domenica 28 febbraio 2021

Due giovani partigiani francesi morti in Italia


[…] Il 16 settembre 1944 furono uccisi nel corso di un tentativo di sabotaggio a Ponte San Luigi [Ventimiglia (IM), al confine costiero con Mentone] Jojo Arnaldi e [Jean] Bolietto
Pierre-Emmanuel Klingbeil, Le front oublié des Alpes-Maritimes (15 août 1944-2 mai 1945), Ed. Serre, 2005


Il 16 settembre 1944, sul far della sera, sei giovani partigiani, che sono in contatto con il comandante Max dei Groupes Francs de la Résistance, lasciano il forte di Mont-Agel, sopra Montecarlo, e si dirigono verso il territorio italiano. Vogliono effettuare una ricognizione perché hanno in mente il progetto di far saltare uno dei ponti ferroviari situati a ridosso della frontiera: temono che i tedeschi, che sono appena stati cacciati da Mentone, possano ritornare. Sono Jean Bolietto, un artigiano del Cannet (Alpi Marittime) di origini astigiane che ha 29 anni e che una testimone descrive come un «bel ragazzo dall’aria seria e disincantata», Marcel Fousse detto “Marc Murat”, sua moglie Elia, Toto e Raymond. Con loro c’è Joseph Arnaldi, detto Jojo, uno studente nizzardo di soli 18 anni che sono andati a recuperare a Mont-Agel, perché si intende di esplosivi. La ragazza viene lasciata al posto di comando delle Forces françaises de l’intérieur di Mentone, mentre i giovani penetrano nel territorio italiano controllato dai tedeschi. Nel pendio che si trova tra l’Aurelia e la ferrovia, all’altezza del bar La Grotta, a un paio di centinaia di metri dalla frontiera, si produce il dramma: Bolietto salta su una mina e ha le due gambe sezionate all’altezza della coscia, Arnaldi viene ucciso da pallottole, provenienti dalle parti di villa Voronoff, che lo colpiscono al ventre, mentre gli altri riescono a fuggire e a raggiungere la ragazza che a lungo ha udito fischiare pallottole provenienti dal territorio italiano. […] Jojo era stato un ragazzo fuori del comune: aveva iniziato l’impegno resistenziale già nel 1942 quando, a 16 anni aveva creato un gruppo composto da alunni del liceo Massena da lui frequentato. Un gruppo che si distingue per la produzione e la diffusione di stampa clandestina, così come per la raccolta di informazioni e di armi. Durante un’azione, nel giugno 1944, quattro dei suoi membri vengono arrestati e fucilati per rappresaglia a Saint-Julien du Verdon. Jojo è prostrato, ma trova la forza di costituire un nuovo gruppo. Partecipa attivamente ai combattimenti per la liberazione di Nizza ed è a lui che il 29 agosto il comandante Ro impartisce l’ordine di attraversare il fiume Var per andare ad informare gli alleati che i nazifascisti hanno abbandonato la città. Jean Bolietto discendeva da una famiglia proveniente da Aramengo (AT). Era nato a Montgeron, nella periferia parigina, il 21 aprile 1915 ed aveva seguito i genitori quando si erano trasferiti al Cannet. Lavorava con il padre, titolare di una piccola ditta di riscaldamento. Prima dell’azione che gli costò la vita aveva probabilmente avuto parte attiva nella resistenza delle Alpi Marittime […]
Enzo Barnabà, In ricordo di due giovani partigiani francesi morti in Italia. Accanto a Jojo anche la lapide per Bolietto, Patria Indipendente, 24 luglio 2011

giovedì 25 febbraio 2021

Di Pierrot Le Fou ed altro ancora


Steven Heller: STORIA UNIVERSALE DELLA SVASTICA. Utet, 2020
Il titolo italiano di questo libro è pesantemente fuorviante. L'originale avrebbe recitato, traducendolo letteralmente, La Svastica e i Simboli dell'odio: Iconografia Odierna. La tesi di Steven Heller si riduce infatti a sostenere la dubbia capacità del simbolo a riproporsi nei suoi originali e benigni, nonché decorativi, significati solari - che risalirebbero quantomeno all'area Vedica se non alla preistoria - dopo l'uso che ne fecero Adolf Hitler e il partito Nazionalsocialista tedesco.
L'autore è rettore della School of Visual Art di New York ed è autore di diversi altri studi sul design e la cultura visuale in genere. Senza essere scandalistico il suo tono in Storia Universale della Svastica è comunque arroventato in modo tale da paventare minacce che non è facile soppesare in maniera inappuntabile, ancorché le ragioni per riflettere non si possano liquidare come semplicemente moralistiche. Andando al merito del libro va però rilevata la gran messe di informazioni (e di immagini) che implicano in generale i vari passaggi nell'universo visivo contemporaneo e più in particolare la trasfigurazione del logo svastica negli stemmi di gruppi e partiti, specialmente americani.
Pare che Sinclair Lewis, a ridosso della pubblicazione del suo romanzo del 1935 Da Noi non può Succedere, avesse detto che "quando il fascismo arriverà in America, sarà avvolto dalla bandiera nazionale e brandirà la croce". A noi contemporanei ciò sembra apparire come un'accertata banalità, ma non è una buona ragione per sottovalutare la ricerca di Heller come ricerca sulla devoluzione di un simbolo fra occultismo nazionalsocialista, pubblicità, copertine di dischi, resurrezione di movimenti e un po' tutto l'armamentario culturale e ottico inabissato nella pubblica opinione.
BO BOTTO

Bruno Lauzi: RICOMPORRE ARMONIE. Poesie 1992-2006. Oltre edizioni, 2020
Per uno nato all'Asmara sembrerebbe naturale parlar di "mal d'Africa", quello di Bruno Lauzi (1937-2006) fu viceversa prima di ogni altro sentimento "mal di Genova e di Liguria", benché - seguendo la famiglia in Lombardia - non ci abbia vissuto più di tanto, seppur in anni formativi. Conservava malgrado tutto un tipico accento ed aveva buona la conoscenza del dialetto. Lo storico e critico della letteratura Francesco De Nicola - che ha radunato per le edizioni Oltre di Sestri Levante (cittadina rivierasca alla quale Lauzi era particolarmente legato) le raccolte di poesia che il "cantautore" andò pubblicando a partire dal 1992 (I Mari interni, Riapprodi, Esercizi di Sguardo, Agli immobili Cieli, I Solitari) - ha puntualmente osservato che "sebbene la permanenza di Lauzi in Liguria non si sia protratta per più di quindi anni, rimane... questa regione - definita perentoriamente "la mia Liguria ... - la più presente nei suoi versi" (senza nulla togliere, ovviamente alle suggestive poesie dedicate ad altri luoghi).
BB

