mercoledì 31 luglio 2024

Hic sunt Antilopes


"La caccia all’Antilope di Stato è appena agli inizi, ma l’Inquirente marcia già spedita verso una ben determinata direzione. Agisce insomma, come se le fosse già noto il traguardo da raggiungere (il nome del principe della corruzione da smascherare); e le mancassero invece solo le prove probanti, atte a dar seguito alle sue rivelazioni. Ha pertanto dato mandato alla Guardia di Finanza di procedere alla perquisizione di alcuni istituti di credito della capitale" <176.
«Osservatore politico» descrisse in maniera positiva, con l’articolo "Safari di Stato" del 28 aprile 1976, la ricerca svolta dalla Commissione Inquirente per scoprire l’identità del destinatario delle tangenti Lockheed. Entusiasmo destinato a spegnersi pochi mesi dopo.
La nuova Commissione, presieduta dal senatore democristiano Mino Martinazzoli, dichiarò ufficialmente aperta l'inchiesta nei confronti dei deputati Rumor, Gui e Tanassi.
Nel numero di «Osservatore politico» "Lockheed: la traccia c’è, solo che Martinazzoli volesse scavare" del novembre 1976, Pecorelli continuò a sostenere la sua linea accusatoria contro Antonio Lefebvre. "Piuttosto che menar tanto il can per l’aia, l’Inquirente farebbe meglio a porre l’attenzione sulle verità palpabili che ha a portata di mano. Per esempio i prelievi effettuati sui conti della First National Bank e trasmessi a vari istituti di credito su conti utilizzati da uomini di Antonio Lefebvre - la medaglia d’oro della Pubblica Istruzione italiana - per provare operazioni di carattere speculativo […]. Va inoltre considerato che all’epoca della corruzione, Antonio Lefebvre aveva estremo bisogno d’enormi quantità di denaro" <177.
Per tutta la durata del processo della Corte Costituzionale, che si svolse tra il 1977 e il 1979, Pecorelli mantenne l’idea dell’esistenza d’altri personaggi all’interno dello scandalo; il giornalista li definì come gli innominati. Secondo «Osservatore politico», inoltre, non vi sarebbe stata la reale intenzione di scoprire l’identità del maggior beneficiario delle tangenti dell’azienda americana. "L’hanno chiamato il processo del secolo, per la prima volta nella storia della Repubblica la Corte Costituzionale s’è trasformata in alta corte di giustizia, ma dopo due anni di istruttoria e sei mesi di processo, nonostante costosissime trasferte di deputati, magistrati ed esperti in America e in Svizzera, dopo due anni di aspre polemiche, di tribolatissime dimissioni, pattuizioni e ricatti, il paese riuscirà a sapere tutta la verità su Lockheed? Leone è stato costretto a lasciare il Quirinale anzitempo, ma si saprà mai chi è l’Antilope? I commissari d’accusa della Consulta stanno concludendo le requisitorie, ma sul banco degli imputati siedono solo Antonio e Ovidio Lefebvre; Gui, Tanassi, Olivi ed altri minori. Dove sono l’Innominato n. 1, il n. 2 e il terzo, dov’è l’Antilope Cobbler che dell’imbroglio è il vero artefice e il maggior beneficiario?" <178
Lamentando la lentezza delle indagini italiane in contrasto con l’efficienza dei tribunali esteri, in particolar modo i tribunali olandesi e giapponesi nella vicenda delle tangenti aeree, descrisse il processo come viziato dalle origini.
"A seguire i lavori della Consulta, sembra quasi che la maggiore preoccupazione sia quella di non trovarsi all’improvviso tutta la verità in aula. Quasi che il vero processo o la sentenza fossero già stati pronunciati nella famosa seduta congiunta del Parlamento, e che ormai non si trattasse più che di espletare la formalità di condannare Gui e Tanassi" <179.
Nell’articolo "Hic sunt Antilopes", del 3 ottobre 1978, Carmine Pecorelli dichiarò d’avere utili informazioni per sviluppare le indagini. Si tratta di tre assegni versati dalla società Lockheed in conti svizzeri protetti dai controlli fiscali italiani. Il giornalista li pubblicò su «Osservatore politico», chiedendosi per quale motivo, vista la disponibilità della polizia di Berna, la Corte Costituzionale non avesse ancora vagliato tali documenti.
