giovedì 28 dicembre 2023

Illustrare senza aperti toni di condanna aspetti della vita statunitense che non sarebbe stato neppure lecito nominare se riferiti all’Italia

Roberto Lopez, collaboratore di "Oggi" da New York nel 1947, lamentava che la libertà americana fosse concessa a tutti, indipendentemente dal colore della pelle, «purché non fosse nera», ma concludeva ricordando che l’aumento della criminalità da parte della comunità di colore non costituiva un contributo positivo alla completa emancipazione dei “negri” <1720. Pochi anni dopo, Gullace provò a ridimensionare ulteriormente le preoccupazioni per la vita dei neri d’America, raccontando delle loro nuove opportunità di arricchimento che ormai parevano non limitarsi alla boxe ed al jazz, ma andavano dal mercato dei cosmetici, alle banche orientate verso i clienti di colore, al business dei predicatori battisti.
"Ciò significa che nell’America di oggi a tutti è riconosciuto il diritto di arricchire e, indipendentemente dal colore della pelle, vengono ammirati e rispettati coloro che hanno saputo esercitare questo diritto". <1721
Dal canto suo Piovene, in un articolo del suo reportage dedicato al problema, mostrò che l’atteggiamento della cultura italiana verso i temi razziali non era affatto scevro di pregiudizi. Secondo lui «il negro», soprattutto se arricchito, «era poco democratico», e «per istinto la maggior parte della gente di colore era […] favorevole a una netta segregazione da cui finiva per ricavare una quantità di vantaggi»; tra essi, in particolare, era ricordato l’accesso ad università riservate a loro, dove i pochi neri che avevano un’intelligenza superiore alla media, a differenza della maggioranza che aveva un «cervello infantile, come dimostravano le prove scolastiche», potevano istruirsi e «fare casta» <1722.
Lo stesso autore si mostrava convinto che certi “vizi” particolarmente diffusi negli States fossero, in realtà, interpretabili come il rovescio della medaglia di quegli stessi tratti culturali che avevano permesso agli americani di conseguire i risultati per cui erano ammirati in tutto il mondo. La diffusione del gioco d’azzardo era da un lato preoccupante, soprattutto per il ruolo che nella sua organizzazione giocava la malavita organizzata, ma dall’altro era un’espressione di quello spirito avventuroso e amante del rischio che caratterizzava la cultura della frontiera <1723. Non era nascosto neppure il problema della dilagante criminalità: Mario Drusiani di "Oggi", in particolare, all’inizio degli anni Cinquanta si occupò con frequenza degli episodi di criminalità minorile <1724. Persino il fenomeno dei gangster, considerato per tutto il Novecento l’esempio più chiaro delle tare sociali americane per quanto riguardava la legalità e la sicurezza, era percepito come l’esplosione violenta di una vitalità fisica, di un’energia pulsante che pervadeva la vita sociale. In un tale contesto, Piovene poteva coniugare gli «aspetti mostruosi» di cui si aveva notizia in alcuni quartieri di Chicago, e l’«impressione complessiva di buon senso vitale, di equilibrio fisico, di tranquillità e chiarezza intellettuale» che la città forniva al visitatore fin dalla prima impressione <1725. Nel tentativo di chiarire i fattori socio-culturali che avevano portato al rigoglio della criminalità organizzata italo-americana, l’autore giungeva ad accenti di comprensione che raramente erano stati usati per i corrispettivi fenomeni avvenuti in Italia:
"Gli italiani […] erano allora oggetti d’obbrobrio razziale, dello sfruttamento industriale, della persecuzione dei rivali irlandesi. Colosimo [l’uomo alla cui scuola si formò Al Capone] fu tra quelli che seppero organizzarli, difenderli […]". <1726
L’ambito di discussione in cui era più chiara la tendenza ad affrontare le differenze degli USA dal modello culturale italiano senza nasconderle, ma moderando il giudizio, era quello delle abitudini sentimentali e sessuali. Nel 1948 furono pubblicate, negli Stati Uniti, le prime parti del celebre “Rapporto Kinsey”, indagine statistica sui comportamenti sessuali; il quadro che ne usciva, e che fu fatto conoscere dai rotocalchi italiani al loro pubblico tra il 1948 ed il 1950, era lontano dai modelli di comportamento accettati dai lettori per il loro contesto sociale; gli italiani, del resto, erano da tempo consci del fatto che romanzi e film d’oltreoceano rappresentassero atteggiamenti verso il sesso inaccettabili nelle “buone famiglie” italiane. La tendenza dei giornalisti che trattavano della vita americana era quella di sdrammatizzare l’indubbio contrasto tra le convinzioni diffuse in Italia e la pratica di vita statunitense.
Sempre Piovene, in uno dei suoi molti articoli del 1951, invitava a non giudicare il comportamento delle ragazze americane secondo canoni di comportamento che sarebbero stati validi in Italia; esse potevano pure «fare qualcosa» con un ragazzo (con cui magari in seguito si sarebbero sposate), ma una simile esperienza non era traumatica come avrebbe potuto essere per le adolescenti italiane, e non a caso avveniva spesso il venerdì sera, dopo che le ragazze erano ubriache e non erano pienamente consapevoli delle loro azioni <1727.
I segnali più chiari di questa tendenza si potevano trovare sulle pagine dei rotocalchi: su Epoca, la didascalia alla fotografia di due ragazzi che si baciavano era significativa:
