domenica 26 marzo 2023

Grandi cineasti presi in causa da Bertolucci ne "Il conformista"


III.2 Apporti personali del regista
Un regista che si possa considerare autore, quale è senz’altro Bertolucci, infonde se stesso e la sua visione in ogni suo film, anche nel caso in cui questo sia l’adattamento di un’opera precedente con diversa paternità. Nel caso del "Conformista", egli, oltre a modificare la storia e ad arricchirla - come è stato riscontrato nel corso dell’analisi comparata dei due testi in esame - con un contributo del tutto personale, ha utilizzato la materia dell’opera letteraria di partenza per intessere una trama autobiografica sotterranea e non si è fatto scrupolo ad aggiungere elementi ex novo che gli hanno permesso sia di trattare in modo originale alcuni dei temi moraviani che di introdurre riferimenti altri.
III.2.1 Autobiografismo nel film
L’autoanalisi diviene interesse primario nell’attività artistica di Bertolucci a partire da "Strategia del ragno" (1970) perché proprio in quel periodo egli intraprende un percorso analitico allo scopo di indagare e sciogliere un nodo cruciale della propria esistenza, ovvero i problemi riguardanti il rapporto e il confronto con il padre. <27 Da quel momento la macchina da presa del regista inizia a rivolgere l’obiettivo anche verso la sua interiorità, «conducendolo a percorrere film dopo film le tappe successive di un percorso alla ricerca di sé, della propria identità». <28 Ogni espressione creativa dell’autore può essere interpretata quindi come una testimonianza e una tappa della «guerra di indipendenza» <29 nei confronti delle figure del padre anagrafico, Attilio, e del padre eletto, Pier Paolo Pasolini. Il secondo infatti quando Bertolucci è un ragazzo vive nel suo stesso palazzo; tra i due si sviluppa presto un forte legame intellettuale e proprio Pasolini veicola l’ingresso del regista nel mondo del cinema, affidandogli le riprese di "La commare secca" (1962), da una sua sceneggiatura.
Sia Attilio Bertolucci, sia Pasolini, sono poeti e letterati di primaria importanza che impongono un confronto impari al giovane Bernardo finché si cimenta nello scrivere versi; allorché questi decide di dedicarsi al cinema, usufruisce di molti loro insegnamenti anche in questo campo, ma riesce a volgere il nuovo mezzo espressivo contro di loro, perché si sforza di codificare un linguaggio autonomo da qualsiasi derivazione paterna e di creare uno stile personale. <30
Nel "Conformista", a ben guardare, Bertolucci ribadisce il suo «conflitto con il mondo letterario dei padri» <31 rappresentando la pagina scritta, attraverso la quale l’autorità paterna rivela la propria negatività, come falsa, inaffidabile, ingannatrice: l’anziano avvocato Perpuzio, uomo infido e abusante che si è approfittato sessualmente di una giovanissima Giulia, si serve di una lettera per infamare la reputazione di Marcello sperando di compromettere le nozze con la ragazza; il protagonista, come nel romanzo non accade, ridicolizza il folle memoriale scritto dal padre pazzo; inoltre Quadri, il ‘genitore’ antifascista, gli tende un tranello per metterlo alla prova, cercando di affidargli una lettera, che è in realtà un foglio bianco, da portare in Italia. <32
Bertolucci trova nel mondo del cinema «altri ‘padri’, da imitare, affrontare, superare con coinvolgimento emotivo minore ma non diverso da quello sperimentato nei confronti dei padri precedenti». <33 Egli stesso avverte che «nelle sue pellicole vengono messi in scena anche rapporti edipici con padri sociali e culturali». <34 Nel "Conformista" infatti il regista compie allusioni culturali nei confronti di due cineasti francesi, Jean-Luc Godard e Jean Renoir. <35
Il primo è il maestro del ’68, fautore di un cinema politicamente e ideologicamente impegnato, rivolto solamente a un pubblico disponibile a un coinvolgimento intellettuale, <36 un cinema ‘sadico’, che impone allo spettatore l’obbligo di estraniarsi dalla sia parte emotiva, forzandolo a tutti i costi alla riflessione. <37 Egli è stato per il regista italiano, come per tutti i giovani cineasti di quegli anni, un punto di riferimento con cui fare i conti. <38 Nel film in analisi due particolari espedienti registici operano un accostamento intenzionale tra il personaggio del professore rivoluzionario antifascista e il cineasta francese. <39 Il principale consiste senz’altro in una citazione: quando Marcello telefona al professor Quadri, gli ricorda una sua vecchia frase, detta prima di abbandonare l’insegnamento: “Ora il tempo della riflessione è finito, comincia quello dell’azione”. Questa frase che Bertolucci mette in bocca a Quadri, apre in realtà un film di Jean-Luc Godard, "Le petit soldat". <40
Il secondo collegamento tra le due figure, quasi uno «scherzo riservato a pochi cinephiles aggiornati», <41 è realizzato dal regista attraverso la scelta di utilizzare indirizzo e numero di telefono reali di Godard nella scena in cui Marcello chiede al centralino una comunicazione telefonica con il MED 15 37 e si fa portare dal taxi in rue St. Jacques 17. <42
L’altro grande cineasta preso in causa da Bertolucci, Jean Renoir, è da lui citato esplicitamente nella sequenza di apertura attraverso una scritta intermittente a luce rossa, che si riverbera sulla faccia di Marcello in primo piano, con il titolo di un film famoso, "La vie est a nous". Non si tratta solo di stabilire una data e un luogo alla vicenda raccontata (Parigi, 1936), quanto piuttosto di fare un omaggio esplicito ad un tipo di cinema e al suo alfiere (a Jean Renoir cioè, che realizzò il film per la campagna elettorale del P.C.F. del 1936 e a cui si devono tra gli esempi più illustri, nell’anteguerra, di cinema “politico” narrativo). <43
Renoir, con questo e con altri suoi film, ha dimostrato la possibilità di girare pellicole spettacolari e socialmente impegnate che trasmettono temi di tipo politico esprimendoli in modo accessibile al grande pubblico. Egli, che ha unito cultura e spettacolo, arte e vita, incarna il modello perfetto per il regista italiano che, dal "Conformista" in poi intende girare pellicole colte, altamente professionali ma al contempo adeguate alla distribuzione commerciale. <44
Se, come suggerisce Francesco Casetti, si pensa, assecondando il gioco iniziato con la sovrapposizione tra Quadri e Godard, che Bertolucci sia un poco Marcello, il senso di tutta la costruzione sotterranea del regista si comprende facilmente: <45 «è Bertolucci che va a Parigi ad “uccidere” Jean-Luc Godard». <46 Il regista a tal proposito dichiara: "Il "Conformista" è la storia di me e Godard. Quando attribuii al professor Quadri il numero di telefono di Godard e il suo indirizzo, lo feci per scherzo, ma più tardi mi dissi: “Beh, forse tutto questo ha un significato… Io sono Marcello e faccio film fascisti e voglio uccidere Godard che è un rivoluzionario, che fa film rivoluzionari e che fu il mio maestro”." <47
Così, nella pellicola, questo ‘padre inadeguato’ «si sovrappone in qualche modo agli altri padri di Bertolucci e di Marcello, e viene simbolicamente ucciso dal regista italiano che pare contrapporgli un padre ulteriore, Jean Renoir, a lui più affine per stile, sensibilità e scelta culturale». <48
Bertolucci in questo modo sottoscrive la sua scelta: "sì a Renoir e no a Godard, dunque. O meglio sì al cinema politico anche quando questo passi per le strutture solite e no al cinema politico quando questo voglia dire marginalità (Renoir e Godard possono essere facilmente assunti come i rappresentanti più illustri di queste due posizioni)". <49
Non si può dimenticare che il cineasta, un po’ per esorcismo forse, un po’ per spirito di contraddizione, tenta (proprio nel periodo in cui esce "Il Conformista") due esperienze di cinema militante, girando, entrambi con una cooperativa indipendente, "La salute malata" e un film mai terminato sul lavoro a domicilio e sul suo sfruttamento; ma un regista talvolta è chiamato a delle scelte, ed è la sua scelta di fondo che "Il Conformista" testimonia in termini anche metacinematografici. <50
[NOTE]
27 F. PRONO, Bernardo Bertolucci, Il Conformista, cit., p. 66.
28 Ivi, p. 65.
29 Ivi, p. 66.
30 Ivi, p. 66.
31 Ivi, p. 68.
32 Ibidem.
33 Ivi, p. 67.
34 Ivi, p. 75.
35 Ivi, p. 75.
36 Ibidem.
37 S. SOCCI, Bernardo Bertolucci, cit., p. 7.
38 F. PRONO, Bernardo Bertolucci, Il Conformista, cit., p. 75.
39 F. CASETTI, Bernardo Bertolucci, cit., p. 76.
40 Ibidem. La frase pronunciata dal protagonista di Le petit soldat è: «Pour moi, le temps de l’action a passé. J’ai vielli. Le temps de la réflexion commence» (JEAN-LUC GODARD, Le petit soldat, 1963).
41 M. MORANDINI, Il Conformista, cit., p. 69.
42 Ibidem; F. PRONO, Bernardo Bertolucci, Il Conformista, cit., p. 75.
43 F. CASETTI, Bernardo Bertolucci, cit., p. 76.
44 F. PRONO, Bernardo Bertolucci, Il Conformista, cit., p. 76.
45 F. CASETTI, Bernardo Bertolucci, cit., pp. 76-77.
46 Ivi, p. 77.
47 F. PRONO, Bernardo Bertolucci, Il Conformista, cit., p. 76.48 Ibidem.
49 F. CASETTI, Bernardo Bertolucci, cit., p. 77.
50 Ibidem.
Elena Zanetti, Bertolucci adatta Moravia. Il Conformista e il complesso rapporto tra letteratura e cinema, Tesi di Laurea, Università Ca' Foscari Venezia, Anno Accademico 2021/2022