"Che dire infatti dei due documenti che pubblichiamo qui affianco? Nel primo, il 21 marzo di quest’anno il dipartimento di polizia di Berna faceva sapere alle nostre autorità di non poter rivelare i nomi del beneficiario di tre assegni Lockheed finiti in banche svizzere […]. A questo punto il lettore imprecherà contro le autorità elvetiche: al solito, pur di lucrare sui depositi bancari, impediscono il corso della giustizia, pur di guadagnare un franco, preferiscono ingannare un intero popolo. Purtroppo le cose sono andate diversamente. Perché nello stesso documento la polizia di Berna aggiungeva cortesemente: «se la Corte Costituzionale giudica che la conoscenza dell’identità di questa persona è indispensabile per poter giudicare i fatti sui quali si basa la commissione rogatoria, le è consentito di rivolgere una seconda richiesta a questa divisione». Non ci risulta che dal 21 marzo ad oggi la Corte Costituzionale abbia osato tanto. Forse perché, escluso che potesse essere l’imputato Gui o l’imputato Tanassi, esclusi persino i due fratellini di Napoli, si trattava di ricercare il titolare di quel conto troppo scottante nel ristrettissimo novero di quelle persone da sempre sospette che si è avuto gran cura di non tirare in ballo" <180.
Gli sviluppi dell’indagine vennero narrati nel numero del 14 novembre 1978, "Gli assegni della vergogna". «Osservatore politico» si attribuì una parte del merito, riguardante la scoperta degli assegni svizzeri e la rivelazione dei beneficiari di tali conti. Carmine Pecorelli dimostrò il suo ottimismo e si auspicò una rapida e risolutiva fine della vicenda.
"I difensori degli imputati minori stavano concludendo le loro arringhe ma il processo non riusciva a scrollarsi dal triste cammino segnato dai giudici parlamentari dell’Inquirente, quando la settimana scorsa è giunto dalla Svizzera il colpo della grande svolta: le autorità elvetiche hanno comunicato ai giudici della Consulta il nominativo dei titolari e i movimenti dei conti cifrati sui quali sono confluite le tangenti Lookheed. Ovidio ed Antonio Lefebvre non possono più farsi beffa della nostra giustizia, il processo dismette i panni e toni della sceneggiata napoletana per assumere quelli asciutti e nordici delle cifre. Era ora: Op aveva rivelato che la Svizzera era disposta a fare i nomi dei corrotti fin dal 21 marzo scorso, purché qualcuno in forma ufficiale glielo avesse chiesto. A quel punto diventava impossibile impedire che tutte le verità elvetiche giungessero sui tavoli dei giudici ed avvocati della consulta. Così è stato infatti e ora, anche grazie al nostro intervento, si può parlare di cose serie, smetterla di ciurlare nel manico con Innominati e piuttosto passare a fare i conti in tasca ai Lefebvre e agli altri corrotti. A ripercorrere il cammino delle tangenti: fino all’Antilope, con un po’ di fortuna e molto coraggio" <181.
[NOTE]
176 Safari di Stato, Ivi, 28 aprile 1976.
177 Lockheed: la traccia c’è, solo che Martinazzoli volesse scavare, «Osservatore politico», 26 novembre 1976.
178 Hic sunt Antilopes, Ivi, 3 ottobre 1978.
179 Hic sunt Antilopes, Osservatore politico, 3 ottobre 1978.
180 Ibidem.
181 Gli assegni della vergogna: Lockheed, «Osservatore politico», 14 novembre 1978.
Giacomo Fiorini, Penne di piombo: il giornalismo d’assalto di Carmine Pecorelli, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Anno accademico 2012-2013

giovedì 18 luglio 2024

Dal 30 dicembre 1943 al 14 gennaio 1944 in provincia di Cuneo vengono assassinati dai tedeschi 200 persone tra civili e partigiani


Il 12 settembre i tedeschi entrano a Cuneo. Le SS prendono in consegna l’intera città, rastrellano centinaia di soldati sbandati destinandoli ai campi di concentramento in Germania, insieme agli ebrei in fuga in cui si imbattono. Nel frattempo i ribelli sono alla macchia e si organizzano per la guerriglia. Le bande che iniziano a formarsi raggruppano uomini diversi tra loro, spesso lontani per origine politica e sociale, e con intrinseche peculiarità motivazionali; i loro atteggiamenti e le loro ispirazioni influenzano le impostazioni della guerra partigiana che assume in prima battuta i caratteri di una protesta di pionieri.
