differenti materie», mentre confina la plastica murale «nelle esigenze formali e ambientali dei vari materiali (legno, vetro, metallo, materie plastiche ecc)» <122. Nella definizione del corso «Tecnica della plastica murale», Prampolini riporta le seguenti specifiche: «ornamentale, figurativa; legno, pietra, stucco, metallo, ceramica, terracotta, vetro, materie plastiche ecc.»; mentre per «Tecnica del polimaterico» specifica: «composizione di materie diverse e intarsio» <123.
In un articolo pubblicato su “Il secolo XIX” nel 1934 sulla prima Mostra di Plastica murale, Prampolini ribadisce la distinzione tra plastica murale e polimaterico: «la plastica murale supera e abolisce la vecchia pittura murale e gli affreschi, per spaziare nelle numerose possibilità espressive e illustrative offerte dai polimaterici e dalle simultaneità plastiche documentarie-parolibere, mediante l’uso di tutti i materiali e di tutte le tecniche» <124. In un altro articolo, sempre del 1934, dal titolo Dalla pittura murale alle composizioni polimateriche. Manifesto dell’arte murale Prampolini scrive: «La nascita del polimaterico, mezzo futurista che coordina armonicamente il contrasto dei differenti materiali, ha offerto alla fantasia dell’artista creatore una nuova tavolozza plastica che, in sostituzione della tradizionale tavolozza pittorica, apre possibilità infinite e insospettate all’artista sensibile, il quale può trovare nel giuoco emotivo plurimaterico una ricca e inesauribile fonte di ispirazione.» <125.
La Plastica murale sembrerebbe quindi un prodotto dell’arte polimaterica, intesa quest’ultima come macrocategoria artistica innovativa alla stregua di pittura e scultura. La plastica murale diventa quell’elemento distintivo del movimento futurista nel contesto dell’arte murale applicata alle nuove architetture del regime fascista, in alternativa alla pittura murale e diviene elemento caricato di valenze oltre che sociali, anche politiche.
Ed ecco dunque l’ulteriore passo in avanti di Prampolini nella ricerca “polimaterica”: il passaggio dalla “plastica murale” all’”arte polimaterica”.
In un articolo del 1935 sulla I^ Mostra nazionale di Plastica murale, Prampolini enuncia per la prima volta la sua definizione di “arte polimaterica”: «L’arte polimaterica è una nuova espressione plastica, dove le materie stesse foggiate e orchestrate fra di loro hanno il potere suggestivo di stabilire delle nuove dimensioni volumetriche ed emotive e di creare delle nuove armonie plastiche rappresentative. La nuova architettura funzionale esige infatti una altrettanto nuova e assoluta interpretazione plastica delle vaste superfici spaziali; è naturale quindi che ad una nuova realtà architettonica corrisponda una nuova ed adeguata realtà tecnica» <126.
101 E. Prampolini, Picasso, in “Noi”, giugno 1917.
102 E. Prampolini, Conquiste della plastica futurista, in “L’Impero”, 8 luglio 1932; testo pubblicato come anticipazione dell’intero scritto apparso su “Les Cahiers Jaunes” del 1932 e pubblicato nel catalogo della Mostra di aeropittura della Galleria Pesaro di Milano sempre del 1932; apparso inoltre sulle pagine di “Poligono” nel 1933 e nel catalogo della mostra alla Galleria Nazionale d’arte Moderna di Roma del 1961 col titolo La plastica futurista. Dal dinamismo plastico all’architettura spirituale, pp. 57-59.
103 E. Prampolini, Un’arte nuova?..., cit. In una lettera inviata a Guglielmo Jannelli, editore de “La Balza”, del 16 maggio 1915 Prampolini gli chiede nel pubblicare questo manifesto di sostituire “Un’arte muova?” con “Arte pura”, in G. Lista (a c. di), Enrico Prampolini …, cit., 1992, p. 123.