Alessandro Mezzena Lona: IL POETA DELLE PANTEGANE. Acquario, 2019
"Quando son diventato matto / ero troppo distratto / non ho potuto godermi la scena". Questa strofa acchiappa subito il lettore dalla prima bandella di questo volumetto biografico - ma in un senso assai particolare - che Alessando Mezzena Lona (responsabile per sedici anni delle pagine culturali de "Il Piccolo" di Trieste) ha dedicato al poeta friulano Federico Tavan (1949-2013) che ebbe fra i suoi estimatori Claudio Magris, Franco Loi, Carlo Ginzburg, nonché Marco Paolini. Il poeta aveva 13 anni quando cominciarono le sue peregrinazioni fra le strutture sanitarie che si occupano dei disagi psichici. È a cominciare dagli anni '80 che si potranno veder raccolte alcune sue poesie nei "Quaderni del circolo culturale Menochio", mentre la raccolta più completa rimane a tutt'oggi quella pubblicata dalle Edizioni dell'Immagine nel 2007 (AUGH!).
BB
 
Kent Haruf: LA STRADA DI CASA. NNeditore, 2020
Tradotto solo adesso, La Strada di Casa è in realtà il primo dei romanzi di Kent Haruf ((1943-2014) ambientati nella cittadina di Holt, sebbene solo i successivi siano rubricati come "trilogia della pianura" (Benedizione - Crepuscolo - Il canto della pianura) come un'opera a sé stante, secondo quanto lo stesso autore affermò in una lettera, anche se non è facile capire perché il primo romanzo debba esserne tenuto fuori. Curati da Franco Cremonesi questi libri cominciarono ad esser pubblicati in Italia dall'editore NN subito dopo la morte di Haruf, non seguendo esattamente l'ordine di pubblicazione originale, facendo ad ogni modo conoscere da noi un autore senza dubbio non prolifico ma assai dotato e suggestivo orientato a spostare a ovest quella che è la tradizione letteraria meridionale degli Stati Uniti, così da dichiarare di stimare William Faulkner sopra tutti gli altri scrittori, per quanto la sua influenza sembri riposare più nelle oscure viscosità delle storie famigliari di un mondo piccolo, ancorché a tante voci, che nelle raffinate e tenebrose complicazioni della scrittura - le quali, casomai, le si potrebbe recuperare ribaltate in un'ammirabile scioltezza.
BB

Massimo Bucciantini: ADDIO LUGANO BELLA. Storia di ribelli, anarchici e lombrosiani. Einaudi, 2020
Non è la storia del concepimento e della successiva diffusione della celeberrima canzone (in passato altri l'hanno tentata, per giunta in uno spettacolo) ma quella del suo un po' meno celebre seppur beatificato autore Pietro Gori. anarchico buono di cuore, esule di sentimenti italiani e visioni mondiali, poeta e sociologo, avvocato e difensore degli oppressi. Seguito con apprezzabile premura negli anni elbani, livornesi, pisani, il libro trova la sua centralità nel dibattito che coinvolse tutte le correnti del socialismo intorno al "ravacholismo" e alla "propaganda del fatto" che suggerì a Cesare Lombroso un suo famoso "trattato" (del tutto omogeneo all'Uomo Delinquente) incentrato su Gli Anarchici che fu assai discusso e contrastato da uomini come Gori e Filippo Turati (il quale per altro si trovava a fianco nel Partito Socialista il leader degli "intransigenti" Enrico Ferri, lombrosiano per eccellenza). Seguono poi le repressioni Crispine dei moti italiani e il conseguente esilio prima in Svizzera e in seguito nelle Americhe.
BB

Massimo Novelli: PIERROT LE FOU. Storia del bandito che leggeva Boris Vian e della sua donna. Oltre edizioni, 2020
Ben acclimatato fra personalità singolari (Novatore, Pollastro, Corbari, Seborga, Governato, Terra e altri) Novelli si è impegnato questa volta - con l'inclinazione già dimostrata per i fuorilegge - al bandito francese Pierrot Le Fou. In realtà i personaggi che adottarono questo nomignolo - celebrato anche da un film di Jean-Luc Godard - furono due e su tutti e due pesava un rapporto ambiguo con la Gestapo durante gli anni dell'occupazione tedesca in Francia. L'ambiguità si scioglieva tuttavia in un'ipotesi di doppiogiochismo a favore della Resistenza più esplicita in Pierre Carrot (il Pierrot "numero due") sulle imprese del quale (e della sua donna "la belle Katia") in buona sostanza (senza trascurare del tutto l'altro) si incentra il racconto di Novelli, largamente francese come è ovvio, ma con anche lunghe escursioni nel nordovest italiano, interno e rivierasco.
BB

[...]

Materiali d’archivio
I pittori americani e la città
Prefato da Lionello Venturi, I Pittori Americani e la Città, accompagnava la mostra che si teneva nel padiglione statunitense della XXVIII Biennale di Venezia (Donelley e Sons – The Lakeside Press, 1956). Ne era curatrice Katharine Kuh (1904-1994) storica dell’arte, allieva di Alfred H. Barr al Vassar College, prima curatrice di arte moderna all’Art Institute di Chicago e, dopo le sue dimissioni nel 1959, collaboratrice della “Saturday Review”. Fu anche gallerista e, come ha scritto nel suo libro di memorie My Love Affair with Modern Art, “ho mostrato il lavoro di dozzine di artisti, spesso mentre stavano ancora lottando per il riconoscimento pubblico. Penso immediatamente ad Alexander Archipenko, László Moholy-Nagy, Fernand Léger, Stuart Davis, Isamu Noguchi, Paul Klee, Joan Miró, Ansel Adams, Edward Weston e Josef Albers, che ha tenuto una delle sue prime mostre in America presso la mia galleria.
Per la mostra veneziana, dove delegato all’allestimento era l’Art Institute di Chicago, la Kuh selezionò, fra gli altri, artisti come Jackson Pollock, Lyonel Feininger, Franz Kline, Stuart Davis, Ben Shahn, Georgia O'Keeffe, Jacob Lawrence, John Marin, Mark Tobey.
Red.