Il territorio cuneese, collocato tra la Liguria e la Francia sud-orientale, occupa una posizione strategica che favorisce la precoce formazione delle bande partigiane, ma determinante è l’iniziativa personale degli uomini che fin da subito si impegnano per organizzare e condurre la lotta partigiana. È il caso di Duccio Galimberti. Nel suo studio di avvocato fin dal 26 luglio convergono elementi antifascisti cuneesi e, tramite Dante Livio Bianco <1, anche torinesi, che organizzano un piccolo gruppo e un formale arruolamento. Galimberti e Bianco, con altro dieci compagni, salgono in Valle Gesso, a Madonna del Colletto, dove danno vita alla banda “Italia Libera”, una settimana più tardi si spostano a Paraloup in bassa Valle Stura, dove si unisce a loro Nuto Revelli: si definisce così uno dei primi nuclei partigiani della provincia e del Nord Italia.
Tuttavia questo caso non è l’unico degno di nota, nelle valli vicine altri si stanno preparando alla guerriglia. Due carradori di fede comunista, Giovanni e il figlio Spartaco Barale <2, lasciano la bottega, diventata sede del comando della formazione, e la residenza di Borgo San Dalmazzo per gettare le basi di un nucleo partigiano in Valle Vermenagna, mentre sulle pendici della Bisalta Ignazio Vian <3, un giovane tenente della GaF, raduna un contingente di soldati dispersi.
Ciascuna iniziativa è rappresentativa delle componenti da cui si origina la lotta armata. Ci sono i gruppi spontanei di origine militare, fedeli alle tradizioni dell’esercito e alla monarchia, dalle posizioni generalmente attendiste, o più reazionarie e attive come nel caso della banda di Vian; in quasi tutte le vallate, dalle Alpi Marittime al Monviso, ci sono militari sbandati, molti si sciolgono rapidamente, altri crescono di numero creando le Formazioni Autonome che richiamano l’esercito e il giuramento al re, nonostante mostrino talvolta al loro interno ispirazioni eterogenee, repubblicane o cattoliche come nel caso del nucleo partigiano della Valle Pesio. La seconda componente è costituita dai comunisti, come Giovanni Barale e suo figlio, e dai militanti del PCI di Torino che, guidati da Pompeo Colajanni “Barbato”, <4 riuniscono gli sbandati in Valle Po, dando vita al nucleo fondante delle brigate Garibaldi del basso Piemonte. La terza componente è rappresentata dai militanti del Partito d’Azione cui è legata la banda “Italia libera”, da cui nascono le brigate Giustizia e Libertà.
Una settimana dopo l’arrivo dei tedeschi, il 19 settembre, ecco il primo grande avvenimento che sconvolge la popolazione insieme alla fragile e neonata organizzazione partigiana. Un battaglione di SS, al comando del maggiore Joachim Peiper, muove all'attacco nella zona di Boves. L'azione si propone un duplice scopo: stroncare sul nascere l'organizzazione degli ex militari dislocati nella Valle Colla; punire la popolazione di Boves con una strage esemplare che diventi un monito. Il bilancio della giornata è tragico: ventisette i civili morti, donne e uomini, quasi tutti vecchi; trecentocinquanta le case incendiate, distrutte.
Nei giorni febbrili che succedono l’armistizio si avviano lentamente accordi tra i vari gruppi e partiti politici, non senza difficoltà e diversi obiettivi. <5
L’unico scontro a fuoco in Piemonte tra le truppe naziste e i resti dell’esercito italiano, e l’eccidio che segue a Boves segnano l’inizio della guerra, è per tutti la fine delle illusioni e delle speranze di una pace imminente.