104 Ibid.
105 Ibid.
106 G. Lista, Enrico Prampolini …, cit., 2013, pp. 52-53.
107 E. Prampolini, Un’arte nuova? …, cit.
108 Scheda biografica, in “La Fiera Letteraria”, XII, n. 30, 28 luglio 1957.
109 In realtà il manifesto venne pubblicato sulla rivista “Bollettino spirituale, filosofico, letterario, artistico, ascetico, sentimentale”, III, gennaio-febbraio 1916, n. 1-2. La prima stesura del testo risale all’ottobre 1913 mentre alcune parti sono state modificate dall’artista tra marzo e aprile 1914. Il manoscritto ultimato del manifesto venne poi inviato da Prampolini a Boccioni nel giugno 1914.
110 Su questi scritti, si veda G. Lista, Enrico Prampolini …, cit., 2013, p. 35.
111 Si veda come declinazione del polimaterismo il Manifesto Tecnico della Aeroplastica futurista pubblicato in “Sant’Elia”, II, 1 marzo 1934, n. 5, e firmato da Bruno Munari, Carlo Manzoni, Gelindo Furlan, Ricas e Regina (del gruppo futurista di Milano). Questa espressione plastica che si andava ad aggiungere alla plastica futurista prevedeva «complessi plastici polimaterici tattili da viaggiarvi dentro, […] progetti di paesaggio da volarvi dentro anche solo con la fantasia, questo aeroplano senza motore della realtà».
112 E. Prampolini, Valori spirituali della plastica futurista, in “Futurismo”, I, 19 ottobre 1932, n. 5.
113 G. Lista, Enrico Prampolini …, cit., 2013, p. 197.
114 E. Prampolini, Premessa, in XLI Mostra della Galleria di Roma con le opere del pittore futurista Enrico Prampolini, catalogo della mostra, Istituto Grafico Tiberino , Roma, 1941, p. 12.
115 E. Prampolini, I futuristi alla XVII Biennale Veneziana, in “L'Impero", 18 maggio 1930.
116 E. Prampolini, Dalla pittura murale…, cit.,10 settembre 1933.
117 B. G. Sanzin, Quadri polimaterici di Enrico Prampolini alla Biennale, in “Futurismo”, I, 13 novembre 1932 che risulta una riproduzione dell’articolo apparso sul “Piccolo della Sera” di Trieste.
118 G. Lista, Enrico Prampolini…, cit., 2013, p. 233; anche nel «manifesto polemico» della plastica murale viene ribadita l’invenzione della parola «polimaterico» ad opera di Prampolini (Marinetti, Ambrosi, Andreoni, Benedetta, Depero, Dottori, Fillìa, Oriani, Munari, Prampolini, Rosso, Tato, Un manifesto polemico…, cit., p. 3).
119 F.T. Marinetti, Italianità dell’arte moderna, in “Il Giornale d’Italia”, 24 novembre 1938.
120 E. Prampolini, Al di là della pittura verso i polimaterici, in “Stile Futurista: estetica della macchina. Rivista mensile d’arte-vita”, I, agosto 1934, n. 2.
121 MACRO, CRDAV, FEP, fascicolo 036, V 8 H/1, dattiloscritto “Elenco degli insegnanti”.
122 MACRO, CRDAV, FEP, fascicolo 036, T 8 E/1 8, manoscritto Promemoria per la fondazione di una Università d’Arte plastica, p. 3.
123 MACRO, CRDAV, FEP, fascicolo 036, S V B8 FE C 1-3, [promemoria seconda versione], manoscritto e dattiloscritto Corsi d’insegnamento, p. 4.
124 La prima Mostra di plastica murale sarà inaugurata…, cit.
125 Pubblicato col titolo Dalla pittura murale alle composizioni polimateriche. Manifesto dell’arte murale, in “Stile Futurista: estetica della macchina. Rivista mensile d’arte-vita”, agosto 1934 e pubblicato col titolo La II Mostra di Plastica Murale, in “La Rivista illustrata del Popolo d’Italia”, XV, n. 11, novembre 1936. MACRO, CRDAV, FEP, fascicolo 047, S VII B2 C16, e fascicolo 053, diverse versioni di dattiloscritti non datati [ma 1936] di Prampolini Dalla pittura murale alle composizioni polimateriche. Manifesto dell’arte murale; manoscritto di 7 pagine La plastica murale fascicolo 53.