Miscellanea, Fogli di Via 29, biblioteca dell'egoista, circolare 2021

venerdì 19 febbraio 2021

Abbi cura di te

Fonte: Maristella Lippolis

Sono donne le protagoniste assolute di questa raccolta di racconti. Adulte, anziane o bambine sulla soglia dell’adolescenza; donne che vivono relazioni d’affetto o d’amore, felicemente sole o malinconiche; che hanno sogni da realizzare o una vita ormai quasi alle spalle; donne che scrivono per sé o per raccontare di altre al mondo. In ogni racconto c’è una decisione da prendere, un lato oscuro da mettere in luce, a volte grazie a un nuovo lampo della memoria che accende l’ombra e delinea nuove consapevolezze. E allora niente potrà più essere come prima. Sono donne forti, nonostante le apparenze, che sanno guardarsi anche con ironia; che a volte sbagliano e che cercano di mettere a frutto gli errori. Un filo attraversa tutte le storie, una frase solo sussurrata, una raccomandazione, una speranza: abbi cura di te. A volte è come una preghiera che la scrittrice rivolge alle sue protagoniste, altre ancora è lei a prendersi cura delle storie che inventa, come ci si prende cura di un dolore perché non faccia troppo male. Abbi cura di te, anche quando ti trovi sull’orlo di una decisione imprevista, che illumina le cose di una luce diversa. Non farti mancare quella felicità che meriti, non smettere di cercarla. E se non lo farai tu sarò io a prendermi cura di te. Anche inventando una storia. Perché tutti i dolori sono sopportabili se li si inserisce in una storia, o se si racconta una storia su di essi. [...]
Abbi cura di te, Maristella Lippolis, 8 febbraio 2021

Acqua alta, Elisa e Tina, Con quella voce, Letto a due piazze, Il posto dei funghi, Alba Hotel, Camminare controvento, Digitale purpurea, Io cantavo da sola, Guadagni e perdite, Aspetta la bella stagione, Così lontano così vicino, Mi chiamo Ernestina, Abbi cura di te. Sono quattordici i racconti raccolti in Abbi cura di te, ma le protagoniste di queste storie sono molte di più. In ogni racconto c'è una decisione da prendere, un lato oscuro da mettere in luce, a volte grazie a un nuovo lampo della memoria che accende l'ombra e delinea nuove consapevolezze. E allora niente potrà più essere come prima.
Attorcigliata dentro un dolore mentre sopra si ammucchiava la neve.
È passata la volpe d’inverno a stanare il mio odore annusando il vento.
È arrivato il corvo e ha scavato la terra gelata con il becco.
Mi ha svelato il mistero il serpente quando mi ha trovata guardandomi con il suo occhio verde.
Avete visto quel mucchietto di ossa fragili?
Non sono le mie.
Ho imparato da lui come si muta la pelle quando è il momento.
Come sempre accade quando si scrive ho prestato esperienze e ricordi alle protagoniste delle storie che ho inventato. In alcuni casi non riesco più a distinguere con certezza la realtà dall'immaginazione. Ma per chi legge ciò ha poca importanza. Quel che conta è che la storia funzioni. Perché in fondo scrivere è un po' come cucinare: si mescolano ingredienti, si inventano nuove forme, e prende vita qualcosa che prima non c'era.
Maristella Lippolis

[ Maristella Lippolis, Abbi cura di te, Lanieri, dicembre 2020]

sabato 13 febbraio 2021

Una esperanza i el mar

Esteban Pavletich, Carlos Manuel Cox, Magda Portal, Serafín Delmar, Haya de la Torre, Enríquez y Vásquez Díaz in Messico nel 1929 - Fonte: Wikipedia

Magda Portal - Fonte: Alchetron

La storia del Perù è piena di persone eccezionali; persone che hanno combattuto per i loro ideali, combattuto per il paese. Si conoscono tante storie sugli uomini che hanno reso grande questo paese, ma non altrettante sulle donne [...] Magda Portal (1900-1989) Poetessa, femminista, autrice, reporter, attivista politica e leader, Magda fu uno dei fondatori del partito politico APRA. Inoltre, ella fu coinvolta nel movimento d’Avanguardia poetico e letterario in Perù e nell’America Latina [...]
Giorgia Multineddu, Le donne che hanno fatto il Perù, il messaggero italo-peruviano, 6 marzo 2014

Magda Portal - Fonte: Alchetron

Magda Portal - Fonte: Mujeres Bacanas

Magda Portal - Fonte: Mujeres Bacanas

Magda Portal, nata nel 1900 e morta nel 1989, è stata una poeta, saggista e scrittrice femminista, nonché un’attivista politica fondatrice dell’APRA, Alleanza popolare rivoluzionaria americana, che diventò partito in Perù nel 1931.
 

Fonte: Heroinas

La sua vita è stata segnata dall’esilio, dalla clandestinità forzata, dalla prigione - per esercitare pressione su di lei anche sua madre, sua sorella e la sua figlia bambina furono incarcerate - ma nulla riuscì a cambiare la sua visione della giustizia sociale e dei diritti delle donne.
Lasciò APRA nel 1949, quando il partito si era ormai nettamente distanziato dall’originaria prospettiva anti-imperialista e il suo membro Haya de la Torre dichiarò che le donne potevano essere considerate solo simpatizzanti dell’APRA e non membri effettivi, poiché non votavano.
Anni più tardi, un emissario del partito riavvicinò Magda, chiedendole di riconsiderare la sua posizione. Lei gli rispose secca: “Io avanzo, non retrocedo.”

