lunedì 30 ottobre 2023

Veltroni sosteneva l’idea di un partito leggero, a vocazione maggioritaria


La prima prova che il Partito Democratico e il suo Segretario Veltroni dovettero affrontare furono le elezioni per il rinnovo del Parlamento, nel 2008, a seguito della caduta del governo Prodi dopo una sfiducia al Senato.
Dal punto di vista della composizione interna, il PD si strutturava attorno a cinque fazioni riconducibili a singoli leader: Massimo D’Alema, Enrico Letta, Romano Prodi, Francesco Rutelli e Walter Veltroni. A queste andavano sommati altrettanti gruppi di minor rilievo e componenti più ideologizzate - i popolari, i teodem e gli ecodem -, la cui attività sui territori rispecchiava il loro carattere settoriale.
Il contesto elettorale era quello di un sistema proporzionale con premio di maggioranza (legge 270/2005), così come era avvenuto nel 2006. Sebbene le regole fossero le stesse, l’ingresso nell’arena competitiva di due soggetti come il Partito Democratico e il Popolo delle Libertà hanno modificato le dinamiche elettorali e lo scenario in uscita, con risultati differenti rispetto alle consultazioni precedenti.
La novità più rilevante fu la scelta di creare minicoalizioni: il PD, in ossequio alla vocazione maggioritaria e per un assetto bipolare, decide di correre insieme all’IdV per affinità di programma; il PdL, invece, si presenta in coalizione con la Lega Nord e il Movimento per l’autonomia.
Come ricorda Di Virgilio (2008), si trattava di cambiare strategie a regole invariate, con Veltroni chiamato a scegliere tra una coalizione ampia e fallimentare sulla falsariga dell’esperienza unionista o se prediligere una corsa in solitaria, comunque difficilmente vittoriosa, ma perlomeno a tutela della vocazione del partito.
Come previsto, l’esito della consultazione non fu positivo per il Partito Democratico.
[...] La riflessione post elettorale spinge Veltroni alla creazione di un governo ombra e a chiedere l’impegno da parte degli eletti nelle varie circoscrizioni, in modo da accelerare il processo di radicamento territoriale del partito.
Si trattava di un “governo” privo di riconoscimento istituzionale e il cui compito, a detta di Veltroni, sarebbe stato quello di incalzare l’azione del governo ed evitare che il governo del Presidente avesse in mano in esclusiva le chiavi del Paese <78.
Come evidenziato da La Stampa, però, con questo shadow cabinet all’inglese Veltroni paga dazio alle “correnti” del partito: se nel governo ombra porta alcune delle personalità su cui punta, è anche vero che deve piegarsi a una sorta di “manuale Cencelli” interno nella scelta dei ministri ombra: tutti, peraltro, di alto profilo. Ecco dunque i dalemiani, gli ex popolari, i rutelliani e i fassiniani <79”.
[...] Tra i membri del governo ombra non compare, però, Massimo D’Alema. Era il primo sospettato di una futura offensiva contro la segreteria Veltroni, considerati i movimenti dei dirigenti e le attività delle fondazioni a lui vicini. All’ipotesi della contrapposizione tra gli assi Veltroni-Marini-Fassino-Franceschini e D’Alema-Letta, però, Bersani  - neo ministro ombra dell’Economia e vicino a D’Alema - forniva la sua visione di una rinnovata logica correntizia post elettorale: “Nella fisiologia di un partito, il confronto su piattaforme programmatiche diverse ci sta. Ma bisogna rimescolare tutto, darsi un pensiero che vada oltre quello che siamo stati fin qui, nel proprio piccolo o grande recinto. Non immagino un partito del futuro senza aree politiche, però non voglio che esista uno schema di correnti fermo a dieci anni fa. Nei fatti, io non lo vedo neanche adesso. Pensare che D'Alema abbia in testa di fare, di mestiere, il capo dei dalemiani, vuol dire non conoscerlo. Ciascuno dalla propria postazione partecipi al dibattito ma in un clima non correntizio, che sarebbe un errore” <80. Lo scontro tra i sostenitori di Veltroni e la componente di Bersani e D’Alema si teneva anche rispetto alla forma che il partito avrebbe dovuto prendere per non ripetere gli errori delle elezioni. Da una forma-partito americana o europea, successivamente il dibattito si imperniò sulla leggerezza o sulla pesantezza del partito. Veltroni sosteneva l’idea di un partito leggero, a vocazione maggioritaria, con una leadership forte e trasversale, per sopperire all’iniziale lacuna territoriale con progetti riformisti largamente condivisi dalla società civile. Bersani e D’Alema, invece, guidavano una componente che richiedeva un partito particolarmente strutturato, rappresentativo di pochi e specifici settori di popolazione, aperto ad alleanze con altre forze politiche <81. Si può quindi affermare che il Partito Democratico si trovava ancora in una fase embrionale, che stentava a crescere. A riprova di ciò, gli esiti delle elezioni regionali in Abruzzo <82 e in Sardegna <83, decisivi per la sorte della segreteria PD.