"Non è un fidanzato, ma è più di un amico […]. Il successo mondano di una fanciulla americana si misura dal numero dei “boy-friends” e dei “dates”, o appuntamenti, che colleziona. Non è un indice di immoralità: solo un maggior cameratismo tra i due sessi". <1728
Il rifiuto della comprensibile (nell’Italia del 1951) accusa di “immoralità” rivelava l’invito ai lettori alla comprensione per un ruolo sociale così distante dalle loro abitudini, che doveva essere introdotto con una parafrasi, senza possibilità di traduzione diretta.
Erano soprattutto gli articoli di "Oggi" a mostrare esplicitamente una profonda differenza nei giudizi morali su quanto accadeva oltreoceano. Il settimanale si rivolgeva ad un pubblico eminentemente conservatore, e negli interventi relativi alla società italiana rispecchiava un’opinione contraria ad ogni forma di comprensione della sessualità “illecita” e ad ogni apertura sul divorzio. La rubrica delle lettere al direttore, curata personalmente da Edilio Rusconi, costituiva l’osservatorio privilegiato di tale rigidità di giudizi. Quando però si parlava degli Stati Uniti, comportamenti simili a quelli condannati senza appello in Italia erano interpretati come un elemento si curiosità esotica per una società lontana, la cui vivacità intellettuale comportava sbavature morali che in tale contesto erano tollerabili.
Con un approccio simile furono accolte le notizie delle indagini sociali sul comportamento sessuale, sebbene si trattasse di argomenti che i giornalisti erano imbarazzati persino a tradurre. Nel 1948, ad esempio, si seppe che negli USA il 62% delle donne non arrivava vergine al matrimonio, e la notizia fu presentata da Amerigo Ruggiero con il titolo “Le ragazze americane scivolano sempre di più”, in cui il verbo scivolare pur essendo chiaramente metaforico non era neppure messo tra virgolette; una simile tendenza, però, non era presentata come sintomo di decadenza morale, ma come normale effetto di dinamiche socio-economiche che stavano conducendo ad una sostanziale indipendenza economica delle donne, e quindi ad una loro maggiore intraprendenza <1729. Un intervento di Maugeri del 1950 tornava su questi argomenti piuttosto scabrosi, riprendendo alcuni dettagli delle rilevazioni statistiche e mostrando ancora più chiaramente la difficoltà a tradurre in maniera esplicita temi che la società riteneva assolutamente estranei: la diffusione di inclinazioni omosessuali tra le donne americane era presentata come diffusione di «amicizie particolari», mentre la pratica del petting, assai comune tra i ragazzi prima del matrimonio, era tradotta in italiano con un eufemistico quanto incomprensibile «civetteria» <1730.
Era però già importante il fatto che si tentasse, per quanto goffamente, di illustrare senza aperti toni di condanna aspetti della vita statunitense che non sarebbe stato neppure lecito nominare se riferiti all’Italia: era il caso pure degli articoli di costume che cercavano di spiegare al pubblico la pratica tipicamente statunitense del dating, che vedeva coinvolti ragazzi e ragazze di dodici-tredici anni, una età in cui da noi sarebbe stato impensabile ogni rapporto con l’altro sesso, specialmente per le fanciulle. Gli appuntamenti erano descritti in termini leggeri, come «curiosi miscugli d’amicizia, amore, sesso», che «non avevano né la gravità di un convegno d’amore, né l’innocenza di un incontro tra bambini»: il ragazzo doveva cercare di ottenere il più possibile al fine di potersene vantare con gli amici, mentre la ragazza doveva imparare a dosare sapientemente le proprie concessioni, per non apparire né troppo severa, né eccessivamente “facile”. Pure in questo caso, il giudizio morale che per un caso italiano sarebbe stato assai allarmato era messo tra parentesi; gli appuntamenti erano innanzi tutto presentati come un utile esercizio attraverso cui tutti potevano imparare il proprio ruolo sociale, in una comunità in cui i bambini passavano troppo tempo con la madre e tendevano ad una femminilizzazione dei loro comportamenti <1731.
[NOTE]
1720 “Libertà della pelle, purché non sia nera”, Oggi, III, 31, 3/VIII/1947, p. 10.
1721 G. Gullace, “La fede e le creme di bellezza procurano milioni ai negri d’America”, Oggi, VIII, 49, 4/XII/1952, p. 9.
1722 G. Piovene, “Sono buoni col negro se ammette la sua inferiorità”, Corriere della Sera, 29/V/1951, p. 3.
1723 Id., “Nell’incredibile Texas i miliardi sono nell’aria”, Corriere della Sera, 12/VI/1951, p. 3.
1724 L’argomento fu ripreso anche sulle pagine di Epoca (III, 69, 2/II/1952, pp. 42-47), con M. Monicelli, “Kids con il mitra. Il parco è jungla”.
1725 Id., “Nell’iperbolica Chicago ‘città di terrore e di luce’”, Corriere della Sera, 10/IV/1951, p. 3.
1726 Id., “Ma chi sono i ‘gangsters’?”, Corriere della Sera, 15/IV/1951, p. 3.
1727 Id., “Alcool e amore le sere del venerdì”, Corriere della Sera, 20/XII/1950, p. 3.
1728 Epoca, II, 30, 5/V/1951, p. 28.
1729 Oggi, IV, 9, 29/II/1948, p. 15. Un intervento di argomento affine apparve, due anni dopo, su Selezione dal Reader’s Digest (III, 16, Gennaio 1950, pp. 24-26), con il titolo “Critica all’uomo americano”. L’autrice, R. Barth, era una delle capofila della cultura femminista statunitense, e criticava i suoi connazionali maschi proprio per l’eccessiva arrendevolezza nei confronti delle loro donne.
1730 G. Maugeri, “In America entro il 1960 superflui i fiori d’arancio”, Oggi, VI, 12, 23/III/1950, p. 6.
1731 G. Gullace, “Cominciano a dieci anni a dare appuntamenti alle ragazze”, Oggi, VII, 45, 8/XI/1951, pp. 8-9.