Il movimento partigiano del Cuneese nell’autunno del ’43 ha una natura mutevole. Nelle prime settimane tra i gruppi attivi si contano la Banda di Boves, la “Compagnia Rivendicazione Caduti” nei dintorni del capoluogo, gli elementi della famiglia Barale in Valle Vermenagna, la Banda “Prato” a Roaschia, la Banda di Frise, la Banda di Paraloup, la formazione del capitano Carbone all’imbocco della Valle Maira, dei raggruppamenti in Val Varaita, il gruppo di Geymonat-Barbato in Valle Infernotto e infine reparti di ispirazione militare nelle valli Casotto e Pesio. Mancano ancora i Roeri e le Langhe, dove la Resistenza prende il via nella primavera dell’anno successivo. Si assiste tuttavia a una progressione continua per cui alcune bande spariscono quasi subito, si trasferiscono, entrano in rapporti con altri gruppi o si aprono ad altre ispirazioni politiche e sociali. È in questo periodo che l’intero Cuneese viene suddiviso per volontà del CLNRP <6 in settori: il I settore comprende l’area tra il Monregalese e la Valle Vermenagna, il II settore quella tra quest’ultima e la Valle Grana e il III settore tra le Valli Maria e Po. <7
Dopo l’assestamento dei mesi di settembre e ottobre, a dicembre il partigianato è una realtà consolidata che i nazifascisti fronteggiano con violenze per ripulire il territorio dalle bande. Il comando inviato dalla Germania ha messo in atto le disposizioni di occupazione in termini amministrativi per controllare la vita economica e produttiva del territorio; l’apparato militare della Rsi si mette all’opera e inizia a pubblicare i bandi di chiamata alle armi per i giovani delle classi 1923, 1924 e 1925. A impensierire i nemici è anche l’interessamento del popolo nei confronti dell’attività dei partigiani, questi infatti non sono combattenti isolati, c’è una corrispondenza tra loro e le masse popolari che si manifesta nei modi più vari, dal supporto entusiastico ad atti concreti come la fornitura di viveri, il ricovero dei feriti, il trasporto e l’occultamento di armi. È la gente di montagna, più di altra, a sodalizzare con le bande, prima dando da mangiare o da dormire agli sbandati dell’8 settembre poi aiutando i partigiani, nonostante il terrore delle rappresaglie, degli eccidi e delle vendette.
Questo atteggiamento è l’espressione di uno stato d’animo diffuso che rivela le aspettative della popolazione.
Le iniziative partigiane nei primi mesi di lotta contano molti episodi significativi sia dal punto morale sia militare. Come il “territorio liberato” da parte di elementi bovesani insediatisi in Valle Stura che, cacciate le milizie fasciste, proclamano Vinadio “città libera”; pur trattandosi di un’esperienza breve, perché in soli tre giorni una colonna di tedeschi e di SS italiane riconquista il territorio, essa contribuisce a diffondere entusiasmo per la “liberazione”. Si citano poi il sabotaggio del viadotto ferroviario di Vernante, sulla linea Cuneo-Ventimiglia, che viene fatto saltare paralizzando il traffico per un anno o l’attacco all’aeroporto di Mondovì contro i tedeschi per prelevare un carico di benzina. Sono colpi di questo genere e i sempre più frequenti scontri armati a dare la spinta al grande periodo di rastrellamenti con cui le forze germaniche si impegnano a ripulire il territorio dalle formazioni partigiane. Dal 30 dicembre 1943 al 14 gennaio 1944 vengono assassinati dai tedeschi 200 persone tra civili e partigiani. Si comincia “il 30 dicembre con Bagnolo Piemonte e Paesana, il giorno dopo tocca a Boves, dove l'eccidio, secondo dopo quello di settembre, si prolunga per quattro giorni; il 2 gennaio a Dronero viene compiuta un'esecuzione; il 5 gennaio alla frazione Ceretto, fra Busca e Costigliole Saluzzo, è commesso un eccidio di civili; il giorno successivo si torna in val Po, con le uccisioni a Barge; il 10 gennaio la strage di piazza Paschetta a Peveragno; il 12–13 gennaio rastrellamento in valle Grana e il giorno successivo la morte di numerosi partigiani al Pellone di Miroglio”. <8
A questa prima fase di sopravvivenza e incertezze segue unperiodo di crisi, non solo per i rovesci subiti dalle bande, ma anche per altre ragioni: non ci sono segni di un immediato sbarco alleato, il terrore nazifascista pesa sugli animi della popolazione che teme di appoggiare apertamente il movimento ribelle, si è in pieno inverno con scarse possibilità di rifornimento e un certo pessimismo si diffonde tra i combattenti. In retrospettiva, questo periodo costituisce per molti una risorsa, più che una difficoltà; infatti, a fronte delle perdite e delle difficoltà quanti sono scarsamente motivati ritornano in pianura o in città, e si allontanano dalle formazioni dove restano i più convinti, la cui esperienza torna utile a inquadrare il gran numero di reclute che raggiunge le vallate nelle settimane successive.
[NOTE]
1 Dante Livio Bianco (1909-1953) è stato un avvocato, alpinista e comandante partigiano. Nato a Cannes in Francia da genitori originari della Valle Gesso, nei primi anni del fascismo, durante gli studi universitari a Torino incontra e frequenta importanti figure antifasciste come Piero Gobetti e Alessandro Galante Garrone. Militante del Partito d'Azione, all’indomani dell’armistizio raggiunge Cuneo per organizzare le prime bande partigiane. Viene decorato di due medaglie d'argento al valor militare.
