mercoledì 30 agosto 2023

Negli anni Novanta il settimanale più letto è il «Tv Sorrisi e canzoni»



Negli anni Novanta i profondi stravolgimenti che hanno coinvolto la società italiana (dal terrorismo alla crisi economica e politica, dalla riforma televisiva all'affermarsi delle radio libere, dalla continua ascesa delle tv private alla nascita di numerosi nuovi mensili e modi di comunicare), non hanno intaccato il numero degli acquirenti dei settimanali, che oltre a rimanere numericamente più cospicui rispetto a quelli dei quotidiani <40, sono rimasti fedeli alle loro testate, alle immagini e alle firme più importanti che li caratterizzano <41.
La stampa settimanale degli anni Novanta si presenta come un panorama stabile, nonostante qualche cambiamento <42. La spiegazione di questa «fissità» è insita nella struttura stessa dell'offerta dei settimanali di questi anni: «un mercato pervaso da coppie di antagonisti, sufficientemente differenziati fra loro per dare il senso della varietà, ma abbastanza analoghi per imporre al lettore un'agenda uniforme, da cui non è possibile evadere, e che è difficile soddisfare meglio» <43.
Le diverse coppie («Panorama» contro «L'Espresso», «Grazia» contro «Amica», «Gente» contro «Oggi») si rivolgono a settori di pubblico ben distinti, ovvero parlano a «un lettore ben conosciuto e sostanzialmente stabile» <44. Si può pertanto parlare di una «segmentazione del pubblico» <45: gli acquirenti de «L'Espresso» e di «Panorama» è difficile che siano gli stessi di «Sorrisi», «Grazia», «Gente» e viceversa.
Questa struttura commerciale a due poli è legata a sua volta da scelte giornalistiche e culturali. Il settimanale, più del quotidiano e della televisione, individua un suo pubblico sulla base di determinate ipotesi di gusto, classe, tendenza politica, età, sesso, interessi e «si modella su queste ipotesi, cercando di assomigliare al lettore su cui scommette; ma tentando anche con pazienza di plasmarlo a propria immagine e somiglianza» <46.
Le notizie che un settimanale può fornire, se sono importanti, in linea generale sono già state ricevute prima dalla televisione e poi dai quotidiani. Non si apprende da un settimanale né lo scoppio di una guerra, né il programma di un cinema, né la propria identità sociale. Quella dei settimanali è, come si è detto, una «terza lettura» <47 che trova la sua giustificazione solo con un «taglio particolare, con una identificazione forte di valori e di interessi» <48.
I settimanali d'altronde non possono specializzarsi su argomenti particolari perché raggiungerebbero un pubblico altrettanto limitato, anche se fedele e identificato, come fanno i mensili. La forza dei settimanali è, dunque, nell'avere la possibilità di «rileggere la cronaca, più o meno tutta, stabilendo una peculiare gerarchia di notizie, proponendo al proprio lettore un'agenda <49 di argomenti e di interessi, selezionando per conto suo un numero limitato di informazioni nel vastissimo campo delle notizie disponibili ogni settimana, allestendo una griglia di leggibilità e una gerarchia di importanza fra questi elementi scelti» <50.
Ciò che determina «il contratto di lettura della redazione con l'acquirente di un settimanale»51 ruota intorno alla specifica immagine della realtà, alla gerarchia di valori e di importanza che viene fornita.
Una volta realizzata questa «omogeneità fra giornale e lettore» <52 è difficile spezzare l'implicita fedeltà che ne deriva. Anche le imitazioni o la concorrenza ravvicinata di una testata che punta sugli stessi valori, rafforza questo sodalizio <53.
Negli ultimi anni si sono verificati alcuni cambiamenti nel settore dell'informazione settimanale. Si constata, infatti, la cessata pubblicazione di testate storiche come «L'Europeo» ed «Epoca» che tra gli anni Settanta e Novanta hanno esercitato un'importante influenza d'immagine e di opinione <54; e vi è stato un «rimescolamento di carte nel settore più popolare dell'informazione» <55 con la nascita di nuove testate.
Il decennio decorrente dalla seconda metà degli anni Novanta ha inciso in maniera significativa sul mercato dei settimanali. In generale, infatti, sono diminuiti in numero e di influenza, subendo la concorrenza dei quotidiani, dei loro supplementi, dei prodotti editoriali da essi veicolati, dell'informazione televisiva e dei mensili specializzati, ma anche degli approfondimenti informativi disponibili su Internet (Volli 2008: 382)
Il rapporto Audipress, prodotto in comune dai maggiori istituti di ricerca di mercato (Demoscopera, Doxa, Ipsos Explorer) censisce per l'anno 1999 trentaquattro settimanali ed otto supplementi dei quotidiani di periodicità settimanale, che possiamo suddividere nella seguente maniera: fra i primi, sette, sono femminili, (due fra i supplementi), cinque sono centrati sulla televisione(più un supplemento per intero e la maggior parte degli altri in buona parte), tre riguardano il mondo dei motori, sette, a vario titolo, si occupano del mondo delle celebrità, del gossip, delle narrazioni sentimentali, tre sono settimanali -familiari - generalisti (a cui si accostano quattro supplementi), uno riguarda la salute, uno l'economia, uno i ragazzi, uno lo sport (con annesso supplemento). (Volli 2008: 385)
Solo due, infine, i newsmagazine tradizionali, esempi italiani di una formula che comprende, nel mondo occidentale tra gli altri, «Time», «Newsweek», «The Economis»,«Der Spiegel»,«L'Express» e «Le Nouvel Observateur».
Il settimanale più letto è il «Tv Sorrisi e canzoni», che raggiunge circa il 16% della popolazione adulta, con quasi otto milioni di lettori. Seguono «Famiglia Cristiana»  con quasi cinque milioni di lettori, vale a dire, il 10% della popolazione, ed «Oggi» con quattro milioni e mezzo, cioè il 9% dei lettori.
A seguire «Donna Moderna»  e «Gente» con 3,8 milioni(poco meno dell'8%) «Panorama» con 3,6 milioni, «Il Venerdì di Repubblica» con 3,4 milioni, «Sette» del «Corriere della Sera» con 2,4 milioni ed infine, «L'Espresso» con 2,1 milioni.
Le cifre di cui sopra mostrano con chiarezza la difficoltà attuale dei settimanali.
La funzione più diffusa, per quantità di lettori e numero di testate, è l'informazione sulle trasmissioni televisive e sui personaggi che le popolano. L'intrattenimento, a vari titolo, è anche l'argomento principale delle testate familiari e dei settimanali di gossip, che insieme vengono al secondo posto per diffusione e numero.
I newsmagazine hanno subito un notevole ridimensionamento, sia per l'uscita di scena di testate storiche come «Epoca» e «Europeo», sia perché sono falliti tutti i tentativi di fondarne degli altri di diverso orientamento politico.
Anche i supplementi dei quotidiani di prestigio come la «Repubblica», « Il Corriere della Sera» e « La Stampa», si sono collocati definitivamente sul versante dei familiari piuttosto che su quello dei newsmagazine: una scelta dovuta, in parte, ad esigenze tecniche - il prezzo sotto il livello di costo non giustifica l'uso intensivo di macchine per la stampa all'ultimo minuto, sicchè difficilmente vi si possono affrontare «temi caldi» sul piano informativo - ed, in altra parte, per la scelta di un mercato più vasto di lettori, interessati si ad approfondimenti ed alla storia, ma anche a servizi più leggeri. Lo stesso fenomeno, del resto, si può notare, entro certi limiti, anche per gli stessi newsmagazine (Volli 2008: 384).
Altro punto di attenzione è in riferimento ai settimanali femminili che, se non eliminati dalla concorrenza dei supplementi specializzati dei quotidiani, hanno certamente trovato un limite importante alla loro diffusione.
Il fenomeno più interessante in questo ambito, è la crescita di «Donna Moderna» che è riuscito a farsi leggere da un pubblico più del doppio delle testate concorrenti, tutte, inclusi i due supplementi, raggruppate fra il milione ed il milione e mezzo dei lettori.
Certamente questo successo va messo in relazione alla formula del periodico, molto pratica e concreta, più di servizio che di moda.
Va notato come sia influente anche la concorrenza dei mensili.
Molte delle testate più prestigiose compaiono una volta al mese, e, a questa periodicità, fanno riferimento anche i nuovi periodici maschili, che accostano moda, costume, immagini erotiche ed interessi motoristici.
Una riproduzione settimanale da parte dei supplementi dei quotidiani di questa formula, che in Italia, comunque, non ha la medesima risonanza ottenuta nei paesi anglosassoni, è stata ripetutamente ipotizzata e studiata, ma mai realizzata concretamente.
Come si è accennato, dunque, le trasformazioni significative sono avvenute nel campo dei newsmagazine ed i settimanali di maggior prestigio politico e culturale.
Sul piano degli schieramenti, non solo le testate si sono ridotte da quattro a due, ma si sono polarizzate secondo le due aree politiche presenti nel Paese.
Mentre nel corso degli anni Ottanta e Novanta tutti e quattro i settimanali di informazione erano appartenuti con diverse accentuazioni, ad un'area genericamente laico-progressista, ora il riferimento dell'«Espresso» è rimasto nel centro sinistra, mentre su «Panorama» ha preso peso progressivamente la proprietà berlusconiana, fino a farne uno degli organi più autorevoli ed importanti che fiancheggiano lo schieramento del centro-destra.
Questo progressivo slittamento politico ha conosciuto il momento più esplicito sotto la direzione di Giuliano Ferrara, già ministro del governo Berlusconi nel 1994 e direttore del «Foglio».
Anche dopo le sue dimissioni, il settimanale è rimasto saldamente ancorato allo schieramento del centro-destra, condividendo molti collaboratori con il «Giornale», col «Foglio» e con «Libero», vale a dire un'area di giornalismo schierato con il Polo.
Un altro aspetto interessante è stata la trasformazione degli allegati ai settimanali. Nella stessa riga di quanto è accaduto ai quotidiani, ma in misura ancora maggiore, i settimanali di informazione sono passati dalla logica dell'allegato come gadget promozionale a quella dell'allegato come prodotto da vendere e da cui ricavare profitto. Il settimanale vero e proprio si trova fisicamente circondato da una serie di altri prodotti, quali cd-rom di lunghe serie enciclopediche, cd audio ed altri prodotti editoriali, tanto da apparire soprattutto come un veicolo commerciale, una specie di negozio editoriale mobile e periodico. Da questo punto di vista anche i supplementi tematici gratuiti che, ogni tanto, appaiono con i settimanali, ed i loro siti internet, sono da considerare come elementi di una strategia commerciale complessa, in cui l'identità formativa lascia spazio ad un marketing editoriale che spesso è concepito e realizzato a livello di gruppo. Ciò comporta, talvolta, un certo rischio per l'identità culturale delle testate, ma probabilmente è la condizione economica della loro sopravvivenza.
Questo, dunque, il tema che si è imposto nella seconda metà degli anni Novanta per il giornalismo dei settimanali in Italia: si tratta dei prodotti editoriali più difficili e costosi, che solo grandi gruppi, con una gestione molto accorta, possono permettersi.
Mentre esistono, infatti, mensili di nicchia o altri che tentano strategie e contenuti innovativi, mentre i quotidiani - leggeri - di opinione si sono moltiplicati, mentre in Internet e nel mercato librario è possibile a chiunque esprimere i propri punti di vista, il mercato dei settimanali è sicuramente il più chiuso, il più difficile ed il più concentrato.
[NOTE]
40 «Il rotocalco copre un particolare settore di esigenze dei lettori che sono diverse e, in un certo senso complementari, rispetto a quelle soddisfatte dal quotidiano. Si può dire che il quotidiano fotografa l'attualità mentre il periodico la passa ai raggi infrarossi» (Mauri 1993:186).
41 Volli 2008: 348-349.
42 Ibidem.
43 Volli 2008: 349
44 Ibidem
45 Ibidem.
46 Ivi, 351.
47 Volli 2008: 351.
48 Ibidem.
49 Per un'esposizione delle teorie dell'«agenda setting» dei media cfr. Wolf 1990.
50 Volli 2008: 351-352
51 U. Volli, I settimanali, in La stampa italiana nell‟età della TV, Bari, Laterza, p. 352.
52 Ibidem.
53 Un esempio chiarificatore di questo processo è quello dei settimanali familiari: «Oggi» e «Gente». Il primo nasce nel 1945 e si rivela subito un successo economico. Nel 1957 vendeva circa 650 mila copie, tale numero si è mantenuto costante nei decenni successivi, passando a 613 mila copie negli anni Novanta. Il suo antagonista «Gente» vende 331 mila copie nel 1964 e raggiunge le 775 mila copie nel 1990. Il sorpasso finale di «Gente» non ha danneggiato affatto la formula di «Oggi» che ha mantenuto in comune col suo concorrente, una formula rimasta sostanzialmente inalterata in quarant'anni, a metà tra newsmagazine e gossip. Cfr. Idem, I settimanali…, pp. 352-353.
54 Idem, I settimanali…, p. 347.
55 Ivi, 350.
Milena Elisa Romano, La "popolarizzazione" di lingua e cultura nell'Italia del Novecento. Il rotocalco dagli anni Cinquanta a oggi, tra editoria cartacea ed editoria multimediale, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Catania, Anno accademico 2012-2013

