martedì 21 novembre 2023

Minore fortuna, invece, incontrò il secondo articolo proposto da Basso sulle attribuzioni costituzionali dei partiti


La genesi della disciplina dei partiti politici in Costituzione ha rappresentato un passaggio particolarmente significativo nella composizione del quadro istituzionale della costruenda Repubblica.
L’esplicita menzione della figura del partito nella Carta costituzionale1 è stata, da più parti, celebrata <2 per la sua primogenitura nel contesto giuridico comparato europeo <3. Questa scelta, in realtà, rappresentava lo sbocco naturale dell’esperienza istituzionale del Comitato di Liberazione Nazionale <4 che il Paese aveva conosciuto all’indomani della caduta del regime fascista: erano stati i partiti, riuniti all’interno del CLN <5 in posizione paritetica <6, a guidare quella delicata fase di transizione e ad assicurare una stabilità dell’assetto istituzionale tale da fargli guadagnare il riconoscimento di «autentici “padri della Costituzione”» <7.
Il comune sostrato antifascista ha continuato a fornire anche nella fase costituente una spinta propulsiva per addivenire ad una disciplina condivisa sul tema dei partiti. I vari schieramenti, che pure restavano aspramente contrapposti sul piano ideologico, trovarono un punto di incontro che, tenendo nella dovuta considerazione quella virtù originale, li spinse ad adottare una complessiva regolamentazione costituzionale dal carattere marcatamente garantista.
La discussione sulle libertà politiche, entro le quali rientrava la prima formulazione dell’art. 49 <8, fu incardinata da Merlin e Mancini <9 sulla base di un assunto fattuale dal quale il futuro dato giuridico non avrebbe potuto prescindere: posto che «i partiti sono una realtà che è inutile fingere di ignorare», «non è affatto vero che costituiscano un male, per quanto necessario», anzi «costituiscono un bene, che va riconosciuto e protetto» <10. La Repubblica di cui si stavano gettando le basi aveva bisogno dei partiti e, in particolare, di un sistema pluralistico, in contrapposizione al modello fascista del partito unico «che non deve avere giammai diritto di cittadinanza nell’Italia democratica» <11.
Le considerazioni - pur sintetiche - dei relatori facevano affiorare una più profonda e significativa evoluzione che era ormai maturata nel rapporto fra Stato e partito, e che comportava una netta preferenza per un modello di Legalisierung.
La formulazione presentata in sede di prima sottocommissione conteneva, pertanto, un’enunciazione a livello costituzionale del diritto dei cittadini a organizzarsi in partiti formati con metodo democratico, che veniva temperata, però, da una forma di controllo interno a maglie larghe, nonché dall’apposizione di una riserva di legge ordinaria non rinforzata <12.
Ad essa si contrappose la proposta sostitutiva di Basso <13, di matrice organicistica, nella quale si introduceva per la prima volta il concetto del “concorso” nella determinazione della politica nazionale e si avanzava la possibilità di assegnare «attribuzioni di carattere costituzionale» ai partiti maggiormente rappresentativi del corpo elettorale.
Nel dibattito sorto fra le due impostazioni si inserì l’intervento di Togliatti, il quale, sostenendo che, in forza della prima proposta, un futuro Governo avrebbe potuto colpire le minoranze tramite legge ordinaria <14, suggerì di rendere manifesta una sola limitazione: quella nei confronti del partito fascista <15, «perché si deve escludere dalla democrazia chi ha manifestato di essere il suo nemico» <16.
Attraverso questo stratagemma l’esponente comunista non solo ottenne la circoscrizione delle possibili limitazioni in materia partitica ad un fatto storicamente determinato <17, non suscettibile di interpretazioni faziose, ma riuscì anche a far cadere la possibilità di un successivo intervento del legislatore ordinario <18: una norma “chiusa” a livello costituzionale <19 rappresentava, infatti, la migliore garanzia per il suo partito <20. Tale proposta venne favorevolmente accolta in primis da Basso <21 e, poi, da tutti gli altri esponenti, come hanno dimostrato sia la sua approvazione all’unanimità in Sottocommissione che la successiva pedissequa trasposizione nella XII disposizione finale, comma 1, della Costituzione <22.
Minore fortuna, invece, incontrò il secondo articolo proposto da Basso sulle attribuzioni costituzionali dei partiti: dopo un acceso dibattito in sede di commissione - che si era positivamente espressa sulla sua adozione - la trattazione venne rinviata ad un esame congiunto con la seconda sottocommissione <23 che, però, non avvenne mai <24.