2 Giovanni Barale (1887-1944), primo segretario della Federazione comunista di Cuneo, con l’avvento del Fascismo svolge clandestinamente l’attività antifascista fino al luglio 1943, quando riorganizza nel Cuneese il partito, diventando figura di riferimento del movimento antifascista. È ucciso dai nazisti insieme al figlio Spartaco (1922-1944) nel tentativo di avvisare i comandi partigiani di un rastrellamento imminente.
3 Ignazio Vian (1917-1944) è una delle figure più rappresentative del partigianato cuneese. Chiamato alle armi quando l’Italia entra nel secondo conflitto mondiale, viene destinato alla Guardia di Frontiera di Boves dove dirige la lotta armata. Dalla Valle Colla si sposta in Valle Corsaglia e nelle Langhe dove è nominato vicecomandante del Gruppo divisioni Autonome. Recatosi a Torino per prendere contatti con i dirigenti del CNL del Piemonte, viene arrestato il 19 aprile e tenuto in carcere per mesi prima di essere ucciso dai tedeschi il 22 luglio 1944.
4 Pompeo Colajanni Barbato (1906-1987) fonda il distaccamento Pisacane, uno dei primi nuclei delle brigate Garibaldi di cui diventa comandante. Nell’aprile 1945 organizza la marcia delle formazioni su Torino di cui diventa vicequestore dopo la sua liberazione.
5 Nuto Revelli, introduzione a Guerra partigiana, Bianco, XX.
6 Sigla del Comitato di Liberazione Nazionale Regionale Piemontese, organizzazione costituita nell’ottobre 1943 per organizzare e coordinare le bande partigiane che si stanno formando; è una cellula regionale del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) formatosi a Roma l’indomani dell’armistizio. Il CLN provinciale cuneese si formalizza in dicembre.
7 Marco Ruzzi, “La guerra partigiana e la guerra di Salò”, in Con la guerra in casa. La provincia di Cuneo nella Resistenza 1943-1945, a cura di Michele Calandri e Marco Ruzzi (Cuneo: Ass. Primalpe Costanzo Martini, 2016), 113.
8 Ruzzi, “La guerra partigiana e la guerra di Salò”, in Con la guerra in casa, 117.
Gaia Viglione, W la Libertà. Storia di due ribelli, Tesi di laurea, Politecnico di Torino, Anno Accademico 2023-2024

sabato 6 luglio 2024

La maggior parte dei pareri nell’estrema destra era favorevole al golpe


L’ipotesi del golpe, inoltre, fu presa pubblicamente in considerazione durante le trasmissioni televisive dai dirigenti missini che così facendo minarono ancora di più l’autorità del governo di centro-sinistra. Il 25 maggio 1970 Almirante, intervenendo per la prima volta alla trasmissione della Rai-tv «Tribuna Politica», incalzato dalle domande di un giornalista a proposito dell’eventuale consenso del Msi ad un intervento militare sul modello greco, si era espresso con chiarezza: «qualora soluzioni anche di forza potessero salvarci dal comunismo, ben vengano le soluzioni di forza» <412.
L’ipotesi del colpo di Stato era una soluzione caldeggiata da diversi ambienti (non tutti necessariamente orientati a destra), non ultimo, per ordine di importanza, da una cordata all’interno dei servizi segreti con a capo Vito Miceli <413. Tra il 1969 e il 1970 si erano succeduti diversi interventi pubblici delle associazioni d’arma e di singoli esponenti delle Forze Armate che auspicavano una maggiore presenza dei militari nella vita politica del Paese <414.
Questi appelli si intensificarono in coincidenza dell’autunno caldo <415. Il primo novembre fu il generale Giuseppe Aloia dalle colonne del «Tempo» a parlare della garanzia all’ordine costituzionale rappresentato dalle Forze Armate «non
certo assenti dalla vita e dall’avvenire del Paese» <416. Il 13 dicembre le associazioni d’arma e l’Unuci presero pubblicamente posizione accusando della strage di piazza Fontana «tutti coloro che hanno seminato nel popolo il verbo dell’odio e predicato la violenza» <417, mentre nel marzo 1970 il vice comandante della regione Tosco-Emiliana illustrò ad un gruppo di giovani riuniti in un circolo ufficiali di Firenze il ruolo delle Forze Armate volto a «mobilitare gli italiani contro la sovversione» <418. Tali appelli proseguirono, sotto varia forma, per tutto il corso degli anni Settanta. Il 14 giugno 1971, ad esempio, all’indomani del risultato delle elezioni amministrative e regionali, l’Unuci inviava agli ufficiali in congedo al termine del servizio di prima anonima una lettera in cui si invitava ad esprimere «solidarietà alla grande Famiglia Militare [sic!]…in questi tempi, mentre in settori ben individuati si tende ad avvilire ed irridere tutto ciò che si allaccia ai nobili sentimenti di amor di Patria ed onore militare» <419.