I malumori interni e l’immagine del partito agli occhi degli elettori indussero Veltroni a rassegnare le dimissioni dal suo incarico. Ad appesantire la condizione del partito, le elezioni europee <84 previste per giugno dello stesso anno [2009]: i dirigenti, dunque, preferirono una fase di transizione a un nuovo congresso e scelsero come “traghettatore” il vicesegretario Dario Franceschini (ex La Margherita).
[NOTE]
78 La Repubblica, Veltroni presenta il “suo” governo: 21 ministri, pressing su Berlusconi, 9 maggio 2008
79 La Stampa, Pd: ecco il governo ombra di Veltroni: c’è Bersani, Chiamparino alle riforme, 9 maggio 2008
80 LaRepubblica, Bersani: un errore rifare le correnti. Usciamo dai recinti e rimescoliamo tutto, 11 maggio 2008
81 P. Natale e L. Fasano, L’ultimo partito. 10 anni di Partito Democratico, Giappichelli Editore, Torino, 2017, p.8
82 Alle elezioni del 14 dicembre 2008, in un contesto di bassa affluenza, il candidato del centro destra (Popolo delle Libertà) Gianni Chiodi venne eletto Presidente contro il candidato di centrosinistra Carlo Costantini.
83 Le elezioni regionali in Sardegna si tennero il 15 e 16 febbraio 2009, in anticipo rispetto alla naturale scadenza della legislatura. Renato Soru, governatore in carica, si dimise dopo scontri con la maggioranza sulla legge urbanistica regionale. Alle elezioni del 2009 fu sostenuto da PD e IdV, insieme ad altre liste locali, ma la vittoria andò al candidato del Popolo delle Libertà Ugo Cappellacci.
84 Fu poco soddisfacente anche l’esito delle elezioni europee del 7 giugno 2009: il PD, infatti, ottenne il 26,13% dei consensi (9 punti in meno rispetto al Popolo delle Libertà, che raggiunse il 35,26%). Archivio storico elezioni- Ministero dell’Interno
Cristiana Di Tommaso, Il Partito Democratico e le sue fazioni: anime e correnti a congresso, Tesi di laurea magistrale, Università Luiss "Guido Carli", Anno Accademico 2016-2017

mercoledì 18 ottobre 2023

I rapporti, che le forze partigiane ebbero con la popolazione, sono descritti analizzando la situazione nei vari comuni

Uno scorcio di Valcellina. Fonte: Wikipedia

La maggior parte dei volumi sulla Resistenza è di carattere politico militare; all’interno di questa categoria vi sono testi strettamente militari che analizzano l’evolversi del movimento partigiano descrivendo le formazioni, il territorio in cui operarono e le principali azioni militari, opere che studiano la presenza tedesca, analisi politiche dei rapporti fra le varie componenti partigiane e testi in cui vi sono sia analisi politica sia storia militare. L’insieme di questi testi fa capire l’importante apporto dato dalla Destra Tagliamento alla guerra di liberazione.