martedì 21 marzo 2023

I liberali nella Resistenza in Liguria


Come accennato, a partire dal 9 settembre 1943 un gruppo di ex ufficiali, in collegamento con il Comitato di Liberazione Nazionale della Liguria, fondò un primo Comitato Militare con l’intenzione di studiare la possibilità di organizzare la guerriglia sui monti ed in città e di ergersi ad organo del CLN regionale. Facevano parte di tale organo: il Colonnello Mario Zino <107, il Colonnello Giacomo Ferrari <108 e il tenente Colonnello Giulio Bertonelli [Balbi], <109 una delle personalità più importanti per il PdA ligure. Capo dell’organizzazione militare del partito in Liguria <110. Il comitato fin da subito cercò di prendere contatto con i gruppi di soldati sbandati nascosti fra i monti per raccoglierli in bande armate adatte alla guerriglia, con lo scopo di disciplinare l’attività organizzativa militare in ogni zona della Liguria. Anche senza il riconoscimento del CLN - del quale esso doveva essere l’organo tecnico e consultivo in materia militare - il lavoro svolto dal Comitato in questi mesi fu molto proficuo. Sicuramente gravò sul mancato riconoscimento la diffidenza data dal fatto che due (Zino e Bertonelli) dei tre componenti fossero del PdA ed il terzo (Ferrari) pur professandosi apolitico fosse in diretto contatto con il medesimo partito. In più, limite insormontabile del Comitato era costituito dal fatto che non sarebbe mai riuscito ad entrare in contatto con quelle forze organizzate per interessamento dei partiti politici, mancando appunto un organo di collegamento. Al problema si sopperì con la creazione di un sottocomitato formato da un membro di ogni partito appartenente al CLN, con il compito di tenere i contatti tra il CM e le formazioni di partito. Ma essendo tale struttura di difficile e lento funzionamento, a causa del doppio tramite, si decise di sostituire ai due Comitati un Comando Militare Unico composto di un elemento di ciascun partito aderente al CLN.
Il secondo Comitato Militare per la Liguria nacque verso la metà di ottobre del 1943 con il compito di curare l’organizzazione partigiana nella regione, di essere l’organo di consultazione militare operante all’interno del CLN Liguria e, funzione più importante, di fungere da coordinamento dell’impegno militare di tutti i partiti. Ne facevano parte: Dante Bruzzone [Ciravegna] <111 per il PSI, Eros Lanfranco [Lanata] <112 per il PdA, Adriano Agosti per il PCI, Umberto Lazagna [Canevari] per il Partito liberale ed Enrico Raimondi [Leonardi] per la DC.
Organigramma confermato nel diario Minoletti:
"8 Ottobre, Nervi 1943
Virginia [Virginia Minoletti] vede la Dett. da B. [Bruno Minoletti] vengono Giorgi [Mario Albini] e Nando C. [Ferdinando Croce]. Giorgi riferisce sulla nuova sistemazione del Comitato Militare del Partito liberale, a lui affidato: consta di un ufficio Informazioni affidato a Perasso [Leopoldo Trotti] con la collaborazione di Trapani [Ugo Attilio Palmisano], di un ufficio Servizi affidato a Mo [Emanuele Mor] e di un ispettore, Nando [Ferdinando Croce]. Da questa riorganizzazione, con migliore distribuzione di uomini e con maggiore senso di responsabilità, si conta di avere un rendimento maggiore che per il papato. Al tempo stesso ci si ripromette di ottenere maggiore attività dell’azione del C[omitato] M[ilitare] affidato a Giorgi. Egli ritiene opportuno che venga premiata la figura politica di Canevari [Umberto Lazagna], tanto più essendo egli stato ora nominato capo di SM di zona. Giorgi infine chiede che gli sia dato un elemento liberale adatto per affiancare il capo ufficio stampa del C[omando] U[nico], uno risiederà presso una banda, l’altro dovrà risiedere presso il CU. Nando prende accordi con V. [Virginia Minoletti] per stabilire un collegamento Piemonte-Liguria. La cosa maturerà domani".
La Liguria venne così divisa in cinque zone, ognuna delle quali affidata alla responsabilità di uno dei membri del Comitato Militare:
- 1a zona. Riviera di Ponente e relativo entroterra, alla responsabilità del PSI.
- 2a zona. Dalla Valle dell’Orba alla Valle dello Scrivia, al rappresentante della DC
- 3a zona. Zona centrale della Valle Scrivia a quella di Fontanabuona al PC
- 4a zona. Dalla Valle della Fontanabuona alle Centocroci (Valle dell’Aveto), a Umberto Lazagna e di conseguenza al Partito liberale <113.
- 5a zona. Riviera di Levante dalle Centocroci a Sarzana, al PdA.
Il piano di mobilitazione automatica diffuso nel settembre del 1944 nella IV zona a guida liberale prevedeva la mobilitazione di 120 donne così distribuite:
- Sigla A. 15 infermiere delle quali due dovevano essere diplomate.
- Sigla B. 12 staffette.
- Sigla C. 8 impiegate dattilografe e stenografe.
- Sigla D. 30 addette alle mense.
- Sigla E. addette generiche.
- Sigla F. 30 ausiliare.
La mobilitazione sarebbe avvenuta automaticamente solo dopo la diffusione per radio (ritenuta ufficiale) della capitolazione della Germania o al segnale di insurrezione popolare. Le mobilitate rispondenti alla sigla A si sarebbero dovute trovare tutte di fronte alla sede n.1 e avrebbero dovuto prendere ordini dalla Comandante. Le mobilitate B, C, D, E, F si sarebbero trovate invece tutte alla sede n.2 e ogni gruppo avrebbe preso ordini dalle rispettive comandanti alle quali sarebbero state presentate le staffette loro assegnate. Purtroppo, anche questa organizzazione di divisione in zone aveva un limite intrinseco, cioè quello di porre sotto la guida di un membro del Comando formazioni con le quali egli non poteva venire direttamente in contatto. Da ciò derivavano la lentezza del suo funzionamento e la mancanza di coordinazione.
Per ovviare a ciò nel marzo del 1944, pur mantenendosi la divisione in zone, venne deciso di dare ad ogni membro la possibilità di occuparsi dell’intera regione, mediante l’ispezione di tutte le zone. Alla fine, fallita anche questa nuova organizzazione, si decise di procedere ad una suddivisione dei compiti, e al rappresentante del Partito liberale venne affidata l’ispezione delle zone centrali dall’Aveto al Turchino.