Andrea Mariuzzo, Comunismo e anticomunismo in Italia (1945-1953). Strategie comunicative e conflitto politico, Tesi di Perfezionamento, Scuola Normale Superiore - Pisa, 2006

venerdì 22 dicembre 2023

La liberazione di Borgotaro, Bedonia e degli altri centri abitati dell’alta valle alimentò anche qui l’entusiasmo tra i partigiani della valle

Borgo Val di Taro (PR). Foto: Jean Pierre Gasparini su Wikipedia

A metà luglio 1944 il grande rastrellamento estivo travolse l’Appennino emiliano portandosi via le zone libere che avevano preso forma in quei mesi.
La completa liberazione dell’alta Val Taro, Bedonia e Borgotaro compresi, era forse già alla portata di mano delle brigate partigiane. I comandi erano però ben consapevoli che l’esercito d’occupazione non si sarebbe mai rassegnato alla perdita di controllo di strutture strategiche quali il tratto finale nel Parmense della linea ferroviaria Parma-La Spezia, la stazione ferroviaria di Borgotaro e la galleria, anch’essa ferroviaria, del Borgallo che collegava il capoluogo della val Taro con Pontremoli e La Spezia. Una pronta reazione con intervento militare per riprendere il controllo, almeno delle infrastrutture ferroviarie, non avrebbe tardato ad arrivare.
Apparentemente più semplice la conquista dei centri situati in alta Val Ceno. Per tutta la primavera le formazioni partigiane avevano eliminato progressivamente presidi e strutture nemiche e distrutto ponti e vie di collegamento, isolando il più possibile l’alta valle dai territori circostanti.
Nei primi giorni di giugno i preparativi per l’assalto ai capisaldi nemici subirono un’accelerazione, sostenuti dall’entusiasmo dei partigiani garibaldini ansiosi di iniziare quello che poteva rappresentare l’avvio della liberazione. Sottrarre completamente a tedeschi e fascisti l’alta valle serviva non solo a dare sbocco a mesi di impegno e di sacrifici, ma soprattutto a fornire all’esercito alleato in avanzata un trampolino di lancio verso la pianura padana e la completa liberazione del paese.
Tutti comprendono che qualcosa di nuovo sta maturando - ricorderà uno di loro - Dario <1, con il suo gesto caratteristico, si frega le mani, solleva gli occhiali e dandosi una fregatina agli occhi esclama: «Ci siamo ragazzi. E’ giunto il momento di uscire dalle nostre tane e scendere a valle per occupare i paesi» [Comitato per le celebrazioni del ventennale della Resistenza (ed.) 1965].
Il piano era semplice: attacco simultaneo dei centri della zona compresa tra Bardi e Fornovo Taro - a valle - con eliminazione dei presidi fascisti nei comuni di Bardi, Varsi e Varano dei Melegari e quello nella polveriera a Rubbiano. Prima di procedere, secondo le fonti garibaldine, Dario volle incontrare i comandanti delle brigate insediate nell’adiacente Val Taro - le brigate Julia, Beretta e Monte Penna - per verificare le condizioni per la liberazione simultanea delle due valli. L’incontro si tenne in località Caffaraccia (Borgotaro) e al termine di una articolata e sincera discussione, ricordano i testimoni, si concluse con un nulla di fatto. Non tutti i comandanti delle formazioni autonome erano convinti dell’utilità dell’azione. Dario e il resto del suo comando decisero di proseguire comunque con i piani prestabiliti.
Il 10 giugno 1944, alle ore 3 del mattino, i reparti partigiani attaccarono le postazioni fasciste in tutta l’alta valle. A fine mattinata i presidi repubblicani erano stati espugnati. L’alta Valle del Ceno era libera. La gioia di quei momenti sarebbe rimasta a lungo nella memoria di quanti combatterono quella battaglia. Così Luigi Sbodia, partigiano “Mario”: "La battaglia si accende e divampa all’Ovest Cisa, ad uno ad uno cadono i presidi fascisti, verso l’imbrunire da Varano, Vianino, Varsi e Bardi si innalzano e dilagano per le valli i canti di vittoria che le pareti delle montagne rimandano in un’eco che sembra non voglia mai spegnersi: la Valle del Ceno è liberata" [Sbodio 1964, 60].
L’eco del successo garibaldino in Val Ceno pose in allarme i presidi tedeschi e fascisti dislocati a Borgotaro e convinse gli scettici in Val Taro a passare anche lì all’attacco. La mattina del 15 giugno i primi reparti partigiani <2 entrarono festosi a Borgotaro. Il grosso delle truppe tedesche e fasciste nei giorni e nelle ore precedenti aveva nel frattempo abbandonato il capoluogo, sfruttando il passaggio nella galleria del Borgallo che collegava la stazione di Borgotaro con il versante pontremolese. Un «informatore» della Rsi rimasto in città descrisse l’ingresso dei partigiani in un suo rapporto al Duce. Esagerando per eccesso il numero di partigiani, egli stimò in «300 ribelli» l’avanguardia che prese la cittadina con «bandiere tricolore in testa e al canto di inni sovversivi», percorrendo «le vie della città applauditi dalle poche persone presenti e quindi prendeva possesso degli uffici pubblici e della stazione ferroviaria». Disarmati i militi della Gnr e della Guardia di Finanza rimasti in città, Borgotaro venne dichiarata città liberata.
Nel corso della giornata altri reparti partigiani avrebbero fatto la loro comparsa a Borgotaro. Impressionò molto l’anonimo informatore "l’arrivo, alle 11.30, di [una] banda, della quale faceva parte certa ‘Rosetta’, professoressa di lettere di Borgotaro, vestita da uomo e armata di mitra […]. Salutano, alcuni militarmente ed altri col pugno chiuso. Sono dotati di armi automatiche pesanti e leggere, di pistole mitragliatrici, pistole automatiche, bombe a mano e pugnali. Il munizionamento è abbondante. Vestono abiti civili di tela kaki e divise militari di panno grigio-verde. Intorno al copricapo portano un nastro rosso; sulla visiera una stella a cinque punte od una coccarda tricolore. Indumenti e calzature sono, in genere, in buono stato. Quasi ogni notte aerei nemici riforniscono la banda di generi alimentari, armi, munizioni e indumenti. Sembra che la ‘Brigata Julia’, che ha fatto saltare vari tratti della linea ferroviaria Parma-La Spezia, abbia intenzione di occupare militarmente tutti i centri abitati della Valle del Taro" <3.