Il primo volume pubblicato sulla Resistenza [in Friuli Venezia Giulia] è opera di G.A. Colonnello; l’autore, che fu tra gli organizzatori delle prime formazioni partigiane nelle zone alpine e pedemontane dei mandamenti di Spilimbergo, Maniago e Pordenone, per la stesura di questo volume si avvale di una serie di documenti di fonte comunista, del C.L.N., e di organi tedeschi e fascisti. <2
Colonnello afferma che il movimento di lotta popolare contro l’invasore fascista, da parecchio in atto in Jugoslavia, e in particolare nelle vicinanze del confine con l’Italia, ha in misura notevole favorito, dopo l’8 settembre 1943, nel Friuli orientale, dapprima, e altrove poi, il sorgere di un movimento partigiano che ebbe a base l’avversione all’impopolare e disastrosa guerra fascista contraria ai sentimenti individuali del popolo italiano e in contrasto con le tradizioni e gli interessi della nazione, nonché l’insofferenza verso il regime che l’aveva imposta e le forze sociali nel cui interesse era condotta <3.
Colonnello pone l’accento sul fatto che per salire in montagna e inquadrarsi in reparti armati, l’8 settembre 1943 e successivamente, non ci fu ordine di mobilitazione, la via della lotta e del sacrificio, che definisce quella dell’onore e del riscatto, fu affrontata istintivamente, patriotticamente.
Questo è per l’autore il segno più tangibile che la Resistenza è sorta da una spinta della dignità umana, spinta che risale virtualmente al periodo in cui nacque il fascismo. <4 L’autore afferma che il popolo friulano, nella sua stragrande maggioranza, il giorno in cui la vecchia classe dirigente abbandonava il paese, inerme, all’invasione tedesca, cementava la propria unità e la propria volontà di lotta per il riscatto; accusando così in modo netto la classe dirigente italiana. <5
In questo volume si parla dei Gap (gruppi armati patriottici) [n.d.r.: la vera definizione era, invece, Gruppi d'Azione Patriottica] e si spiega la loro importanza; <6 i Gap erano nuclei partigiani creati per la guerriglia urbana, dai primi mesi dell’occupazione tedesca, la cui azione fu rivolta al disarmo dei presidi cittadini, nonché al sabotaggio dei mezzi di comunicazione tedeschi e di qualche impianto e ad attentati contro ufficiali tedeschi, dirigenti del Pfr (partito fascista repubblicano), spie e delatori riconosciuti. <7
Nel testo compare un elenco delle brigate garibaldine e osovane con l’indicazione della zona in cui operavano, dei comandi e delle principali azioni. <8
Colonnello assicura che gli osovani furono tenuti meno in considerazione, dai tedeschi, rispetto ai garibaldini; questo secondo lui sarebbe dimostrato dalla dichiarazione del comandante Globocknik che si diceva disposto a favorire gli osovani se si fossero schierati contro i garibaldini, <9 ma allo stesso tempo afferma che il movimento osovano può essere considerato alla pari di quello garibaldino per via di un’onesta e fattiva collaborazione. <10
L’autore parla della crisi di Pielungo e racconta che Verdi, comandante delle formazioni Osoppo gruppo ovest, era ritenuto responsabile di un rovescio, subito a Pielungo il 19 luglio 1944, dovuto secondo le accuse ad incapacità e impreparazione militare. Colonnello afferma che la causa principale del problema fu la mancanza, di continuo sollecitata dalla Garibaldi, di un funzionante comando unico di coordinamento, almeno in senso operativo. <11
L’autore parla della Valcellina, raccontando le azioni tedesche contro Barcis e le motivazioni che le hanno causate; nell’estate del 1944 Barcis costituiva una sorta di “distretto militare” partigiano, vale a dire un centro di raccolta, di preparazione e di coordinamento delle forze della libertà ivi confluenti dalle vallate e dalla pianura per inserirsi nelle formazioni osovane e garibaldine; <12 e proprio per questo fu colpita così duramente. Raccontando gli eventi di Barcis l’autore afferma che gli uomini della X Flottiglia Mas non furono per nulla inferiori ai tedeschi nella tecnica terroristica e criminale. <13
L’autore parla dei cosacchi e di come si insediarono in Carnia e in altre zone del Friuli. Hitler aveva promesso il territorio della Carnia ai cosacchi in cambio della loro attività antipartigiana. La connotazione che viene data dei cosacchi è altamente negativa, sono definiti una “cenciosa e anacronistica armata di mercenari” e una “accozzaglia di elementi scacciati dalla rivoluzione di ottobre e di disertori e traditori”. <14
In questo testo, l’autore, nel descrivere sono i principali eventi della guerra di Liberazione dà giudizi molto netti sulle questioni politico-militari.