domenica 20 agosto 2023

Mauri non possiede poi assolutamente il controllo sulle sue sparse formazioni partigiane

Uno scorcio delle Langhe. Fonte: mapio.net

All'inizio del 1945 il quadro generale del movimento partigiano era ancora confuso: dopo sedici mesi di guerra restavano da risolvere questioni fondamentali. In particolare era prioritaria la necessità di stabilire regolari rapporti tra le formazioni, per cui era indispensabile costituire il comando della VII zona che ancora non aveva iniziato a svolgere il suo compito. Da lì sarebbe discesa la soluzione all'altro problema di assoluta rilevanza, cioè la delimitazione delle zone di influenza delle singole formazioni e soprattutto dei confini tra VI zona ligure e VII zona piemontese.     
A novembre, dietro sollecitazione del CMRP <127, si erano svolti i primi incontri tra i comandanti, ma non vi avevano partecipato i comandanti GL e autonomi, e il risultato era stato una serie di «proposte» che vennero puntualmente disattese. Gli incontri si intensificarono su tutto il territorio della provincia [di Alessandria] tra dicembre '44 e gennaio '45, ma i dissidi si moltiplicavano anche per via dei contrasti personali tra i comandanti delle formazioni: comunque a febbraio il Comando di zona venne costituito con un comandante garibaldino, un vicecomandante delle brigate GL, un militare come membro tecnico, un intendente sempre garibaldino e un commissario politico lasciato alle formazioni democristiane <128.
L'accordo era evidentemente debole, minato dall'assenza di un rappresentante delle Matteotti, ma per intanto permetteva di rapportarsi alla pari con i liguri prestabilire le rispettive zone di influenza: e infatti cominciarono i problemi sull'Appennino, con un susseguirsi di smembramenti e ricostituzioni di gruppi partigiani, in cui si distinse per irrequietezza Giuseppe Merlo <129.
[NOTE]
127 Il CMRP aveva constatato che a novembre erano costituiti solo tre comandi di zona, in G. PANSA, Guerra partigiana tra Genova e il Po,  cit., p. 360. Una copia della circolare, datata 3 novembre 1944, è conservata in ISRAL, Fondo Formazioni Partigiane, busta 1, fascicolo 4.
128 Il comando era così costituito: comandante Pietro Minetti (Mancini), vicecomandante Ernesto Pasquarelli (Barbero), capo di Stato Maggiore il tenente colonnello Girolamo Fochessati (Argo), intendente Paolo Ivaldi (Vinicio), commissario politico democristiano (da nominare). G. PANSA, Guerra partigiana tra Genova e il Po,  cit., p. 362.
129 Il comando della VI zona ligure aveva infatti giocato d'anticipo emanando una disposizione negli ultimi giorni del 1944 in cui ribadiva la propria competenza fino alla zona di Predona: molti si erano attenuti, ma non la brigata Patria guidata da Sparviero. Tuttavia i metodi di lotta della divisione Mingo portarono Merlo a fuoriuscirne nuovamente e a ritornare autonomo. Ibid., 363-370.
Lodovico Como, Dall'Italia all'Europa. Biografia politica di Edoardo Martino (1910-1999), Tesi di Dottorato, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Anno Accademico 2009-2010