Nel corso della giornata che aveva visto i patrioti accedere all’abitato di Borgotaro fecero la loro comparsa in centro città inaspettatamente due autovetture tedesche, arrivate dal passo Centocroci ignare dell’avvenuta liberazione. Seguirono momenti di tensione seguiti da una intensa sparatoria mentre i militari cercavano di uscire dall’abitato. Esito dello scontro: un partigiano morto, i tedeschi fatti prigionieri e acquisizione da parte dei resistenti di una ricca documentazione militare da inviare al comando generale militare Cvl a Milano. L’incidente convinse i comandi partigiani, se ve ne fosse stato bisogno, delle difficoltà di difesa di Borgotaro e della necessità di spostare gli uomini all’esterno del perimetro urbano, sulle alture circostanti a difesa del borgo. Il giorno seguente il maggiore Koeppers informava telefonicamente il maggiore von Keller che tutti i partigiani si erano ritirati dal paese: «Quando la sera del 16 giugno il gruppo Almers entrò a Ostia e Borgo Val di Taro, non trovò più nessun partigiano. Anche i civili erano fuggiti sui monti non appena avevano saputo dell’arrivo delle unità tedesche. In seguito il fianco settentrionale del Monte Molinatico, dove si erano ritirati i partigiani, venne rastrellato dopo che la parte meridionale era stata sbarrata» <4.
A questo punto le fonti si fanno meno chiare: non si hanno notizie precise sulla presenza dei distaccamenti nel centro abitato così come sulla nascita dell’autogoverno partigiano, almeno fino al 26 giugno quando la presenza antifascista tornò a essere consistente nel borgo.
La liberazione di Borgotaro, Bedonia e degli altri centri abitati dell’alta valle alimentò anche qui l’entusiasmo tra i partigiani della valle, come scriverà il partigiano “Italo”: "[un’] euforia generale che mette le ali alla fiducia e alla speranza e relega nel subcosciente il timore e il dubbio d’un responso altrimenti negativo. L’avere conteso e strappato questo territorio in termini fino a poco prima inimmaginabili alle forze locali di quello che è il più potente e temuto esercito del mondo infondono ai nostri uomini nuovo slancio e fiducia" [Lodi 1985, 46].
Tracciati i confini, inevitabilmente labili, che includevano i territori di Albareto, Bedonia, Compiano, Tornolo e ovviamente Borgotaro - circa 2.500 chilometri quadrati, sempre secondo il partigiano Italo componente del comando della 1a Brigata Julia - per la Resistenza divenne indispensabile difenderli, impegno assai dispendioso vista la volontà tedesca di riconquistare quanto prima il controllo di Borgotaro e delle infrastrutture ferroviarie. Accanto, in Val Ceno, i confini della zona libera compresero i comuni lungo l’asse nord-sud del fiume: da Varano De’ Melegari sino a comprendere Varsi e Bardi. Anche qui le minacce potenziali provenivano dai territori confinanti: dalla Liguria, dal Piacentino e dai centri lungo la pedemontana, Salsomaggiore Terme soprattutto. A difesa della valle oltre ai reparti partigiani, l’impraticabilità delle vie di comunicazioni e in ultima istanza la convinzione che ai tedeschi quel territorio non interessasse granché e che la sua conquista non fosse al centro dei loro programmi militari.
Al rientro da Bardi, dove si era recato in autoambulanza per effettuare uno scambio di prigionieri <5, l’ufficiale medico Rüll fece rapporto ai propri superiori. Ne emerge una descrizione preziosa del territorio e delle persone che incontrò durante il suo viaggio, tutt’altro che semplice per lui, ma pieno di sorprese. "Superammo Fornovo e, poiché poco prima, dopo Varano, il ponte era saltato, fummo costretti ad attraversare il fiume ad un guado, cosa che fu possibile solo con il traino di due buoi e con grandi difficoltà con un’interruzione di un’ora e mezza. Già qui l’intera zona si era rivelata dominata dalle bande. I giovani salutavano con il pugno alzato, in parte erano armati con mitra, ma ci aiutarono molto volentieri nella manovra per disincagliare l’ambulanza. Oltre il ponte proseguimmo su una strada in buono stato. Il comandante dei banditi aveva preso posto sul tetto del mezzo con un tricolore per garantirci di transitare liberamente. Tutti i passanti, non molti, e gli abitanti delle fattorie lungo la strada lo salutarono con il pugno alzato. Le persone impegnate nei campi per il raccolto ci ignorarono. Prima della località di Vianino dovemmo lasciare l’autoambulanza perché anche lì il ponte era distrutto e non vi erano deviazioni possibili. Era questo il punto stabilito per lo scambio dei prigionieri. Lasciai il sotto-ufficiale tedesco di sanità e i tre soldati italiani con i prigionieri da scambiare, presi una barella e qualche strumento medico. Dovetti lasciare anche la pistola [...]. Attraversammo in tre il letto del fiume quasi asciutto e il pendio molto ripido di fronte, il capobanda, il poliziotto ferito e io. Le alture circostanti erano visibilmente occupate dai banditi. Molti ci vennero incontro, tutti giovani robusti, tra i 18 e i 22 anni, tutti vestiti da civili con pantaloni corti, camicie con le maniche rimboccate, polpacci scoperti e fazzoletto rosso al collo. Alcuni portavano cappelli di feltro verde e rosso con nastro con i colori italiani e stelle a cinque punte. Portavano stelle a cinque punte, bianche rosse e verdi ricamate, anche sulle camicie. Durante l’intera ascesa feci attenzione a fortificazioni e postazioni difensive, ma non vidi nulla […]. Proseguimmo in auto per Bardi che raggiungemmo presto. La località sorge in modo molto pittoresco su un’altura circondata dalle montagne. Caratteristico è un vecchio castello che si scorge in lontananza. Ci sono molte ville abitate dalla plutocrazia italiana che ancora oggi gode il fresco estivo indisturbata dalla guerra e dalle bande. L’atteggiamento di simpatia verso le bande le garantisce questa esistenza indisturbata. Incontrai per poco il comandante in capo dei banditi, un giovane di circa 25 anni, di aspetto semita. Mi sembrò piuttosto insicuro nei modi e nel comportamento. Il quartier generale si trova all’ingresso del paese, in un grande edificio nuovo che prima, probabilmente, era la Casa del Fascio" <6.