A questo si aggiunse la pressione esercitata dalla destra radicale in favore di un intervento dei militari con i quali, dagli inizi degli anni Sessanta, erano stati stretti alcuni importanti rapporti <420. Le Forze Armate erano considerate l’ambiente più idoneo nel quale fare proseliti per la causa della rivoluzione nazionale e della battaglia anticomunista. Il gruppo “Giovane Europa”, ad esempio, era intenzionato a formare «equipe di ufficiali, di quadri politico-militari, decantare l’ambiente ed eliminare coloro cui i polsi tremano alla vista di un fucile e di un poco di sangue e far partecipare questo corpo militarizzato alla lotta armata» <421.
Per questi ambienti l’azione di forza e la guerra civile apparvero come il mezzo più idoneo per compiere una rivoluzione nazionale che trasformasse profondamente l’Italia. Secondo il terrorista neofascista Vincenzo Vinciguerra, ad esempio, la manifestazione del 14 dicembre 1969, indetta dal Movimento Sociale a Roma, doveva sfociare in incidenti di una gravità tale da costringere il governo a convocare lo “stato d’emergenza”; una decisione che a sua volta avrebbe provocato la reazione di piazza delle sinistre gettando il Paese nel caos e costringendo i militari ad intervenire <422.
In questa prospettiva il Fronte Nazionale, Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale decisero di partecipare alla rivolta di Reggio Calabria cercando di cavalcare la protesta popolare nella quale era già presente il Movimento Sociale, uno dei primi partiti a riconoscere le istanze avanzate dai rivoltosi. I gruppi neofascisti radicalizzarono la protesta con sparatorie, ordigni e attentati di ogni sorta, contribuendo a delineare lo scenario che porterà, il 22 luglio 1970, al deragliamento della Freccia del Sud, presso Gioia Tauro, uno degli episodi più oscuri della vicenda repubblicana <423.
In taluni casi affiorarono altre posizioni che sottolineavano il rischio che dietro i militari vi fosse un progetto politico conservatore sostenuto dalla Democrazia cristiana; per il Movimento Politico Ordine Nuovo, ad esempio, il colpo di Stato era considerato come «un fatto controrivoluzionario» <424. Per ragioni opposte la rivista «Occidentale», un mensile di un circolo neofascista romano, accusò gli «anarchici di destra» degli attentati e caldeggiò una rottura con gli ambienti evoliani e nazisteggianti vicini ad Ordine Nuovo che sostenevano il colpo di Stato. «L’Orologio» riconobbe negli attentati di dicembre la manifestazione patologica di una «insoddisfazione di fondo» prendendo, al contempo, le
distanze dalla politica conservatrice patrocinata dal Msi e dai neofascisti che sostenevano il colpo di Stato <425. Ma la maggior parte dei pareri nell’estrema destra era favorevole al golpe: molti militanti dei gruppi della destra radicale vi intravedevano la possibilità di accentuare il distacco nei confronti del Movimento Sociale a cui venne rimproverato di non aver saputo compiere quella rottura con il sistema democratico che i gruppi più oltranzisti avevano cercato di attuare con le bombe.
Tra la crisi governativa del 6 febbraio 1970, la caduta del terzo governo Rumor nel successivo luglio e la formazione del quadripartito organico di centro-sinistra guidato da Emilio Colombo, i discorsi sul colpo di Stato si intensificarono. Nei comizi pubblici si esaltò il ruolo dei «battaglioni d’assalto» e i «corsi di ardimento» contro la “guerra rivoluzionaria” scatenata dal comunismo <426.
La minaccia non era solo teorica: negli stessi mesi, infatti, si stavano organizzando le reti golpiste protagoniste del tentato putsch del dicembre del 1970, assieme ai preparativi di altre realtà eversive in ebollizione, dal Movimento di Azione Rivoluzionaria di Carlo Fumagalli ai Comitati di Resistenza Democratica di Edgardo Sogno, orientate al medesimo obiettivo <427.