A fianco dell'VIII zona viene a costituirsi anche la VII, profondamente legata alla VI zona operativa ligure. <859 La situazione della VII zona è molto complessa. Legata alle formazioni liguri, in particolare alla Divisione Garibaldi "Mingo", per i contatti che questa stringe con le brigate "Patria" e "Martiri della Benedicta", la provincia di Alessandria è zona vasta e contesa. A inizio febbraio si costituisce un primo Comando unico, con Pietro Minetti "Mancini" (Garibaldi) comandante e Ernesto Pasquarelli "Barbero" (com.te VIII divisione GL, in sostituzione di Ferdinando Cioffi "Ivan", arrestato nel gennaio) come vice (accordi di Carpeneto). Questo primo accordo però presenta dei limiti: la mancanza nel comando di un rappresentante delle Matteotti e la difficoltà di esercitare un vero e proprio comando su tutto il territorio. A ciò si aggiungono i contrasti con i liguri, che a fine '44 avevano unilateralmente ufficializzato l'appartenenza della zona tra lo Scrivia e il Sassello, tra il mare e Tortona-Novi-Predosa e sud di Acqui alla VI zona ligure. Alcune brigate entrano operativamente a far parte della VI zona, <860 sollevando le proteste di "Barbero", il quale tenta in ogni modo di far annullare gli accordi tra garibaldini e Merlo, comandante della brigata GL "Martiri della Benedicta". Solo verso la fine di marzo si giunge a un accordo tra liguri e alessandrini, ma che non scioglie il nodo dei confini. La discussione sul comando di zona si riapre infatti ad aprile, questa volta per iniziativa dell'ex comandante della VIII divisione GL, "Ivan", e di Elio Pochettini, "Aldo Red", comandante della X divisione Garibaldi. In un incontro tra i rappresentanti della VIII divisione GL, della X Garibaldi e della Divisione autonoma "Patria", viene proposto infatti di scindere la zona in due parti, una nord, comprendente la val Cerrina, e una a sud, per i territori dell'Acquese-Ovadese, ritenendo questa suddivisione più utile ai fini del coordinamento delle bande. <861
La proposta, inviata al costituito comando della VII, viene valutata positivamente nelle sue premesse, ma invece di accordare la costituzione di un nuovo comando viene decisa la creazione di una «sottozona con funzioni operative staccate». <862 La controproposta di "Barbero", con cui "Ivan" non era in buoni rapporti, <863 e di "Mancini" non piace all'ex comandante della VIII divisione, il quale il 13 aprile dichiara la sua opposizione alla costituzione della «sottozona», e pochi giorni dopo, scrivendo al CMRP, richiede l'autorizzazione per la creazione della VII zona, specificandone comando, confini e formazioni che vi operano. <864
Il comando di "Ivan" non avrà reale esecuzione, contribuendo invece a creare ulteriore confusione nella difficile gestione della provincia di Alessandria. <865
La creazione di questi comandi, in particolare quello dell'VIII zona, pur non toccando direttamente le Langhe, ne condiziona assetti territoriali e organizzazione interna. L'influenza maggiore però eserciterà la decisione del CMRP di costituire, nel mese di marzo, una nuova zona operativa, la IX.
3.7.2.3 Tra VI e IX zona
Le vicende conclusive sulla costituzione del comando della VI zona, seppur non fondamentali per l'insurrezione generale in Piemonte, <866 ci offrono l'opportunità di fare le ultime considerazioni in merito ai rapporti tra i comandanti della zona e di inquadrare questi ultimi nel contesto più generale del basso Piemonte.
Il 10 febbraio, con la circolare n. 231/945, il CMRP ufficializzava la costituzione della VI zona operativa piemontese, i cui confini erano delimitati a est da Casotto e Mondovì, a nord da Bra, Canale e Asti, mentre a ovest dal corso dei fiumi Bormida e Belbo fino al confine con la Liguria. <867 Per il mese successivo il comando non è ancora stato costituito, e ciò fa ritenere necessario l'intervento del comitato militare. Nel frattempo, nella VI zona i colloqui tra comandanti proseguono, ma le difficoltà a raggiungere un compromesso si trasformano in ostacoli insormontabili verso la metà di marzo, dopo cioè la decisione del CMRP di concedere la propria autorizzazione alla costituzione di una nuova zona operativa, la IX. <868
D'ora in avanti le vicende dei due comandi risultano strettamente legate. In una riunione tra "Nanni", "Mauri" [Enrico Martini] e delegati del CMRP, tenutasi nella seconda metà di marzo, <869 si palesano le difficoltà di procedere alla costituzione del comando delle Langhe se prima non viene sciolto il nodo della IX zona. "Di fronte a questo atteggiamento del Maggiore Mauri [chiusura verso creazione IX zona] ed in assenza del delegato delle formazioni autonome il problema della formazione del comando della zona VI diventava insolubile sul posto ed i due delegati hanno deciso di rimetterlo al C.M.R.P." <870 L'opposizione di "Mauri" alla creazione della IX zona, di cui pare non voglia neppure discutere i confini, supera di molto l'interesse del maggiore per la VI, il cui comando militare pure gli viene offerto. <871 Evidentemente "Mauri" sa che una proposta di quel tipo è una contropartita al suo nulla osta rispetto alla costituzione della IX zona, il cui comando andrebbe ai GL. Ma il maggiore è anche consapevole - ed è questa la ragione della sua opposizione - che della IX zona entrerebbero a far parte alcune delle sue divisioni, di cui perderebbe di fatto il comando proprio nella fase finale della guerra.
"Mauri" infatti scrive: "I due membri del CMRP facenti parte della Commissione incaricata di definire la costituzione del comando VI zona mi hanno confermato che, in sede di CMRP, sarebbe già stata disposta la costituzione della IX zona. Di conseguenza verrebbero a cessare di dipendere da me la 6ª Divisione "Asti", la 5ª Divisione "Monferrato", la 15ª Divisione "Alessandria" e la 12ª Divisione "Bra", cioè circa la metà delle forze attualmente dipendenti da me" <872 rivolgendo infine un appello "Prego vivamente cotesto Comando di esaminare la possibilità di evitare simile provvedimento, ma di fare anzi il possibile affinché tutte le unità alla cui costituzione ho io provveduto rimangano sotto il mio Comando [...] In caso contrario io sarò costretto a dimettermi". <873
La non ostilità del CFA del Piemonte alla creazione della IX zona, con tutte le conseguenze per le divisioni di "Mauri", è motivata dal fatto che - secondo quanto si legge nella citata relazione dell'ispettore GL "F." - lo stesso comando autonomo ritiene che il maggiore non sia più in grado di tenere collegamenti «con alcune sue divisioni e precisamente con quelle che dovranno passare sotto la IX zona». <874 Il maggiore però si difende da queste accuse, sostenendo che "Non solo non corrisponde a realtà la ragione di cattive possibilità di collegamento con le formazioni del Monferrato e di riva sinistra del Tanaro, ma anzi tanti vincoli di affetto, di sentimenti, di fraternità d'armi legano tra loro le mie formazioni che né io né i miei dipendenti le possiamo vedere disgiunte" <875
Nel frattempo, le discussioni intorno al comando della IX zona continuano. In una lettera della delegazione piemontese del CBG indirizzata a "Costa", si parla di un incontro, di cui riferisce anche la relazione dell'ispettore F., a cui partecipano il comandante "Alberto" e il commissario "Paolo" della III divisione GL, il commissario "Leo" della X divisione GL, il delegato del comando GL "Panfilo", il comandante "Nanni", il commissario del raggruppamento di divisioni Garibaldi "[indecifrabile]", il comandante della IX divisione Garibaldi "Primo" Rocca, "Ulisse" e il commissario "Emilio" del raggruppamento Monferrato-Astigiano. I comandanti e i commissari sono d'accordo a nominare, per la nuova zona che comprenderà l'area tra le Langhe e il Monferrato, un comandante proveniente dai GL, scelto tra "Aldo", comandante della I divisione, "Nuto", comandante della brigata Rosselli e "Detto", commissario del I raggruppamento divisioni "Duccio Galimberti". I garibaldini esprimono però la preferenza per il comandante "Alberto", e chiedono che una volta costituito il comando vengano distribuite equamente le armi. I garibaldini propongono inoltre che "Ulisse" ricopra il ruolo di vicecomandante e "Emilio" quello di commissario di zona, in rappresentanza delle Matteotti. <876 L'accordo tra garibaldini e GL esclude di fatto gli autonomi del Monferrato da una qualsiasi rappresentanza all'interno del Comando, creando così un contesto in cui i maurini, pur rappresentando una consistente forza militare, non ottengono adeguate posizioni di comando. Inoltre, per la designazione di "Mauri" al comando della VI zona, bisognerà attendere la fine di marzo, quando dopo l'ultimo fallimento nel tentativo di trovare un accordo il CMRP, <877 avocando a sé i poteri per il comando, nomina il maggiore degli alpini comandante, Latilla vicecomandante e Guerra commissario politico, <878 in un contesto in cui le Langhe, in previsione di un maggiore sforzo operativo lungo la via Asti-Torino e Alessandria-Milano, perdono definitivamente di importanza nel piano generale di insurrezione. <879
[NOTE]
859 Cfr. G. Pansa, Guerra partigiana tra Genova e il Po, cit., pp. 357-370
860 Giorgio Agosti, all'incirca nello stesso periodo, esprimeva «l'intendimento [...] [di] addivenire ad una più stretta collaborazione fra le formazioni alessandrine e quelle liguri; e questo non solo per ragioni militari (controllo dei valichi appenninici), ma anche per gravitare politicamente su Genova e rafforzare col peso delle GL la nostra situazione in quella città», "Relazione del commissario politico del Comando piemontese delle formazioni Giustizia e Libertà", 31.12.44, in G. De Luna et alii (a cura di), Le formazioni GL, cit., doc. 104, p. 270
861 Comunicazione di "Ivan" al Comando Regionale Piemontese delle Formazioni G.L., 10.4.45 in AISRP, B 37 a, p. 2. Il comando prende la seguente configurazione: Comandante della zona settentrionale è "Ivan" per le GL, il commissario politico "Aldo" per le Garibaldi e vicecomandante e capo di Stato Maggiore ad interim "Malerba" per la divisione "Patria".
862 G. Pansa, Guerra partigiana tra Genova e il Po, cit., pp. 447-448
863 Ivi, p. 448
864 "Richiesta retifica [sic] VII zona", comandante "Ivan", comm. pol. "Aldo Red" al CMRP, 16.4.45 in AISRP, B 37 a
865 «L'accordo definitivo sulla sua [comando VII zona] composizione venne raggiunto soltanto il 29 aprile nella prefettura di Alessandria, quando già tutta la provincia era libera», in G. Pansa, Guerra partigiana tra Genova e il Po, cit., p. 449
866 Non è infatti la VI, ma la VIII zona, comandata da "Barbato", a dover liberare Torino, insieme alla III e IV. Parte delle formazioni langarole avrebbero costituito truppe di riserva e sostegno. Si veda Circolare CMRP del 10.2.45 in AISRP, B 59 d/4, citata in A. Young, "La missione Stevens e l'insurrezione di Torino", cit., p. 107
867 "Competenza territoriale", "Mauri" al Comando I divisione Langhe, 24.3.45 in AISRP, B AUT/mb 1 d
868 La IX zona nasce da un settore nord occidentale della VI, collocandosi a ovest della VIII di "Barbato", comprendendo due divisioni Garibaldi, una GL, una Matteotti e tre autonome, in Comunicazione di "Ivan" al Comando Regionale Piemontese delle Formazioni G.L., cit.; si veda anche P. Maioglio, A. Gamba, Il movimento partigiano nella provincia di Asti, cit.
869 «Il Comandante Nanni, V. [indicato come delegato garibaldino] e F. [a matita] si sono recati nel pomeriggio di sabato dal maggiore Mauri per prendere con lui opportuni accordi su due punti sostanziali: la delimitazione esatta della IX zona di recente costituzione e la scelta dei componenti del comando della VI zona», "Relazione dell'ispettore F. nella VI e IX zona", Al Comando Regionale Piemontese delle Formazioni "Giustizia e Libertà", [fine marzo] 1945 in AISRP, B 37 a, pp. 1-3
870 Ibidem
871 Come vicecomandante viene proposto "Nanni", "Remo" invece commissario e un membro delle GL nel ruolo di vicecomandante o di commissario, "Relazione dell'ispettore F. nella VI e IX zona", cit.
872 "Comunicazione sulla costituzione del Comando IX zona", "Mauri" al Comando F. A. Piemonte, 31.3.45 in G. Perona (a cura di), Formazioni autonome, cit., doc. 41, p. 419
873 Ibidem
874 "Relazione dell'ispettore F. nella VI e IX zona", cit. Per quello che riguarda i collegamenti tra il comando del 1° GDA e le divisioni "periferiche" si veda il seguente episodio. Nel luglio il cap. Della Rocca, comandante della XII divisione "Bra", lamentava di essere trattato con superficialità dal Comando Langhe e di essere in scarsità di armi a causa della spartizione di queste con Marco e Renato; inoltre accusava "Mauri" di non aver fatto nulla per cercare di liberare suoi cinque uomini catturati dai fascisti, "Schiarimenti (a proposito dello sbandamento di Marco)", Comando Distaccamento n. 10, comandante Della Rocca al Comando Langhe, 19.7.44 in AISRP, B AUT/mb 4 c. Non abbiamo trovato altri documenti che contengano denunce di questo tipo. Probabilmente perché il collegamento che intendono le formazioni maurine si basa su un semplice appoggio logistico e militare, e non su un costante scambio di informazioni sul coordinamento generale della guerriglia; inoltre il loro carattere «autonomo» è segnale di una certa indipendenza sul piano operativo, almeno è quanto emerge dalle parole di "Otello", comandante della VI divisione "Asti", che nella citata lettera del 28 febbraio '45 teneva a precisare che la dipendenza da "Mauri" «è venuta naturalmente per poter essere appoggiati ad un'attività veramente forte in condizione da poterci fornire le armi che a noi mancavano e per poter operare sotto una certa unità di indirizzo», "Comunicazione di Otello al generale Nito", cit.
875 "Comunicazione sulla costituzione del Comando IX zona", cit.
876 "Relazione dell'ispettore F. nella VI e IX zona", cit., al punto 4) Costituzione del Comando della IX zona. Secondo quanto riportato da P. Maioglio, A. Gamba, Il movimento partigiano nella provincia di Asti, cit., al comando della IX zona va il comandante della X divisione alpina GL, "Raimondo" Paglieri, il commissario il garibaldino "Tino" Ombra, vicecomandante "Ulisse", capo di Stato Maggiore "Gino" Paltrinieri, vicecommissario Giuseppe Gerbi "Leo". In ogni caso, il rapido procedere degli eventi bellici non permetterà la formalizzazione della IX zona, la quale non parteciperà come comando effettivo alle operazioni finali né sarà contemplata nel Piano E. 27

Giampaolo De Luca, Partigiani delle Langhe. Culture di banda e rapporti tra formazioni nella VI zona operativa piemontese, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2012-2013