Il problema più difficile si pose, però, con il funzionamento dei Gruppi di Azione Patriottica, facenti parte del Partito comunista, dove il collegamento tra le une e le altre formazioni era pressoché nullo. Altra questione era quella delle formazioni di montagna, che come quelle cittadine sfuggivano completamente al controllo del Comitato. Si decise allora per l’unificazione di tutte le forze sotto il controllo di un Comando Militare vero e proprio al quale tutti i partiti apportassero la loro forza militare.
Il Comando Generale del Corpo Volontari per la Libertà del CLNAI, nato alla fine di maggio del 1944, avrebbe svolto tale funzione. Come primo atto, esso inviò subito istruzioni in Liguria per la creazione di un Comando Unificato che, costituito nel giugno del 1944, era composto dai sei <114 membri dei partiti del CLN. I sei erano: Cesare Rossi [Carlo] (apolitico), Antonio Uckmar [Miro] per il PC, Renato Martorelli [Renato I] per il PSI, Giulio Bertonelli [Balbi] per il PdA, Mario Albini [Giorgi] <115 per il Partito liberale, Marcello Bianchi per il PRI, Raimondo Enrico [Leonardi] per la DC.
Il rappresentante liberale del Comando Unificato «Giorgi» nacque a Taranto il 17 ottobre 1906. Si laureò presso la scuola di ingegneria navale di Genova nel 1930. Nel 1931 divenne direttore responsabile della rivista delle industrie del mare «La Marina Italiana». Antifascista di famiglia liberale, dopo il 25 luglio del 1943 ricostituì a Genova, assieme a Errico Martino, Bruno Minoletti e Francesco Manzitti, il PLI.
Effettivamente tale comando ebbe il controllo su tutte le formazioni partigiane di montagna e di città della regione, alle dirette dipendenze del CLNAI. Si procedette poi in un secondo momento alla suddivisione del II Comando unificato in sezioni, e ai liberali toccò la guida della Sezione Sabotaggi. Questa fu creata quale Sezione del Comando Unificato Regionale Ligure nel luglio del 1944, come organo tecnico per le azioni di sabotaggio in città e in montagna.
Preparò piani per la manomissione degli impianti elettrici delle ferrovie, delle strade, nonché di fabbriche interessanti la produzione bellica. Studiò la disattivazione delle mine piazzate dai tedeschi e compì una vasta opera di contro-sabotaggio. In unione con il CLN delle ferrovie e in accordo con l’ufficio tecnico del SIN, nei giorni precedenti l’insurrezione, essa riuscì, tramite dipendenti del CLN ferroviario, a sospendere l’erogazione di corrente di trazione su tutta la rete ferroviaria ligure, bloccando di conseguenza l’intero traffico. Si occupò poi di organizzare squadre di sabotatori sia in città che in montagna e numerose furono le manomissioni portate a termine da personale da loro dipendente. L’Ufficio aveva questi incarichi: raccolta di notizie oltre che sul traffico ferroviario, come abbiamo visto, e di informazioni sulla situazione delle principali industrie liguri, dare notizie sulla situazione del porto e sulle zone minate e soprattutto preparare lo studio e l’attuazione dei progetti di sabotaggio ai danni dell’esercito tedesco. La Sezione Informazioni di questo ufficio forniva relazioni settimanali sulla situazione del movimento ferroviario ligure, sulla forza dei depositi di locomotori, sulla disponibilità dei carri ferroviari e sul numero dei treni effettuati e sull’eventualità di un intervento aereo. Nacque quindi un Ufficio Sabotaggi, avente compiti dapprima consultivi ed in seguito soprattutto esecutivi, tramite azioni coadiuvate dalla segretaria Silvia Caro.
I liberali comparivano poi anche nell’Ufficio Organizzazione con Ferdinando Croce, detto Jack. Egli nacque a Genova il 24 luglio 1914 e dal 15 settembre del 1943 entrò a far parte dell’organizzazione cospirativa del Partito liberale a Roma, contribuendo alla formazione ed al funzionamento dei Centri Cittadini di reclutamento e di Resistenza. Oltre a collaborare alla stampa clandestina ed alla sua diffusione, ebbe frequenti contatti con le Missioni Militari Alleate. Nel 1944 entrò a far parte dell’organizzazione cospirativa di Genova come componente del relativo Centro Militare per la Liguria. Fu molto attivo nell’organizzazione della Banda della Val Lemme e nel riassetto degli Uffici Centrali. Organizzò un Ufficio documenti falsi al servizio del Comitato Militare per la Liguria e del CLN ligure. Nel giugno del 1944, dopo la costituzione del primo Comando Militare Unificato, fu nominato ispettore del Comitato Militare della regione, per passare in agosto agli ordini del Comandante Cesare Rossi. Durante il periodo dei rastrellamenti (dicembre 1944 - gennaio 1945) tenne le file del Centro Militare del PL. Il 13 febbraio del 1945 entrò a far parte del Comando Militare ligure, quale membro rappresentante dei liberali, nonché responsabile dei Servizi Informazioni Militari e Politiche della Direzione Sanitaria Militare e dell’Ufficio tecnico del SIM. Durante il periodo di lotta fu più volte in zona partigiana, e nell’ultimo periodo per mantenere i contatti con la missione alleata nella VI zona operativa. Fu parte attiva nell’elaborazione dei piani insurrezionali e nella direzione dell’ultima vittoriosa battaglia, che portò nel giro di quattro giorni alla resa incondizionata di tutte le forze tedesche e neofasciste in Liguria.
L’Ufficio Informazioni militari, invece, passò sotto il diretto controllo liberale nell’agosto del 1944, con il Generale Farri. Anche qui si trovano fidate “collaboratrici” della Minoletti: Giovanna Boccardo, segretaria; Ida Boccardo Monaci, Intendente delle Brigate SAP; e le staffette Franca Martini e Clelia Molini Silvi, nell’Ufficio aviolanci con Nando Merlo [Pedemonte]. Proprio la giovanissima Giovanna Boccardo [Rossana], nata a Firenze il 29 gennaio 1926, fu uno dei membri più attivi dell'Ufficio. Nell’agosto del 1944, dopo l’arresto del colonnello Rocca, Leopoldo Trotti (PLI) divenne comandante dell’Ufficio Informazioni Militari del Comando regionale ligure, e la Boccardo ne divenne la segretaria, incarico che tenne fino alla liberazione di Genova. Nel dicembre del 1944, dopo l’arresto di Trotti, con grave rischio e personale pericolo, «Rossana» raccolse e fece scomparire tutto il materiale compromettente presente nell’ufficio ed avvertì tutti i collaboratori dell’arresto. Dopo pochi giorni riprese servizio, sempre come segretaria, alle dipendenze del successore di Trotti, il Dottor Palmisano, il quale trovò nella Boccardo un validissimo aiuto per il riallacciamento delle file