Le formazioni partigiane che ora potevano godere di una relativa sicurezza interna, si dovettero però far carico delle condizioni degli abitanti delle zone libere e delle insidie che provenivano dall’esterno. Poterono rafforzare la propria capacità militare, ricevere rifornimenti tramite i lanci aerei dagli alleati, accogliere e armare il gran numero di renitenti e disertori che giungevano sui monti disarmati e poco avvezzi alla guerriglia, misurarsi con la politica attraverso l’istituzione di amministrazioni libere.
In Val Ceno, nei giorni successivi alla liberazione di Bardi, la popolazione venne convocata nella piazza del paese - non sappiamo se i soli capifamiglia o tutta la popolazione comprese le donne - e le venne proposta l’elezione
dell’avvocato Giuseppe Lumia a sindaco. Così, a guerra conclusa, avrebbe ricordato l’evento lo stesso Lumia: "Il Comandante della Brigata prese per primo la parola per rivolgere un cordiale ringraziamento alla popolazione per l’affettuosa, paterna assistenza di cui aveva circondato i Patrioti, illustrò poscia i motivi ideali che indussero i giovani a pigliare le armi contro il malgoverno fascista e, infine, interpellò il Popolo se voleva proclamare, come Sindaco, l’avv. Giuseppe Lumia. La folla, a gran voce, rispose affermando" [G. Lumia 1945, 21].
A Borgotaro le cose andarono diversamente e non solo per le difficoltà nell’organizzare la difesa del paese dalla minaccia tedesca. Ci vollero alcune settimane prima che i comandi partigiani riuniti alla presenza del colonnello Lucidi si occupassero dell’«amministrazione civile della zona liberata». Scelsero di applicare il modello statale nominando un prefetto con funzioni esecutive che avrebbe, a sua volta, promosso la nascita di organismi amministrativi. La scelta ricadde su Achille Pellizzari, 61 anni, docente di letteratura italiana presso l’Università di Genova, già deputato del Partito popolare negli anni 1921-23 e schedato come sovversivo [Mastrodonato 2015; Franchino 1976; Pellizzari 1978]. Avvertito della decisione presa mentre si trovava nascosto poco lontano, nel vicino comune di Berceto, venne condotto a Compiano presso il comando della costituenda Divisione La Nuova Italia e nominato prefetto del «territorio libero del Taro» il 3 luglio 1944. Tra i suoi prima atti la nomina a sindaco di Bedonia di Mario Serpagli e la costituzione della Giunta democratica di Borgotaro composta da notabili locali e cittadini meritevoli di fiducia secondo i comandi partigiani <7. Al fine di celebrare la nascita della zona libera venne pubblicato il foglio “La Nuova Italia”, stampato presso la locale tipografia Cavanna.
In entrambe le zone libere, malgrado la buona volontà, gestire l’amministrazione civile risultò assai complicato, principalmente per la scarsità di risorse disponibili e la brevità dell’esperienza politica. Nelle poche settimane in cui poterono operare le due amministrazioni - un mese circa quella di Bardi e una ventina di giorni circa quelle di Borgotaro e Bedonia - l’impegno maggiore profuso consistette nell’organizzare la distribuzione del grano e dei prodotti agricoli nel tentativo di ridurre, se non addirittura abolire, l’aggravio fiscale a carico delle famiglie e del poco commercio ancora esistente.
In Val Taro, in particolare, ricorda Giacomo Vietti nel suo "L’Alta val Taro nella Resistenza": "si organizza la distribuzione dei viveri e si istituiscono tribunali militari per l’amministrazione della Giustizia, sia in materia penale [ch]e civile, si pubblicano bandi per reprimere il contrabbando dei generi alimentari e viene istituito un corpo di polizia partigiana che continuerà a svolgere funzioni amministrative anche dopo l’occupazione tedesca. Si distribuisce ai familiari dei patrioti parte della legna prelevata dai depositi dei fascisti e che era in attesa di essere trasportata a Parma. Una precisa contabilità tenuta dal Comando di Polizia di brigata permette di quantificare la qualità di legna e carbone distribuito gratuitamente alle famiglie partigiane, ed alle famiglie bisognose e la quantità di combustibile venduto: quintali 4.987,8 di legna, quintali 123,2 di carbone di legna. Incasso L. 120.000. Si controllano i lavori di trebbiatura in modo da prelevare in modo equo i contingenti di grano, sia per le formazioni partigiane che per la popolazione civile. Anzi a Borgotaro sarà la polizia partigiana che riuscirà a procurarsi il carburante e l’olio lubrificante per il funzionamento delle trebbiatrici, materiali forniti dalla Fabbrica del Cemento che ne aveva una cospicua scorta. Si lavorava per ripristinare il campo d’aviazione nella previsione di poterlo utilizzare per il collegamento aereo con gli alleati dei quali ci si attende un imminente sbarco in Liguria" [Vietti 1980, 201].
A Bardi, il sindaco Lumia tentò la messa in atto di un piano per il recupero di risorse economiche per finanziare progetti in favore della popolazione. Interrotti i rapporti con la Prefettura di Parma, chiusa la filiale della Cassa di Risparmio, abolito il dazio consumo, abrogate le imposte sindacali - considerate «norme fasciste» - e decurtate le altre, come voluto dai comandi partigiani, l’«amministrazione civica popolare» si ritrovò priva di mezzi finanziari per sviluppare un qualsivoglia programma di interventi in favore della comunità. Lumia convocò «una trentina dei più abbienti» del territorio, ma «la riunione non diede risultati di sorta ». Il sindaco non si diede per vinto e alla fine riuscì a convincerli a concedere un prestito, assumendo personalmente l’impegno dell’integrale restituzione della somma ai creditori. Il progetto prevedeva che l’amministrazione emettesse titoli quando se ne fosse presentato il bisogno e finanziasse così il debito contratto con il gruppo di benestanti che avevano accettato di prestare le risorse all’ente di governo locale. Naturalmente il piano prevedeva, o per lo meno si augurava, che al «territorio libero di Bardi» sarebbe seguita la liberazione definitiva del paese con l’integrazione della zona libera nell’Italia liberata. Molti, infatti, contavano sull’arrivo degli Alleati entro l’inverno. Al posto dei liberatori giunsero invece i rastrellamenti dell’Operazione Wallenstein, che cancellarono ogni esperimento partigiano di controllo diretto del territorio in Emilia.