UNA SPERANZA E IL MARE

Non ho origine

amo la terra

perché vengo dal seno della Terra

però tengo le braccia

protese verso il mare

(“Una esperanza i el mar” di Magda  Portal, traduzione: Maria G. Di Rienzo)

lunanuvola, Io avanzo, non retrocedo, 26 marzo 2018



[...] Nel giugno 1927, il suo ruolo nella politica progressista rese Magda Portal una delle tante persone esiliate dal regime di Augusto Leguía per presunta partecipazione ad organizzazioni comuniste. Dopo essere stata esiliata, si recò prima a Cuba e poi in Messico. Mentre era in Messico, incontrò Haya de la Torre, la fondatrice peruviana del movimento Alianza Popular Revolucionaria Americana (APRA), che la reclutò nel movimento Aprista. Magda Portal divenne poi la cofondatrice, insieme a molti altri, del partito Aprista nel 1931. In questo periodo Portal iniziò a concentrarsi più sulla politica che sulla poesia e divenne una convinta antimperialista. Portal viaggiò in tutta l'America Latina promuovendo questi ideali antimperialisti e apristi, dimostrandosi un leader politico. Nel 1930 Portal si recò in Cile, ma fu imprigionata e posta in isolamento. 


Nello stesso anno, dopo la caduta del regime del presidente Leguía, Portal tornò in Perù dove venne incaricata dal comitato esecutivo nazionale del partito Aprista del compito di organizzare gruppi Aprista femminili in tutto il Perù. 


Continuò nel suo lavoro collaborando con la rivista del partito, Apra,  pubblicando e curando vari opuscoli di propaganda. Il governo di Luis Miguel Sánchez Cerro seguì il regime di Leguía, il cui obiettivo era eliminare il movimento Aprista: la sua amministrazione lo perseguitò con insistenza. Questa persecuzione costrinse Portal e molti altri membri di Apra a vivere clandestinamente e a lavorare illegalmente [...] Negli anni '70 e '80, i risultati letterari di Portal hanno iniziato a ricevere una maggiore attenzione critica. Portal aveva iniziato a scrivere negli anni '20. Era una leader riconosciuta nel movimento letterario avanguardismo.

Magda Portal scrisse e pubblicò poesie, libri e articoli di giornali e riviste in tutto il Sud America, molti dei quali hanno trasmesso le sue opinioni progressiste sui diritti delle donne. Nel 1980 Portal era stata eletta presidente dell'Asociación Nacional de Escritores y Artistas ed è ancora ricordata come un leader letterario in America Latina. Portal è morta nel 1989. L'archivio personale e letterario di Portal è stato acquistato dalla Benson Latin American Collection nel 1986. 


Portada de la revista ‘Claridad’ (Bs. As., Argentina) - Fonte: Durazno Sangrando

Opere di Magda Portal:
Una Esperanza y El Mar. 1927
Flora Tristan, Precursora. 1944
Costa Sur. 1945
Constancia del Ser. 1955
La Trampa. 1957 


Riferimenti:
Flores, Angelo. Autori ispano-americani: il ventesimo secolo. New York: HW Wilson, 1992.
Klarén, Peter Flindell. Perù: società e nazionalità nelle Ande. Oxford: Oxford University Press, 2000.
Portaro, Iliana. Escritoras vanguardistas: la utilización de géneros menores y la prensa escrita peruana a principios del siglo XX. Dottorato di ricerca, Università della California, Davis, 2013.
Reedy, Daniel R. Scrittori di donne spagnole americane: un libro di origine biografica. Diane E. Marting, ed. Connecticut: Greenwood, 1990.
Smith, Myriam Gonzales. Poética e Ideología en Magda Portal: Otras Dimensiones de la Vanguardia en Latinoamérica. Lima: Instituto de Estudios Peruanos, 2007.
Wallace Fuentes, Ivonne. Diventare Magda Portal: poesia, genere e politica rivoluzionaria a Lima, Perù 1920-1930. Dottorato di ricerca, Duke University, 2006.
Tessitrice, Kathleen. Ribelle peruviana: il portale del mondo di Magda, con poesie selezionate. Penn State University Press

 Qaz.Wiki

 

sabato 6 febbraio 2021

Ogni tanto mi piace trasferire il mio studio in galleria

Riccardo Mannelli, Parlando proprio di corpo pg 39 - Fonte: Galleria Tricomia

Avevamo pubblicato [il 18 maggio 2018] qualche cosa di una mostra a Roma di RICCARDO MANNELLI [...].
Chiara Salvini in neldeliriomaisola, 18 dicembre 2019

Il disegnatore satirico Riccardo Mannelli (foto di Stefano Di Cecio) - Fonte: Report Cult (vedere infra)