Nel 1971, è pubblicato un saggio composto da testimonianze di Gian Pietro Boria e di alcuni ex appartenenti alla V^ Brigata Osoppo. Nella prefazione si afferma che questo scritto, pur non essendo esauriente, è stato pubblicato in quanto primo tentativo di ricostruzione delle vicende di una delle più efficienti brigate del Gruppo Divisioni Osoppo Friuli <15. Gli autori ripercorrono le vicende della Quinta Brigata Osoppo dalle origini, nel giugno 1944, fino alla liberazione, analizzando i principali eventi di cui la brigata fu protagonista e i rapporti che ebbe con la popolazione, con il clero e con l’autorità civile. All’inizio del testo sono elencati i vari gruppi, che dal periodo immediatamente successivo all’8 settembre, operavano fra la Valcellina, il Piancavallo e la zona di Sacile <16; i primi gruppi erano formati soprattutto da studenti ed ex ufficiali. Gli autori affermano che il comando della Osoppo aveva deciso di inviare, nel giugno 1944, un gruppo di trenta uomini nella zona di Piancavallo in quanto sapeva della presenza di gruppi locali che si trovavano in zona e voleva dargli un indirizzo unitario e maggior consistenza militare <17.
I rapporti, che le forze partigiane ebbero con la popolazione, sono descritti analizzando la situazione nei vari comuni; nel saggio si afferma che i partigiani furono accolti in modo caloroso dagli abitanti di Barcis e Claut, che diedero un grande contributo alla guerra di liberazione <18. Gli autori affermano che dopo l’incendio di Barcis la popolazione della Valcellina ebbe un atteggiamento meno favorevole verso i partigiani, per timore di ulteriori rappresaglie sia per l’opera denigratoria compiuta dai commercianti che temevano una riduzione dei loro affari dovuta all’attività partigiana. <19 Il rapporto fra la Resistenza e il clero è definito discontinuo e incerto <20. Dalla descrizione dei comportamenti dei parroci dei principali centri della Valcellina si evince che non si compromisero con la Resistenza; nella maggior parte dei casi i parroci non espressero le proprie idee ma si preoccuparono soprattutto di salvaguardare i loro paesi dai pericoli della guerra civile <21.
[NOTE]
2 G.A.COLONNELLO, Guerra di Liberazione. Friuli-Venezia Giulia - Zone Jugoslave, Ed. Friuli, Udine, 1965, p. 19
3 AA.VV., La Resistenza nel Friuli e nella Venezia Giulia - guida bibliografica, Ribis, Udine, 1979, p. 35
4 Ivi, p 20
5 Ivi, p. 22
6 Ivi, p. 38
7 AA.VV., Dizionario della Resistenza vol.2, Einaudi, ,Torino, 2001, pp. 209-210
8 Ivi, pp. 52-71
9 Ivi, p. 154
10 Ivi, p. 155
11 Ivi, p. 155
12 Ivi, p. 171
13 Ivi, p.172
14 Ivi, p. 208
15 AA.VV., La Resistenza in Valcellina: appunti sull’attività della Quinta Brigata “Osoppo Friuli” in Storia contemporanea in Friuli vol. 1, Istituto Friulano perla Storia del Movimento di liberazione, Udine, 1971, p. 51.