All’attenzione del plenum della Costituente, pertanto, fu sottoposta una formulazione della norma <25 che, su un piano strettamente linguistico, rispecchiava quasi integralmente quella attualmente vigente; il tratto percorso fra la disposizione proposta e quella approvata è stato, però, solo apparentemente di breve respiro.
La deliberazione finale ha rappresentato, infatti, il frutto di una seria discussione, nella quale emersero istanze di primario rilievo che, pur essendo state allora accantonate, hanno continuato ad alimentare il dibattito dottrinario e si sono riaffacciate con pressante urgenza nel quadro istituzionale contemporaneo.
[NOTE]
2 U. MERLIN in ASSEMBLEA COSTITUENTE, Seduta del 22 maggio 1947, 4162, sottolinea che «è la prima volta che in una Carta statutaria entrano i partiti con una propria fisionomia, con una propria organizzazione e quindi con la possibilità domani che a questi partiti si affidino dei compiti costituzionali»; dello stesso avviso anche A. PREDIERI, I partiti politici, in P. CALAMANDREI - A. LEVI (a cura di), Commentario sistematico alla Costituzione italiana, Firenze 1950, 197 e G.D. FERRI, Studi sui partiti politici, Roma 1950, 128, che evidenzia come «l’art. 49 è un fatto nuovo nella storia costituzionale. Per la prima volta il partito politico viene considerato da una Costituzione in senso formale, direttamente e unitariamente, ossia in quanto organizzazione e per la sua specifica funzione»; v., ancora, E. CHELI, Intorno al problema della regolazione dei partiti politici, in Studi senesi, n. 2/1958, 235.
3 La Costituzione della quarta repubblica francese del 1946, nonostante la proposta avanzata da Sognel (sulla quale v. supra nell’introduzione, nota 16) non conteneva riferimenti ai partiti, a differenza di quella della quinta repubblica che li richiama all’art. 4. Il testo costituzionale tedesco, che se ne occupa diffusamente, è entrato in vigore nel 1949.
4 V., fra gli altri, C. LAVAGNA, Comitati di liberazione, in Enc. dir., VII (1960), 779 ss.; V. CRISAFULLI, I partiti nella Costituzione, in Jus, 1969, 14; P. RIDOLA, Partiti politici, in Enc. dir., XXXII (1982), 76; C.E. TRAVERSO, Partito politico e ordinamento costituzionale: contributo alla determinazione della natura giuridica del partito politico, Milano 1983, 120; A. CARDINI, I partiti e la costituente, in Studi senesi, n. 3/2008, 381 ss.; S. MERLINI, I partiti politici, il metodo democratico e la politica nazionale, in AA.VV., Partiti politici e società civile a sessant’anni dall’entrata in vigore della Costituzione, Annuario AIC 2008, Napoli 2009, 52 ss.
5 A. PREDIERI, op. cit., 193 sottolinea che la particolare composizione del CLN, i cui membri erano i partiti in prima persona, che designavano e sostituivano ad nutum i membri, ricorda da vicino la nota proposta di H. KELSEN, Das Problem des Parlamentarismus, Vienna-Lipsia 1924, in trad. it. di B. Fleury, Il problema del parlamentarismo, in La democrazia, Bologna 2010, 167, il quale avanzava l’ipotesi di «lasciare al partito la facoltà di delegare, scegliendoli dal proprio seno, secondo il bisogno, per la discussione e la deliberazione delle diverse leggi, i competenti di cui esso dispone, i quali parteciperebbero ogni volta alla deliberazione con quel numero dei voti che spetta al partito in base alla proporzionale» (enfasi testuale).
6 Secondo la ricostruzione offerta da P. RESCIGNO, Sindacati e partiti nel diritto privato, in Jus, n. 1/1956, 12, il CLN è stato un «organo di fatto dello Stato» fino a quando i poteri non
sono stati assunti dal governo militare alleato (1 giugno 1945) per divenire, da quel momento in avanti, «un’associazione di fatto […] con lo scopo di consulenza della pubblica amministrazione».