Il disegnatore [Riccardo Mannelli] è stato ospite a Pistoia in occasione della mostra mercato del fumetto e del disco organizzata da Stefano Bartolomei che si è svolta presso la Cattedrale dell’area ex Breda.
Quarant'anni anni di disegno artistico e satira, per non parlare dell’avere inventato il genere del Graphic Journalism con “Nicaragua” del 1985, c’è qualcosa che rimpiangi di non avere fatto?
No, perché francamente mi son levato tutti gli sfizi, mi è andata bene da questo punto di vista. Mi sono sempre sentito avvantaggiato, se rinunci a dei privilegi economici o a un certo tipo di successo economico o di garanzie eccetera, in un Paese come questo nessuno ti si “incula”, ti lasciano fare quello che vuoi...finché non disturbi, perché io qualche volta ho disturbato un po' troppo. Ho sempre lavorato ai piani alti, non facevo underground, sono sempre partito in quarta, poi facevo anche roba underground per sfizio, come Il Male, ma è quasi subito diventato un grande successo sebbene indipendente, abbiamo avuto tutti subito molta visibilità.
Perché eravate bravi…
Al di là di quello, c'è tanta gente brava che capita in un momento un po' più difficile, non è solamente una questione di bravura ma una questione di avere il culo di arrivare storicamente nel momento giusto. Dopo la nostra generazione si è stentato un po', non a caso siamo sempre ancora “fra i coglioni” noi, almeno quelli sopravvissuti.
Da quando hai cominciato il mondo è molto cambiato, in particolare la politica, era più semplice prima fare satira, andando a colpire certi difetti, o è più facile oggi?
Non è né più facile né più difficile perché bisogna vedere il taglio che gli dai. Oggi non è più facile, è semplicemente più inutile perché nel frattempo un certo tipo di giornalismo umoristico è diventato così canonico e ufficiale, ampliato poi con la Rete a livelli pazzeschi e banalissimi, per cui è fin troppo facile fare la “battutina”. E' pieno di questi meme su Facebook, Twitter eccetera, pieno di fotomontaggi che lasciano il tempo che trovano.
Satira addomesticata?
Se arriva ad essere un conformismo non ha più la forza deflagrante che avevano le nostre prime satire, bisogna cambiare obiettivo. Infatti io cambiai quasi subito direzione: ebbi successo e tutti i quotidiani cominciarono a chiedere il vignettista. Io ho fatto il giro di tutti i quotidiani, dopo aver lasciato Il Male, nel giro di un anno, mi ero bruciato tutta la stampa italiana e dovetti andare a Parigi per lavorare. Mi avevano fatto fuori dappertutto, a 24 anni ero già morto. Era già diventato conformismo. La vignetta era diventata una richiesta, e per il fatto di essere “una richiesta” e tu esegui, vuol dire che non fai più satira, fai una cosa in cui parli di cose di cui vogliono parlare “loro”. Devi commentare solo quello di cui si parla, di cui parla la stampa ufficiale, quindi l'80% del resto ti è impedito. Quando facevamo i giornali noi, parlavamo di quello che capitava quella era satira, quella “vera” che ho sempre inteso io. Sceglievo i miei argomenti, andavo in giro per il mondo e dicevo Voglio andare in Russia e vado in Russia, o racconto il muro di Berlino, ma decido io cosa raccontare. Su Il Fatto, oggi, io devo attenermi sennò risultano incomprensibili le vignette in prima pagina, capisci? Quindi non per snobismo, ma ho sempre detto che quella non la considero una satira al 100%. All'interno di questa produzione sappiamo bene che ci sono molte sfumature perché ci sono gli Altan, i Bucchi e poi ci sono degli sprofondi e banalità a palate. Un altro mio pallino è il disegno. Molte persone mi imputavano di non far ridere, ma io ho sempre sostenuto che la satira con la risata non c'entra. Non è richiesta, può accadere come no. La satira, da Giovenale in poi, è una forma di critica, non è vero che si castigano i costumi ridendo, è un'invenzione, se leggi Marziale o Giovenale leggi delle cose acidissime e permalose. Tutta la satira è pesante: Jonathan Swift, che era un prete, nel 600 scriveva cose cattivissime. I viaggi di Gulliver era una cosa straordinaria e feroce. La sua proposta di risolvere due problemi, quelli della fame nel mondo e della sovrappopolazione con un’unica soluzione di mangiare i bambini dei poveri e dava anche le ricette… Era satira, che c'entra la risata? Se la vignetta diventa conformismo vuol dire che la cosa è morta. Se io ancora ogni tanto riesco a far rimuovere la budella a qualcuno (Renzi, Salvini, la Boschi s'incazzano, minacciano querele) vuol dire che. al di là della battuta, c’è un altro strumento che riesco a manovrare ancora, perché il ritratto "arriva", il modo "arriva" attraverso il disegno e non avendolo si perde molta efficacia. La satira è una forma d'arte, non di giornalismo né tantomeno di politica. Se tu metti quella mediazione le battute più o meno indovinate sono metabolizzate dal mio corpo, perché si disegna con il corpo, mi passano attraverso e io le sento di più. Quando faccio un ritratto io mi "avvicino".
In questo senso ci si può ricollegare alla tua attività artistica. C’è qualcuno che ti è stato d’ispirazione per i tuoi ritratti?
Da autodidatta sostengo che mi fido “dell'autodidatta” più di chi ha fatto studi o scuole particolari. L’autodidatta quando vuol raggiungere certi risultati deve farsi un “mazzo” da solo ed è molto più sincero e va molto più a fondo. Io mi son nutrito di tutto, mi prendo tutto quello che mi attizza. Caravaggio me lo sono filato molto poco sebbene lo adori, lui lavorava con la luce, l'esatto opposto di me che lavoro col disegno e sono più vicino alle esperienze artistiche più moderne, dagli Impressionisti in poi, soprattutto gli Espressionisti (fine 800 primi 900), la scuola tedesca e nordica ed anche un certo classicismo anglosassone che rimane un fondamentale per me. Chiaramente c'è la luce nostra, mediterranea, che sono convinto sia nei nostri cromosomi. Non c'è niente di peggio di fare qualcosa che ti piace con dei pregiudizi o dei presupposti che ti imponi perché cerebralmente siamo molto più indietro di ciò che siamo in grado di fare. Se ti imponi di avere certi riferimenti e altri te li vieti è perché da giovane sei un cretino ideologizzato. Alla fine ti liberi di questi legacci perché capisci di avere bisogno di qualsiasi cosa. Io ho sempre disegnato così, 40 anni fa disegnavo in un altro modo perché me lo imponevo. Poi, da “Nicaragua” in poi mi sono lasciato andare.
Come nacque l’idea di fare il giornalismo disegnato?
Andare a vedere perché non mi fidavo di quel che mi veniva detto. E' un'antica tradizione dei butteri: “se 'un si va' 'un si vede”. Ho sempre avuto la grazia divina di essere molto veloce, per cui col disegno dal vero mi trovavo bene.
Veloce e bravo.
Siamo tutti bravi. Non è la bravura che ti aiuta, ma il "buco di culo": trovare ogni volta una sintesi tra quello vuoi rappresentare e quello che ti riesce tirare fuori.
A te riesce bene, in particolare quando disegni i volti, gli sguardi...
E’ come un rapporto affettivo, se tu dedichi tempo alla persona che disegni avrai modo di essere ricambiato. Va usata tutta la sfera affettiva, sessuale, la parte più misteriosa e completa di noi stessi e senza ritegno, ti permette sempre di più di andare a scavare. Alla fine padroneggi questa cosa e puoi dedicare del tempo alla persona, ai lineamenti e soprattutto alla cosa più importante in un disegno cioè la postura da cui deriva lo sguardo. Molti mi hanno detto che i miei ritratti spesso "stiano per" anche per l'uso del gesto. La differenza fra un disegno e una fotografia è che il disegno viene “fatto dal corpo”.
Ricostruire la bellezza, un tuo progetto
Era una mia idea, una “trovatina” di quelle che funzionano anche se sembrano pompose, ma poi alla fine vedi che è una cosa concreta per la sua meticolosa, tignosa e a volte eccessiva ricerca. Parte da una “sincerissima” esigenza privata, intima: è come il volontariato, o altre iniziative umane. Se uno sente lo slancio di fare qualcosa , molto spesso poi le paure, i timori, il contesto, la società, il momento storico che vivi, ti fanno rinunciare.. Io mi sono detto nel mio piccolo lo posso fare e lo dichiaro. Mi diverto, ho trovato delle strade, dei percorsi. Il progetto è venuto fuori di lavoro in lavoro.
Progetti a breve termine?
Progetti tanti ma i termini non te li so dire: ho capito che tutto quello che sto progettando non ce la farò mai a farlo, e quindi mi do delle priorità e di indovinare quella più giusta. Per ora mi è andata bene, sono ancora “in sintonia” ma si fa presto a fare degli scivoloni a una certa età.
Progetti su Pistoia?
Non ho nessun pregiudizio, mi ha fatto solo lo “scherzetto” di farmi nascere. Ho ricordi meravigliosi dell'infanzia e della prima giovinezza per cose che a Roma non avrei potuto fare, vivere campagna e montagna, prati, sbiciclettate alberi su cui arrampicarsi, fiumi...e in dieci minuti ero a casa, a corsa.
Stefano Di Cecio, Pistoia. Quattro chiacchiere con Riccardo Mannelli, autore irriverente e anticonformista, Report Cult, 17 settembre 2019, ripreso da Chiara Salvini in neldeliriomaisola, 18 dicembre 2019  