L’impegno maggiore per la Resistenza anche durante queste settimane rimase comunque la difesa militare dei confini delle zone libere. Particolarmente in Val Taro le brigate partigiane, insidiate da reparti nemici provenienti da diverse direttrici, difesero con astuzia e coraggio le zone liberate. Attacchi vennero portati nella valle del Manubiola, affluente del torrente Taro, e in località Grifola, località a sud ovest del capoluogo, puntualmente respinti al termine di duri scontri a fuoco con vittime da ambo le parti. Una difesa accanita quella messa in atto dai reparti partigiani, che si trovarono a dover fronteggiare anche incursioni aeree alleate. Male informati - l’aviazione non era infatti al corrente della liberazione del capoluogo - gli anglo-americani colpirono più volte le infrastrutture ferroviarie e l’ospedale, provocando morti e feriti tra i reparti partigiani e la popolazione civile. Mentre a poca distanza, nei medesimi giorni, gli stessi Alleati effettuarono diversi lanci in favore dei partigiani della valle.
Nella valle accanto la situazione si presentava differente. Assai meno rilevante per le infrastrutture che l’attraversavano, aveva però fama di essere uno dei maggiori centri della Resistenza nella vasta area compresa tra le Valli del Taro e del Trebbia, a cavallo tra le province di Parma e Piacenza e confinante con la Liguria. Da lì partivano i reparti partigiani che portavano gli attacchi ai convogli tedeschi in transito sulla Via Emilia, che tanto danneggiavano l’esercito d’occupazione. Gruppi di guerriglieri scendevano a valle al tramonto percorrendo decine di chilometri per raggiungere la statale di notte e compiere le loro azioni. L’intraprendenza partigiana in quel settore rappresentava per i comandi tedeschi un serio pericolo per la circolazione di mezzi e uomini lungo la Via Emilia, arteria di collegamento nel retro fronte di vitale importanza, ma che poteva diventare elemento di pericolosità in caso di sbarco alleato in Liguria. La proclamazione di territorio libero non fece altro che conferire a Borgotaro lo status di piccola capitale partigiana, rendendola come tale un obiettivo da colpire. Il 18 luglio 1944 reparti della Luftwaffe, del 12° Reggimento di Polizia, delle SS, del SD, della Feldgendarmerie affiancati dal Battaglione Lupo della X Mas invasero la Valle del Taro: era iniziata l’Operazione Wallenstein II. La seconda delle tre fasi del grande rastrellamento nazista che colpì l’Appennino emiliano, nei confronti del quale nulla poterono le difese partigiane, costrette ad abbandonare i territori liberati mentre le truppe in rastrellamento si accanivano contro le comunità contadine, vittime di saccheggi, deportazione e stragi. Una lunga scia di sangue annullò - seppur solo temporaneamente - la presenza partigiana in quei luoghi, cancellando l’esperienza delle zone libere del Taro e del Ceno. Con la fine del «territorio libero del Taro» si interruppe anche il processo di costituzione della Divisione Nuova Italia in seguito alla morte del suo ideatore, il colonnello Pietro Lavani, ucciso dai tedeschi al passo dei Due Santi insieme al suo aiutante Macchi durante il rastrellamento.
Concluse le operazioni della Wallenstein II, la terza fase del rastrellamento venne orientata verso il Modenese contro la «Repubblica partigiana di Montefiorino», e il ritiro delle truppe dal Parmense riportò le brigate partigiane a reinsediarsi nelle valli e lungo i pendii dei monti che li avevano visti protagonisti durante la prima metà del 1944. In nessuna delle valli del Parmense sarebbero risorti «territori liberi», sebbene si riproponesse il problema della gestione e della difesa delle aree d’insediamento partigiano. Un aspetto della lotta di liberazione che avrebbe accompagnato i comandi partigiani fino alla sconfitta militare dei nazi-fascisti.
[NOTE]
1 Luigi Marchini “Dario”, da aprile 1944 comandante della 12a Brigata Garibaldi.
2 Distaccamento Bill (ex Gruppo Penna), Gruppo Poppy, Gruppo Vampa e Gruppo Birra (formazioni che presto daranno vita alla 2a Brigata Julia), il Gruppo Molinatico e il Gruppo Tarolli erano già entrati a far parte della 1a Brigata Julia e del Gruppo Centocroci.
3 Appunto per il Duce n.1 -171, 28 giugno 1944. Archivio centrale dello Stato, Segreteria particolare del Duce, Carteggio riservato, Rsi, f. 40 Sid.
4 BArch, RH 24-87/40, fo. 349Armee-Abteilung von Zangen, comunicazione telefonica del maggiore Koeppers con il maggiore von Keller, 17.6. Cfr. anche BArch, RH 24-87/40, fo. 827-828: Armee-Abeitlung von Zangen, Ia n. 2796/44 geh. E n. 2805/44 geh. All’OB Sudwest del 17.6, riprodotto in Klinkhammer 1993, 587-588.
5 I prigionieri tedeschi trasferiti a Bardi erano feriti.
6 BArch, RH 24-87/61, Stabsarzt Dr. Rüll, Nachschubstab Mitte (289), 21 giugno 1944. Ringrazio Roberta Mira per l’aiuto nella traduzione dall’originale tedesco.
7 Comm. Antonio Calandra, cav. Francesco Marchini, Celeste Brindani, mons. Carlo Boiardi, conte Picenardi Albertoni, Giacomo Brugnoli e prof. Livio Pierangeli.
Marco Minardi, «Terranostra». I territori liberi delle alte valli del Taro e del Ceno. Estate 1944 in (a cura di) Roberta Mira e Toni Rovatti, «Il paradosso dello Stato nello Stato». Realtà e rappresentazione delle zone libere partigiane in Emilia Romagna, E-Review Dossier 3, 2015