disperse dell’organizzazione cospirativa. Rientrò, poi, a far parte dell’Ufficio Informazioni Militari e Politiche del Partito liberale agli ordini di Trotti e di Bruno Minoletti come segretaria. In tale veste, indirettamente, collaborò con il Comando Regionale ligure trasmettendo informazioni politiche, perché tale Ufficio, per mezzo di Ferdinando Mor, era in stretto collegamento con questi enti. La Boccardo dimostrò notevoli doti di prudenza e sangue freddo, si comportò sempre in modo perfetto dal punto di vista cospirativo, lavorando con zelo e disinteresse, essendo il suo lavoro non retribuito. Anzi, per dedicarsi interamente alla causa cospirativa abbandonò anche gli studi. La Direzione della Sanità, con a capo il Dottor Virgilio Bardellini, nata sempre nell’ottobre del 1944, venne affidata all’Ufficio Sanitario Militare Ligure del Partito liberale. Diresse con grande successo sia la sanità di montagna, che quella di città, nonché di alcune delle province liguri. Fornì al Comando ed agli Alleati dettagliatissime relazioni sulle questioni medico-sanitarie della regione. Organizzò il servizio di pronto soccorso per i feriti nei giorni dell’insurrezione, raccolse e distribuì medicinali, attrezzature chirurgiche, materiale sanitario alle formazioni di montagna e di città. Ai suoi ordini era la Brigata Sanità facente parte della Brigata SAP San Giorgio.
Bardellini era affiancato dalla eccellente segretaria e coordinatrice Graziana Priano, anche lei attivissima nel «circolo» della Minossina, assieme a Maria Pia Tirinnanzi Bausi e Marianna Gilli, entrambe al servizio di Emanuele Mor presso l’Ufficio Servizio e collegamenti <116.
Le riunioni, sempre clandestine, erano organizzate di volta in volta nelle varie abitazioni: è il caso dell’appartamento di Mario Albini o di Villa Emma a Nervi, di proprietà di Emma Quarello, sorella di Virginia. Lo stesso accadeva per gli uffici e le segreterie, che cambiarono spesso le proprie sedi, spesso sconosciute a tutti, in quanto i collegamenti venivano effettuati indirettamente con apposite staffette di città attraverso recapiti in negozi fidati: azioni, queste, nelle quali «le donne» <117 svolgevano la funzione chiave. Anche la Segreteria del Comando, impeccabile dal punto di vista cospirativo faceva da centro di raccolta e di smistamento di tutte le relazioni tra il Comando e gli Uffici. Quotidianamente ogni membro del Comando faceva depositare dalla propria staffetta le relazioni provenienti dagli uffici indipendenti e faceva ritirare la corrispondenza proveniente dalla Segreteria. Anche qui due liberali la collaboratrice attiva: Maria Eugenia Burlando e la staffetta, nonché collaboratrice Nicoletta Ferro.
La Burlando, nata a Genova nel 1913, insieme a Paolo Emilio Taviani e a Marcella Alloisio [Rossella] andarono, poi, a costituire l’efficientissima segreteria tecnica del CLN ligure. <118
Questo complicatissimo meccanismo era collegato alle Missioni alleate, con le quali si era in costante contatto radio attraverso l’Ufficio aviolanci, il quale aveva anche il compito di istruire il personale di banda, di tenere registrati tutti i movimenti dei campi di lancio nonché degli stessi lanci, e registrava in quali zone venivano effettuati. Essendo queste missioni molto rischiose, si decise di limitare al minimo i contatti fra queste e il Comando. La Liguria fu così divisa operativamente in quattro zone: Imperia, Savona, Genova e La Spezia. Al Comando non riuscì mai l’effettiva unificazione delle forze partigiane, rispondendo queste ai partiti che le organizzavano, e non ci fu mai dunque una collaborazione unitaria efficace nella lotta al nazi-fascismo. Vi si riuscì con le formazioni di montagna - le quali avendo abbandonato il colore politico - fu possibile amalgamare in un esercito di liberazione. Gli stessi quadri del Comando dovettero costantemente essere sostituiti per via degli arresti che si susseguirono. Alla fine di agosto del 1944 la Sezione Operativa divenne un vero e proprio stato maggiore delle forze partigiane della Liguria.
Dal dicembre dello stesso anno la direzione, dopo l’arresto di Trotti (PLI), passò al suo principale collaboratore, Ugo Attilio Palmisano <119.
Alla fine nella seconda metà del dicembre del 1944 a Genova la polizia nazifascista riuscì a chiudere tutte le maglie della catena che da vario tempo cercava di stringere attorno al Comando regionale, e di lì a poco partirono numerosi arresti che sancirono la fine dell’intero Comando e la nascita di un altro Comando nel gennaio del 1945, questa volta con elementi del tutto nuovi, dove come responsabile del Servizio Informazioni e della Direzione della Sanità si insediava Ferdinando Croce.
[NOTE]
107 Fu membro del I Comitato Militare dal 9 settembre 1943 al 15 ottobre dello stesso anno. Ricercato, si diede alla macchia continuando comunque a dirigere gli affari militari del PdA ligure.
108 Dopo il ritiro dal I CM il 15 ottobre 1943, non risulta svolse più attività politica o cospirativa.
109 Si veda Dizionario della Resistenza in Liguria, a cura di P. BATTIFORA, F. GIMELLI, De Ferrari, Genova 2008, p.56.
110 Si veda Appendice. 7 ottobre 1944.
111 Socialista, fu membro del II CM dal 15 ottobre 1943 al 1° novembre 1943.
112 Azionista, dopo l’esperienza nel II comando militare si diede all’attività politica. Cadde durante la lotta per libertà.
113 ASC., ISML, Fondo Camurani, b. 25, Resistenza.
114 I partiti erano passati da cinque a sei perché si era registrata l’adesione al CLN del Partito repubblicano.
115 Morì a Genova il 27 giugno 1971.
116 Cfr. Appendice, 6 ottobre 1944, 1° novembre 1944
117 Il Documento in questione che riconosce pienamente la funzione delle donne dei vari partiti all’interno del CVLAI è a firma di Mario Albini, quindi non manipolato dalla letteratura femminile. Si veda ILSREC, Partito liberale, Azioni militari.
118. Si veda C. BRIZZOLARI, Un archivio della Resistenza in Liguria, Di Stefano, Genova 1974, p.170; R. BALESTRIERI, un centro cospirativo nella facoltà di Ingegneria, in «Genova», XXXII, n.4, pp.45-49.
119 Cfr. Appendice, 27 settembre 1944, 15 ottobre 1944.
Rosa (Rossella) Pace, Noi, le altre. Le donne liberali nella Resistenza, Tesi di Dottorato, "Sapienza" Università di Roma, Anno Accademico 2018-2019