7 V. CRISAFULLI, op. et loc. ult. cit.
8 Che era stato originariamente rubricato come art. 47. La ricostruzione dei lavori dell’Assemblea Costituente sui partiti politici è stata già condotta da amplissima dottrina; nel presente scritto, pertanto, si cercheranno di valorizzare solo i profili più importanti emersi dalle varie proposte e gli interventi in Aula maggiormente significativi. V. ex multis: v. A. PREDIERI, op. cit., 195 ss.; C. ESPOSITO, I partiti nella Costituzione italiana, in Arch. giur. Filippo Serafini, fasc. n. 1-2/1951, 3 ss., ora in ID., La Costituzione italiana. Saggi, Padova 1954 (la presente e le successive citazioni devono intendersi riferite alla prima pubblicazione); L. BASSO, Il partito nell’ordinamento democratico moderno, in ISLE, Indagine sul partito politico, tomo 1, Milano 1966, 64 ss.; ID., Considerazioni sull’art. 49 della Costituzione, in ISLE, Indagine sul partito politico, tomo 1, Milano 1966, 141 ss.; C.E. TRAVERSO, La genesi storico-politica della disciplina dei partiti nella costituzione italiana, in Il Politico, n. 1/1968, 282 ss.; ID., Partito politico, cit., 135 ss.; P. RIDOLA, op. cit., 72 ss.; F. LANCHESTER, Il problema del partito politico: regolare gli sregolati, in Quad. cost., n. 3/1988, 442 ss.; G. PASQUINO, op. cit., 7 ss.; P. SCOPPOLA, La repubblica dei partiti, evoluzione e crisi di un sistema politico (1945-1996), Bologna 1997, 212 ss.; G. RIZZONI, sub art. 49, in R. BIFULCO - A. CELOTTO - M. OLIVETTI (a cura di), Commentario alla Costituzione, vol. I, Torino 2006, 981 ss.; G.E. VIGEVANI, sub art. 49, in S. BARTOLE - R. BIN (a cura di), Commentario breve alla Costituzione, fondato da V. Crisafulli - L. Paladin, Padova 2008, 497 ss.; L. ELIA, A quando una legge sui partiti?, in S. MERLINI (a cura di), La democrazia dei partiti e la democrazia nei partiti, Firenze 2009, 51 ss.; S. MERLINI, op. cit., 62 ss.; P. MARSOCCI, Sulla funzione costituzionale dei partiti e delle altre formazioni politiche, Napoli 2012, 111 ss.; F. SCUTO, La democrazia interna dei partiti: profili costituzionali di una transizione, Torino 2017, 12 ss. V., poi, i resoconti dell’Assemblea Costituente reperibili sul sito internet della Camera dei Deputati, ai quali si fa riferimento nelle note, e in particolare quelli delle sedute della prima sottocommissione del 19-20 novembre 1946 e del plenum del 22 maggio 1947.
9 I quali furono relatori sull’argomento in seno alla prima sottocommissione.
10 P. MANCINI - U. MERLIN, Relazione su Le libertà politiche, in ASSEMBLEA COSTITUENTE, Atti della Commissione per la Costituzione, vol. II, 30.
11 Ivi, 31.
12 «I cittadini hanno diritto di organizzarsi in partiti politici che si formino con metodo democratico e rispettino la dignità e la personalità umana, secondo i principi di libertà ed eguaglianza. Le norme per tale organizzazione saranno dettate con legge particolare».
13 La proposta constava di due articoli: «Tutti i cittadini hanno diritto di organizzarsi liberamente e democraticamente in partito politico, allo scopo di concorrere alla determinazione della politica del Paese»; «Ai partiti politici che nelle votazioni pubbliche abbiano raccolto non meno di cinquecentomila voti, sono riconosciute, fino a nuove votazioni, attribuzioni di carattere costituzionale a norma di questa Costituzione, delle leggi elettorali e sulla stampa, e di altre leggi». Sulle finalità della proposta e sul dibattito sorto su di essa si vedano, in particolare, le riflessioni di interpretazione autentica contenute in L. BASSO, Il partito, loc. cit., e ID., Considerazioni sull’art. 49, loc. cit.
14 «Un Governo con basi democratiche potrebbe, servendosi dell’articolo in esame, mettere senz’altro il partito comunista fuori legge» in ASSEMBLEA COSTITUENTE, Seduta del 19 novembre 1946 della prima sottocommissione, 403.
15 La proposta recitava: «È proibita, in qualsiasi forma, la riorganizzazione di un partito fascista», ibid.
16 Ibid.
17 Come ebbe modo di precisare ulteriormente nel prosieguo del dibattito in commissione e segnatamente con la modifica della sua proposta in favore della locuzione «…riorganizzazione del partito fascista», op. ult. cit., 404.