16 Ivi, pp. 51- 52.
17 Ivi, p. 51
18 Ivi, p. 53
19 Ivi, p. 54
20 Ivi, p. 54
21 Ivi, p. 54
Andrea Bortolin, La storiografia sulla guerra di Liberazione sulla Destra Tagliamento, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, 2007

mercoledì 11 ottobre 2023

Scelba anticipò De Gasperi nell’adozione dello schema mentale della guerra fredda


Una linea che esclude tanto l’opzione dossettiana delle sinistre interne, più attente alla questione sociale, quanto quella neoguelfa dei Comitati civici di Gedda, più sensibile alle istanze autoritarie dei settori ultraconservatori. In particolare la destra democristiana affondava le sue radici nel ritorno, a inizio anni Trenta, alla cultura intransigente, dopo la sconfessione vaticana del popolarismo sturziano, il compromesso con il fascismo e, successivamente, la delusione verso l’impossibilità di utilizzare il regime come strumento di cristianizzazione della società.
"Il cattolicesimo italiano reagisce alla delusione subita dal fascismo nel ’31 non già attraverso il ricupero dei valori di libertà e di democrazia […], ma con il ritorno alla più facile e, tutto compreso, più diffusa e radicata cultura intransigente. […] Le conseguenze di tutto questo nell’Azione cattolica di massa e nei gruppi furono molte: l’attesismo e l’estraneità - salvo alcune eccezioni - alla partecipazione alla lotta clandestina; la mancanza di ogni analisi politica di fronte alla nuova situazione che veniva emergendo; una sostanziale incomprensione del significato storico della spinta unitaria che si manifestava nelle masse popolari nella lotta contro il fascismo. L’estraneità di risolveva in definitiva nell’attesa del momento fatale e imminente della successione cattolica al fascismo […]". <544
Il tema della successione cattolica al regime è profondamente sentito dal conservatorismo dell’Azione cattolica (soggetto filo-monarchico ed estraneo all’innovazione democratica), che su molti suoi caratteri lo interpreta come restaurazione piena: "in concreto questo ideale di 'Stato cattolico' non si discostava forse gran che dai modelli franchista o salazariano ai quali del resto più volte la stampa cattolica si era rifatta in periodo fascista e si sarebbe rifatta ancora negli anni successivi; il comunismo appariva già come il maggiore pericolo da combattere". <545
Il centrismo rappresenta, anche da questo punto di vista, una sintesi profonda: la sua cultura politica è, almeno in linea di principio, interclassista (di fatto, la DC sarà un partito dall’eterogenea composizione sociale), nega profondamente la lotta di classe e il compito che essi affidano al centro dello scacchiere politico è precisamente "attrarre e assorbire in una specie di camera di deconflittualizzazione, e di ricomposizione moderata degli interessi, la gran parte delle forze sociali, a cominciare da quelle ostili agli eccessi di qualsiasi natura. […] La legittimità popolare e la qualità civile della loro inclinazione a ricorrere alla forza ed anche il diritto e l’onere di autorappresentarsi come guide imparziali di uno Stato democratico costretto a difendersi, con tutta la necessaria energia, da nemici potete ed agguerriti: un’autorappresentazione che, se si vuole, una singola automistificazione […]". <546
La cultura politica di De Gasperi e Scelba non riconosce quindi legittimità a ogni politica del conflitto che si ponga in termini antagonisti e classisti, salvo poi, in piena continuità con la tradizione giolittiana, prendere una posizione classista nei fatti. L’aspetto teorico paradossale del neopopolarismo di marca sturziana è anzitutto il riconoscere il peccato d’origine del Risorgimento e dell’età liberale nell’esclusione delle masse dalla costruzione dello Stato, ponendosi dunque come progetto di popolarizzazione della macchina statale dopo vent’anni di fascismo (interpretato appunto come regime antipopolare), e al tempo stesso continuare a negare cittadinanza politica alle classi subalterne, riassorbite e scomparse nel concetto di 'classe generale del Paese'.
