martedì 15 giugno 2021

La latinoamericanità delle opere si trasforma in una risorsa per la diversità


L’idea di “Arte latinoamericana” nasce in un periodo e in uno spazio determinati. Anche se l’aspirazione di costruire una “Arte latinoamericana” si trova già nelle avanguardie artistiche dell’inizio del XX secolo, è negli anni Settanta del ‘900 che critici d’arte come Marta Traba, Juan Acha, Demián Bayón, Jorge Alberto Manrique, Antonio R. Romera, Francisco Stastny, Mario Barata e Jorge Romero Brest (solo per nominarne alcuni), cercano di formulare teorie capaci di rispondere alla domanda: esiste un’Arte latinoamericana?
Nel contesto della Guerra Fredda, questa generazione si è caratterizzata per aver avuto un approccio di studio alle opere a partire dalle strutture sociali in cui nascono e che si modellano su uno schema dialettico. Le opere venivano intese come un prodotto del confronto tra centro e periferia, cultura colonizzatrice e cultura colonizzata, Paesi sviluppati e Paesi dipendenti, industria culturale e cultura locale, criollos e meticci.
La cultura latinoamericana quindi non veniva più affrontata con un’attitudine universale, come avrebbero fatto autori di una generazione precedente, ad esempio Octavio Paz o Joaquín Torres-García. Al contrario, essa era percepita come un terreno di conflitto e la definizione di “Arte latinoamericana” variava a seconda delle diverse sfumature di una struttura dialettica. Per alcuni, come Marta Traba, l’arte latinoamericana comprendeva tutto ciò che si manteneva autonomo rispetto all’influenza dell’industria e allo stesso tempo era autoreferenziale rispetto al proprio medium; Romero Brest definisce l’arte latinoamericana come quel mezzo capace di sublimare i modi di vivere dell’uomo sudamericano, e dunque i mass media, a basso costo e contingenti, gli erano funzionali; altri, come Mario Barata, vedevano nella condizione meticcia di quest’arte, quindi senza centro, la ragione per identificarla con il Barocco, intendendo il Barocco come temperamento di una pulsione umana più che uno stile storico.
Tuttavia, a prescindere dalla prospettiva che si prende in considerazione, l’arte latinoamericana veniva identificata come ciò che sarebbe stato capace di sovvertire le condizioni di dominazione e dipendenza, tipici di uno schema centro-periferia.
Questi critici hanno avviato un dialogo che si è sviluppato in diversi incontri, come ad esempio América Latina en sus Artes del 1970 a Quito, il Simposio sobre Arte y Literatura del 1975 ad Austin, Texas, il Primer Coloquio  Internacional de Historia del Arte del 1975 a Città del Messico, il Primer Encuentro de Críticos de Arte y Artistas Plásticos Iberoamericanos del 1978 a Caracas, il Simposio Latinoamericano del 1978 a Buenos Aires, il Simposio de la I Bienal Latinoamericana de Arte de San Pablo del 1978 ed il Primer Coloquio Latinoamericano de Fotografía del 1978 a Città del Messico.
Nel quadro di questa serie di incontri possiamo considerare anche il Simposio Internazionale sul Barocco Latinoamericano realizzato nel 1980 a Roma, evento che, come ci segnala De Nordenflycht in questo volume, servirà a mettere in discussione il modello centro-periferia.  
Questi incontri si sommano, inoltre, a una serie di iniziative curatoriali, dove si traduce in realtà quest’aspirazione ad una “Arte latinoamericana”, come la I Bienal Latinoamericana de Arte de San Pablo del 1978 o le mostre che l’IILA, dal 1972, sviluppa alla Biennale di Venezia.
Già alla fine degli anni Settanta, l’aspirazione di costruire una teoria capace di definire una “Arte latinoamericana” inizia ad essere contestata. Una delle prime critiche sarebbe arrivata dal brasiliano Frederico Morais, che avrebbe messo in discussione questa supposta identità comune dell’arte del continente e sostenuto che lo sforzo di riunire pratiche diverse all’interno della sola etichetta di “Arte latinoamericana” sarebbe stato riduttivo e parte di un processo di colonizzazione, più che di sovversione.
Nella decade successiva, autori come Mari Carmen Ramírez, Néstor Canclini, Gerardo Mosquera e Ticio Escobar, si sono uniti a questa critica. Essi hanno indicato come il progetto di costruzione di “Arte latinoamericana” rientrasse in un’aspirazione di modernizzazione della cultura latinoamericana, aspirazione che considerava la modernità europea come l’unico modello possibile dimodernizzazione, di fronte alla quale le altre località “periferiche” erano considerate “arretrate”.