martedì 14 marzo 2023

Il Corriere letterario ai tempi della direzione di Spadolini


Questo elaborato prende in analisi il "Corriere letterario", pagina speciale del «Corriere della Sera», analizzandone la pubblicazione nel periodo compreso tra il 1967 e il 1972. Sono gli anni nei quali la direzione del giornale è nelle mani di Giovanni Spadolini, mentre la guida delle pagine culturali è affidata a Giovanni Grazzini, già critico cinematografico della testata. Al fine di restituire una fotografia, quanto più fedele possibile, di quella che è stata l’informazione letteraria sulle pagine del «Corriere della Sera» a cavallo tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta del Novecento, è necessario ricostruire le tappe evolutive del quotidiano che, ancora oggi, vanta la maggior tiratura e diffusione in Italia.
Per cogliere la temperatura di quegli anni, è importante, però, svolgere anche un’indagine sul contesto sociale, culturale e politico all’interno del quale il quotidiano si è trovato a muovere i propri passi. Il Sessantotto ha segnato, per il nostro paese, uno spartiacque: gli scontri, le contestazioni studentesche hanno avuto un impatto violentissimo che ha portato a profonde trasformazioni politico-sociali: dalla riorganizzazione delle università, al riconoscimento delle rivendicazioni operaie, all’affermazione dell’identità sessuale.
Il terremoto culturale che ha investito la società italiana ha avuto, da un punto di vista giornalistico, un effetto immediato sulla produzione e diffusione della cultura: si assiste a un profondo mutamento della domanda dei lettori, non solo di libri, ma anche e soprattutto di quotidiani; si avverte la necessità di ampliare l’offerta per soddisfare le nuove esigenze e appagare la crescente sete di informazione, svincolata dal controllo politico, da parte dei più giovani. È in questo contesto di mutamento che molte testate decidono di apportare dei rinnovamenti; in alcuni casi, questo si traduce in un passaggio di testimone della direzione stessa del quotidiano.
È il caso di Alfio Russo, che proprio nel febbraio 1968, all’alba dei primi scontri studenteschi, viene sostituito da Giovanni Spadolini il quale rimarrà in carica fino al 1972, data del suo debutto in politica. Non sono anni semplici per il nuovo direttore, che, nonostante la sua attitudine riformista e la sua simpatia per il centro sinistra, guarderà sempre con un po’ di scetticismo alle agitazioni studentesche e operaie, arrivando addirittura, nel maggio 1968, a definire la contestazione come «la ventata nichilista e protestataria» <1.
Come si è detto, durante il quadriennio preso in esame il responsabile delle pagine culturali, in realtà già alla direzione del "Corriere letterario" a partire dal 1967, era Giovanni Grazzini. In questi anni di grandi trasformazioni, anche la consueta pubblicazione settimanale della pagina speciale cambierà cadenza, inaugurando l’uscita bisettimanale, il giovedì e la domenica, per poi tornare esclusivamente domenicale nel 1973. In un contesto in cui l’informazione letteraria è sempre più assente e il lavoro di ricerca letteraria maggiormente concentrato sulla poesia rispetto alla narrativa, il doppio appuntamento settimanale del "Corriere letterario" costituisce un punto di riferimento per il mondo culturale di quegli anni.
Questa prospettiva è rafforzata dalle diverse rubriche che vengono varate sulle pagine del "Corriere letterario" nel corso di questo quinquennio: particolare attenzione meritano quelle tenute da Alberto Arbasino, una delle firme più prestigiose arrivata dal «Giorno» di Milano, che si occuperà soprattutto dello stato di salute dell’editoria nel paese.
Gli estremi temporali presi in considerazione per la stesura dell’indice fanno riferimento alle date di insediamento di Giovanni Spadolini alla direzione di via Solferino e a quella del suo definitivo abbandono del «Corriere della Sera». L’ultimo numero che figura sotto la direzione di Spadolini è quello del 15 marzo 1972, formalmente la data del suo licenziamento, in realtà, proprio a causa di questo improvviso cambio nella direzione della testata, il Comitato di Redazione aveva annunciato uno sciopero per la pubblicazione del «Corriere della Sera» del 4 marzo e del «Corriere d’Informazione» del 4-5 marzo, successivamente ritirati.
Si è deciso di prendere come punto di riferimento cronologico la permanenza al quotidiano del direttore del «Corriere della Sera», Spadolini, e non quella del direttore del "Corriere letterario", Giovanni Grazzini, in quanto quest’ultimo, già nominato direttore della pagina speciale dopo la morte di Enrico Emanuelli nel luglio 1967, rimarrà in carica fino al 1974, disegnando così un orizzonte temporale decisamente troppo ampio per poter essere analizzato in questa sede. Si cercherà di offrire una panoramica, quanto più completa possibile, del "Corriere letterario", che in quegli anni raggiunse un grande lustro, grazie soprattutto alle nuove collaborazioni acquisite da Grazzini: Claudio Gorlier per la letteratura nordamericana, Mario Luzi per quella ispano-americana, Alberto Arbasino, che, attraverso le sue rubriche settimanali, si dimostrerà un maestro nel cogliere con grande sensibilità i mutamenti in atto nella società, Goffredo Parise, Leonardo Sciascia e molti altri.
Dopo una prima parte in cui viene raccontata l’origine del "Corriere letterario" e presentato il ruolo che ha avuto il direttore Alfio Russo nel lancio di questa pagina speciale, si espone la gestione del foglio milanese da parte del duo Spadolini-Grazzini, coppia che ha saputo trovare il proprio equilibrio, proponendo ai lettori per quattro anni un’impeccabile offerta culturale sulle pagine del quotidiano.
Successivamente si passa all’analisi vera e propria del contenuto della pagina speciale del «Corriere», per arrivare infine all’indice del "Corriere letterario" (9 luglio 1967-15 marzo 1972). Seppure ultima, questa sezione costituisce il cuore del lavoro svolto in questi mesi, creando di fatto il punto di partenza per gli approfondimenti e le considerazioni svolte sul contesto storico e culturale.
Lo scopo di questo studio è quello di cogliere il punto di vista di tutti gli agenti coinvolti nell’industria culturale post boom economico; questa tipologia di ricerca è stata possibile grazie all’analisi di numerosi appuntamenti del "Corriere letterario", al fine di sviluppare uno studio trasversale, che prendesse in considerazione le varie rubriche nel corso degli anni, contribuendo alla creazione di un’indagine ad ampio spettro.
Si è deciso, per questo motivo, di porre l’accento su quegli articoli che in qualche modo descrivessero la situazione della filiera dell’editoria libraria in Italia, seguendo una sorta di fil rouge che legasse le edizioni prese in esame: fondamentali sono state le inchieste di Grazia Livi, Giuliano Zincone, Corrado Stajano e molti altri illustri collaboratori del «Corriere», sui gusti dei lettori, sui mutamenti della critica, sul confronto tra le varie generazioni di scrittori, sulle future prospettive di vita del libro e sulle misure adottate al fine di dare un nuovo impulso all’industria culturale. In questa sede, non verrà quindi analizzata la struttura della pagina speciale, ma si cercherà, piuttosto, di svolgere una disamina di quegli articoli pubblicati sul "Corriere letterario", che consentono di delineare un quadro, quanto più reale possibile, sui dubbi, sui timori, sui cambiamenti e sulle prospettive di un’industria libraria in continuo cambiamento.
1 Giovanni Spadolini, Guardie rosse e guardie nere, «Corriere della Sera», 5 maggio 1968, p. 1.
Nicole Menconi, Il Corriere letterario (1967-1972), Tesi di laurea, Univerità degli Studi di Genova, Anno accademico 2021/2022

mercoledì 8 marzo 2023

Il nuovo femminismo si è originato in gran parte grazie a una generazione di giovani donne politicizzate


