Insomma, un poeta per bambini che sia un vero poeta, e non un semplice «specialista» (ce ne sono, e anche di bravi a modo loro, ma è tutto un altro discorso), non scimmiotta mai i bambini, non «rifà il verso» (è proprio il caso di dirlo) a nessun bambino, né in generale (il bambino come istituzione), né in particolare (un bambino in carne e ossa con i suoi specifici modi di linguaggio e di formulazione fantastica). <416
Con queste parole Giovanni Raboni, che nel 1978 aveva curato, insieme a Antonio Porta l’antologia Pin Pidìn, poeti d’oggi per i bambini (Feltrinelli, Milano 1978, 2a ed., 1979; cfr. cap. 3.2), interviene nell’ambito della discussione e delle riflessioni su che cos’è la poesia per l’infanzia promosse dal volume Il gioco della rima del 1984. Puntando il dito contro gli scimmiottamenti e le professioni di “poeta specializzato”, individua invece la caratteristica del vero poeta nella capacità di riuscire a parlare ai bambini attraverso il “tono” giusto. Il vero poeta, precisa Raboni, parla sempre a se stesso, anche quando si rivolge ad altri, e nel caso del poeta che scrive poesie per bambini, è colui che riesce, in un certo qual modo, a “resuscitare” il bambino che è stato, riallacciandosi a quella «esperienza infantile del mondo». Vi è dunque una sorta di continuità, di coerenza fra la produzione per adulti e quella per bambini, “musicalmente” differenziata proprio dal tono, come è evidente nella produzione stessa di Raboni, testimoniata, come si vedrà, qui di seguito,
dalle sue poesie “gattesche” .
Nel 1982, il poeta scrive, indirizzandosi ai bambini, la storia in versi Un gatto più un gatto, con le illustrazioni dell’ “esperta di gatti” Nicoletta Costa <417:
Dal quaderno di aritmetica del gatto Pastrocchio
1.
Un gatto più un gatto fa due gatti
un gatto meno un gatto fa un gatto andato via
speriamo che torni presto
che non si perda
che non si faccia male
che per strada stia attento a attraversare
che trovi sui tetti la strada per tornare
[...]
3.
Un gatto che si specchia fa due gatti
come un gatto che sogna
d'essere un gatto
un gatto che sogna di specchiarsi
fa tre gatti
o forse quattro
due gatti che fanno per sé
fanno sei gatti
sette gatti fanno un gatto
con sette vite.
Nicoletta Costa, dal sito personale: http://www.nicolettacosta.it/personaggi/i-gatti-di-nicoletta/ in A. Comes, Op. cit. infra <418 |
Ma, il poeta, come ricorda bene Giuseppe Pontremoli < 419 , aveva già trattato il tema “gattesco” in due poesie precedenti, che anche se non direttamente rivolte ai bambini, rivelano appunto una continuità e coerenza poetica, con quella differenza di “tono” che abbiamo evidenziato.
Si tratta di Jubilate agno, poesia datata al 1969 (nella raccolta Cadenza d’inganno, 1975):
Per queste cose considero la mia gatta Cipolla.
Perché per prima cosa si guarda le zampe per vedere se sono pulite.
Per seconda cosa solleva le zampe per pulirle.
Per terza cosa si stira.
Per quarta cosa affila le zampe su un legno.
Per quinta cosa si lava.
Per sesta cosa si rotola.
Per settima cosa si spulcia.
Per ottava cosa si strofina allo stipite.
Per nona cosa guarda in su aspettando istruzioni.
Per decima cosa va a cercarsi da mangiare.
Perché neutralizza il diavolo, che è la morte, dandosi da fare con la vita <420;
e Personcina (raccolta Nel grave sogno, 1982):
Quando dorme se lo chiami
muove un orecchio solo.
Succhia latte nei sogni
dalla sua mamma morta.
Morde biscotti. Adora
i fondi di caffè.
Con le zampe assapora
scialli e maglioni.
Dorme sui fogli. Usa
un libro per cuscino.
Sta bene soprattutto
in fondo agli armadi, nelle scatole…
Con occhi più verdi, tremando
spia il via vai dei piccioni.
Si lecca i baffi puntando
la mosca che volerà.
Evidente è dunque una sorta di corrispondenza tra la poesia “per adulti” e quella rivolta ai bambini, che non è solo generalmente tematica. Il gatto osservato come una creatura mobile, vitalistica e a volte misteriosa, diventa anche l’occasione per appuntare qualche saggia considerazione.