I "buoni" rapporti sono, in realtà, determinati da motivazioni diverse ma convergenti: ai gielle interessa potersi inserire a pieno titolo nelle Langhe ed ai garibaldini sono utili le armi che Bocca e compagni concedono loro dopo i lanci <37. Non dissimili sono le relazioni con le formazioni autonome del maggiore Mauri, nel cui schieramento le unità GL si sono infilate dopo il "buco" creatosi con il rastrellamento del dicembre 1944 <38.
"Ho avuto l’impressione" - scrive Giorgio a Detto e Gigi - "che [Mauri] nonostante la freddezza voluta e calcolata per il solito gioco di prestigio, in sostanza ha accolto la notizia del nostro arrivo abbastanza bene. Questo per il fatto che tanta acqua è passata sotto i ponti dai fastigi di Alba e per il fatto che l’astuto politico […] ci vede (e noi non abbiamo smentito) in funzione anti Garibaldi" <39.
Anche sul comandante autonomo e sulla sua direzione della guerra partigiana cala la "scure" dei "puristi": "Mauri, già di per se poco disposto a prestare obbedienza a un organo come il CLN (che puzza alle sue narici delicate di rivoluzione ed i pochi atti di obbedienza che fa li compie con mille riserve espresse e non espresse) non possiede poi assolutamente il controllo sulle sue sparse formazioni libere così di seguire gli indirizzi dati dai singoli comandanti" <40.
Vivissimo anche nelle Langhe, come in tutto l’universo partigiano, il problema delle armi, delle munizioni e dell’equipaggiamento in generale. La X divisione deve - per mantenere uno standard operativo efficiente - dibattersi fra le sue necessità interne e le cessioni alle unità consorelle (III divisione) o alle formazioni Garibaldi. Queste arrivano persino ad appoggiare candidature di elementi del Partito d’Azione a cariche di rilievo pur di accedere ai lanci alleati:
"I Garibaldini avrebbero offerto a Ivan il C.do della zona" - scrive Raimondo - "fiduciosi nella sua possibilità, quale GL , di poter fare avere loro lanci […]. A me personalmente hanno chiesto parecchie armi. Ho rifiutato per i seguenti motivi: 1) perché non sarebbero i nostri 10 sten invocati a sollevare una situazione che dovrebbe essere impostata da principio. 2) dopo la cessione di armi e uomini alla III Div. (totale 98 armi, di cui moltissime automatiche) non possiamo permetterci simili lussi" <41.
L’abilità di Bocca e Scamuzzi prima e il piglio "militaresco" di Raimondo poi, servono a stabilire un cordiale rapporto di collaborazione con gli inglesi della missione di assistenza, positivamente impressionati dalla organizzazione della X divisione, ma pur sempre guardinghi, soprattutto in tema di armi ed equipaggiamento. "Ci siamo lasciati molto cordialmente [Giorgio Bocca ed il maggiore Ballard. Nda] dopo che mi aveva fatto capire che di lanci da parte loro sino a che non lo giudicheranno opportuno, ne vedremo pochi. A meno di non essere più apolitici e ossequienti" <42.
Il 15 marzo 1945 Giorgio traccia il bilancio della situazione, individuando sei punti principali: la sistemazione dei quadri, la regolarizzazione dell’amministrazione, la creazione di un servizio informazioni efficiente, la creazione di un servizio stampa e propaganda, il rigido inquadramento di tutte le forze secondo i principi più squisitamente GL e lo sfollamento dei comandi con la conseguente riorganizzazione dei collegamenti. Questi, un mese dopo, sono ancora un nodo da sciogliere sicché il comando regionale striglia, alla vigilia dell’insurrezione, il vertice della X poiché "bisogna che trovi un paio di buone staffette [..] in modo da assicurarvi un collegamento bisettimanale. Deve però trattarsi di staffette professionali, capaci di raggiungere la città in bici o a piedi o in qualsiasi altro modo possa essere necessario […] ma le staffette bisogna che le scoviate e le amministriate voi" <43.
Per la 1ª brigata - costituita il 21 gennaio 1945 e intitolata al caduto Vincenzo Squassino - il problema principale era rappresentato dalla fusione degli elementi locali con quelli scesi dalla montagna, sia a livello di uomini, sia a livello di quadri. Gli ufficiali locali sono considerati con condiscendenza dai "montanari": le tre bande che formano la brigata sono guidate rispettivamente dai fratelli Silvestri, Ercole e Luigi, e Luri <44. Le prime due sono formate da persone del luogo, l’ultima è composta da distaccamenti provenienti dalle vallate alpine; la "Squassino", poco più di 110 uomini, è sistemata fra Costigliole e Repergo (I banda), Agliano e Montegrosso (II banda), Isola e Mongardino (III banda). Anche nella formazione della 2ª brigata, intestata al comandante caduto Gianni Alessandria, il principio guida è stato quello di rompere e dividere le vecchie cricche, di vivificare l’ambiente. Al comando è stato confermato Libero, commissario politico è stato nominato Edolo, medico della Varaita. La brigata è organizzata su due bande ed un distaccamento comando: alla guida della I banda è stato chiamato il capitano Cecco, già ufficiale della formazione, mentre la II è diretta da un altro ufficiale in spe, Angelo; il distaccamento comando è direttamente agli ordini di Libero. L’unità, una novantina di uomini, è schierata nei dintorni di Castagnole, senza occupare centri degni di nota <45. La 3ª brigata, dedicata al giovane volontario Rodolfo Bertolotti, è comandata da Gildo, con commissario Libero; le bande sono affidate a Gruffia e Mic, già ufficiali in val Maira <46, e sono sistemate a Mango e fra Neviglie e Neive. La brigata conta poco più di un centinaio di volontari <47. L’amministrazione è affidata ad Antonio Semini. A capo del servizio informazioni è stato inviato Fiore <48 che dispone della polizia divisionale e di brigata. In via di costituzione anche una rete informativa e spionistica composta da elementi di supporto esterni. La stampa, affidata a Gildo, ha progetti grandiosi. Due giornali, uno polemico, dal titolo "corrosivo" di H2SO4 e un secondo - meno pretenzioso - simile ad un semplice notiziario degli avvenimenti; la mancanza di carta blocca entrambi i progetti anche se le tipografie disponibili alla collaborazione con i GL sono due. In attesa della stampa, il comando divisionale, avendo rilevato la profonda diseducazione civile dei nuovi arrivati, sforna una serie di volantini da distribuire fra gli uomini.
A metà marzo il cambio di comandante pone Enzo Paglieri alla guida della divisione. Raimondo, con 14 suoi fidati partigiani, parte per le Langhe verso la metà del marzo 1945 ed il 27 è a Bene Vagienna <49. Il 3 aprile riceve le consegne da Giorgio Bocca e quattro giorni dopo, al termine di un giro esplorativo e di conoscenza, stende un primo bilancio della sua unità, definendo buona la situazione militare, sufficiente l’armamento e in via di definizione l’affiatamento fra vecchi e nuovi partigiani. Sebbene le Langhe siano una zona relativamente "ricca" rispetto alle valli alpine, i gielle insistono per avere maggiori riguardi nei confronti degli abitanti: Matteotti, Garibaldi ed Autonomi tassano ogni merce uscente dalla zona senza criteri di eguaglianza che possano dare alla popolazione una parvenza di legalità […]. E’ necessario che si indica presto, prestissimo una conferenza […] dove il CLN […] imponga la costituzione del comando zona il quale stabilirà in modo definitivo la legalità e la misura di certe tassazioni <50.
L’8 aprile, a Castagnole, un documento redatto da Edolo Fogliati regolarizza in modo progressivo, cioè sulla base delle brente prodotte nel 1942, ultima annata di cui è stata conservata la documentazione, la procedura di ammasso del vino. Il prodotto così immagazzinato andrà metà alla popolazione, un quarto alle formazioni di Poli ed un quarto alla divisione GL <51.
[NOTE]
38 Enrico Martini (Mauri), nato a Lesegno il 29 gennaio 1911, laureato in giurisprudenza, ufficiale presso il Comando Superiore FFAA in Africa Settentrionale. Dopo l’armistizio costituisce le formazioni autonome del Monregalese subendo la disfatta del marzo 1944. Riorganizzatosi nelle Langhe, da origine alle formazioni autonome della provincia di Cuneo, di cui sarà il responsabile indiscusso fino alla chiusura delle ostilità.
39 L’incontro con il comandante autonomo è ben descritto nel romanzo Il provinciale, che ricalca - nella sostanza - il testo della relazione scritta a Dalmastro e Ventre. Cfr. G. Bocca, Il provinciale, cit., p. XX a Isrcn, Detto Dalmastro, B. VIII F. 64.
40 Isrp, C 45 a.
41 Ferdinando Cioffi (Ivan), napoletano, classe 1909, patriota, nella Resistenza dall’ottobre 1944, comandante della VIII divisione GL da metà novembre 1944 al 9 gennaio 1945, quando è arrestato e destituito. Sul suo passato gravano ombre pesanti. Bernieri scrive Colajanni che "Ivan comandante della divisione GL della VII zona, a parte il fatto che era fino ad uno o due mesi fa ufficiale della repubblica fascista, alle dirette dipendenze del famigerato generale Delogu comandante della piazza di Alessandria, era nel 1940 ufficiale della milizia fascista con incarico di polizia a Ventotene presso i confinati politici. Il riconoscimento è certo. Non servono commenti". Isrp, C 45 b. In relazione al problema della armi cfr. anche A. Cipriani, Armi e partigiani, in "Il Presente e la Storia", 50/1996. In merito a Cioffi cfr. C. Pavone (a cura di), Le brigate, cit. 448 - 449.
42 Edward (o Ugo) Ballard, maggiore dell’esercito britannico, giunto nelle Langhe nel novembre 1944 con la missione TEC, insieme al tenente colonnello Stevens ed all’ardito radiotelegrafista Tullio Biondo. Isrp, C 45 a. In merito alle missioni alleate cfr. R. Amedeo (a cura di), Le missioni alleate e le formazioni dei partigiani autonomi nella Resistenza piemontese. Atti del convegno internazionale. Torino, 21 - 22 ottobre 1978, Cuneo, L’Arciere, 1980.
43 Isrp, C 45 b.
44 Silvestri Ercole (Lino), classe 1920, cuneese, dottore in lettere, sottotenente di complemento degli alpini, partigiano nelle formazioni GL della val Varaita dall’ottobre 1943. Silvestri Luigi (Luis), classe 1920, cuneese, dottore in lettere, sottotenente di complemento degli alpini, partigiano delle formazioni GL della val Varaita dall’ottobre 1943.
45 Edolo Fogliati, (Megu, Stelvio), torinese, classe 1920, medico chirurgo, partigiano con i gielle di val Varaita dall’aprile 1944.
46 Michelangelo Ghio (Mic), cuneese, classe 1924, studente, partigiano dal marzo 1944 in val Maira. Sebastiano Parola (Gruffia), cuneese, classe 1923, geometra, partigiano dal novembre 1943 prima in val Grana e poi in val Maira.
47 Alle cifre summenzionate vanno aggiunti 20 uomini del distaccamento comando divisionale che ha il compito di fornire i collegamenti; le forze di polizia, 15 uomini, e gli addetti ai municipi ed alla stampa, in tutto la forza della
divisione ascende ai 300/350 uomini. "La brigata val Bormida che su denuncia dei suoi comandi sarebbe forte di 150 uomini è da noi considerata per ora solo sotto influenza e non inquadrata". Isrp, C 45 a.
48 Vittorio Leccà (Fiore), fiorentino di nascita, classe 1907, impegato, partigiano dal giugno 1944 nelle colonne di Alessandro Scotti. Aisrp, C 45b.
49 Cfr. E. Paglieri, Diario, cit., p. 190.
50 Isrp, C 45 a.
51 Piero Balbo (Poli), classe 1917, ufficiale di marina, dottore in legge, partigiano dal settembre 1943, poi comandante della II divisione autonoma "Langhe". Isrp, C 45 b.