Queste voci ed appelli sembrano nuovamente contraddire, come è stato osservato per la marcia su Roma del 1922, «uno degli elementi fondamentali che la teoria politica ha creduto di potere individuare come peculiarità del colpo di Stato, ossia la segretezza» <428. Nelle proclamazioni di appelli all’insurrezione si distinse, infatti, il Fronte Nazionale, futuro protagonista del tentato golpe del dicembre 1970. A febbraio Junio Valerio Borghese pubblicò un appello per la costituzione di un raggruppamento di tutte le forze anticomuniste <429: serviva un’azione di forza per abbattere il centro-sinistra che nonostante la profonda crisi non era crollato e rischiava di riproporsi come formula governativa ancora per molto tempo <430. Si temeva, inoltre, che i sindacati con una vasta agitazione e la proclamazione di uno sciopero generale potessero innescare una crisi di governo che riproponesse la questione dell’ingresso del Pci nella maggioranza <431. Uno scenario che effettivamente si delineò nell’agosto del 1970 con le dimissioni di Rumor in seguito alla mobilitazione dei sindacati e alla minaccia di sciopero generale. La riproposizione di un governo di centro-sinistra organico apparve, quindi, una concessione al Partito comunista. In questo frangente il Fronte Nazionale ritenne che la richiesta di elezioni politiche anticipate era vana per il rischio di moti di piazza che avrebbero impedito qualsiasi trasformazione del quadro politico; una situazione che rendeva il colpo di Stato «una necessità inderogabile» <432. A dicembre, in un’intervista a Giampaolo Pansa sulla «Stampa», Borghese fece accenno alla preparazione di un «centro di potere» che doveva sostituirsi allo Stato <433.
Più complesso e defilato, nonostante le numerose prese di posizione in pubblico, il ruolo del Movimento Sociale. Documentate inchieste giornalistiche e indagini giudiziarie hanno rilevato un atteggiamento positivo della dirigenza missina nei confronti dell’ipotesi del colpo di Stato. La documentazione in nostro possesso, però, non permette di stilare un giudizio complessivo sulla vicenda, mentre sono emerse con chiarezza i ruoli svolti da Ordine Nuovo e da Avanguardia Nazionale. Un’informativa della Questura di Roma dell’8 ottobre 1970 ci informa, però, della decisione di Almirante di predisporre, nell’ateneo della città di Roma, la formazione di un raggruppamento studentesco, il “Fronte Delta”, che avrebbe rappresentato il punto di raccordo tra il Fuan, Avanguardia Nazionale e il Fuan “Caravella”, per coordinare le attività anticomuniste nelle facoltà romane. Il “Fronte Delta”, come emergerà dalle carte giudiziarie, risultò poi essere uno dei gruppi “attivi” nella notte della Madonna, l’8 dicembre 1970 <434.
[NOTE]
412 Tribuna elettorale, 25 maggio 1970, Opuscolo a cura del Movimento Sociale Italiano, in AFUS, f. Msi, b. 1.
413 Cfr. G. Flamini, L’Italia dei colpi di Stato, Newton Compton Editori, Roma 2007, p. 107.
414 Il 31 luglio 1969, ad esempio, il «Borghese» pubblicò una lettera di un gruppo di ufficiali al Capo di Stato Maggiore dell’Esercito per sollecitare l’ordine di «reagire, singolarmente o collettivamente, con i fatti, se necessario con le armi, a qualsiasi aggressione, a qualsiasi offesa alla Bandiera, all’uniforme, all’essenza spirituale e materiale dell’organismo militare», «Il Borghese».
415 In seguito alla morte dell’agente Annarumma la “Federazione Associazioni Nazionali Ufficiali e Sottoufficiali Provenienti Servizio Attivo” diffuse un manifesto in cui si invitavano le «forze sane responsabili della Nazione perché sia rafforzata, consolidata e sviluppata la comune inflessibile volontà e la conseguente azione di difesa delle leggi e delle istituzioni. In modo da garantire, in ogni circostanza, con assoluta certezza, la libertà, la vita nella legalità, nella giustizia e nella sicurezza di tutti gli Italiani degni di questo nome nei sacri confini della convivenza sociale e nazionale», Presa di posizione della Fanus, «Il Secolo d’Italia», 21 novembre 1969.
416 Gen. Giuseppe Aloia, La crisi dello Stato, «Il Tempo», 7 novembre 1969. Sul ruolo delle Forze Armate nell’Italia repubblicana vedi l’inchiesta di V. Ilari, Forze armate tra politica e potere, 1943-1976, Vallecchi, Firenze 1978.