126 E. Prampolini, La Mostra nazionale di Plastica murale, in “Stile Futurista: estetica della macchina. Rivista mensile d’arte-vita”, II, marzo 1935, n. 6-7.
Eva Ori, Enrico Prampolini tra arte e architettura. Teorie, progetti e Arte Polimaterica, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, Esame finale anno 2014, pp. 121-126
 
Da sinistra: Mondrian, Prampolini e Seuphor nello studio di Mondrian a Parigi nel 1934 - Fonte: Eva Ori, Op. cit.

Enrico Prampolini è, forse, un artista "inevitabile" (rubo l' aggettivo a Edmond Picard, che lo adoprò per Meunier): un artista cioè che il tempo stesso in cui visse ha suggerito e preteso che ci fosse, che ci dovesse essere. Una specie di esploratore: un ardimentoso che spia, per primo, i momenti in cui la storia si modifica e in cui le "cose" inspiegabilmente si trasmutano e quindi bisogna attentamente guardare e intuire; proprio perché l' arte ha il pregio di offrire una sensazione e un' intelligenza più profonda delle cose. Questa impressione-ipotesi ci venne in mente, alcuni mesi fa, in occasione della mostra che la Galleria Civica di Modena, città natale di Prampolini, dedicò ai suoi taccuini inediti: i quali sono, a vero dire, lo specchio più sincero del suo lungo e complesso operare. Ed è impressione che viene riconfermata ora dalla rassegna "Enrico Prampolini dal futurismo all' informale", che si è inaugurata a Roma presso il Palazzo delle Esposizioni come prima manifestazione della dodicesima Quadriennale. Anche a non dimenticare l' antologia che, sempre a Roma, Palma Bucarelli realizzò sull'artista alla Galleria Nazionale d' Arte Moderna nel 1961, si tratta stavolta della più vasta retrospettiva dell'opera di Enrico Prampolini (1894-1956). Curata da Enrico Crispolti con la collaborazione di Rosella Siligato, la mostra infatti documenta l'attività di Prampolini in tutti i suoi molteplici aspetti: pittura, scultura, architettura, ambientazione, arredo, scenografia, progettazione grafica pubblicitaria e tipografica, oggettistica, lavoro teorico, organizzazione culturale e, infine, il lavoro di sceneggiatore cinematografico. L'enumerazione basterebbe a farci intuire l'irrequietezza mentale e spirituale dell'artista, il suo deciso disporsi a sempre diverse esperienze e innovazioni, la sua capacità di avvertire le non svelate esigenze di ogni stagione. La traiettoria di Prampolini comincia in clima simbolista e registra, subito dopo, un' adesione alle poetiche del futurismo (1913), che lo induce a lavorare con Balla e Depero. Il mondo della tecnica e il mito della macchina ("Arte meccanica") caratterizzano le sue ricerche degli anni Venti che, in seguito, punteranno a una sorta di "idealismo cosmico": le proiezioni spaziali di Prampolini traducono, con forte impulso creativo, il tema futurista dell'"areopittura", anche con una serie di opere polimateriche (la materia costituisce per l'artista una presenza straordinaria, che racchiude forze insolite e misteri). E siamo agli anni Trenta, quando Prampolini partecipa, a Parigi, ai movimenti "Cercle et Carré" e "Abstraction-Création". Dopo la breve esperienza post-cubista picassiana, la mostra documenta quel forte rinnovamento del suo lavoro - entro i modi di una non-figurazione strutturale - che lo porterà, siamo ormai al Cinquanta, ad impegnarsi nell'ambito del Mac (Movimento arte concreta). La forza e l'inventività del suo regno lo avvicinano sempre di più all'ambito dell'arte informale. Come nota Crispolti in sede di prefazione al catalogo, la straordinaria attitudine a rinnovare e a rinnovarsi, che precipuamente distingue il lavoro di Prampolini, non viene risolta nei termini d'una dimensione intuitiva ma in quelli di una sistematicità di ricerca e di metodologia operativa e di fitta tessitura di