Marco Ruzzi, La X Divisione Giustizia e Libertà, Asti Contemporanea, n. 7, 2000, ISRAT Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea in provincia di Asti 

giovedì 17 agosto 2023

Il 2 settembre 1981 la sezione feriale della corte di Cassazione spostava a Roma tutto ciò che riguardava la vicenda P2


La scoperta della Loggia P2 aveva portato ad un'aspra polemica tra magistratura e classe politica. Protagonisti di questo contrasto erano stati soprattutto gli esponenti del Partito socialista come Francesco Forte, responsabile economico del partito, ma anche Dino Felisetti e Rino Formica. Federico Mancini, membro in carica del Csm, aveva definito irresponsabili e politicizzati i magistrati milanesi che avevano scoperto lo scandalo P2, introducendo nel dibattito parlamentare il tema della responsabilizzazione politica del pubblico ministero <320.
Il Consiglio superiore della magistratura il 23 luglio 1981 aveva dedicato una delle sue prime sedute al tema dell'indipendenza della magistratura. Il presidente Pertini, nel suo intervento iniziale, aveva letto un testo nel quale venivano indicati i principi fondamentali del rapporto tra libertà di critica e tutela dell'indipendente esercizio dell'attività giudiziaria <321: nessuno spazio a chiusure corporative ma anche un monito a chi pensava al Csm come stanza di raffreddamento delle iniziative che investivano settori del potere <322.
Le accuse di politicizzazione mosse contro la magistratura erano tuttavia cessate quando tutti gli atti riguardanti la P2 erano stati sottratti alla Procura milanese. Con un documento di 9 pagine, il 20 giugno 1981 il sostituto procuratore di Roma Domenico Sica si era proclamato "competente" anche per i procedimenti della Procura di Milano e di Brescia, e ordinava ai suoi colleghi la riunione di tutti i processi nelle sue mani. <323
L'ordine riguardava le istruttorie su Gelli in corso a Milano e l'inchiesta di Brescia relativa ad interferenze e alle deviazioni per salvare il banchiere Roberto Calvi dalle conseguenze della colossale esportazione di capitali. Nell'inchiesta erano coinvolti l'ex vicepresidente del Consiglio superiore della Magistratura, Ugo Zilletti e il Procuratore capo della Repubblica di Milano, Mauro Gresti.
Il documento di Sica partiva dall'inchiesta sull'assassinio Pecorelli del marzo 1979 per rammentare che documenti relativi a Licio Gelli e alla P2 erano stati ritrovati fin da allora. Pecorelli aveva infatti un appunto da cui risultava che "Gelli era stato officiato per interferire nella nomina del comandante generale dell'Arma dei Carabinieri e che la massoneria voleva il processo a carico di Vito Miceli per consentirgli di attaccare pubblicamente l'on. Giulio Andreotti". <324
L'azione della Procura romana aveva portato ad un vigoroso attacco mediatico. Domenico Sica nel suo documento aveva omesso di spiegare perché tali documenti erano rimasti a riposare per anni saltando fuori solamente dopo che i giudici milanesi Giuliano Turone e Gherardo Colombo avevano sequestrato parte dell'archivio di Gelli <325. Franco Scottoni, su "Repubblica" commentava: "Gallucci ha ricordato soltanto che in caso di conflitti di competenza l'ultima decisione spetta alla suprema Corte di Cassazione. Purtroppo l'esperienza fatta in passato, in particolare per alcune inchieste scottanti lascia presagire che quando vengono sollevati conflitti di competenza c'è qualcosa che cova sotto il fuoco. Il più delle volte i conflitti preannunciano affossamenti e depistaggi. Sarà così anche per la P2?" <326.
Il 2 settembre 1981 la sezione feriale della corte di Cassazione, presieduta da Giovanni Cusani <327, spostava a Roma tutto ciò che riguardava la vicenda P2, pronunciando sentenza con la quale riconosceva interamente "la validità delle ragioni tratte a fondamento della denuncia di conflitto sollevata da quest'Ufficio", rivelando "la odiosa strumentalità della speculazione polemica che ha scandito i vari momenti della procedura di conflitto e conferma come il puntuale rispetto della legge processuale da parte di tutti, fuori da ogni pur generoso attivismo, è condizione non soltanto dell'ordinato svolgersi della ricerca probatoria ma anche "della credibilità dei risultati che ad essa debbono conseguire". <328
Anche il "Corriere della Sera" faceva rilevare che "per la terza volta nelle ultime 4 estati la sezione feriale della Cassazione si pronuncia su importanti inchieste giungendo a conclusioni diverse da quelle sostenute dalla Procura generale che si era opposta a trasferimenti nella capitale dalle procure titolari delle indagini. È accaduto nel '78 per Caltagirone, lo scorso anno per la revoca dei mandati di cattura sullo scandalo dei "fondi bianchi" dell'Italcasse, e ieri per la P2. L'osservazione, puramente statistica, può avere tuttavia un significato perché è assai raro che la Suprema Corte decida in contrasto con il parere della procura generale".
Dopo uno scambio di lettere avvenuto nell'estate del 1982, il presidente della Commissione P2 Tina Anselmi definiva avvilenti le indagini della Procura romana, censurando il procuratore capo Gallucci per la sua "scarsa collaborazione" <329. Del caso discusse anche il Consiglio Superiore della magistratura riunitosi in assemblea plenaria il 26 ottobre. <330
A partire da tali critiche iniziava una campagna di attacchi al Csm, soprattutto di natura parlamentare: il 12 novembre 1982 il liberale Alfredo Biondi con interrogazione a risposta orale chiedeva al governo di chiarire i motivi dei "numerosi attacchi nei confronti della magistratura romana con particolare riferimento al procuratore capo della repubblica dottor Gallucci <331; il socialdemocratico Dante Cioce nello stesso giorno voleva avere lumi "sulle provocazioni effettuate da alcuni componenti del Consiglio superiore della magistratura a danno degli uffici giudiziari romani <332. Il 14 ottobre 1982 il senatore Vitalone aveva presentato una denuncia scritta contro ignoti per la delibera con cui il Consiglio non lo ha promosso a magistrato di Cassazione; il giudice istruttore di Roma, Francesco Amato, il 29 gennaio 1983 comunica a sei componenti del Csm che essi sono imputati di interesse privato in atto d'ufficio <333.
Esponendosi in prima persona, il presidente Pertini bloccò la crepa che stava aprendosi nelle fondamenta di Palazzo dei Marescialli. L'organo di governo dei giudici veniva difeso dal capo dello Stato il quale, nell'ordine del giorno 3 febbraio 1983, stabiliva che i giudizi espressi dal Csm sull'operato della procura romana "attenevano a comportamenti che sono comunque espressione di convincimento liberamente formatosi all'interno del Consiglio in ampio ed articolato dibattito sui necessari elementi di giudizio". <334
Ma fu soprattutto da una interpellanza del radicale Franco De Cataldo che derivarono conseguenze importanti. De Cataldo al punto 7 della propria interpellanza denunciava l'uso abnorme del caffè da parte del Consiglio superiore della magistratura. <335 Sebbene per consuetudine nell'anticamera della sala del plenum del Csm, durante i giorni di seduta venissero posti su un tavolo un thermos con caffè, un bricco di latte freddo e bustine di zucchero, la Procura di Roma dava comunicazione a tutti i componenti elettivi del consiglio che il suo ufficio procedeva nei loro confronti per peculato aggravato. <336
Respingendo forti pressioni esterne, venti sostituti procuratori della capitale chiesero di aprire una inchiesta sulla procura stessa e lo fecero con una lettera aperta al Presidente della Repubblica Pertini nella sua veste di Presidente del Consiglio superiore della Magistratura. I sostituti procuratori, nel prendere atto che "alcune iniziative degli uffici giudiziari romani continuano a provocare tensioni istituzionali e ad accrescere un generalizzato senso di sfiducia nell'attività degli uffici stessi", sollecitavano il capo dello stato affinché intervenisse perché fossero adottate tempestivamente "nelle sedi competenti le iniziative ritenute più opportune per ricondurre nell'alveo della massima trasparenza i criteri di gestione di questo ufficio". <337
Il 21 marzo 1983 l'ufficio di presidenza della Commissione parlamentare P2 stilava un ordine del giorno che preventivava la possibile audizione del procuratore capo di Roma Achille Gallucci. Mentre i giornali titolavano: "Tra Commissione parlamentare sulla loggia massonica P2 e magistratura romana ormai è guerra aperta", una convocazione di questo genere rischiava di inserirsi fin troppo chiaramente nel clima di "guerra" tra Commissione parlamentare d'inchiesta e Procura romana.
In un editoriale dal titolo "Una ferita allo Stato", pubblicato su "La Repubblica" del 16 marzo si leggeva: "Non è escluso che il procuratore voglia spingere la sua azione ancora più a fondo emettendo una raffica di mandati di cattura che di fatto obbligherebbe Pertini a sciogliere l'organo da lui presieduto (...). E' impensabile che Pertini, ove ciò avvenisse, possa assistere passivamente; vi sarebbero infatti gli estremi di una denuncia nei confronti del procuratore della Repubblica per attentato contro la personalità dello Stato" <338.
Nonostante "l'esemplare comportamento di un capo dello Stato nella sua veste di Presidente del Csm, che tutelava in ogni modo e ad ogni costo l'indipendenza di questo organo" <339 , le frizioni in atto non erano soltanto frutto di una dicotomia giudiziaria e politica, ma soprattutto il sintomo di visioni contrapposte in cui l'indipendenza giudiziaria sul controllo della legalità diventava strumento di rivendicazione politica. Quasi come a porre un punto, di inizio o di fine, al grande rumore sollevato dal procedimento sulla P2 attratto a Roma, la contestazione di grave delitto di cospirazione politica mediante associazione si concludeva il 18 marzo 1983 con la sentenza di proscioglimento generale pronunciata dal consigliere istruttore Ernesto Cudillo: "Allo stato deve essere presa in considerazione la posizione di coloro che hanno aderito in buona fede alla loggia P2 per diversi motivi: per ideali massonici; per beneficiare lecitamente del principio della reciproca assistenza; per spirito di conformismo e di compiacenza nei confronti dei superiori gerarchici in particolare, qualora pubblici dipendenti; per acquisire prestigio, essendo la P2 considerata una loggia per persone importanti; per essersi fatti semplicemente convincere da conoscenti o amici ad iscriversi alla loggia P2, trattandosi di loggia riservata senza l'obbligo di partecipare a lavori massonici" <340.
Ciò che stava avvenendo era che la magistratura romana non riscontrava violazione della norma scritta nell'attività della loggia P2, nello stesso momento in cui la commissione parlamentare di inchiesta la considerava una gravissima distorsione delle regole del gioco democratico, con sacche di corruzione estese e radicate.
[NOTE]
320 V. Zagrebelsky, La polemica sul Pm e il nuovo Csm, in "Quaderni costituzionali", 1981, p. 391; L. Pepino, Il pubblico ministero tra indipendenza e controllo, in "Questione giustizia, 1983, n. 5 p. 588.
321 "Notiziario Csm", 1981, n. 14, p. 3.
322 Ved. Zagrebelgky, Tendenze e problemi del Csm, in "Quaderni costituzionali", 1983, p. 124; nello stesso S. Senese, Il Consiglio Superiore della magistratura, p. 484.
323 CP2, Documentazione raccolta dalla Commissione, Documenti citati nelle relazioni, 2-quarter/3, Tom. V, Vol. III, Documenti inerenti il conflitto di competenza tra la Procura della Repubblica di Roma e la Procura della Repubblica di Milano, in ordine al procedimento penale a carico di L. Gelli ed altri, pp. 309 e ss.
324 Ibid. p. 312.
325 I giudici di Milano: No all'avocazione per la P2, «L'Unità», 24 giugno 1981.
326 F. Scottoni, «La Repubblica», 25 giugno 1981.
327 Descritto da Gherardo Colombo "non un esempio di terzietà, ossia di equidistanza rispetto alle parti" poichè "fonde nella propria persona le qualità di giudice e di difensore, in quanto nella prima veste è chiamato a giudicare quale ufficio debba occuparsi dei reati legati alla P2, e nella seconda veste assiste un collega iscritto alla loggia", in G. Colombo, Il vizio della memoria, op. cit., p. 98.
328 CP2, Documenti citati nelle relazioni, 2-ter/5/III, pp. 343 e ss, Requisitoria del procuratore della Repubblica di Roma del 29 maggio 1982, dott. A. Gallucci, procedimento a carico Licio Gelli.
329 Lo scambio di lettere tra l'Ufficio di Presidenza e la Procura della Repubblica romana si trova su CP2, 2-quater/3 Tomo V, parte III, pp. 499-507.
330 «La Repubblica», 15 febbraio 1983, Il Csm spaccato per Gallucci.
331 Camera dei Deputati, Leg. VIII, Interrogazione a risposta orale, presentatore A. Biondi, Atto. N. 3/06962, seduta n. 583, 12 novembre 1982.
332 Camera dei Deputati, Leg. VIII, Interrogazione a risposta orale, presentatore D. Cioce, Atto. N. 4/03343, seduta n. 583, 12 novembre 1982; nella stessa data il senatore Dante Cioce; Ferdinando Reggiani; Matteo Matteotti.
333 Bruti Liberati op. cit.
334 "Notiziario Csm", febbraio 1983, n. 2, p. 3, e il numero straordinario del luglio 1983, con i verbali completi della seduta.
335 Camera dei Deputati, Atti parlamentari, Discussioni, Seduta pomeridiana del 18 marzo 1983, Interpellanza di F. De Cataldo n. 2-02442.
336 G. Zaccari, Tutti i giudici del Csm messi sotto inchiesta per peculato, «La Stampa», 12 marzo 1983.
337 «La stampa», 22 marzo 1983.
338 «La Repubblica», 16 marzo 1983.
339 A. Baldassarre - C. Mezzanotte, Gli uomini del Quirinale, Da De Nicola a Pertini, Bari, Laterza, 1985.
340 CP2, Documenti allegati alle relazioni, 2-ter/V TRIS., p. 507, Tribunale Penale di Roma, Giudice Istruttore E. Cudillo, Sentenza istruttoria di proscioglimento e decreto di impromuovibilità dell'azione penale, 18 marzo 1983.
Lorenzo Tombaresi, Una crepa nel muro. Storia politica della Commissione d'inchiesta P2 (1981-1984), Tesi di dottorato, Università degli Studi di Urbino "Carlo Bo", Anno Accademico 2014-2015

