Ugo Bernasconi, Il Monte Rosa - Fonte: Artsy |
Il Dizionario della critica d’arte di Luigi Grassi e Mario Pepe dà la seguente definizione del «precetto»: "Precetti. Norme, princìpi, insegnamenti d’ordine teorico e pratico inerenti alla cognizione sulle arti figurative. Si tratta, in altri termini, di quel patrimonio di esperienze, che dalle botteghe e scuole dei maestri della pittura scultura architettura è stato formulato in una successione di regole istituzionali, in base a diversi sistemi costitutivi dei trattati d’arte" <2.
Sono del tutto assenti istruzioni tecniche o ricette di colori, perché «in quanto alla materia - il meno è il meglio» e «la materia dell’opera non è che il tramite». Se alcune notazioni di tecnica pittorica si possono leggere fra le righe, sono quelle - sulla resa della luce, sul modo di «dedurre la figura dal fondo», sulla necessità di fare il bozzetto direttamente sulla tela, sull’uso del «color di zolla», del nero - ricavate dall’insegnamento di Eugène Carrière, più volte citato, come un ritornello: «C’est l’arabesque de la lumière qui constitue le tableau» <4. L’interesse dell’autore però è qui per la prima volta di carattere morale: egli stesso annota in un suo taccuino di appunti: «Essi fanno della pittura, della scultura, dell’architettura, della letteratura - dell’ingegneria - ma nessuno fa della moralità» <5, e avverte in un precetto: «Badate che in fondo ad ogni questione umana è sempre una questione di morale. Questo è il cominciamento di ogni intrapresa umana - il cominciamento e il fine. Voi non avrete sviscerato il problema finché non sarete arrivati a quel nocciolo». Il «nocciolo» è appunto una visione ‘attiva’ dell’arte: «Tu sei un uomo che vuole agire sugli altri uomini. Per questo fai dell’arte».
L’arte diventa una «profezia», un modo per disegnare un mondo, ricostruito nell’armonia della mente del pittore: «Né alcuno è veritieramente artista fin che non sente l’opera sua come una causa efficiente del mondo avvenire, ma solo come un inutile e fragile e ingombrante duplicato di ciò che è presente. Arte è profezia» <6.
Ugo Bernasconi, Senza titolo - Fonte: Metropolitan Magazine |
Ugo Bernasconi e Ardengo Soffici a Milano, 1939 - Fonte: Inventario Archivio Ugo Bernasconi cit. infra |
I lettori di aforismi - che spesso condividono con l’autore la superiorità intellettuale di una «aristocrazia delle grandes-âmes» <11 - vi possono trovare la conferma al proprio pensiero, come ricorda Prezzolini («Gli aforismi sono vasi che il lettore riempie con il suo vino. Bisogna perciò farli ornati di immagini, con ricchi festoni di antitesi. Ci piacciono perché li possiamo scegliere, senza guastare l’opera» <12), l’invito alla personale riflessione filosofica, all’introspezione, lo stimolo - nella brevità erede della stagione dei manifesti delle avanguardie - all’azione. La perentorietà del messaggio trasmesso in una-due righe si addice tanto ai contenuti programmatici del futurismo quanto alle formulazioni parenetiche dei precetti bernasconiani. Sebbene, si vedrà, del futurismo decisamente rifiuti gli esiti, Bernasconi ne condivide le radici lombarde (la polemica artistica erede degli interventi grubiciani).
[...] L’arte dello scrivere, come quella di lavorare il marmo, ha le sue regole di «divina sobrietà» tanto per il Bernasconi scrittore di lucidi e misurati aforismi («la retorica io la voglio bandita dalle parole, come tu la vuoi bandita dal marmo» <116), quanto per lo scultore teso fino all’estremo alla politezza del materiale che lavora.