In Italia il nuovo movimento femminista ha manifestato fin da subito la sua principale caratteristica: ovvero un legame particolarmente stretto e dialettico tra cultura e politica delle donne e cultura e politica del movimento operaio e della sinistra. Nel loro insieme, e fin dai primi anni Settanta, le numerose e articolate teorie e pratiche neofemministe hanno delineato una ingombrante e imprevista critica alla politica e all'ordine sociale e simbolico dominante fondato sulla distinzione gerarchica del maschile e del femminile, e hanno avviato un processo di decostruzione e contestazione del sistema sociale patriarcale, con il fine di trasformare tanto la società quanto la politica. Per quanto l'espressione “seconda ondata” contenga sia un'istanza emancipazionista-egualitaria sia una istanza differenzialista, nel contesto italiano il femminismo si è tradotto in una critica radicale delle forme e dei contenuti della politica (istituzionale e non) e in un confronto «aperto e diretto, seppur conflittuale» con la sinistra <4.
La contrapposizione tra il concetto di emancipazione e quello di liberazione - sebbene oggi possa essere considerata più teorica che sostanziale e, in sostanza, generazionale <5 - è ruotata attorno a una questione cruciale: quella del dialogo con la società e la cultura patriarcale e, quindi, del rapporto del movimento con le istituzioni.
Partendo dalle problematiche legate al corpo e incentrando il suo potenziale critico sulla dialettica emancipazione-liberazione, il nuovo femminismo ha rifiutato l'idea di uguaglianza intesa come omologazione agli uomini tanto da operare - come ha scritto Simonetta Piccone Stella nel suo saggio "Crescere negli anni '50" - «un'espulsione dell'emancipata come figura incarnante una modalità tipica di costruzione dell'identità femminile all'interno delle regole e degli obiettivi del progressismo maschile» <6: la bandiera della parità innalzata dalle madri (l'UDI <7), dai padri (il PCI e il sindacato) ma anche dai fratelli (la nuova sinistra) fu stracciata <8.
Il paradigma emancipazionista nel corso della prima ondata ottocentesca aveva permesso al femminismo borghese liberale e ugualitario di trovare dei punti di contatto con quello socialista, interno al movimento operaio <9. A partire dalla seconda metà degli anni Sessanta del Novecento, invece, molte delle distinte ed emergenti correnti del nuovo pensiero femminista (in primis quella radicale e quella marxista) intrecciandosi hanno attuato una presa di distanza dalle ideologie dominanti ma anche dalle organizzazioni e dalle conquiste dei movimenti collettivi coevi. L'uguaglianza formale, così come il linguaggio, le pratiche e i rapporti di potere insiti nella cultura politica della sinistra riformista - ma anche in quella che si definiva rivoluzionaria - sono state analizzate e, infine, respinte sul piano politico <10. Tra le principali caratteristiche del femminismo italiano degli anni Settanta c'è stata quella di essere un fenomeno vasto, molecolare, diffuso in modo eterogeneo su tutta la penisola; e quella di avere avuto una dimensionepolitica marcata e rivendicata fin dai suoi albori. Sebbene il movimento femminista abbia avuto in comune con il Sessantotto l'antiautoritarismo, l'antistituzionalismo e una forte valorizzazione della soggettività, il suo legame con il movimento degli studenti - e, in seguito, con la “galassia” della nuova sinistra scaturita dalle proteste del 1968 e del 1969 - è stato complesso e ambivalente ed è ruotato, in primo luogo, attorno alla convinzione di dover porre l'accento «sull'idea di differenza più che su quella di uguaglianza», cara al Sessantotto <11.
Le prime, ancora acerbe, rivendicazioni di un concreto e autonomo protagonismo femminile si rintracciano nelle università, dove la mobilitazione studentesca del Sessantotto contro l'autorità nella scuola, nella famiglia e poi nella fabbrica aveva favorito una forte e repentina politicizzazione femminile. Accanto al senso di libertà e di fermento provato nella sperimentazione di una nuova idea di cittadinanza politica, si era registrato anche l'emergere, tra le studentesse, di un senso di inquietudine e frustrazione dovuto al permanere di gerarchie tra i sessi ancora forti, sia in ambito specificamente politico che nel privato. Il «senso di comunità calda, di antidoto alla solitudine nella società di massa» si rivelò, come ha scritto Anna Bravo, «un dono effimero», «una scheggia di tempo nel tempo del '68»: un dono parziale perché fondato su un falso universalismo studentesco <12. Per svelare questa parzialità, nel dopo Sessantotto si è sentita la necessità di mettere in scena una fuoriuscita, con una cesura e un atto di separazione netto, in bilico tra provocazione e bisogno esistenziale.
Il nuovo femminismo si è originato in gran parte grazie a una generazione di giovani donne politicizzate, cresciute in una sinistra che era nuova eppure ancora a dominanza maschile, che hanno espresso il desiderio di diffrangere un percorso unitario, rimodulando le discontinuità segnate dal ciclo di proteste della fine degli anni Sessanta <13.