18 Secondo C.E. TRAVERSO, Partito, cit., 147 «le minoranze pretesero la condanna formale di un pericolo conclamato ma fittizio, per allontanare l’eventualità di un pericolo sottaciuto ma possibile».
19 «Non la legge deve dettare queste norme, ma solo la Costituzione deve fissare lo sviluppo pacifico della lotta nel Paese», in ASSEMBLEA COSTITUENTE, Seduta del 19 novembre 1946, 405.
20 C.E. TRAVERSO, La genesi, cit., 288.
21 Il quale affermò apertamente che non si doveva «lasciar passare l’occasione per fare una delle poche affermazioni concrete e innovatrici della Costituzione […] finora, in Italia, ci si è preoccupati di assicurare la continuità giuridica dello Stato, evitando ogni aperta condanna del fascismo […] è necessario quindi che nella Costituzione ci sia finalmente un’affermazione concreta e precisa per cui si sappia che tutto ciò che è stato fascista è condannato», ASSEMBLEA COSTITUENTE, Seduta del 19 novembre 1946, 404.
22 La scelta delle norme transitorie e finali come sedes materiae di una norma di tale rilevanza pare che sia stata dovuta a mere esigenze organizzative; sul tema v. amplius nel capitolo III.
23 In particolare, venne approvato un ordine del giorno presentato da Dossetti sulla scorta del quale: «La prima Sottocommissione ritiene necessario che la Costituzione affermi il principio del riconoscimento giuridico dei partiti politici e dell’attribuzione ad essi di compiti costituzionali. Rinvia ad un esame comune con la seconda Sottocommissione la determinazione delle condizioni e delle modalità» in ASSEMBLEA COSTITUENTE, Seduta del 20 novembre 1946 della prima sottocommissione, 415.
24 Lo stesso L. BASSO, Il partito, cit., 67, non seppe dire se la riunione non ebbe luogo per inerzia o per una precisa scelta.
25 «Tutti i cittadini hanno diritto di organizzarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale».
26 V. P. MARSOCCI, op. cit., 115 ss. Secondo A. PREDIERI, op. cit., 195 «I lavori preparatori della Costituzione non fecero che riprodurre, e in sede di lavori della prima sottocommissione e in sede di discussioni generali, il contrasto fra l’esigenza del riconoscimento e della regolamentazione dei partiti e la riluttanza ad ammetterli, dissidio malamente superato con l’introduzione di una formula imprecisa ed elastica, anzi diremmo sempre più imprecisa ed elastica man mano che i lavori proseguivano».
Giuseppe Donato, La funzione costituzionale dei partiti e il sindacato del potere giudiziario, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Messina, 2021

sabato 18 novembre 2023

Dieci prigionieri vennero lasciati a Valpromaro quale garanzia contro ulteriori attacchi partigiani


Gli eventi occorsi di fronte al cimitero di Massarosa erano soltanto il preludio di una stagione di violenza quale il comune e tutta la Versilia non avevano mai sperimentato.
Alla fine di giugno fu la volta di Valpromaro. Questo piccolo abitato sorge sulle boscose colline a nord-est del capoluogo e si trova esattamente sul confine tra Massarosa e Camaiore, tanto che il paese è letteralmente spartito tra i due comuni.
Il 28 giugno [1944] un distaccamento della formazione partigiana «Mulargia», da poco rifondata, si stava spostando nel Lucese in attesa di un aviolancio alleato <568. Attorno all’una e un quarto del mattino del 29 l’avanguardia si scontra però con due portaordini della 65ᵃ Divisione di fanteria della Wehrmacht, i quali vengono uccisi nei pressi di Piazzano, a circa due chilometri a sud-est di Valpromaro.
Il locale comando tedesco venne presto a conoscenza dell’accaduto e si adoperò per effettuare un rastrellamento della zona, che ebbe inizio già all’alba. Vennero catturati 25 uomini residenti a Valpromaro e due cittadini di Torre del Lago che si trovarono loro malgrado a passare per la zona dopo essersi recati a Lucca al mercato. Dieci prigionieri vennero lasciati a Valpromaro quale garanzia contro ulteriori attacchi partigiani, mentre gli altri furono incolonnati e scortati fino a San Macario; tre riuscirono a fuggire durante il percorso. Nel frattempo il parroco del paese, don Chelini, si offrì prigioniero insieme al professor Pizzi, docente di Lettere, riuscendo come contropartita a far liberare 10 prigionieri <569.