Giovanni Papini, ritratto fotografico con dedica a Ugo Bernasconi - Fonte: Inventario Archivio Ugo Bernasconi cit. infra |
Giovanni Papini, ritratto fotografico con dedica a Ugo Bernasconi - Fonte: Inventario Archivio Ugo Bernasconi cit. infra |
[NOTE]
1 U. Bernasconi, Precetti e pensieri ai giovani pittori, Malnate (Milano) 1910, 3.
2 L. Grassi-M. Pepe, Dizionario della critica d’arte, II, Torino 1978, 424.
4 Bernasconi, Precetti cit., 21, 24, 34, 38-39, 46, 83, 85, 95-96.
5 Taccuino fiorentino, 1907-1908 (AB, M4).
6 Bernasconi, Precetti cit., 89, 91, 108.
7 Cfr. E. Carrière, Écrits et lettres choisies, Paris 1907, 11: «L’amour des formes extérieures de la nature est le moyen de compréhension que la nature m’impose».
8 Bernasconi, Precetti cit., 3, 19, 60.
9 G. Papini, Il sacco dell’orco, Firenze 1933, 19.
10 Per comprendere il ruolo di primo piano rivestito dagli artisti nella letteratura aforistica novecentesca è sufficiente sfogliare l’antologia curata da Gino Ruozzi (Scrittori italiani di aforismi, vol. II, Milano 1996), in cui figurano tra gli altri, oltre a Bernasconi, Ardengo Soffici, Mino Maccari, Anselmo Bucci, Carlo Belli, Arturo Martini, Fausto Melotti, Lalla Romano. Sull’aforisma d’artista nel Novecento, si veda soprattutto G. Ruozzi, Forme brevi. Pensieri, massime e aforismi nel Novecento italiano, Pisa 1992, 401-409 e da ultimo, ma marginale, il saggio di E.M. Davoli, Esiste una via figurativa all’aforisma?, in Configurazioni dell’aforisma. Ricerca sulla scrittura aforistica diretta da Corrado Rosso, II, a cura di G. Ruozzi, Bologna 2000, 149-162.
11 Cfr. C. Rosso, La «Maxime». Saggi per una tipologia critica, Bologna 2001 (ma 1968), 88: «Un’identica “superiorità” intellettuale, un’identica “attività” devono accomunare l’autore e il lettore delle massime: altrimenti il genere decade a un tipo di consumazione preferito dai lettori pigri e mediocri».
12 G. Prezzolini, Il Centivio, Milano 1906, 8.
13 Si veda, in una lettera a Pancrazi (Cantù, 24 novembre 1928, AB, 020.053, pubblicata in Lettere di Ugo Bernasconi, a cura di A. Della Torre, A. Longatti, prefazione di E. Travi, Cantù 1991, 54) quello che UB scrive a proposito del suo manoscritto di Paragrafi, poi pubblicato postumo (1987) con il titolo Parole alla buona gente: «Questo mio libro, a cui attendo da molti anni, si intitola Paragrafi, perché i pensieri, di forma spesso aforistica, vi sono raggruppati in brevi capitoletti, non tanto secondo la materia che trattano, ma piuttosto secondo il tono sentimentale da cui nacquero. Infatti la prima idea era di intitolare il libro Diario Sentimentale - ma poi non mi piacque, e come ambiguo, ed anche non veridico, non essendo mai questione qui dentro - come usa nei Diari - della persona mia o comunque de’ casi miei, ma sempre di questioni e di pensieri d’ordine generale».
116 Lettere di Ugo Bernasconi cit., 122. Cfr. la lettera di Wildt a Giovanni Scheiwiller, 26 luglio 1915 (cit. in P. Mola, Dramma, simbolo e astrazione nella scultura di Wildt, in Scultura italiana del Novecento, Milano 1993, 90): «Lei sa benissimo come gli artisti in genere rifuggano la penna, ed in particolare modo il suo amico Wildt che non sa scrivere che nel marmo».
117 G. Papini, La felicità dell’infelice. Le ultime «Schegge», Firenze 1956, 3.
Margherita d’Ayala Valva, Moralismo e «disegnar giusto» nei Precetti di Ugo Bernasconi in L'Archivio Ugo Bernasconi, Carteggi, Manoscritti, Documenti a stampa (1874-1960). Inventario, Carteggi: elenco dei corrispondenti, a cura di Margherita d’Ayala Valva, Edizioni Scuola Normale Superiore Pisa, 2005