Oggi, anche se in ritardo, cominciamo a "sciallarci" un po’ con le vignette di RICCARDO MANNELLI
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Chiara Salvini in neldeliriomaisola, 22 agosto 2019

Riccardo Mannelli, Parlando proprio di corpo pg 9 - Fonte: Galleria Tricomia

Riccardo Mannelli, Parlando proprio di corpo pg 29 - Fonte: Galleria Tricomia

Ogni tanto lo faccio. Ogni tanto mi piace trasferire il mio studio in galleria, o almeno una parte. Mettere in mostra il mio quotidiano, i miei lavori in fieri, le mie indecisioni, gli entusiasmi di mezz’ora rimasti tali, i dubbi, i “boh..?”. Per non mostrare sempre la sicurezza dell’opera compiuta, che a volte mi risulta tronfia e un po’ prepotente. È un alleggerirsi. Come una comminata in montagna: arrivato in vetta, l’aria rarefatta ti scombussola e cambi sguardo sulle cose.
Così Riccardo Mannelli parla del suo nuovo appuntamento alla Galleria Tricromia di Roma.
Corpi, volti, amori, politica e attualità sono i temi centrali della mostra, visitabile dal 17 al 31 maggio 2018, in un allestimento che ripercorre in modo trasversale la ricerca artistica del disegnatore toscano.
Sono esposti Dieci minuti di…, Dal vero, Ritratti, molti dei progetti principali di Mannelli, ma anche molti incompiuti. Questa scelta è nata dalla necessità di far interagire tre realtà che spesso sono separate: il pubblico, l’artista e la galleria.
Chiara Salvini in neldeliriomaisola, 18 maggio 2018