La situazione però era ancora molto tesa e precipitò quando un singolo soldato tedesco, risalito da solo fino all’abitato di Gombitelli, iniziò a perpetrare una serie di atti di violenza e di saccheggio. I suoi spari richiamarono un vicino distaccamento di cinque o sei uomini della banda «Ceragioli» che sceso in paese riuscì a catturare il soldato.
Il mattino successivo, 30 giugno, una pattuglia germanica si recò a Gombitelli, ma non fu in grado di trovare traccia né del commilitone né dei partigiani, che ormai si erano sganciati.
La rappresaglia scattò immediata. I militari tedeschi iniziarono bruciando alcune abitazioni del luogo e poi, tornati a Valpromaro, decisero di giustiziare i prigionieri, in tutto 17 persone.
Qui, dopo alcune confuse trattative cinque di essi vennero rilasciati: due parroci, il fratello e il cognato di un tenente della Milizia fascista e il professor Pizzi. I dodici rimasti, tutti di età compresa tra i 17 e i 52 anni, vengono giustiziati in via Piano del Rio <570.
L’azione punitiva di Valpromaro si inserisce appieno nella lotta sempre più aspra tra le formazioni partigiane e le forze nazifasciste; essa è un classico esempio di rappresaglia messa in atto a seguito di un’azione della Resistenza, in questo caso l’uccisione di due staffette della 65ᵃ Divisione e la cattura di un altro militare germanico.
Che però le forze tedesche, nell’effettuare queste azioni, spesso non provassero neppure a cercare eventuali veri fiancheggiatori delle bande partigiane, lo dimostra la vicenda di una delle dodici vittime di quel 30 giugno 1944. Si tratta di Guido Posi, l’unico massarosese ucciso quel giorno. Egli venne infatti catturato mentre si stava recando dal barbiere a farsi la barba. Il parroco di Massarosa, venuto a sapere dell’accaduto, pur temendo la reazione dei tedeschi si recò a Valpromaro con l’autoambulanza e riuscì ad ottenere la consegna del cadavere, che si trovava ancora sul luogo della fucilazione legato agli altri giustiziati. Poté quindi essere riportato nel capoluogo, dove la salma venne lavata e composta nella bara <571.
[NOTE]
568 Fulvetti, Uccidere i civili, cit., p. 203.
569 Ibid.
570 Ivi, pp. 203-204.
571 APM, Cronache 1938-1966 (B-F 65 372), Breve cronistoria della Parrocchia di Massarosa dall’anno 1938.

Jonathan Pieri, Massarosa in guerra (1940-1945), Tesi di laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2013-2014

martedì 7 novembre 2023

Emerse però l’esistenza di un ufficio ancora più segreto dell’Uspa


La questione riguardante i servizi di «sicurezza» della NATO <104, è la più delicata e difficile, ma è anche la più importante, perché è proprio in base agli accordi bilaterali nell’ambito dell’Alleanza Atlantica, che i servizi segreti dei paesi membri (e in particolare quelli delle nazioni «di frontiera» come l’Italia) hanno molteplici obblighi nei confronti dei servizi informativi statunitensi. La liberalizzazione degli archivi del governo americano, ha permesso di conoscere l’esistenza del Piano di intervento anticomunista chiamato «Demagnetize», che il capo del Sifar sottoscrisse ufficialmente negli anni cinquanta, senza informare i membri del governo italiano. <105
Il Piano Demagnetize fu un accordo segreto di intelligence, stipulato fra i servizi segreti degli Stati Uniti d’America e dell’Italia, che si proponeva di depotenziare l’influenza sulla società italiana e francese (in Francia, il Piano Demagnetize, prese il nome di Piano Cloven) delle forze di orientamento comunista, attraverso una stretta collaborazione tra i rispettivi servizi segreti. Il nome del Piano, esprimeva l’intento di ridurre quella sorta di «attrazione magnetica» che le idee comuniste andavano esercitando sulle popolazioni di alcuni paesi, in particolare Italia e Francia e, la «smagnetizzazione» ne era il «top priority objective», ovvero l’obiettivo di assoluta priorità.