relazioni culturali, che si situa entro una prospettiva internazionale. Al qual proposito bisogna dire che la mostra di Roma, impegnata a illustrare e spiegare tanta differenza di espressioni, di interventi, di scoperte, ha cercato di seguire e di "imitare" - nella realizzazione espositiva e con precisi riferimenti cronologici, rimandi e paragoni - lo stesso metodo dell' artista che sembra, di volta in volta, sostanzialmente nascere e svilupparsi da una profonda ispirazione progettuale. E' il modo migliore per capire ed apprezzare l'arte di Prampolini in cui non è sempre facile tener distinte la componente teorica e quella creativa perché - lo notava Umbro Apollonio in occasione della sala che gli dedicò, a due anni dalla scomparsa, la Biennale di Venezia - "molto spesso la lezione impartita congiunge ambedue gli stimoli in un' immagine paradigmatica che ne riassume i termini". L'importante è che ne esca, come infatti avviene, il pittore: i cui colori sotterraneamente violentano il controllato ordito della composizione. Basti pensare al Ritratto del padre del 1913 (uno strano divisionismo allusivo-simbolico) o alla Scomposizione di testa di pochi anni dopo (tutta geometrica, scompartita, astratta ma inaspettatamente risonante), alle Forme nello spazio del 1932, a Tensioni astratte del 1950. In questi quadri, per non restare che a pochi esempi, il contesto cromatico alternativamente si ravviva e si attenua, quando cupo, quando vibrante o secco o crudo o "incandescente", a seconda della lucida misura in cui gli viene consentito di emergere, di entrare nella enigmica dimensione del risultato, dell'esserci. E poi, il segno: figurazione, non-figurazione, sperimentazione si perdono e vengono annullate e sublimate da una inarrestabile ed invincibile originalità. E' quella del segno che, come un tracciato di lettere o di idea, come un'orma lasciata da penna o da matita, come un incidere o uno scolpire o un pensare o un graffiare rivela, quasi fosse un punto di massima convergenza, tutta la storia e l'animo e l'assillo di Prampolini: la sua novità, il non davvero trascurabile contributo che egli ha saputo dare all'arte e alla coscienza moderna.
Mario Novi, Prampolini, artista esploratore, la Repubblica, 25 aprile 1992
 
E. Prampolini, Bozzetto per il salone centrale per il padiglione dell’Autarchia, Mostra autarchica del Minerale Italiano, Roma, 1938 - Fonte: Eva Ori, Op. cit.

E. Prampolini, dettagli strutturali del Padiglione dell’Autarchia, Mostra autarchica del Minerale italiano, Roma, 1938 - Fonte: Eva Ori, Op. cit.

Prampolini, forte della favorevole accoglienza alla sua partecipazione alle mostre ed esposizioni in Italia e all’estero, partecipa anche alla Mostra autarchica del minerale italiano, inaugurata il 18 novembre del 1938 al Circo Massimo a Roma, dove già erano state organizzate la Mostra del Dopolavoro e la Mostra tessile <127.
A causa delle sanzioni economiche imposte dalla Società delle Nazioni che avevano colpito l’Italia a seguito dell’invasione dell’Etiopia, il governo fascista deve far fronte autonomamente alla necessità di materie prime: nonostante queste restrizioni, il governo fascista riesce comunque a sfruttare l’autarchia in modo propagandistico mettendo in mostra i prodotti nazionali utili per l’economia del paese.
L’organizzazione generale è nelle mani dell’onnipresente Oppo che, assistito da Mario De Renzi, Giovanni Guerrini, Mario Paniconi e Giulio Pediconi, chiama circa 40 architetti e oltre 60 fra scultori e pittori per realizzare 23 padiglioni all’interno dei quali trovavano posto i 39 settori delle varie attività minerarie. Diversi sono gli artisti presenti: Roveroni, Severini, Guttuso, Giulio Rosso, Mannucci, Ziveri, Afro, Gregori, Morbiducci, Toti, Monti e Girelli <128.