417 Le associazioni d’Arma contro la sovversione, «Il Secolo d’Italia», 13 dicembre 1969.
418 Mobilitare gli italiani contro la sovversione, «Il Secolo d’Italia», 22 marzo 1970.
419 Unuci - Unione Nazionale Ufficiali in Congedo d’Italia - Gruppo Regionale della Lombardia, prot. n. 848//G - Pot -, Oggetto: “Rinnovo iscrizione all’Unuci”, Milano, 14 giugno 1971. Si ringrazia per la consultazione della lettera il prof. Angelo Panvini (mio padre).
420 Nel 1965 Pino Rauti, Guido Giannettini e Flavio Messala scrivevano il libro Le mani rosse sulle forze armate con l’intento di “politicizzare” i reparti speciali dell’esercito nella lotta al comunismo. Vedi F. Messala, a cura di, Le mani rosse sulle forze armate, Centro Studi e Documentazione sulla guerra psicologica, 1966.
421 Prefettura di Ferrara, prot. n. 767, Div. Gab., Oggetto: “Ferrata - I congresso nazionale del Movimento Giovane Europa”, Ferrara, 1 febbraio 1968, in Ministero dell’Interno-Gabinetto, Oggetto: “Associazione Giovane Europa”, 348 P/6, 1968, ACS, MI, GAB, 1967-1970, b. 24.
422 Cfr. l’intervista di V. Vinciguerra in P. Cucchiarelli, A. Giannuli, Le strategie della tensione, suppl. a «l’Unità», Roma 2005, p. 70. Il 13 dicembre, a Messina, una macchina di attivisti di Ordine Nuovo girò per la città distribuendo volantini in cui si esortava la popolazione a rispondere alla «violenza…con la violenza» e indicando gli attentati come «il preludio alla guerra civile». Cfr. Volantino di Ordine Nuovo, allegato a Cgil, Camera Confederale del Lavoro “F. Lo Sardo”, Oggetto: “Iniziativa a seguito dei fatti di Milano”, Messina, 15 dicembre 1969, in ACGIL.
423 Su questo tema vedi l’inchiesta giornalistica di F. Cuzzola, Cinque anarchici del Sud. Una storia negata, Città del Sole edizioni, Reggio Calabria 2001.
424 «Documenti del Movimento Politico Ordine Nuovo», aprile 1972 in N. Rao, La fiamma e la celtica. Sessant’anni di neofascismo da Salò ai centri sociali di destra, Sperling&Kupfer Editori, Milano 2006, p. 163.
425 Cfr. Anarchici di e da destra, «Occidentale», a. I, dicembre 1969 e Enrico Montanari, Ordine Nero e civiltà occidentale, «Occidentale», a. II, gennaio 1970; Non hanno vinto, «L’Orologio», a. VII, gennaio 1970.
426 La “Rivoluzione Nazionale” dei colonnelli valida risposta alla “guerra sovversiva”, in AFUS, F. Msi, b. 3.
427 Sugli aspetti organizzativi cfr. gli studi di J. Greene, A. Massignani, Il principe nero, Junio Valerio Borghese e la X Mas, Mondadori, Milano 2007, pp. 232-245; vedi anche C. Arcuri, Colpo di Stato, Rizzoli, Milano 2004; S. Flamigni, Trame atlantiche, Storia della loggia massonica segreta P2, Kaos Edizioni, Roma 2005, pp. 38-58; Fasanella, Sestieri, Pellegrino, Segreto di Stato…cit., pp. 64-73.
428 G. Albanese, La marcia su Roma, Laterza, Roma-Bari 2006, p. 63.
429 L’appello di Borghese, «Azione Nazionale», febbraio 1970.
430 P. Capello, Ritrovarsi, «Azione Nazionale», n.u., febbraio 1970.
431 B. Borlandi, Impossibilità di governare l’Italia, «Azione Nazionale», 15 aprile 1970.
432 L. Civitelli, Orientamenti e considerazioni, «Azione Nazionale», 15 aprile 1970.
433 G. Pansa, Deliri del principe nero. Che cosa fa l’estrema destra italiana, «La Stampa», 9 dicembre 1970.
434 Questura di Roma, n. 059901 - U.P. - A. 4. A., Riservata, Oggetto: “Fronte Delta - gruppo universitario extraparlamentare anticomunista - costituzione, Roma, 8 ottobre 1970, in Ministero dell’Interno, Gabinetto, Oggetto: Roma e Provincia Attività dei Partiti, Fascicolo 12010/69, ACS, MI, GAB, 1967-1970, b. 100.
Guido Panvini, Le strategie del conflitto. Lo scontro tra neofascismo e sinistra extraparlamentare nella crisi del centro-sinistra (1968-1972), Tesi di Dottorato, Università degli Studi della Tuscia - Viterbo, Anno Accademico 2007-2008