mercoledì 3 febbraio 2021

Sulla poetica di Ivano Fossati


La poetica di Ivano Fossati tra viaggi e naufragi, incanti e disincanti, tra amore e disamore.       
Presentiamo una lunga conversazione con [Paolo Jiachia] l’autore del volume “Ivano Fossati. Una vita controvento” (Zona, 2004), che propone una interessante, articolata e appassionata riflessione sui temi fondamentali toccati dai brani del 64enne cantautore genovese. Un percorso interpretativo sviluppato attraverso i testi di dodici canzoni tra le più significative del suo repertorio. In coda una testimonianza di Patty Pravo che incise il suo famoso pezzo “Pensiero stupendo”.
“Ho preferito impostare questa ‘conversazione intervista’ su Fossati (nato nel 1951, a Sanremo con Jesahel nel 1972 che possiamo considerare, all’incirca, il suo debutto artistico) come una riflessione sui grandi temi che attraversano la poetica di Fossati, ovvero sul ‘modo’ di scrivere e fare musica di uno dei più importanti cantautori contemporanei italiani e di cui, detto affettuosamente, non voglio credere sia finita la carriera (recentemente Fossati ha annunciato il suo ritiro dalle scene). Vedremo in questo rapidissimo percorso alcuni temi costanti delle canzoni di Fossati e cercheremo di approfondirli. In particolare vedremo il viaggio come metafora esistenziale; il viaggio come riflessione sull’‘etica del viaggio’ e poi la guerra come rappresentazione della desolazione contemporanea e poi, ancora, la musica come forma di resistenza all’orrore di oggi, ma preferisco cominciare da un’immagine e da una canzone che ci offre una sintesi di quanto ora accennato, ossia la Canzone Popolare del 1992. Infatti, nascosta in versi brechtianamente didascalici quali ‘Alzati che si sta alzando la canzone popolare / se c’è qualcosa da dire ancora / ce lo dirà / se c’è qualcosa da imparare ancora / ce lo dirà’, troviamo una coppia di parole (sostantivo ed aggettivo) quali ‘esistenza tremante’ che non solo definisce la nostra cifra umana ultima ma ci dà anche l’oggetto ultimo complessivo dell’intero corpus delle canzoni del cantautore genovese e la tensione etica che attraversa tutto il suo lavoro artistico:
La canzone popolare / 1 / ‘Alzati che si sta alzando la canzone popolare / se c’è qualcosa da dire ancora, se c’è qualcosa da fare / alzati che si sta alzando la canzone popolare / se c’è qualcosa da dire ancora, ce lo dirà / se c’è qualcosa da imparare ancora, ce lo dirà. / Sono io oppure sei tu, che hanno mandato più lontano / per poi giocargli il ritorno sempre all’ultima mano / e sono io oppure sei tu, chi ha sbagliato più forte / che per avere tutto il mondo fra le braccia / ci si è trovato anche la morte / sono io oppure sei tu, ma sono io oppure sei tu / Alzati che si sta alzando la canzone popolare / se c’è qualcosa da dire ancora, se c’è qualcosa da fare / alzati che si sta alzando la canzone popolare / se c’è qualcosa da capire ancora, ce lo dirà / se c’è qualcosa da imparare ancora, ce lo dirà / Sono io oppure sei tu la donna che ha lottato tanto / perché il brillare naturale dei suoi occhi / non lo scambiassero per pianto / e invece io lo vedi da te, arrivo sempre l’indomani / e ti busso alla porta ancora e poi ti cerco con le mani / sono io, lo vedi da te, mi riconosci, lo vedi da te / Alzati che sta passando la canzone popolare / sono io, sono proprio io, che non mi guardo più allo specchio / per non vedere le mie mani più veloci, né il mio vestito più vecchio / e prendiamola fra le braccia questa vita danzante / questi pezzi di amore caro, quest’esistenza tremante / che sono io e che sei anche tu, che sono io e che sei anche tu / Alzati che sta passando la canzone popolare / alzati che si sta alzando la canzone popolare / se c’è qualcosa da dire ancora, ce lo dirà / se c’è qualcosa da capire ancora, ce lo dirà / se c’è qualcosa da chiarire ancora, ce lo dirà / se c’è qualcosa da cantare ancora, ce lo dirà”.
Ecco è proprio questa ‘idea progetto’ di qualcosa da fare INSIEME che ora vorrei approfondire richiamando un ragionamento importante che fa Fossati in un suo importante libro biografico Per niente facile scritto in collaborazione con il giornalista Massimo Cotto nel 1994. Dice Fossati ‒ commentando in particolare Non è facile danzare del 1986, ma il discorso vale più in generale ed anche per la canzone appena sentita ‒ ‘nessuno di noi è il solista. Balliamo come in uno stage. Ci sembra di essere da soli, ma siamo sempre in compagnia, in mezzo agli altri, su di un palcoscenico immenso. ... E non è una contraddizione. La nostra danza ha senso solo con gli altri’. Se questo è vero in generale, vale poi anche per la musica (come metafora esistenziale e in senso diretto) dove valgono le stesse regole di abnegazione e di impegno etico.
[...] Il tema del viaggio, del racconto del viaggio (tipico di uno dei grandi miti artistici ed esistenziali di Fossati il romanziere primonovecentesco Joseph Conrad) è dunque in Fossati occasione e pretesto per gettare lo sguardo dentro noi stessi, scoprendo, senza pietà e con asciutto rigore, limiti d’egoismo e slanci di generosità. È poi da notare che questa scabra tecnica di narrazione di Fossati (parlare dell’altrove per parlare di noi stessi, una caratteristica molto ligure ma tipica più di De Andrè che di Gino Paoli o Tenco) si lega a qualcosa di estremamente importante in Fossati e che riguarda non tanto il viaggio come metafora esistenziale (il viaggio come metafora della vita) quanto ‘il tema dell’etica del viaggio’: non si ‘viaggia’ infatti, per Fossati, per commercio o come avventurieri, ma per una ricerca interiore: Il senso del grande viaggiare è in realtà ‒ interpretando questa canzone del 1988 ‒ oltre che di ‘guardarsi nel cuore’, di acquisire il rispetto delle piccole cose e del loro essere preziose: ‘ha ben piccole foglie la pianta del tè’ che vorrei ora riascoltassimo:
La Pianta Del Tè / 9 / Come cambia le cose / la luce della luna / come cambia i colori qui / la luce della luna / come ci rende solitari e ci tocca / come ci impastano la bocca / queste piste di polvere / per vent’anni o per cento / e come cambia poco una sola voce / nel coro del vento / ci si inginocchia su questo / sagrato immenso / dell'altipiano barocco d'oriente / per orizzonte stelle basse / per orizzonte stelle basse / oppure niente. / / E non è rosa che cerchiamo non è rosa / e non è rosa o denaro, non è rosa / e non è amore o fortuna / non è amore / che la fortuna è appesa al cielo / e non è amore / / Chi si guarda nel cuore / sa bene quello che vuole / e prende quello che c’è / / Ha ben piccole foglie / ha ben piccole foglie / ha ben piccole foglie / la pianta del tè.
Fuori di metafora, l’individualismo esasperato di Fossati contiene al suo interno un fortissimo senso della solidarietà (il rispetto e l’amore per le piccole grandi cose), ma è questo, ancora in Fossati ligure, un valore d’ascendenza anche marinaresca e da ‘viaggiatore’.