"Uno dei riferimenti più costanti, una ricorrenza frequente, nei discorsi pubblici e nelle memorie di Scelba, è la comparazione tra primo e secondo dopoguerra. Le scelte che lo Stato repubblicano è chiamato a compiere sembrano spesso dipendere dagli insegnamenti forniti dalle drammatiche esperienze degli anni del 'biennio rosso' e dell’avvento del fascismo. Già dal 1922, grazie all’apprendistato politico al seguito di don Sturzo, Scelba sostiene di avere compreso 'il diritto dello Stato democratico di usare anche le armi contro qualsiasi tentativo diretto a sovvertire l’ordinamento costituzionale' ". <547
Curioso questo riferimento alla difesa dell’ordinamento costituzionale, nel momento in cui il ministro stesso in più occasioni sottolinea la priorità dell’ordine e del rafforzamento statale sulla stessa Costituzione o sulle libertà democratiche. <548 Nella concezione scelbiana (e centrista) della democrazia come regime forte, l’ordine pubblico repubblicano che egli teorizza e mette in pratica è profondamente schmittiano: "Decisamente convinto dell’innaturalità e della pericolosità del rapporto con i 'rossi', Scelba anticipò De Gasperi nell’adozione dello schema mentale della guerra fredda, adattandolo ad una visione centrista che comportava anche il formale rigetto del fascismo: da una parte gli amici, cioè tutti gli anticomunisti ad esclusione dei fascisti; dall’altra, i nemici, cioè il Pci e i suoi alleati e fiancheggiatori". <549
Al tempo stesso, però, ha notato Del Pero come le logiche della Guerra fredda uscissero in parte dalla chiarezza classica della teoria politica di Schmitt: "Ciò che manca nella guerra fredda è invece questo reciproco riconoscimento che, in caso di conflitto, trasforma l’altro, l’avversario, in uno justus hostis, un nemico legittimo, permettendo di dare senso alla guerra e soprattutto di limitarla. Nell’arena bipolare del secondo dopoguerra lo scontro trascende il politico: entrambi i contendenti presentano la guerra come una “guerra giusta”. In questo modo viene conseguentemente a cadere la distinzione tra nemico e criminale, e l’avversario - una volta trasformato in fuorilegge, in pirata dell’ordine internazionale - diventa 'un mostro disumano che non può essere solo sconfitto, ma deve essere definitivamente distrutto' ". <550
E l’arma principale dei nemici erano le agitazioni sindacali, i movimenti collettivi conflittuali, le rivendicazioni dei lavoratori, da quelle strettamente economiche a quelle di carattere politico più generale. Questa cultura di fondo permette la confluenza, all’interno della DC, delle varie anime dell’anticomunismo italiano che, secondo Giovagnoli, andranno a diminuirne l’autonomia: "La confluenza di componenti diverse ed eterogenee ha segnato profondamente la storia dell’anticomunismo italiano. Particolarmente importante è stata ad esempio l’influenza della Chiesa, che ha conferito all’anticomunismo specifiche connotazioni, sul piano religioso e ideologico […]. Ma c’è stato anche quello che si potrebbe definire l’anticomunismo dei ceti proprietari, espressione di classi e gruppi che hanno respinto il comunismo soprattutto per difendere i loro interessi […]. Un’altra componente, inoltre, è stata costituita dall’anticomunismo democratico […] e si deve anche ricordare l’anticomunismo legato alla tradizione della destra ideologica europea, politicamente antidemocratico e istituzionalmente eversivo […]. L’eterogeneità di queste componenti, tuttavia, ha provocato anche l’apertura di crepe e di contraddizioni all’interno di questo fronte, che hanno impedito a tale spaccatura di trasformarsi in una lacerazione assoluta. E la storia della Dc è stata profondamente segnata tanto da questa contrapposizione che dalle sue contraddizioni". <551
Da questo punto di vista, l’intera azione scelbiana è indirizzata anzitutto alla cancellazione della dualità di poteri prodotta dalla Resistenza attraverso il suo consiliarismo para-istituzionale (continuando l’azione di Giuseppe Romita e dello stesso De Gasperi, in quanto precedenti ministri degli Interni). Vedremo più avanti gli strumenti di cui si dota l’ordine repubblicano centrista per affrontare il 'male' del conflitto sociale, nel frattempo però vorremmo soffermarci sulla scelta che si pone al partito moderato nel momento in cui decide i criteri di riorganizzazione statale e ricostruzione sociale: quella tra 'alternativa salazariana' e 'contenimento democratico'.