domenica 13 agosto 2023

Sono giustissimi gli appunti fatti al Cosiddetto Comando Nord Emilia dal Cappellano Don Giussani

Seduto, al centro, Achille Pellizzari,"Poe". In piedi, a sinistra, don Giussani. Fonte: Guerra e Resistenza in Emilia-Romagna

I rapporti tra il Commissario Poe [Achille Pellizzari] e il Comando delegato del CUMER [Comando Unico Militare Emilia Romagna], non si esaurirono con la questione della sostituzione del comando provinciale. Probabilmente, in seguito all'intervento del CMNE [Comando Militare Nord Emilia] nelle questioni del Comando parmense e avendo avuto modo di constatare più da vicino l'azione del Nord Emilia, Achille Pellizzari nel febbraio 1945 inviò una missiva al Comando Militare e al Comitato Centrale di Liberazione, nella quale denunciava le mancanze e le carenze nel funzionamento del Comando Nord Emilia:
"Sono giustissimi gli appunti fatti al Cosiddetto Comando Nord Emilia dal Cappellano Don Giussani. Questo Comando non funziona, e non si sa se nemmeno realmente esista. Ogni tanto arriva, con ritardo di mesi qualche sua comunicazione, necessariamente anacronistica e inattuale, non si sa chi lo componga, non si sa da chi né come sia nominato, e quasi ogni mese, scomposto e ricomposto. […] e così si ignora dove e a chi bisogna rivolgersi per comunicare con il capo, un giorno tizio è ispettore del Comando, dopo due settimane si apprende che è diventato addirittura Comandante, il mese successivo compare privo di qualsiasi funzione. Fino ad oggi in questo Comando Militare, non abbiamo sentito la presenza di nessun vero esperto di cose militari […] per questo considerazioni io mi domando se non sarebbe preferibile che le formazioni della montagna corrispondessero direttamente col Comando di Milano". <260
La denuncia di Pellizzari di un comando considerato "fluttuante, quasi larvale, inoperante e inutile" <261 per le formazioni parmensi, potrebbe sembrare esagerata e forse di parte, se non fosse che la medesima situazione venne denunciata anche da Don Giussani, Padre Carlo, Cappellano delle formazioni democratiche parmensi, il quale scrisse una lettera al Comando di Milano il 14 febbraio, dove annota degli
"appunti al cosiddetto Com. N.E. [Comando Nord Emilia] […] innanzitutto non si sa mai di preciso chi siano e da chi siano nominati e con quali credenziali si presentano. Ogni tanto cambiano le cariche tra loro, appaiono nuovi uomini e si fanno nuovi ordini e si danno così casi di incomprensione (vedi caso del cambiamento del C.U. parmense nel mese di novembre dopo il fatto di Bosco di Corniglio). C'è poi in esso una troppo aperta intransigenza di partito, soprattutto comunista" <262.
Il Comando Generale, nel marzo del 1945, trasmise i documenti di Pellizzari e Don Giussani al Comando di Zona Nord Emilia, sollecitando una risposta "in merito alle questione sollevate dagli scriventi di rapporti"263. La risposta da parte del Comando avvenne alla fine di marzo 1945, con una missiva inviata al Patriota Poe e per conoscenza al Comando Generale Alta Italia. L'autore del documento, dopo aver contestato il fatto che Poe non abbia riferito le osservazioni mosse direttamente al Nord Emilia ma di averlo scavalcato contattando direttamente Milano, critica i modi usati dal Commissario nella lettera:
"Non è ammissibile una terminologia quale quella da te usata nell'esprimere il tuo parere sulla consistenza, l'attività e la competenza di questo Comando. […] Rileviamo nella tua lettera una certa mentalità "trincerista" che dovrebbe essere superata. […] con maggior incidenza e con minore diplomazia tu insisti sulla incapacità, inconsistenza, inesistenza e così via fantasticando, del C.M.N.E. [Comando Militare Nord Emilia]". <264
Il documento prosegue spiegando di come i cambiamenti in seno al Comando siano dovuti a crisi subite nei mesi precedenti e di come nel frattempo il Comando si stia adoperando per "mettere a posto le cose" <265. Il Comando conclude la lettera riprendendo le difficoltà e i doveri in quanto Commissario esposte da Poe nel rapporto inviato al Comando di Milano e termina con un riconoscimento del lavoro svolto dal Professore Democristiano:
"Siamo d'accordo con te sulla difficoltà che si incontrano nel dare ai combattenti un sano senso di disciplina, una esatta comprensione dei fini per cui lottiamo ed una solida coscienza democratica […] noi dobbiamo riuscire a liberarci di tutte le scorie del passato, di tutte le incomprensioni, i reciproci sospetti e le deficienze. Mediante questo lavoro di autoeducazione e sul crogiolo della lotta comune tutti i combattimenti impareranno a stimarci e rispettare i reciprocamente, indipendentemente dalle loro convinzioni politiche e religiose. Questo comando apprezza nel tuo giusto valore, il lavoro da te svolto per dare ai Volontari della tua zona una salda coscienza democratica e ti invita a intensificare i tuoi sforzi nella stessa direzione, nel posto di responsabilità che ti sarà affidato". <266
Il rapporto epistolare appena visto è interessante sotto diversi punti di vista. Innanzitutto ci fornisce un quadro più completo dei rapporti tra il Nord Emilia e il comando parmense, e di come quest'ultimo giudicasse il suo operato. La relazione con la Delegazione del CUMER, non riguarda solo la "contesa di potere" che abbiamo visto perpetuarsi tra il Comando di Parma e Nord Emilia dall'autunno del '44 sino agli ultimi mesi della lotta, ma coinvolge gli stessi meccanismi che si potrebbero verificare all'interno di una brigata, dove di fronte ad una situazione di disagio e carenza da parte dei responsabili del Comando, ci si rivolge ad un Comando superiore per prendere provvedimenti. Lo stesso avvenne in questo caso: ottemperando ai propri doveri di Commissario responsabile della zona parmense, constatando il malfunzionamento di un Comando superiore, Poe decise di non tacere ed intervenire per il benessere delle proprie formazioni. Infine, la risposta del Comando Nord Emilia conferma le opinioni espresse da Aceti, Umberto e altri riguardo al lavoro svolto da Pelizzari come Commissario unico.
Conclusioni:
Abbiamo avuto modo di approfondire la figura di Poe principalmente sulla base della sua collaborazione con Arta [Giacomo Ferrari] e dei giudizi espressi sul suo conto. Episodi significativi come la lettera inviata all'On. Bonomi, le direttive emanate come Commissario, la posizione assunta da Poe nella questione della nomina e la lettera di denuncia verso il Nord Emilia, gettano luce invece sul suo modo d'agire. Questi esempi sono la dimostrazione di come Pellizzari con spirito critico ma moderato, non esiti ad intervenire nelle situazioni, compiendo il suo dovere ed esprimendo il suo pensiero. Le parole scritte da Poe nella lettera al Comando Generale, ci forniscono un paradigma del suo modo di pensare e di intendere il suo compito:
"Mi è grato annunziare che le formazioni si sono ricomposte, che vi si è operata una attenta selezione degli uomini, e che ora sono pronte a nuovi cimenti. Devo lamentare qua e là qualche intemperanza nella propaganda politica, soprattutto nell'azione di conservare a certe Brigate un certo colore politico, o per indurre altre a notificare il loro atteggiamento […] io ho fatto e faccio, come è mio dovere, tutto il possibile affinché il pensiero dello scopo concorde al quale mira la guerra di liberazione prevalga sopra ogni cura e ambizione. Dove non era possibile arginare certe situazioni ho preferito favorire un'amichevole divisione e ricomposizione delle unità. Debbo anche aggiungere che le preoccupazioni politiche sono più dei capi che dei gregari […] purtroppo è più difficile ottenere vera disciplina e obbedienza da parte dei Comandanti, giovani a volte inesperti di vita amministrativa ma legati alle città e ai paesi di origine, e scusabilmente desiderosi di esercitarsi [sic] l'influenza delle loro formazioni. Insegnare e imporre l'autonomia dei poteri, il rispetto dovuto ai C. di L. [Comitati di liberazione] i fondamenti teorici e pratici, della vita democratica, è la più dura ma anche la più cara delle mie fatiche. Confido che da quest'esperienza di battaglia e di vita, i nostri combattenti escano, anche, meglio temprati all'esistenza civile di domani". <267
Questo interessante passaggio ci fornisce una prospettiva sulla vita e i rapporti tra le brigate, viste dagli occhi del loro "educatore", il loro Commissario. Dalle sue parole facilmente vengono alla mente i nomi di Dario, Annibale e altri giovani comandanti studiati nella tesi. Lo scritto di Poe può essere interpretato come un suo "programma politico" riassuntivo del suo pensiero e della sua attività di Commissario. Attività che consiste in un intenso lavoro di educazione politica intesa non come appartenenza partitica, ma nel suo più profondo significato, di amore per la polis, la propria città, la propria patria. Un amore che si traduce con il dovere di combattere e affrontare il dolore per ottenere un futuro democratico e libero; il tutto in uno spirito di collaborazione che non lascia spazio alle divisioni politiche. Il Commissario Poe, con il suo esempio, cerca di trasmettere questo messaggio a quelli che saranno i giovani cittadini del domani. Se, come abbiamo visto nel paragrafo sul profilo del Commissario ideale, la disciplina, la moderatezza, l'organizzazione, l'educazione alla coscienza di lotta, sono i principali tratti attribuiti ad un buon Commissario, queste caratteristiche sono facilmente riscontrabili nell'operato del partigiano Poe.
[NOTE]
260 AISRECP, Fondo Lotta di Liberazione, busta 3 OD, fasc. OC d1, f. 83.
261 Ibidem
262 Ibidem
263 Ivi, fasc. OC d1, f. 83b.
264 Ivi, busta 1 OD, fasc. OC d1, f. 37.
265 Ibidem
266 Ibidem
267 Ivi, fasc. OC d1, f. 83.
Costanza Guidetti, La struttura del comando nel movimento resistenziale a Parma, Tesi di laurea, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Anno Accademico 2017-2018