C’è però qualcosa di cui finora non ho parlato e che è stato uno dei grandi motivi di successo di Fossati, un successo (posso permettermi di dirlo senza che questo sia pettegolezzo o gossip come ora si preferisce dire?) davvero artistico prima che meramente ‘sentimentale’: insomma Fossati è (ops... è stato?) un grande cantore di donne e un grande complice delle donne (Mimi Martini, Loredana Bertè, Patty Pravo, Mannoia, con la quale recentemente ha scritto una bellissima canzone, ecc.): e credo che la canzone che andremo ad ascoltare ci mostri come sia delicato e profondo il suo modo di parlare di donne:
Il Talento Delle Donne (Time and silence) / 10 / Om Mani Padme Hum. / / Guarda l’orologio amore mio / ricordati questo tempo / guarda l’orologio dovunque sei / da qualunque sentimento / qui è mezzanotte da un minuto / tutta la strada è accesa / ma è fin troppo diritta / perché mi porti a casa. / / Che gusto di selvatico / di nessun pentimento / mi trovo sulla bocca, sulle mani / di tempo in tempo / l’amore ha i suoi fastidi / io ne sto al riparo / meglio un ergastolo sentimentale / che la vita innaturale senza te. / / Time and silence. / / Così il tempo che è già stato / l’ho traslocato ieri / io che sognavo e ti sognavo / credendo di pensare / oggi è la corsa delle cose / che mi lascia senza fiato. / / Il talento delle donne / è così naturale / il talento delle donne / sperdutamente amate. / / Time and silence. / / L’innocenza con cui puniscono / per le cose non avverate / allo scadere di un giorno / senza un miracolo da invocare / né un fazzoletto piccolo per salutare / ma il coraggio certe volte / è così naturale. / / Time and silence. / / Om Mani Padme Hum. / / Guarda l’orologio amore mio / ricordati questo tempo / guarda l’orologio dovunque sei / da qualunque sentimento / qui è mezzanotte da un minuto / tutta la strada è accesa / ma ci vorrebbe un miracolo / per riportarci a casa / noi due. / / Time and silence. / / Om Mani Padme Hum.
Se ci rimane un po’ di tempo vorrei parlavi di una strana canzone che presenta uno strano personaggio che, se l’osservate bene, deve essere, come spesso nell’arte contemporanea, un Cristo travestito (e alla ‘leggenda cristica’ rimandano l’addio nella notte, il chiedere che la prova possa passare, l’aceto e l’amore, il bacio... e la violenza del potere)
Treno di ferro / / (Ai ragazzi che partono in pace e in guerra) / 11 / Buonanotte / buonanotte che vado / vado e non c’è appello / e nemmeno l’ombrello trovo questa notte / così vado anche se piove / anche se dietro le nuvole è tutta luna nuova / vado senza di te / vado senza di te. / / Coraggio fratelli miei / il cappotto che vado / che vado avanti / vado senza di lei / tu stai in gamba che vado / come dicono di là dal mare / abbi cura / abbi cura di te. / / Che anche quest’ora passerà / come una notte di campagna / quest’ora passerà / se vorrò bene al mio sogno / come a un abito di fiamma / quest’ora passerà. / / Sono i mesi del vento / l’uomo che sogna / l’asino che vola / e tutto il resto che va. / / È che là fuori / c’è un treno di ferro / con il cuore di calce / il soffio di acido e veleno / una valanga d’amore contro un bicchiere d’aceto / dopo l’ultimo bacio / prima del fischio del treno. / / Tu non confondere il sapere col sospetto / e quest’ora passerà / come una notte di campagna / o come il tempo tutto / quest’ora passerà. / / Sono i mesi del vento / l’uomo che sogna / l’asino che vola / e il tempo tutto che va. / / È che là fuori / c’è un treno di ferro / con il cuore di calce / il soffio di acido e veleno / una valanga d'amore contro un bicchiere d’aceto / dopo l’ultimo bacio / prima del fischio del treno.
E come congedo davvero ultimo un’altra citazione ancora dalla Bibbia e il ricordo che la Bibbia è stato, in alcune sue pagine e intenzioni, un testo di resistenza, di speranza, di rivolta... il segno per usare le parole di Fossati di ‘una stagione ribelle’.
C’è Tempo / 12 / Dicono che c’è un tempo per seminare / e uno che hai voglia ad aspettare / un tempo sognato che viene di notte / e un altro di giorno teso / come un lino a sventolare. / / C’è un tempo negato e uno segreto / un tempo distante che è roba degli altri / un momento che era meglio partire / e quella volta che noi due era meglio parlarci. / / C’è un tempo perfetto per fare silenzio / guardare il passaggio del sole d’estate / e saper raccontare ai nostri bambini quando / è l’ora muta delle fate. / / C’è un giorno che ci siamo perduti / come smarrire un anello in un prato / e c’era tutto un programma futuro / che non abbiamo avverato. / / È tempo che sfugge, niente paura / che prima o poi ci riprende / perché c’è tempo, c’è tempo c’è tempo, c’è tempo / per questo mare infinito di gente. / / Dio, è proprio tanto che piove / e da un anno non torno / da mezz’ora sono qui arruffato / dentro una sala d’aspetto / di un tram che non viene / non essere gelosa di me / della mia vita / non essere gelosa di me / non essere mai gelosa di me. / / C’è un tempo d’aspetto come dicevo / qualcosa di buono che verrà / un attimo fotografato, dipinto, segnato / e quello dopo perduto via / senza nemmeno voler sapere come sarebbe stata / la sua fotografia. / / C’è un tempo bellissimo tutto sudato / una stagione ribelle / l’istante in cui scocca l’unica freccia / che arriva alla volta celeste / e trafigge le stelle / è un giorno che tutta la gente / si tende la mano / è il medesimo istante per tutti / che sarà benedetto, io credo / da molto lontano / è il tempo che è finalmente / o quando ci si capisce / un tempo in cui mi vedrai / accanto a te nuovamente / mano alla mano / che buffi saremo / se non ci avranno nemmeno / avvisato. / / Dicono che c’è un tempo per seminare / e uno più lungo per aspettare / io dico che c’era un tempo sognato / che bisognava sognare.”
Chiudiamo questo pezzo con il contributo di Patty Pravo: “Il primo incontro con Ivano è avvenuto alla RCA in occasione di Pensiero stupendo: Ennio Melis, l’allora direttore generale decise che la canzone era perfetta per me e così la cantai subito in uno studio della RCA in fase di ristrutturazione. Ma c’era quanto bastava e feci dei take: il primo fu giudicato perfetto da tutti, anche da Ivano. Penso che con questa canzone ci siamo fatti un regalo reciproco: io ho avuto il piacere di inciderla e ancora oggi la propongo nei miei concerti, lui la soddisfazione di vedere una sua creatura in classifica a lungo nel 1978 e tutt’ora molto celebre.
La nostra collaborazione si è ripetuta nel 1998 con Angelus, una canzone che ha scritto su misura per me, un abitino perfetto.
Non lo conosco bene al punto di poterlo giudicare come uomo, al cantautore invece do un bel 10 perché ha scritto alcune delle più belle pagine della musica italiana”.
Alessandro Ticozzi (a cura di) in Le Reti di Dedalus, Anno X - Luglio 2015