Accordi di questo tipo, hanno la loro origine in protocolli aggiuntivi segreti, stipulati nel 1949 contestualmente alla firma del Patto Atlantico. Essi prevedono l’istituzione di un organismo non ufficiale, anzi giuridicamente inesistente, preposto a garantire con ogni mezzo la collocazione internazionale dell’Italia all’interno dello schieramento Atlantico, anche nel caso che l’elettorato si mostri orientato in maniera difforme. È evidente, che proprio per il loro carattere di segretezza e di illegalità, questi accordi sono destinati a lasciare tracce molto labili negli archivi ufficiali. <106 Una loro applicazione più o meno estensiva, può dipendere dalla personale disponibilità del capo del
servizio segreto nei confronti delle ingerenze dei colleghi statunitensi. Da qui l’evidente interesse americano ad avere interlocutori molto fidati. Esistono, anzitutto, uffici con mansioni legali, che hanno il compito di selezionare e schedare il personale che viene ammesso a determinati posti di responsabilità.
Fu lo stesso generale De Lorenzo, che deponendo davanti alla Commissione Parlamentare d’Inchiesta, non ebbe difficoltà a confermare l’esistenza di un ufficio con compiti particolari, sorto in seguito agli impegni presi con la firma del Patto Atlantico: «esiste presso lo Stato Maggiore della Difesa, accanto al Sifar, l’ufficio di sicurezza del Patto Atlantico, che garantisce la sicurezza e la segretezza dei funzionari, cioè di tutti coloro che vogliono svolgere un certo lavoro. Questo ufficio, è incaricato di raccogliere le informazioni che poi danno vita a questi fascicoli. Questi elementi, che sono al di fuori della struttura del Sifar, attingono le notizie direttamente dall’Arma dei Carabinieri.
Questo numero enorme di fascicoli quindi, è istituito e sviluppato da questi uffici, con il concorso dell’Arma. La questione dei fascicoli quindi, è una questione di sicurezza del Patto Atlantico <107».
Come è ovvio, De Lorenzo ne dava una visione strettamente tecnica e assolutamente legalitaria, e cercò persino di utilizzare questi obblighi per giustificare l’enorme mole di fascicoli da lui istituiti in quegli anni.
Le rivelazioni del generale suscitarono molto scalpore. In realtà questi uffici - che si chiamano segreterie speciali, e che esistono in tutti i ministeri che hanno contatti NATO, e cioè Difesa, Interni, Esteri, Trasporti, Agricoltura, Industria e Commercio con l’estero - hanno un’importanza relativa.
Ben più importanti e con carattere di massima segretezza, sono gli uffici sicurezza Patto Atlantico (Uspa), che esistono soltanto presso i ministeri degli Interni e della Difesa: essi sono in stretto collegamento con un centro che ha sede a Bruxelles, il quale è in contatto con gli analoghi uffici dei paesi dell’Alleanza. <108
Chi nei nostri servizi segreti mantiene i contatti con i gangli vitali del comando NATO? Fino al 1974 l’Uspa del ministero degli Interni fu retto da Umberto D’Amato, che conservò l’incarico anche quando, nella primavera del 1972, divenne capo dell’intera Divisione affari riservati. Dal giugno 1974, cioè dallo scioglimento dell’Ufficio affari riservati, con la costituzione dell’Ispettorato per la lotta contro il terrorismo (poi ribattezzato successivamente, Servizio di sicurezza), fino al gennaio 1978, cioè alla data di scioglimento di quest’organismo, l’ufficio fu retto dal questore Antonio Carlino.
Con la costituzione del Sisde (Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica), la direzione dell’ufficio fu assunta dal vice capo del servizio, Silvano Russomanno.