"Alle radici della nostra memoria, - ha scritto Luisa Passerini, riflettendo sulle origini del Sessantotto - in decine di storie di vita, trovo una frattura. La nostra identità si costruisce a partire dalle contraddizioni. Anche i racconti che sottolineano la continuità della propria vita estraggono dalla materia autobiografica i temi ricorrenti della scissione, della differenza, del contrasto" <14.
Nonostante l'innegabile valore di emancipazione insito nel prendere parte al movimento degli studenti, la condivisione dell'impegno politico fu attraversata, per le donne, da ambivalenze, contraddizioni e disagi tali che quella che era stata una storia comune ben presto si scisse in due diverse. Da una rottura se ne generò un'altra, come se in quell'esodo generazionale e politico che fu il Sessantotto, in quella “autoesclusione” generazionale, ci fosse la premessa
per l'affermazione del separatismo femminista quale pratica strategica, quasi mai indolore, fondata sul riconoscimento di sé come soggetto oppresso <15. Alimentate dalla traduzione di testi stranieri e dalla circolazione dei primi documenti femministi italiani, le contraddizioni si ramificarono e disseminarono, arrivando a toccare orizzonti che si erano ritenuti infrangibili.
Introducendo una raccolta di saggi e documenti femministi internazionali, Lidia Menapace nel 1972 spiegò così quanto stava accadendo nella “seconda metà del cielo”:
"Non bastano le tradizionali lotte per la parità, per il divorzio, per l'aborto, per la libertà sessuale: viene posto direttamente in contestazione tutto il sistema di potere “maschile”, tutta la società “virilsitica” e si comincia ad individuare nell'uomo e nel suo predominio l'ostacolo principale a qualsiasi sviluppo futuro" <16.
[NOTE]
4 Francesca Izzo, Introduzione, in Anna Maria Crispino e Francesca Izzo (a cura di), Cultura e politica delle donne e la sinistra in Italia. Atti del seminario nazionale di Roma 4 e 5 maggio 1992, «IG Informazioni. Trimestrale pubblicato dalla Fondazione Istituto Gramsci», 3/1992, pp. 9-10.
5 A. Rossi-Doria, Ipotesi per una storia del neofemminismo italiano, in T. Bertilotti e A. Scattigno,Il femminismo, cit., p. 6.
6 Simonetta Piccone Stella, Crescere negli anni '50, in Simonetta Piccone Stella, La prima generazione. Ragazze e ragazzi nel miracolo economico, FrancoAngeli, Milano 1993, p. 114 (questo saggio era uscito in una versione precedente su «Memoria», 6/1982).
7 L'Unione Donne Italiane è un'associazione di donne legate al PCI e al PSI costituitasi nel 1945. La sua rivista, «Noi Donne», uscì per la prima volta clandestinamente a Parigi nel 1937.
8 Cfr. A. Rossi-Doria, Ipotesi per una storia, cit., pp. 5-6.
9 Cinzia Arruzza, Le relazioni pericolose. Matrimoni e divorzi tra marxismo e femminismo, Alegre, Roma 2010, pp. 42-47.
10 Tra i numerosi studi rimando al recente lavoro di sintesi di Marica Tolomelli, L'Italia dei movimenti. Politica e società nella Prima Repubblica, Carocci, Roma 2015. Per una riflessione sulle scelte terminologiche cfr. Eros Francescangeli,Le parole e le cose. Sul nesso sinistra rivoluzionaria, violenza politica e sociale, lotta armata, in G. Battelli, A.M. Vinci (a c.), Parole e violenza politica. Gli anni Settanta nel Novecento italiano, Roma 2013, pp. 63-75.
11 Anna Rossi-Doria, Ipotesi per una storia, cit., pp. 2-6. Sul rapporto tra Sessantotto e femminismo, cfr. Mariella Gramaglia, 1968: Il venir dopo per andare oltre del movimento femminista e conflitto con la nuova sinistra, «Problemi del socialismo», XVII/1976, pp. 178-201; Fiamma Lussana, Le donne e la modernizzazione: il neofemminismo degli anni settanta, in F. Barbagallo (a cura di), Storia dell'Italia repubblicana, vol. 3, tomo 2, Torino 1997, pp. 487-496; Elda
Guerra, Il '68 e il movimento delle donne: ipotesi per una storia di genere, in N. Fasano, M. Renosio (a cura di), I giovani e la politica, Torino 2002; Maria Luisa Boccia, Il patriarca, la donna, il giovane, in F. Lussana, G. Marramao (a c.), L'Italia repubblicana nella crisi degli anni Settanta. Culture, nuovi soggetti, identità. Atti del ciclo di convegni (Roma, novembre, dicembre 2001), vol. 2, Soveria Mannelli, 2003, pp. 253-282; Anna Bravo, A colpi di cuore. Storie del Sessantotto, Laterza, Roma-Bari 2008. Per una lettura di genere della memoria del Sessantotto cfr. Francesca Socrate, Maschile e femminile: memorie del '68, in Bruno Bonomo, Francesco Bartolini, Francesca Socrate (a cura di), Lo spazio della storia. Studi per Vittorio Vidotto, Laterza, Roma-Bari 2013, pp. 473-498.
12 Anna Bravo, Un nuovo ordine del discorso, «Primapersona», 19/1998, pp. 66-68.
13 Cfr. Luisa Passerini, Corpi e corpo collettivo, in T. Bertolotti e A. Scattigno, Il femminismo, cit., pp. 181-193; Stefania Voli (a cura di), Angela Miglietti. Storia di una traduzione, «Zapruder», 13/2007, pp. 108-115.
14 Luisa Passerini, Autoritratto di gruppo, Giunti, Firenze 2008 [1988], p. 40.
15 Cfr. Peppino Ortoleva, I movimenti del '68 in Europa e in America, Editori Riuniti, Roma 1998 [1988], pp. 231-242.
16 Lidia Menapace (a cura di), Per un movimento politico di liberazione delle donne. Saggi e documenti, Bertani, Verona 1972, p. 13.
Paola Stelliferi, Una liberazione «fratricida e iconoclasta»: l'impatto dei femminismi sugli uomini della nuova sinistra nell'Italia degli anni Settanta, Tesi di Dottorato, Università degli studi di Padova - Università degli studi di Verona - Università Ca’ Foscari di Venezia, 2016