martedì 19 dicembre 2023

Sino ad alcuni anni fa, cinema e televisione erano due media ben distinti


Il termine "televisione" venne stabilito il 10 marzo 1947 durante la conferenza mondiale delle radiocomunicazioni di Atlantic City dai delegati di 60 nazioni che stabilirono di adottare come abbreviazione la sigla "TV".
Per comprendere come funziona l’attuale sistema televisivo, occorre conoscerne la storia. Abbiamo precedentemente parlato, non a caso, della storia della radio e del cinema, perché da entrambi questi mezzi di comunicazione la tv ha preso le movenze. Il rapporto con questi media ha dato forma alla tv come la conosciamo oggi e continua ad influire tuttora.
La tv eredita dalla radio la possibilità di entrare nelle case di un sempre maggior numero di italiani a partire dagli anni ’60, di trasmettere in diretta, e l’appartenenza ai sistemi dello stato (almeno nel caso della tv pubblica).
Sempre dalla radio, la tv eredita il palinsesto su cui declinerà anche visivamente i generi in essa precedentemente diffusi: i telegiornali derivano dai radiogiornali, i festival della canzone traslocano sui palchi televisivi e i radio sceneggiati diventano veri e propri antenati delle soap opera.
Se dalla radio la tv ha rubato la programmazione, col cinema condivide il linguaggio espressivo, cioè il mix audiovisivo.
Possiamo quindi vedere la tv come l'incontro della riproduzione di contenuti audio in diretta e la riproduzione di contenuti audiovisivi in differita.
La televisione nasce all’interno del sistema pre-esistente della radio (dal punto di vista aziendale, di produzione e distribuzione), in un contesto storico in cui l’offerta di mezzi di comunicazione di massa stava diventando sempre più tele-comunicativa.
Il suo inizio può essere fatto risalire al 25 marzo 1925, quando l'ingegnere scozzese John Logie Baird ne diede dimostrazione nel centro commerciale Selfridges di Londra.
All’epoca le immagini in movimento erano composte da due sole tonalità di grigio.
Nel 1927 Baird trasmise la televisione da Londra a Glasgow (700 km di distanza) attraverso una normale linea telefonica in cavo. Nel 1928 realizzò la prima trasmissione televisiva transoceanica, da Londra a New York. Sempre nello stesso anno riuscì a trasmettere le prime immagini a colori.
Considerata concettualmente un'evoluzione della radio e del cinema, la televisione fu parallelamente sviluppata da diversi gruppi di lavoro in diversi paesi e fu resa disponibile al pubblico subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.
Mentre per l'audio si poteva sfruttare la tecnologia della radio, per la ripresa, la trasmissione e la ricezione delle immagini dovevano studiarsi nuove forme tecniche da affiancare.
Partendo dal concetto della persistenza delle immagini sulla retina umana, il cui principale utilizzo comunicativo era il cinema, si pensò di rendere su uno schermo idoneo (televisore) un'immagine elettronica scandita altrove da una telecamera e trasmessa via radio.
[...]
Sino ad alcuni anni fa, cinema e televisione erano due media ben distinti: se il primo fondava la sua forza sulla qualità della pellicola e sulla visione dei film in apposite sale ove la proiezione avveniva al buio (favorendo l'attenzione degli spettatori); il secondo risultava imbattibile per la capacità di rappresentare l'evento contestualmente al suo verificarsi.
Con i sistemi digitali di registrazione-riproduzione diffusi in entrambi i mondi, che hanno livellato la qualità delle immagini e i costi di produzione, la distanza dal punto di vista tecnologico e produttivo che li separava è venuta meno.
La televisione si è accostata al cinema, da un punto di vista dei contenuti, quando ha iniziato a portare nelle case i film su videocassetta, consentendo per la prima volta un tipo di visione on demand.
Jessica Maullu - Valentina Beraldo, I contenuti televisivi nello scenario transmediale: format culturali attraverso la tv e il web, Tesi di laurea Magistrale, Politecnico di Milano, Anno Accademico 2010-2011

Il primo contatto operativo tra alleati e partigiani fu la missione Law

Prima pagina del rapporto finale di Fausto Bazzi. Fonte: Giuseppe Mac Fiorucci, autore di Gruppo Sbarchi Vallecrosia, Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia < Comune di Vallecrosia (IM) - Provincia di Imperia - Associazione Culturale “Il Ponte” di Vallecrosia (IM) >, 2007

Ultima pagina del citato rapporto finale di Fausto Bazzi

Tanta tempestiva alacrità avrebbe prodotto a breve la prima (in assoluto) operazione congiunta di intelligence tra le forze alleate e il movimento partigiano dell’Italia del nord: quella missione Law che avrebbe consentito a due ardimentosi, Guglielmo Steiner (Mino) e Fausto Bazzi, entrambi addestrati frettolosamente ad Algeri dal Soe britannico (Special operations executive) e dall’Oss americano (Office of strategic services, precursore dell’odierna Cia), di sbarcare dal sommergibile britannico Hms Sykle sulla spiaggia di Cavi di Lavagna ai primi di ottobre del ’43 muniti d’un apparecchio ricetrasmittente consegnato infine, dopo rocambolesche avventure, al referente ligure della missione, il genovese Piero Caleffi, a sua volta a stretto contatto sia con l’organizzazione Otto di Ottorino Balduzzi sia con gli esponenti milanesi della cospirazione di matrice azionista e giellista facente capo a Ferruccio Parri.
Vittorio Civitella *, Zolesio e l’opera di intelligence di Fellner e Unger di Löwenberg in Storia e Memoria, Istituto ligure per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea, anno XXV, n. 2/2016 - * Testo dell’intervento tenuto al convegno “Momenti e figure della Resistenza nel Tigullio. Una storia che non può essere travisata”, organizzato dall’Istituto ligure per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea (Chiavari, Civico auditorium San Francesco, 23 aprile 2016)

Mino Steiner, figlio di Emerico Steiner, industriale milanese di origine boema, e di Fosca Titta, sorella del baritono Titta Ruffo, è nipote, per legami famigliari, di Giacomo Matteotti. Laureato in giurisprudenza, inizia l’attività lavorativa nello studio dell’avvocato antifascista Lelio Basso. Con l’arrivo degli Alleati in Sicilia, viene contattato dai servizi segreti anglo-americani per il comando della prima missione segreta inviata oltre la linea del fronte in Nord-Italia: la missione “Law”.
Negli ultimi mesi del ’43, a Milano, progetta con Mario Paggi, Antonio Basso, Carlo E. Galimberti, Gaetano Baldacci e altri, un giornale di cultura politica aperto a tutte le idee antifasciste: “Lo Stato Moderno”. Arrestato dalla polizia politica il 16 marzo 1944, viene rinchiuso a S. Vittore, reparto SS; dopo sei settimane è trasferito a Fossoli e da qui il 21 giugno 1944 a Mauthausen. Muore nel sottocampo di Ebensee (Cement) il 28 febbraio 1945. Il libro ne traccia la biografia e riproduce una ampia parte di documenti inediti presenti nell’archivio di famiglia: lettere, scritti, appunti giovanili, bozze di articoli per la stampa, biglietti e corrispondenza clandestina da S. Vittore e da Fossoli.
Scheda di presentazione di Marco E. Steiner, Mino Steiner. Il dovere dell’antifascismo, Unicopli, 2015 