Il discorso è più complesso per quanto riguarda il ministero della Difesa. Esiste l’Uspa per così dire ufficiale, che per statuto è retto dalla «Autorità Nazionale per la Sicurezza», cioè dal capo del servizio segreto. Questi però, ha sempre delegato l’incarico ad un colonnello, che negli anni della Strategia della tensione fu Antonio Alemanno. Questo ufficio, è preposto soprattutto a rilasciare i «nulla osta per la sicurezza», che hanno vari gradi, corrispondenti ai livelli di segretezza dei documenti NATO cui danno accesso: riservato, riservatissimo, segreto e segretissimo. I quattro livelli di segretezza sono «NATO restricted, NATO confidential, NATO secret e COSMIC top secret». <109
Dagli interrogatori di Spiazzi e di Cavallaro, svolti dal giudice Tamburino, emerse però l’esistenza di un ufficio ancora più segreto dell’Uspa. Nelle prime disposizioni dinanzi ai magistrati di Padova e poi di Roma, Miceli affermò subito di non aver mai svolto attività antiistituzionali, perché le sue azioni andavano inquadrate all’interno di «uno speciale segretissimo organismo esistente nell’ambito del servizio». Alla richiesta di ulteriori delucidazioni, il generale si rifugiò dietro il segreto politico-militare, e si appellò agli uomini di governo che soli, a suo dire, lo avrebbero potuto sciogliere dal segreto. A questo punto i giudici si rivolsero a Moro, che negò l’esistenza di un’organizzazione «parallela» all’interno o all’esterno del servizio segreto. Egli specificò di poter escludere, che esistesse o fosse esistita un’organizzazione occulta composta di militari e civili per fini non istituzionali. La situazione era ormai di stallo. Improvvisamente però, nell’udienza del 14 dicembre 1977 al processo sul tentato golpe di Valerio Borghese, Miceli aprì uno spiraglio nel muro di omertà che circondava l’argomento.
A convincere il generale al grande passo, fu probabilmente la constatazione che, se avesse continuato a tacere e a negare, si sarebbe assunto responsabilità ancora maggiori.
L’occasione gli fu offerta da una precisa domanda del giudice Antonio Abbate: «il giudice Tamburino a suo tempo le chiese se esisteva all’interno del Sid una struttura «parallela», che si affiancasse a quella ufficiale, con i suoi organismi occulti. Io le chiedo: è possibile che, nell’ambito del Sid, si sia instaurato un doppio organismo che si muovesse parallelamente a quello ufficiale?». La risposta di Miceli fu la seguente: «lei in sostanza vuole sapere se esiste un organismo segretissimo nell’ambito del Sid? Io finora ho parlato delle dodici branche in cui si divide. Ognuna di esse ha come appendici altri organismi, altre organizzazioni operative, sempre con scopi istituzionali. C’è, ed è sempre esistita, una particolare organizzazione segretissima, che è a conoscenza anche delle massime autorità dello Stato. Vista dall’esterno, da un profano, questa organizzazione può essere interpretata in senso non corretto, potrebbe apparire come qualcosa di estraneo alla linea ufficiale. Si tratta di un organismo inserito nell’ambito del Sid, comunque svincolato dalla catena di ufficiali appartenenti al servizio “I”, che assolve compiti pienamente istituzionali, anche se si tratta di attività ben lontana dalla ricerca informativa. Se mi chiedete dettagli particolareggiati, dico: non posso rispondere. Chiedeteli alle massime autorità dello Stato, in modo che possa esservi un chiarimento definitivo». <110
Come si evince, la dichiarazione, contiene molte autorevoli conferme, di quanto aveva a suo tempo ipotizzato il giudice Tamburino. Sollecitato poi dal giudice Abbate, Miceli precisò ancora meglio i rapporti tra mondo politico e servizio «super segreto». Alla domanda se il Ministro della Difesa fosse in grado di rendersi conto della reale struttura dell’organizzazione segretissima o veniva informato solo genericamente, il generale rispose in maniera inequivocabile: «per quanto riguarda l’organismo segretissimo, posso dire per scienza diretta, che il Ministro Tanassi ne era perfettamente a conoscenza. Lo stesso vale per gli altri due Ministri che si sono succeduti alla Difesa, mentre io ero a capo del Sid. Con Tanassi in particolare, ne parlai diffusamente». <111
Un organismo legale, che però opera nella più assoluta clandestinità: totalmente al di fuori dunque, dal controllo non solo parlamentare ma anche dall’esecutivo. Miceli, rifugiandosi dietro il segreto politico, non spiegò in cosa consistessero i compiti dell’«organismo segretissimo», e quali ne fossero i componenti; ma a quel punto aveva fatto un’ammissione di capitale importanza: il «Super Sid» non aveva «compiti di ricerca informativa», cioè aveva compiti non coincidenti con quelli dell’istituto.