Tra gli architetti che si occupano degli allestimenti troviamo Montuori per il padiglione dei combustibili solidi; Guerrini per il padiglione dell’Arte; Paniconi e Pediconi per il padiglione dei combustibili liquidi e gassosi; Monaco, Luccichenti e Ventura per il padiglione dei minerali ferrosi; Albini e Palanti per quello del Piombo e Zinco; per quello dell’Alluminio e Magnesio: Saverio Muratori e Prampolini; per quello del Mercurio: Vaccaro; per quello dei minerali vari: Lapadula e Romano; per quello dei marmi, graniti e pietre: Fuselli, Cominotti e l’ing. Bruni; per il padiglione dell’Africa Italiana: Petrucci e Rava; per quello dell’Autarchia: Puppo e Vitellozzi, che si occupano anche del padiglione delle ricerche e invenzioni. Il padiglione dello Zolfo è opera di Franzi e Lombardi; in quello delle piriti troviamo Nizzoli; Morbelli e Scalpelli per il padiglione delle Sabbie silicee, e Petrucci, Mezzina e Catalana per il padiglione della difesa della razza nel settore minerario. Altri padiglioni sono costruiti da Peresutti, Tosi, Roveroni, De Renzi, Quaroni, Tedeschi, Paladini, Luccichenti, Guerrini, Adelasio, Cancellotti e Mancini.
Tra tutti questi nomi altisonanti, nella guida/documentario della mostra, compare anche quello di Prampolini, proprio in qualità di architetto, accanto a Saverio Muratori con cui realizza il padiglione dell’Alluminio e Magnesio: sembra essere un riconoscimento pubblico della sua attività in ambito architettonico <129. Oltre ad occuparsi del padiglione dell’Alluminio e Magnesio assieme a Muratori – di cui tuttavia non si hanno dati sulla natura della collaborazione –, egli segue pannelli e decori per il padiglione del Mercurio, della Difesa della razza e dell’Autarchia, come si evince dai disegni preparatori già pubblicati in diversi cataloghi sull’artista modenese.
Egli collabora quindi con Puppo (col quale aveva già collaborato alla Mostra del Dopolavoro) e Vitellozzi per il padiglione dell’Autarchia, dove realizza un’enorme composizione plastica fino al soffitto. Nel padiglione della Difesa della Razza, ossia della difesa e assistenza del minatore, collabora poi con gli architetti Petrucci, Mezzina e Catalana, (con Petrucci aveva già collaborato ad Aprilia) dove realizza un esercito di manichini tridimensionali con scafandri, raffiguranti i minatori con maschere antigas e piccone, che vengono ripresi come in proiezioni sulle pareti a fianco.
Nel padiglione dell’Alluminio e del Magnesio l’artista realizza un allestimento che richiama il padiglione dell’Elettronica alla Mostra dell’Oltremare napoletana: una spirale cilindrica che si dirama dal pavimento al soffitto, celebrando il ciclo di lavorazione che va dalla bauxite all’alluminio, e gigantografie con pannelli illustrativi appesi sulle pareti del salone circolare. Nel padiglione del Mercurio ad opera di Giuseppe Vaccaro, Prampolini realizza un pannello bidimensionale delle esportazioni del mercurio attraverso una sagoma dell’Italia, inoltre allestisce un’intera parete con i numeri delle percentuali del metallo liquido consumato nel mondo e un globo metallico avvolto da fasci luminosi indica i flussi di esportazione; una fontana di mercurio, ricavata da un alveo nel pavimento, conclude l’allestimento suscitando lo stupore del pubblico <130.
Attraverso fotomontaggi, gigantografie, cartelli pubblicitari, scritture luminose, l’uso particolare della luce, congegni metallici e polimaterici, uniti ad un efficace impiego degli elementi tipografici, i futuristi e in particolare Prampolini creano un sistema efficace di comunicazione di massa nelle esposizioni.
Nel 1939 Prampolini collabora con l’architetto Susini per allestimento e la decorazione del padiglione italiano all’Esposizione Internazionale di San Francisco <131, di cui tuttavia non è stato possibile rintracciare alcuna documentazione e, sempre nello stesso anno, è impegnato per l’Esposizione Universale di New York.
Quest’ultima, dal tema "Costruire il mondo di domani", era stata organizzata per celebrare il 150° anniversario dalla Fondazione del Governo degli Stati Uniti e l’insediamento del suo primo presidente George Washington. L’Italia è presente con una Sala d’Onore nel Padiglione delle Nazioni e con un suo padiglione nazionale, progettato da Michele Busiri Vici, che deve rappresentare un excursus storico della cultura e dell’industria italiana, attraverso l’esaltazione dell’energia elettrica e della produzione idroelettrica. L’architetto romano pone quindi sulla cima della torre del padiglione una statua, personificazione di Roma, sotto la quale scende un’imponente cascata d’acqua lungo i gradini di tutto il fabbricato, mentre in primo piano è una statua omaggio a Guglielmo Marconi <132.