Pochi anni dopo l’uscita della raccoltina di Raboni, sul finire degli anni Ottanta, Giovanni Giudici (1924-2011) pubblica Scarabattole (1989, poi Mondadori, Milano 1999), con le illustrazioni di Nicoletta Costa, quattro «scherzi in rima», come recita la quarta di copertina, quattro storie in rime baciate, pubblicate anni prima sul «Corriere dei Piccoli»: Le streghe, L’animaletto, Il lupo e La bambola. Quando il «poeta senza miti» (Berardinelli), erede di Gozzano e Saba, pubblica la raccolta per bambini, è già un poeta affermato, che attraverso il linguaggio della normale quotidianità ha messo in versi quello che appare come uno strenuo tentativo di sopravvivenza fra l’accettazione della realtà e il tentativo di scavalcarla. <421 Sono questi gli anni che seguono a una raccolta centrale di Giudici, Salutz <422 che sotto il titolo reca l’indicazione 1984-1986. Sono anni in cui dalla riflessione della realtà impiegatizia, piccolo-borghese, della poesia precedente, si avvia la “colata”, per dirla col suo prefatore Giovanni Raboni, di altri toni e voci e così anche l’approdo alla poesia per bambini, rientra nella vòlta di questi anni più sperimentali, maschere, sì, sempre secondo Raboni, ma mai finzioni. E se poesia è il perseguimento di raccontare la vita (e il mondo), più che l’analisi del rapporto conflittuale fra le due, allora anche per la poesia per bambini basta una semplice chiave per accedervi.
Così, per esempio, nel primo raccontino le streghe, chiamate appunto «scarabattole», riconoscibilissime dagli stracci che indossano e dagli occhi affumicati, sono sì pericolose - è noto poi che vivono nei castelli in rovina ed escono quando è notte, a cavallo di scope, - ma si possono fronteggiare, e basta una risata per farle scappare via pazze «di rabbia e di spavento»:
Per chi ci crede e chi non ci crede
Parleremo delle streghe.
Dice la gente che son vecchie
Con i pidocchi fin dentro le orecchie,
Con gli occhi storti e affumicati,
Con i vestiti sporchi e stracciati.
Vivono dentro castelli in rovina
Con gli uccellacci di rapina:
Perché gufi e barbagianni
Son delle streghe gli eterni compagni.
Durante il giorno stan chiotte chiotte
Aspettando che faccia notte.
Ma quando è buio vispe e allegre
Spiccano il volo le brutte streghe:
Vanno a cavallo delle scope,
Corrono come milioni di ruote;
Passanomonti, passan pianure,
Passano buchi di serrature;
Bevono il latte dei pipistrelli,
Di ragnatele hanno i capelli;
Mastican vermi vivi tra i denti,
Per questo sono così puzzolenti;
E più dei ladri e degli assassini
Vogliono fare paura ai bambini.
Così ti dicono se fai i capricci
E a far la nanna non ti spicci.
Ma io t’insegno il modo sicuro
Per inchiodare la strega al muro;
E ti spiego come fare
A ruzzolarla giù per le scale.
Se la senti che sta arrivando
Non devi piangere tremando;
Se cerca di farti un dispetto
Non rannicchiarti nel tuo letto;
E se ti fa il solletico ai piedi
Digli: stupida, cosa ti credi?
Fagli in faccia una gran risata
E la strega sarà spacciata.
Questo è il sugo dell’avventura:
La paura è di chi ha paura.
Tu fagli solo: coccodè
E ogni strega ha paura di te.
Pazza di rabbia e di spavento
Se ne scappa via come il vento,
Via lontano per mai più tornare:
E tu puoi andartene a russare. <423
Il testo è interessante da ricordare anche perché propone una rappresentazione delle streghe molto diversa da quella delle famose streghe di Roald Dahl che non si distinguono, sembrano donne qualunque e sono quindi difficili da scoprire. Il libretto di questo autore, tanto amato anche dal giovane pubblico italiano, è dei primi anni Ottanta e viene tradotto in Italia nel 1987 conoscendo infatti un grandissimo successo. <424
Dell’infanzia Giudici però ha trattato anche come tema in numerose poesie, facendo dell’io autobiografico un personaggio dei suoi versi, come si può leggere in Prove del teatro (1953-1988), nell’intensa Questo caro sgomento, che sembra rivivificare proprio quella «esperienza infantile del mondo» di cui parlava Raboni:
L’infanzia dalle lunghe calze nere
logorate ai ginocchi sugli spigoli
dei banchi, l’infanzia delle preghiere
assonnate ogni sera, delle nere
albe dei morti, della litania
di zoccoli cristiani sul selciato,
l’infanzia che m’ha dato
questo caro sgomento mio d’esistere…
416 Giovanni Raboni, Poesia per poesia di, in Il gioco della rima. Poesia e poeti per l’infanzia dal 1700 ad oggi, a cura di Stefania Favri, Francesca Lazzarato, Paola Vassalli, Emme,Milano 1984, pp. 123-124, in part. p. 124.