Il Sid «parallelo» dunque, esiste, anche se non figura in nessun atto ufficiale. Coloro che per motivi professionali, sono al corrente dei compiti dell’organismo, lasciano intendere che le sue mansioni sarebbero di natura operativa, volte cioè ad intervenire direttamente nella realtà della nazione, per arginare eventuali moti insurrezionali. In questa prospettiva, verrebbero approntati elenchi di persone sicuramente fedeli alle istituzioni e sulle quali, lo Stato, potrebbe fare pieno affidamento e da utilizzare in caso di emergenza. Gli elenchi comprenderebbero persone che esercitano le più svariate attività con prevalenza per quelle, come medici o infermieri, che in un caso del genere diventano assolutamente indispensabili. La grande maggioranza di esse, non sarebbero nemmeno poste al corrente di essere in questi elenchi, e continuerebbero ad ignorarlo per tutta la vita, tranne in caso di convocazione. I piani di emergenza sarebbero completi fin nei minimi particolari, compresi persino speciali distintivi che verrebbero consegnati alle persone prescelte, in caso di necessità. <112 Viene così confermata l’esistenza di programmi di intervento che nessun governo ha varato, nessun parlamento ha esaminato, e che scavalcano gli stessi organismi preposti, cioè prefetti, questori e comandi militari territoriali.
[NOTE]
104 NATO: North Atlantic Treaty Organization. L’Organizzazione del Trattato Atlantico del Nord.
105 G. DE LUTIIS, Storia dei servizi segreti in Italia, Riuniti, 1993, ivi, p. 128.
106 G. DE LUTIIS, Storia dei servizi segreti in Italia, Riuniti, 1993, p. 128. Ibidem.
107 G. DE LUTIIS, Storia dei servizi segreti in Italia, Riuniti, 1993, ivi, p. 129.
108 G. DE LUTIIS, Storia dei servizi segreti in Italia, Riuniti, 1993, p. 129. Ibidem.
109 G. DE LUTIIS, Storia dei servizi segreti in Italia, Riuniti, 1993, ivi, p. 130.
110 G. DE LUTIIS, Storia dei servizi segreti in Italia, Riuniti 2013, ivi, p. 131.
111 G. DE LUTIIS, Storia dei servizi segreti in Italia, Riuniti, 2013, ivi, p.132.
112 G. DE LUTIIS, Storia dei servizi segreti in Italia, Riuniti, 1993, ivi, p. 133.
Alexander Di Ianni, La strategia della tensione e la teoria del doppio stato, Tesi di laurea, Università Luiss "Guido Carli", Anno Accademico 2016-2017
 
Ufficio Affari Riservati, già dal nome, come nebbia in un cimitero, un’aura di mistero si avvolge attorno all’acronimo UAR, struttura che eredita la sua forma dall’Ovra e dal suo tentacolo, la PolPol - solo formalmente disciolte nel 1943 - restaurate ad hoc per la Repubblica costituzionale, da Romita a Scelba. La continuità di questo organismo con l’Ovra fascista consistette non già solamente in analogie funzionali, bensì anche in termini di personale come ad esempio Guido Leto, Gesualdo Barletta, ma anche Federico Umberto D’Amato, giovane ufficiale di polizia appena ventenne, in contatto con gli Oss americani di Angleton sin dall’infanzia, abilissimo e precoce agente in grado, a partire dagli anni prossimi alla fine della Guerra, di portare agli arresti centinaia di spie dell’Abwher, guadagnandosi “più medaglie e stelline di quante ne potesse vantare Ferruccio Parri, che all’epoca aveva settant’anni”.
Dalle ceneri dell’Ovra, la fenice Uar, accompagnerà sotto diversi acronimi, sino al suo ufficiale discioglimento nel’74, la Repubblica Italiana come un angelo oscuro che tutto vede e tutto sente. Uar e D’Amato divengono negli anni una cosa sola. Nei verbali e nei documenti, “Uar” significa “Federico Umberto D’Amato”, la spia intoccabile, temuta a tal punto da non essere mai, salvo alcuni casi isolati, attaccata da giornali o televisioni per il timore di eventuali rivelazioni scomode. Dopo il “confino” che Tambroni impone a D’Amato, con la fine di tale governo, Federico rientra in gioco sotto la protezione di Taviani, quando l’Uar aveva già assunto in seguito ai suoi precedenti vertici, le competenze tecnologiche triestine, disponendo di un organo di polizia parallela in grado di filtrare indagini e infiltrare partiti politici, giornali, circoli missini, ordinovali, comunisti, socialisti, anarchici, grazie ad attività economiche simulate e basi d’appoggio per gli agenti sotto falsa identità grazie ad una rete di possedimenti patrimoniali nel cuore della Capitale e in tutto il Paese.
Gianmarco Serino, La spia intoccabile, Dissipatio, 21 marzo 2021