All’interno del padiglione viene allestita un’esposizione nella sala delle arti e artigianato italiano, a cui Prampolini, unico fra i vari artisti ad appartenere al movimento futurista, partecipa con dei suoi lavori. Egli si occupa anche del progetto di allestimento della sala riservata ai futuristi – anche se in quasi tutti gli articoli riguardanti l’esposizione di New York non è menzionata <133 – della dimensione di circa 80 metri quadrati, con opere di Boccioni, Sant’Elia, Prampolini, Benedetta, Ambrosi, Azari, Fillìa, Farfa, Giuntini, Dottori, Buccafusca, Monachesi, Masnata, Scurto, Buzzi, Govoni, Jannelli, Vasari, Tullio d’Albisola, Tato, Sanzin, Somenzi <134.
Prampolini realizza per l’allestimento un plastico murale di cui rimane solo qualche bozzetto <135. Per la messa in opera dei suoi lavori, l’artista si era affidato a Michele Busiri Vici che in una lettera gli riferisce che tutto il suo materiale era giunto in cantiere e che avrebbe montato tutto secondo i suoi desideri in armonia con il padiglione <136.
Tornato in Italia, Prampolini partecipa alla VII Triennale, dove realizza l’allestimento di un Ufficio Turistico assieme a Cesare Andreoni.
127 A. Russo, Il fascismo in mostra, Editori Riuniti, Roma 1999; si veda inoltre G. Biadene, La Mostra del Minerale Italiano, in “L’Illustrazione Italiana”, LXV, 20 novembre 1938, n. 44.
128 C. Longo, Mostra autarchica del minerale italiano in Roma, in “Architettura”, 18 , aprile 1939, n. 4, p. 197. 129 P.N.F., Mostra autarchica minerale italiano. Documentario, Direzione della mostra autarchica del minerale italiano, Roma 1939, pp. 111, 114, 249; V. Orazi, L’ascesa autarchica della Nazione documentata nel Padiglione dell’Autarchia, in “La Provincia di Como”, 7 aprile 1939; V. Orazi, La mostra autarchica del Minerale Italiano. Nel Regno dell’Alluminio, in “Il Brennero”, 16 febbraio 1939.
130 V. Orazi, Alla mostra del minerale. Il mercurio italiano, in “Cronaca prealpina”, 16 marzo 1939.
131 MACRO, CRDAV, FEP, fascicolo 128, S VII, B8, c5, Elenco delle realizzazioni di Prampolini redatto da Alessandro Prampolini.
132 L’esposizione di New York 1939, in “Architettura”, XVII , ottobre 1938, n. 10, p. 592.
133 Si veda ad esempio M. Biancale, La decorazione artistica del padiglione d’Italia all’Esposizione di Nuova York, in “L’Italia Illustrata”, LXVI, 23 aprile 1939, n. 17, che descrive minuziosamente la presenza di Ferrazzi, Romanelli, Guerrini, Dazzi ed altri senza fare menzione degli artisti futuristi.
134 Italy and the world’s Fair, New York, 1939, p. 108, in E. Crispolti (a c. di), Nuovi archivi …, cit., p. 710.
135 MACRO, CRDAV, FEP, fascicolo 128, S VII, B8, c5, Elenco delle realizzazioni di Prampolini redatto da Alessandro Prampolini.
136 MACRO, CRDAV, FEP, fascicolo 016, corrispondenza 1937-39, Lettera di M. Busiri Vici a Prampolini del 4 aprile 1939.

Eva Ori, Op. cit., pp. 41-43 

E. Prampolini, Architettura nello spazio, tempera su carta, 1920, collezione privata, Roma - Fonte: Eva Ori, Op. cit.

E. Prampolini, Architettura di nudo, olio su tela, 1916 - Fonte: Eva Ori, Op. cit.