417 [1989] Ed. Mondadori, Milano 1999, dove si trovano anche alcune poesie dell’edizione antologica del 1978 - silloge ripresa da Pin Pidìn. Rodolfo Zucco, curatore de L’opera poetica di Raboni (Mondadori, I Meridiani, Milano 2006), ci
informa tuttavia che intenzione del poeta era quella di non voler ripubblicare le poesie per bambini, in una edizione completa delle sue poesie.
418 «Fin da quando ero molto piccola adoro i gatti. Avevo un gatto bianco e nero molto grasso e molto dolce che si chiamava Birba e che mi è rimasto nel cuore. Nelle mie storie c’è quasi sempre un gatto sornione, che osserva il mondo
con i suoi occhi gialli. Ora, mentre vi racconto dei gatti che disegno il mio gatto Chagall, in carne ed ossa, si è seduto sulla tastiera e fa le fusa….»
419 Sulle poesie «gattesche»: Giuseppe Pontremoli, Non essendo che uomini, in «école», marzo 1992: http://www.giuseppepontremoli.it/pergiuseppe_nonessendo.htm
420 In nota Raboni afferma che il componimento poetico deriva da una poesia di Christopher Smart. In effetti però la poesia di Raboni è, per alcuni versi, una vera e propria traduzione/rielaborazione. All’interno del lungo poema Jubilate
Agno (concepito come una sorta di continuazione della Bibbia), lo stravagante filologo e poeta inglese del XVIII secolo Christopher Smart, comincia a raccontare del gatto Jeoffry (v. 695: «For I will consider my Cat Jeoffry», «Perché
adesso considererò il mio Gatto Jeoffry») e prosegue nei versi successivi con i 10 punti (vv. 703-712, «For first he looks upon his forepaws to see if they are clean./For secondly he kicks up behind to clear away there./ For thirdly he works it upon stretch with the forepaws extended./ For fourthly he sharpens his paws by wood./ For fifthly he washes himself./ For sixthly he rolls upon wash./ For seventhly he fleas himself, that he may not be interrupted upon the beat./ For eighthly he rubs himself against a post./ For ninthly he looks up for his instructions./ For tenthly he goes in quest of food»; cfr. l’edizione italiana a cura di Francesca Romana Paci: Christopher Smart, Jubilate Agno, Guanda, Parma 1983). Giovanni Raboni, L’opera Poetica, a cura e con un saggio introduttivo di Rodolfo Zucco e uno scritto di Andrea Zanzotto,Mondadori,Milano 2006, pp. 171, e 1517.
421 Cfr. La poesia verso la prosa. Controversie sulla lirica moderna, Bollati Boringhieri, Torino 1994 e in Giovanni Giudici, in «Una città», n. 247, marzo 2018; Fabio Magro, Un luogo della verità umana. La poesia di Giovanni Raboni,
Campanotto, Pisa 2008, in particolare pp. 96-97 e 108.
422 Giovanni Giudici, Salutz, Einaudi Torino 1986, Premio “Librex Guggenheim-Eugenio Montale” 1987, poi ribubblicato dal Saggiatore, Milano 2016 con uno scritto di Giovanni Raboni. Postfazione di Carlo Londero.
423 Giornalista, saggista, ma anche traduttore (Ezra Pound, Robert Frost, John Crowe Ransom, Sylvia Plath, Aleksandr Puškin), il percorso poetico di Giudici va da La vita in versi (1965) a Eresia della sera, da Lume dei tuoi misteri (1984) a Fortezza (1990); le sue poesie complete sono raccolte in I versi della vita (2000), a cui ha fatto seguito Da una soglia infinita. Prove e poesie 1983-2002 (2004). Ha pubblicato alcune raccolte di saggi, come La letteratura verso Hiroshima (1976), La dama non cercata (1985), Andare in Cina a piedi (1992).
424 Roald Dahl, Le streghe, traduzione di Francesca Lazzarato e Luigi Manzi, Salani, Milano 1987.
Disegno di Quentin Blake per Le streghe di Roald Dahl (1983) in A. Comes, Op. cit. infra
Annalisa Comes, La poesia italiana per l’infanzia in italia dal 1945 a oggi: riflessioni critiche, testi, illustrazioni. Proposta di antologia, 5.4 Gatti e scarabattole: la poesia per bambini di Giovanni Raboni e Giovanni Giudici, Tesi di laurea, Université de Lorraine, Università degli Studi di Verona, 2019, pp. 198-206