mercoledì 9 agosto 2023

È un grande tesoro da portare con noi, il passato, e dovremmo cercare di proiettare su di esso le luci migliori, perché ci soccorra sempre


È Guido Piovene che riporterà una frase che gli disse Calvino: "Vivere per una donna che considera la tua presenza provvisoria, perché attende il ritorno di chi se n’è allontanato, e sai che sarai tu a dover scomparire se lui torna, è già vivere nella dimensione di un fantasma, su un trapezio senza rete" <109. Si coglie evidente il senso di provvisorietà in cui viveva Calvino, che nelle ultime lettere scriverà al suo amore ormai lontano:
"Cara Elsa, (…)è un grande tesoro da portare con noi, il passato, e dovremmo cercare di proiettare su di esso le luci migliori, perché ci soccorra sempre (…). Saremo molto bravi e degni della parte migliore di noi se riusciremo col tempo a continuare il nostro sentimento trasformandolo in una amicizia intellettuale basata sulla stima e la profonda conoscenza reciproca. Sarà anche l’unico modo che abbiamo di non riprendere a farci del male (contro ogni ragione) a odiarci. So che per questo ci sarà un tributo di dolore da pagare". [lettera 13,1 del 10 novembre 1958]
Il tono che usa Calvino "ad amore finito", prende le distanze completamente dalle parole d’amore usate nel tempo che ormai sta diventando passato. Sono le parole di un amore che inizialmente non era ricambiato, che a volte è stato anche platonico, parole che nutrendosi dell’insoddisfazione, dell’incompletezza, hanno portato il peso della distanza offrendo così un’intensa e lacerante immagine del sentire dello scrittore:
"Sono tanto innamorato di te che lo spasimo supremo di possederti è nulla per esprimerti quanto tendi il mio desiderio, è nulla a confronto dello spasimo fermo, lacerante, interrotto che mi dà il desiderarti. <110
Ti desidero tanto che la prima volta che t’avrò tra le braccia pensò che ti sbranerò, ti strapperò le vesti, mi rotolerò su di te, non so cosa farò per sfogare questo infinito desiderio di baciarti, premerti, amore, donna mia, idolo, strazio. <111
La tua spalla rosa è una rosa bellissima. Io porto con me il suo tiepido e soffice profumo. La tua spalla rosa è una rosa". <112
Si disegnano così, con le lettere di inizio e di fine amore, i margini di un cerchio magico entro cui Calvino in quegli anni sembra essersi incastrato per l’amore che provò per questa donna, che fu il suo idolo e il suo strazio, che lo rese felice come la guerra e che fu la confidente di ogni suo pensiero. Si fa largo l’immagine cinematografica e sublime di un amore elegante e allo stesso tempo drammatico che racchiude tutto il sapore di un’epoca passata ai nostri occhi e la contemporaneità di una stagione che invece non passa mai, quella dell’innamoramento. Si snodano così, tra le varie lettere, a volte giulive e a volte disperate, le immagini di un amante cortese che si rinnova nei secoli; l’immagine di uno scrittore nel tempo della sua crisi e di un uomo colto nelle sue paure più profonde, nelle sue pulsioni più istintive, che si esprimono in piccoli abbagli tra le elucubrazioni di un processo creativo.
E gira gira, ecco che Calvino scrive alla De Giorgi da New York e non è più il Calvino incontrato nel 1955: era iniziato il distacco dall’Italia, dall’Einaudi e da tutto la vita di cui faceva inevitabilmente parte anche Elsa De Giorgi. Le ultime lettere testimoniano i tentativi finali di mantenere vivo un colloquio che andava via via sgretolandosi sempre più. Calvino ha ancora bisogno di scriverle le impressioni suscitate dall’impatto con l’America, ma fu l’attrice, a cui quel nuovo Calvino non interessava più, che scelse un distacco assoluto e severo mantenuto fino alla morte dello scrittore.
Le lettere come avantesto
Nella biografia su Italo Calvino, Domenico Scarpa - riferendosi alla relazione tra Calvino e la De Giorgi - osserva che "(…) dai brevi lacerti apparsi qua e là s’indovina che l’amore fu grande e accidentato, ragionato ed estatico, delicato e furioso. E basta così: la discrezione vuole che ci si fermi. Solo quando i testi saranno disponibili sapremo il resto: e sapremo quanto di Elsa de’ Giorgi sopravvive nella Viola del Barone rampante, nella Claudia della Nuvola di Smog, nei personaggi femminili della serie di racconti Gli amori difficili." <113. Tuttavia, ad ogni buon conto, si può affermare senza dubbio che le lettere sono una sorta di avantesto, cioè la fase embrionale di alcuni dei racconti composti in quegli anni i cui motivi risultano sorprendentemente riconoscibili nei testi epistolari. Alcune lettere - secondo Maria Corti che avanza un’opinione più certa e attestata - possono addirittura considerarsi una sorta di anteprima ai temi e ai personaggi che si ritroveranno in alcune opere calviniane anche della Prefazione di Calvino alle Fiabe <114.
[NOTE]
109 E. De Giorgi, Ho visto partire il tuo treno, pag. 20 e pag. 176
110 L’amore poi l’addio: non odiarmi di Paolo Di Stefano in Corriere della Sera del 5/08/2004
111 ibidem
112 ibidem
113 D. Scarpa, Italo Calvino, Mondadori, 1999, p. 20
114 Maria Corti nel suo saggio (M. Corti, Vuoti del tempo, Bompiani 2003 p. 145) sull’incredibile epistolario riferisce: "Calvino le confessa di essere attratto dall’universo delle fiabe soprattutto dal tema dell’amore e dal riflettere sul fascino della bellezza. Da un lato le dà notizie sulla tradizione popolare italiana e siciliana, sulla scuola finlandese, sull’esistenza di costanti dall’India all’Irlanda, sulle sue frequentazioni del linguista ed etnologo Giuseppe Vidossi e su tante possibilità variantistiche, che ritroveremo sviluppate nella Prefazione alle einaudiane Fiabe Italiane e nel volumetto Sulla fiaba a cura di Mario Lavagetto". Continua poi ad insistere proprio sul fatto che alcune lettere si possano considerare come avantesto della Prefazione alle Fiabe perché in queste Calvino spiega alla De Giorgi che si deve distinguere tra le fiabe di liberazione di una principessa e quindi di un compito, una prova, e le fiabe d’amore, che sono altre in cui "la felicità che fa travedere viene in questo inseguirci, combattere l’assenza, la distanza, riassaporare il miracolo tutto terrestre di unirci".
Eugenia Petrillo, Italo Calvino ed Elsa De Giorgi: l’itinerario di un carteggio, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2014-2015