Questi critici enfatizzano l’eterogeneità delle pratiche artistiche nel continente e la contemporaneità delle diverse strutture socio-economiche ed estetiche, scartando l’idea che questa diversità si debba a gradi di “sviluppo” culturale o economico. Si abbandonano le narrazioni che organizzano la produzione artistica secondo un’asse temporale, le quali cercano di radicare le opere ad una storia e cultura particolare, mentre si accentua l’eterogeneità di un’asse spaziale, il quale include manifestazioni come l’arte chicano (un tipo di arte prodotta da “latinoamericani” negli Stati Uniti). In questo modo anche la divisione tra “l’artistico” e il “popolare”, che aveva avuto una certa rilevanza nel continente, viene messa in discussione.
Per Escobar, queste categorie non facevano altro che donare un carattere “sviluppato” o “evoluto” a certe pratiche, chiamate “artistiche”, e un altro immobile e primitivo alle altre pratiche considerate “popolari”.
Infine, la stessa categoria di “Arte latinoamericana” viene messa in discussione, in quanto questa etichetta è in sé segregante, dal momento che una definizione espressa per località è applicata solo ad opere e ad artisti che abbiano un’origine che non sia “occidentale”. Il luogo di provenienza non è una componente determinante al momento di valutare quegli artisti provenienti dalle capitali culturali, che invece sono visti come “universali”.
Secondo Ramírez, l’etichetta di “Arte latinoamericana” risulta efficiente, soprattutto per riaffermare la razionalità lineare dell’occidente, in contrapposizione ad un’America Latina irrazionale e fantastica.
A vent’anni dalla proposta di costruire una teoria dell’arte latinoamericana, questi critici continuano a rendere omaggio alla generazione precedente. Tuttavia essi non cercano più di formulare una teoria capace di definire l’arte latinoamericana, ma di esaminare la rete di poteri che costruiscono questa categoria: era necessario decostruire l’idea di arte latinoamericana.
D’altra parte, l’idea di arte latinoamericana, in quanto sovversiva, aveva acquistato forza e validità in quelle discipline che cercavano di superare la modernità europea, come ad esempio gli studi post-coloniali. Tutto ciò si è tradotto in un boom di esposizioni sull’arte latinoamericana nelle capitali culturali, come Parigi, New York, Londra, Madrid, etc. In queste esposizioni “l’altro” diventa funzionale per una ricerca propria della modernità europea, al fine di diventare post-modernità o post-coloniale. Una ricerca fatta per abbandonare un concetto di modernità radicato nel suo contesto e, in questo modo, farsi globale. Tuttavia, questo interesse si presenta più come un’amplificazione dell’attenzione verso l’altro, incorporandolo all’interno della propria sfera, che come una reale apertura ad “altri epistemi”.
Nel quadro di queste problematiche, l’idea di“Arte latinoamericana” non risponde più a un tempo e a un luogo determinato, come abbiamo visto ai suoi inizi. La “latinoamericanità” delle opere non si riferisce più ad una regione geografica particolare (come erano l’America ispanica, il Sud America e il Sud America e i Caraibi); al contrario, si trasforma in un oggetto teorico, una risorsa per la diversità, che non conserva nessuna relazione con una regione in particolare.
A metà degli anni ’90, mentre i Latin American Art Studies godevano di popolarità, i critici si trovavano ad affrontare il problema dello scollamento tra regione geografica, oggetto teorico e luogo di enunciazione (un problema intrinseco in questo campo disciplinare). Questa tematica era stata in parte messa in discussione dagli Studi Post-coloniali, i quali sostenevano che “l’oriente” (o meglio i subalterni) fosse studiato come un luogo distinto rispetto a quello in cui si produce il sapere. Per confrontare questi temi, autori come Walter Mignolo, Aníbal Quijano, Federico Morais, Nail Larsen, Nelly Richard e Gerardo Mosquera non propongono più di pensare ad una teoria che possa definire l’arte latinoamericana, né di studiare le reti di potere che conferiscono significato a questa idea, ma vogliono riflettere sul luogo da cui l’America Latina viene enunciata. Questi studiosi stabiliscono la differenza tra pensare o parlare in America Latina, che implica l’essere ontologicamente situati nella sua storia; sull’America Latina, cioè facendo attenzione al subalterno, senza però prendere coscienza di dove questo discorso venga elaborato; o dalla America Latina, cosa che implicherebbe una presa di coscienza da parte delle istituzioni dalle quali si parla, così come delle funzioni che si attribuiscono al proprio discorso in un contesto globale. In questo modo, tali studi propongono l’idea della “Arte latinoamericana” come un luogo di enunciazione.
Cristóbal F. Barría Bignotti, L’arte latinoamericana si apre al mondo a partire dall’Italia, l’Italia si globalizza a partire dall’arte latinoamericana. L’idea di “Arte latinoamericana”, Quaderni Culturali IILA, n° 1 novembre 2018