Marino interpreta il bivio di fronte cui arriva la Repubblica in modo piuttosto netto e radicale: "si trattava di decidere se la repubblica dovesse approfondire la rottura storica operata dalla Resistenza e dalla guerra di liberazione, imprimendo una forte discontinuità nella direzione del socialismo (la togliattiana 'democrazia progressiva') alle istituzioni e alla vita del Paese, anche al di là del vecchio Stato prefascista degenerato nella dittatura di Mussolini; oppure se la repubblica dovesse limitarsi a riprendere e a sviluppare la tradizione liberaldemocratica interrotta nel ’22 dalla marcia su Roma, accedendo ad un’idea di continuità dello Stato che avrebbe inevitabilmente comportato il recupero di ampia parte dei 'principi d’ordine', dei metodi, del personale burocratico e della stessa normativa del regime fascista […]". <552
Forse non è del tutto corretto interpretare uno dei due corni dell’alternativa necessariamente come la democrazia progressiva o addirittura la direzione verso il socialismo; tuttavia è indubbio che la scelta tra la rottura e la continuità ci fosse e che alla fine si propese nettamente a favore della seconda. Giuseppe Mammarella ha considerato invece una stretta correlazione tra la politica economica democristiana di questi anni e l’inclinazione repressiva sul fronte dell’ordine pubblico, notando che "nella concezione degasperiana la difesa dell’ordine pubblico acquistava un preciso significato che discendeva direttamente dalle scelte operate in materia di politica economica e dal ruolo attribuito allo Stato di tutore dell’iniziativa privata. […] [L’obiettivo era] la restaurazione della disciplina in ogni particolare contesto della vita sociale, a partire dalle fabbriche, per eliminare l’atmosfera di pressione psicologica che le masse organizzate dai partiti di estrema esercitavano sulle classi abbienti". <553
[NOTE]
544 P. Scoppola, La proposta politica di De Gasperi, il Mulino, 1978, pp. 38-39
545 Ibidem, p. 47
546 G. C. Marino, G.C. Marino, La repubblica della forza. Mario Scelba e le passioni del suo tempo, Franco Angeli, 1995, p. 35
547 L. Bertucelli, All’alba della Repubblica. Modena, 9 gennaio 1950. L’eccidio delle Fonderie Riunite, pp. 27-28, Unicopli, 2012
548 Si vedano, rispettivamente, il riferimento alla Carta come possibile 'trappola', citato nel capitolo precedente, e la distinzione tra libertà e 'licenza' nel discorso al convegno sturziano riportato in questo capitolo.
549 G. C. Marino, op. cit., p. 41
550 M. Del Pero, L’alleato scomodo. Gli USA e la DC negli anni del centrismo (1948-1955), Carocci, 2001, pp. 286-87
551 A. Giovagnoli, Il partito italiano. La Democrazia Cristiana dal 1942 al 1994, Editori Laterza, 1996, pp. 46-47
552 M. Del Pero, op. cit., p. 44
553 G. Mammarella, L’Italia dopo il fascismo: 1943-1945, p. 157, il Mulino 1974
Elio Catania, Il conflitto sociale: “motore della Storia” o “tabù” storico-politico. Il caso di Milano nel secondo dopoguerra, Tesi di laurea magistrale, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Anno Accademico 2016-2017