mercoledì 1 marzo 2023

Circa i partigiani siciliani, impegnati in tante zone


[...] Quanti sono stati i partigiani siciliani nella lotta contro il nazifascismo direttamente impegnati nei luoghi di combattimenti, a partire dall’armistizio dell’8 settembre 1943? Tanti. Numerose migliaia, certamente, impegnati in tantissime aree territoriali nazionali (non solo nel centro-nord) e in molte altre zone fuori dai confini.
La Resistenza, pur con caratteristiche diverse da quelle che furono successivamente codificate, iniziò già in maniera spontanea dall’agosto del 1943, in Sicilia, in diversi paesi dell’area etnea e del messinese. Tra i tanti civili che si ribellarono alle infame angherie e alle depredazioni delle truppe tedesche in ritirata, molte decine furono ammazzati.
Al di là dell’aspetto strettamente “storiografico” partigiani sono stati gli uomini e le donne che in tutte le maniere fecero Resistenza, in armi o con dinamiche di supporto e assistenziali, al dominio ideologico e militare che i nazifascisti volevano continuare ad imporre all’Italia dopo gli anni catastrofici della guerra scatenata in nome della “razza eletta”. Dalla caduta della dittatura (25 luglio 1943) e dalla firma dell’armistizio con gli Alleati (8 settembre 1943), contribuendo alla riconquista della libertà e dei diritti umani e sociali fondamentali, al riscatto dei valori principali del Bene Comune, storicamente chiamata Patria, infangata dalle ignominie fasciste e dalle enormi distruzioni umane e materiali procacciate dall’Asse - la stretta alleanza ideologica e militare tra l’Italia fascista e la Germania nazista, poi con il Giappone.
Nell’ambito nazionale, solo per il Piemonte, l’area territoriale con una rilevante presenza di partigiani siciliani - date le condizioni storiche di concentrazione di strutture militari e la vicina presenza nel meridione della Francia della IV Armata dell’esercito italiano - da parte della Commissione piemontese ne sono stati riconosciuti 2160, “con l’esclusione per ora dei dati relativi all’area novarese e all’area ligure piemontese”. E’ importante aggiungere che non sono presi in analisi i partigiani nati in Piemonte o al Nord figli di siciliani.
All’atto dell’armistizio, stipulato l’8 settembre 1943 a Cassibile (Siracusa), considerevoli concentrazioni di strutture militari si trovavano dislocate nel territorio nazionale, ulteriori notevoli raggruppamenti militari si trovavano posizionati in aree fuori dai confini: Francia, area Balcanica ( Albania, Jugoslavia, Grecia) e in altre zone, come determinato dall’espansione della guerra di aggressione fascista iniziata il 10 giugno del 1940. Il “mitico impero” creato in Africa: Libia, Etiopia, Somalia, Eritrea, era stato già abbandonato. La disfatta in Russia, con tutte le tragiche conseguenze per i soldati italiani mandati allo sbaraglio, era già avvenuta.
Un enorme numero di militari permaneva quindi in Italia e nei vari fronti di guerra ancora in essere. Rimasero abbandonati, ignominiosamente, senza procedure sulla condotta da seguire. Seguirono giornate frenetiche. Le truppe tedesche passarono all’attacco su tutti i fronti dove erano dislocati militari italiani. Oltre 650.000 furono presi prigionieri, trasportati e rinchiusi in molti campi di concentramento prevalentemente in Germania, veri e propri Lager. Sono gli IMI, “Internati Militari Italiani”. La stragrande maggioranza rifiutò di aderire alla RSI.
In tanti, in Italia e fuori dai confini, non si arresero alle truppe tedesche, non deposero le armi. Si organizzarono per resistere ai nazisti, già a partire nei giorni successivi all’armistizio. Nel Paese molti furono gli eventi di strenuo contrasto, in parecchie realtà del Nord e a Roma nella battaglia di Porta San Paolo del 10 settembre.
Fuori dall’Italia tanti i casi di strenua e sanguinosa resistenza. A Cefalonia l’evento più significativo e drammatico, migliaia di soldati e ufficiali furono uccisi nei combattimenti e poi fucilati. La stessa opposizione avvenne a Rodi e in molte zone della Jugoslavia, Albania, Grecia, in forma più ridotta nella Francia meridionale. Tanti restarono uccisi, molte decine di migliaia di militari si aggregarono alle strutture partigiane locali o parteciparono direttamente alla lotta contro le truppe tedesche mantenendo in maniera significativa la struttura originaria, operando in Jugoslavia ed Albania: Divisione Garibaldi “ Natisone” (Slovenia-Croazia); Divisione “Italia” suddivisa in quattro brigate; Divisione Partigiana “Garibaldi” (operativa in Montenegro, Erzegovina, Bosnia, Sangiaccato), composta dalle ex Divisioni dell’esercito “Taurinense” e “Venezia”. Alla bandiera della Divisione Garibaldi, al reparto carabinieri della Divisione e al gruppo “Aosta” del 1° Reggimento Artiglieria Alpina, al’83° e 84° Reggimento Fanteria della Divisione “Venezia”, al 19° Reggimento Artiglieria da Campagna della Divisione “Venezia” ( tutti costituenti la Divisione Partigiana Garibaldi), venne riconosciuta la medaglia d’oro. Molti altri partigiani si aggregarono a queste formazioni.
Nella “Lettera di Memoria e Libertà” del 25 aprile 2018, tra gli altri, sono stati riportati i nominativi (con brevi biografie) di tutti i militari siciliani che fecero parte delle Divisioni Garibaldi. Altri sono stati già inseriti nella prima parte comprendente complessivamente 520 nominativi.
Molti componenti dei reparti militari italiani che dopo l’armistizio si ritirarono dal sud della Francia si aggregarono alle formazioni partigiane che si costituirono in Piemonte.
Inoltre, dopo la dichiarazione di guerra del Regno d’Italia alla Germania del 13 ottobre 1943 venne riorganizzato il nuovo esercito italiano. Consistenti gruppi di combattimento furono schierati in supporto agli Alleati contro le armate tedesche.
In Italia, molti militari siciliani si inserirono nelle formazioni della Resistenza, già nel corso del mese di settembre del 1943. A questo riguardo è bene evidenziare il significativo contributo dato a Roma e nel Lazio in genere fino alla Liberazione avvenuta il 4 giugno 1944.
Altri, non pochi, da civili, emigrati nelle aree del centro-nord nel corso degli anni precedenti, scelsero di essere partigiani.
Donne siciliane parteciparono attivamente alla Lotta di liberazione nelle aree territoriali del centro-nord. Giovani, impavide, con grande voglia di riscatto civile e democratico. Alcune furono uccise dai nazifascisti, dopo avere subito orrende torture e sevizie. L’elenco è ancora parziale.
Non esiste ad ora una “fonte” unica, completa, che riporti i nominativi e gli aspetti di tutti i partigiani siciliani che svolsero attività di Resistenza su tutti i “fronti” prima evidenziati.
Nel corso del tempo molti pregiati approfondimenti di ricerca sui partigiani siciliani son stati condotti da numerose strutture dedicate alla memoria della Lotta di Liberazione, da ricercatori storici, da libri di memorialistica e quant’altro operativo nel mondo sociale e culturale del territorio, che con dedizione civile e democratica continua la sensibilizzazione sui valori della Resistenza e sul contributo di uomini e donne della nostra Regione.
In particolare, tra le tante fonti, è doveroso ricordare:
    Le varie strutture provinciali dell’ANPI in Sicilia (compreso l’organismo Nazionale), che con grande passione hanno ricomposto l’impegno e la partecipazione dirette di tanti combattenti per la libertà, consegnando a tutti la possibilità della conoscenza appropriata.
    La ricerca condotta da INSMLI curata da Carmela Zangara che con competente dedizione ha ricostruito il percorso e il sacrificio di molti caduti siciliani nella lotta contro il nazifascismo. Nel 2011 ha pubblicato il libro “Per liberar l’Italia: i siciliani nella resistenza: 1943-1945”.
    La Regione Piemonte , che con le pubblicazione: “inserto speciale Sicilia” ( luglio-agosto 2007), e “ Meridionali e Resistenza il contributo del Sud alla Liberazione 1943-1945” ( edito nel 2012), a cura di Claudio Della Valle (Presidente dell’Istituto Piemontese per la Storia della Resistenza e della Società Contemporanea “Giorgio Agosti”), realizzato con il contributo di tutti gli Istituti della Resistenza del Piemonte, ha pubblicamente divulgato l’impegno dei siciliani, quindi la Banca Dati Istoreto Piemonte.
    La ricerca di Giovanna D’Amico: “I siciliani deportati nei campi di concentramento e di sterminio nazisti 1943-1945”.
    La ricerca di Mauro Sonzini: “Elenco dei partigiani siciliani attivi in Val Sangone” ( 2011).
    La ricerca di Mauro Begozzi: “Sui partigiani siciliani presenti nelle formazioni della Val Sesia, Cunio, Ossola e Verbano”.
    Nunzio Di Francesco, con il libro “Il costo della libertà - Memorie di un partigiano combattente da Mauthausen a Gusen II” (edito 2001).
    Angelo Sicilia, con il libro “Testimonianze partigiane, i siciliani nella lotta di Liberazione” (edito nel 2015).
    Nicola Musumarra, con il libro “La Resistenza italiana negata, il 25 luglio e la vendetta tedesca in Sicilia” (edito 2015).
    Lucia Vincenti, con il libro “Il silenzio e le urla, Vittime siciliane del fascismo (edito 2007)
    Mario Avagliano, con il libro “Generazione ribelle - diari e lettere dal 1943 al 1945” (edito 2006).
    Giuseppe Nilo, con il libro “I marsalesi nella Lotta di Liberazione” (edito 2015).
Si ricorda l’importante contributo di consultazione derivante dai siti on line di:
    Banca Dati Istoreto Piemonte
    Data Base Partigiani Anpi Roma
    Data Base Partigiani Piacenza
    Data Base Partigiani Ferrara
    Data Base Partigiani Anpi Gorizia
    Donne e Uomini della Resistenza - Anpi Nazionale Biografie
    Anpi Sicilia, Anpi Palermo, Anpi Catania e altre strutture delle Anpi siciliane.
Numerose altre fonti (bibliografiche e siti on line) di strutture resistenziali, e d’Arma che hanno partecipato alla Lotta di Liberazione in Italia e all’Estero, in particolare riguardo la Divisione partigiana Garibaldi in Jugoslavia e la Divisione Acqui a Cefalonia.
Nel corso degli anni sono stati inoltre pubblicati parecchi libri di memoria, “raccontati” da partigiani siciliani e deportati nei lager nazisti. L’elenco è rilevante.
Sugli ultimi approfondimenti di merito pubblicati evidenzio “Resistenti, Storie di antifascisti, partigiani e deportati di Riesi” (Caltanissetta) a cura di Giuseppe Calascibetta [...]



Redazione
, I Partigiani Siciliani - Quarta parte, La Bottega del Barbieri, 26 aprile 2021