sabato 5 agosto 2023

Philip Lacroix, l’ultimo degli eroi


Lo stile paratattico abbiamo detto essere funzionale anche al tono epico del romanzo [Wu Ming, "Manituana"]. Scrive Piga che «lo stile paratattico, la descrizione delle battaglie, insieme all’uso di similitudini e metafore costituiscono la dimensione mitopoietica del racconto». <583 Il respiro epico del romanzo risiede in particolar modo in un personaggio, Philip Lacroix, Ronaterihonte, l’unico tra i protagonisti a non essere storicamente mai esistito, e dunque personaggio di pura invenzione. Philip fin da subito appare come un personaggio misterioso, dal passato sfuocato e incerto, un uomo che incute timore e rispetto a chiunque. Il suo legame con Molly è molto forte, in quanto è proprio lui il ragazzino dell’esercito francese che lei salva nel prologo sopra citato. Da quel giorno, Philip era cresciuto insieme ai Mohawk, diventando un guerriero. Si era sposato e aveva avuto una figlia, ma entrambe a un certo punto erano state uccise da indiani sbandati. Così viene presentato dal narratore la prima volta che appare nel romanzo, dopo il prologo:
"Philip invece aveva preso moglie, gli era nata una figlia. Una breve stagione di serenità. Dopo la tragedia, aveva compiuto atti terribili. Da allora Huron e Abenaki lo chiamavano le Grand Diable. Un giorno si era presentato da Molly e, senza una parola, le aveva consegnato il bracciale di wampum, rinunciando alla vita che gli era stata donata. Si era trasferito lì. Tornava a Canajoharie un paio di volte all’anno, per vendere pellicce, guardato con timore da chi aveva conosciuto la guerra e con reverenza dai giovani, attratti dalla leggenda". <584
Più avanti nel romanzo si scoprirà che il suo soprannome lo aveva guadagnato inseguendo e uccidendo tutti e ventidue gli assassini della moglie e della figlia.
Philip è il vero eroe guerriero del romanzo, un uomo quasi imbattibile, che si sottrae all’isolamento a cui si era obbligato per anni per entrare nella trama da protagonista. Philip morirà alla fine del romanzo, unico tra i protagonisti, ucciso da un ribelle, e la sua morte è chiaramente metafora della fine di un’epoca:
"Dovevi tornare al mondo, Ronaterihonte, per poter morire, per illuminare il destino della Lunga Casa.
Philip parlò.
Io, privo di madre, non si più quante volte sono nato.
Tu sei la prima e l’ultima levatrice, hai fatto di me un Mohawk e mi hai richiamato per l’ultima volta.
Adesso sei la morte.
Molly parlò.
Il mondo si è sbloccato.
Molly parlò.
Un cerchio si chiude, un cerchio si apre.
Molly parlò.
Le Sei nazioni vivranno.
[…]
Philip era pronto.
Torno all’utero del mondo, madre, mia origine, mia narrazione.
Al buio tiepido e accogliente della terra". <585
Philip muore come potrebbe morire un eroe omerico, una volta conclusa la sua missione. La struttura quasi a versi di questa descrizione dona proprio una tragicità epica alla sua morte, che non viene nominata chiaramente, ma evocata attraverso figure appartenenti alla cultura indiana, attraverso la raffigurazione di un mondo vivo in cui ogni cosa ha un senso. La sua morte è la morte di un mondo che ha accompagnato il lettore per 600 pagine, un mondo tanto magico quanto reale, che gioca con l’immaginario sugli indiani da film western, smontandolo e ricostruendolo in continuazione. Piga ben sintetizza il mondo epico che ruota intorno a Philip e che con lui muore:
"Se il romanzo ha un respiro epico, si sente che tuttavia il tempo degli eroi, il tempo dei Philippe Lacroix è al termine. Non per nulla è l’unico, tra i protagonisti, a essere un personaggio di finzione. Philippe è l’eroe romantico, capace di gesta eccezionali, che muore drammaticamente colpito alle spalle gettando il lettore nella costernazione. Egli stesso sembra consapevole di questa impossibilità, di una sorta di sfaldamento ineluttabile percepito nei momenti in cui è lontano dall’azione. Emergono i contorni del personaggio sia nei frangenti in cui diventa terrifica macchina fa guerra, le Gran Diable. I protagonisti attraversano un cammino che sanno essere segnato dal macello ma dal quale non possono allontanarsi". <586
In Philip, accanto all’eroe guerriero, al combattente quasi invincibile capace di compiere azioni anche molto violente e sanguinarie, troviamo un uomo profondamente sensibile e attento alle persone che vivono attorno a lui. In particolare questo suo lato lo si nota nel rapporto con la giovane Esther Johnson, figlia di Guy Johnson, ragazza che durante il romanzo affronta il passaggio dall’infanzia alla pubertà, e in questo passaggio scopre sé stessa e la sua personalità. Esther è quasi una “piccola Molly”, in quanto dotata anche lei di poteri soprannaturali con i quali spesso appare in sogno a Philip e ha delle visioni. Philip e Esther si legano molto durante il romanzo. La sensazione è quella che Philip veda in Esther una sostituta della figlia assassinata, e Esther in Philip il padre spesso assente. Il loro legame è un esempio di come i personaggi in Manituana abbiano delle personalità complesse, e queste personalità vengono sviluppate lungo tutto il romanzo senza mai venir meno. Philip è sì l’eroe che raffigura la fine dell’epoca degli eroi, ma è anche un uomo che ha amato, ha sofferto e ha reimparato ad amare, un uomo in tutte le sue sfaccettature, che portandosi costantemente dietro un’ombra di cui è impossibile liberarsi riesce, attraverso le relazioni con Esther, Molly e Joseph, a ritrovare la forza non solo di vivere, ma di avere uno scopo per cui valga la pena vivere dopo anni passati in isolamento. In un mondo che sempre più conduce uomini e donne a cercare il successo e le ragioni della propria vita nell’individualismo, Ronaterihonte ci insegna proprio il contrario, mostrandoci la necessità dell’uomo di vivere insieme agli altri relazioni vere e profonde, e forse proprio per questo è inevitabile che lui muoia, per lasciare spazio all’avanzata dell’individualismo occidentale.
[NOTE]
583 Piga, La lotta e il negativo, op. cit., p. 119.
584 Wu Ming, Manituana, op. cit., pp. 74-75.
585 Ivi pp. 595-596.
586 Piga, La lotta e il negativo, op. cit., p. 119.
Simone Santini, Il conflitto sommerso. La narrazione della storia nel collettivo Wu Ming, Tesi di laurea magistrale, Università degli Studi di Padova, Anno accademico 2018-2019

Manituana, pubblicato nel 2007, si apre presentando la comunità irochese che, nel 1775, è investita dalle divisioni e dai contrasti che stanno dando vita alla guerra d’indipendenza americana. La popolazione di Canajoharie, nella valle del fiume Mohawk, è divisa: alcuni degli abitanti innalzano il Palo della Libertà in segno di solidarietà ai ribelli, mentre gli uomini del Dipartimento per gli Affari indiani sono fedeli alla corona britannica. Le tensioni attive a livello nazionale esasperano rapidamente tali rivalità. La notizia della presa di Fort Ticonderoga da parte dei ribelli mobilita la popolazione: John Johnson, il delegato della corona sul territorio, e i suoi uomini convocano a consiglio i sachem delle tribù indiane per chiedere loro appoggio nella sfida che si profila. Gli indiani Mohawk, dichiaratisi fedeli alla monarchia, accettano di seguire gli uomini del Dipartimento fino ad Oswego, in vista di un concilio fra tutte le tribù della Grande Casa irochese, in cui ribadire apertamente la posizione comune. Quello che i nativi non sanno è che quella destinazione è stata scelta da Guy Johnson, fratello di John, con l’obiettivo di procedere da lì verso Montreal con un’armata indiana.
In questo difficile frangente si assiepano dei “sogni” che vanno interpretati. Riesce a farlo Molly Brant, vedova del rappresentante per gli affari indiani William Johnson e sorella dell’interprete del Dipartimento. A suo fratello, Joseph Brant, Molly confida il significato del proprio sogno più ricorrente e la necessità che questo mette in luce: prima della partenza per Oswego è necessario che Philip Lacroix, che da anni conduce una vita isolata, si riunisca alla tribù e ne condivida il destino. Joseph si spinge nei boschi per ritrovare il vecchio compagno d’armi e chiedergli di rinunciare alla scelta di solitudine che aveva fatto dopo la morte di moglie e figlia e dopo l’adempimento della sua personale vendetta. Per convincerlo, per comunicargli la necessità impellente, Joseph gli consegna il bracciale di wampum con cui la tribù lo aveva adottato salvandogli la vita quando era un ragazzo; bracciale che Philip Lacroix aveva restituito al momento di allontanarsi dai Mohawk.
Compiuto il ricongiungimento, la spedizione di indiani e uomini del Dipartimento per gli Affari indiani compie il viaggio per fiume e a piedi fino a Osewgo. Vi partecipa anche Peter Johnson, il figlio di William e di Molly Brant. In occasione del concilio Guy Johnson svela il vero obiettivo della spedizione: Oswego non è il termine, ma una semplice tappa del viaggio, preludio allo scontro armato. Per chi, come Joseph Brant, era da sempre stato fedele al Dipartimento, seguirlo è l’unico modo per dimostrare la propria credibilità. Guy Johnson, disponendosi a guidare l’armata indiana a Montreal, oltre al peso della missione incerta, deve affrontare quello di un lutto familiare. Infatti sua moglie Mary muore dando alla luce l’atteso erede maschio. Il mondo vacilla intorno all’uomo di stato rimasto vedovo, così come intorno alla sua figlia maggiore, Esther. Ma il viaggio continua [...]
Letizia Giugliarelli, Al cospetto di un mondo aperto, eterogeneo, incompleto. Testi e contesti nei romanzi dei Wu Ming, Tesi di Dottorato, Université Côte d’Azur - Alma Mater Studiorum Università di Bologna, 2020