I primi suggerimenti di costituire legioni volontarie combattenti con bandiera italiana accanto agli alleati erano stati dati al generale americano William Donovan, capo dell’O.S.S. (Office of Strategie Service), da Raimondo Craveri e Pasquale Schiano al campo di Pesto e, subito dopo, da Benedetto Croce il 22 settembre [1943] a Capri. A una domanda di Donovan sullo stato d’animo degli italiani Croce rispose che essi erano ansiosi di poter contribuire alla liberazione della propria terra combattendo accanto alle armate alleate […] una parte degli uomini che erano stati raccolti da Pavone, furono rilevati da Craveri per l’ORI (Organizzazione per la Resistenza Italiana), che egli reclutò per l’OSS ( Office of Strategic Services) dopo essere stato avvicinato a Capri nel settembre dal generale Donovan. Lo aiutava nell’impresa uno scienziato napoletano, il dottor Enzo Boeri, le cui simpatie politiche (come quelle di Craveri) oscillavano fra il PDA e il PLI. Coordinata dall’OSS, l’ORI operava spesso in più stretti rapporti con i CLN e i partiti politici che non le SF (Special Force) britanniche. Fin dal settembre l’ORI collaborò alla spedizione della prima missione alleata (Law) nel Nord. Trasportata da un sottomarino e diretta a Lavagna in Liguria, essa era guidata da un nipote di Matteotti, Guglielmo (Mino) Steiner, e comprendeva Fausto Bazzi e Guido De Ferrari. Alla missione si aggiunsero poi Piero Caleffi del Pd'A di Genova ed altri, tra cui il radiotelegrafista Giuseppe Cirillo che più tardi proseguì la sua attività presso la direzione milanese della Resistenza. Nell’ottobre l’ORI di Craveri stabilì un contatto radio con il servizio informazioni clandestino della Otto, appena organizzato a Genova da Ottorino Balduzzi, sostenitore a quell’epoca del PDA. [..] Parri fu in grado di servirsi frequentemente dei servizi della Otto e di comunicare grazie a essa con gli Alleati. Sia l’ORI che le SF si servirono in seguito regolarmente del servizio informazioni della Franchi che le succedette, istituito da Edgardo Sogno e da altri autonomi.
Donato Peccerillo, I partigiani mancati del Sud, ANPI Brindisi

domenica 10 dicembre 2023

L'estate del 1944 rappresentò il momento di massima espansione per il movimento partigiano friulano

Udine: Via V. Veneto. Fonte: mapio.net

Parallelamente, nei primi mesi del 1944, si costituirono le formazioni osovane. Difatti, come accennato nel precedente capitolo, nel dicembre 1943 fu decretata la nascita della Brigata «Osoppo-Friuli» su impulso del Comitato di Liberazione provinciale di Udine.
Il 14 febbraio 1944, a seguito di una riunione dei molti esponenti osovani, avvenuta nel Tempio Ossario di Udine, fu delineata la struttura militare che avrebbe assunto la Brigata.
«Osoppo-Friuli»: innanzitutto, una formazione mobile di montagna la cui zona di insediamento dei primi nuclei sarebbe stata la Val d’Arzino, più precisamente tra Anduins, Pielungo, S. Francesco e i monti circostanti; il Comando Osoppo (costituito nei primi mesi del ’44 e situato nel castello Ceconi a Pielungo) avrebbe agito militarmente in autonomia dal C.L.N, riconoscendone solo la direzione politica del movimento; l’Esecutivo Militare <83 (cioè l’organo militare) avrebbe funzionato come organo di collegamento fra la brigata e il C.L.N., con la mediazione dei rappresentanti democristiani e azionisti; al comando della Brigata sarebbe stato posto Candido Grassi “Verdi” <84.
A questa nuova formazione, tra marzo e aprile, si unirono molti partigiani provenienti dalla pianura friulana. Il 25 marzo 1944 fu costituito a Pielungo il Btg. «Italia», a cui si aggiunsero in seguito diversi nuclei già presenti nella zona, quali: i nuclei di Verzegnis, di Lateis di Sauris, di Caneva-Vinaio e infine quello di Cludinico. Nella zona carnica, più precisamente sull’altopiano di Lauco, nell’aprile 1944 fu formato un secondo battaglione osovano, ossia il Btg. «Carnia». Sul Piancavallo, invece, nella «Osoppo» confluirono alcuni gruppi già organizzati in pianura, di diversa aspirazione politica: tra Sacile e Conegliano i già citati gruppi di Pietro Maset «Maso» e dalla zona di Caneva di Sacile i gruppi monarchici <85.
3.2.1. Lo sviluppo delle formazioni osovane e garibaldine
Si può certamente affermare che l’estate del 1944 rappresentò il momento di massima espansione per il movimento partigiano friulano. Alle formazioni già esistenti se ne affiancarono molte altre, diventando così dei grandi battaglioni, brigate, o addirittura divisioni, con un raggio d’azione territoriale ben definito.
È necessario, quindi, fornire una descrizione complessiva - per le aree territoriali che interessano il tema qui trattato - di quelle forze che confluirono e si svilupparono nelle due formazioni partigiane centrali nella Resistenza friulana, ossia la Brigata «Garibaldi» e la Brigata «Osoppo».
Nelle formazioni garibaldine si formarono i seguenti battaglioni:
Nella zona carnica: il Btg. «Carnia», il Btg. «Carnico» e il Btg. «Mazzini 2°» (derivante dall’omonimo distaccamento che agirà nella zona sud della Val Cellina, stabilendosi nella zona di Frisanco, Poffabbro, Pala e Barzana);
Nella zona sud-est, più precisamente nella Val d’Arzino, Meduna e nella Pedemontana: il Btg «Garibaldi» (derivato dalla fusione dei precedenti reparti «Pala», «Zavagno» e «Weber»); il Btg. «Pisacane» e il Btg. «Matteotti» (costituito il 1° Maggio sul Monte Prat), a cui si aggiungerà il 20 giugno, formatosi in Val Cellina, il Btg. «Nino Bixio».
Con il medesimo schema illustriamo i battaglioni che si costituirono nelle formazioni osovane:
Nella zona della Val Cellina: il Btg. «Piave», formatosi sul Piancavallo da alcuni distaccamenti già esistenti;
Nella zona carnica: a fianco al Btg. «Carnia», si aggiunse il Btg. «Tagliamento», costituito il 1° maggio in Val di Verzegnis <86.
Si può quindi affermare che, alla fine del giugno 1944, le forze delle formazioni osovane (Figura 3.2.) <87 e di quelle garibaldine (Figura 3.3.) <88 si estesero notevolmente, per continuare ad aumentare nei mesi successivi.
 

Figura 3.2. Le formazioni partigiane osovane a fine giugno 1944. Fonte: Gioia Vazzaz, op. cit. infra

Figura 3.3. Le formazioni garibaldine a fine giugno 1944. Fonte: Gioia Vazzaz, op. cit. infra

Nel mese del luglio 1944, ad entrambe le formazioni si aggiunsero nuovi battaglioni, aumentando ulteriormente la forza partigiana presente nel territorio.
Alle forze garibaldine già esistenti si aggiunsero i seguenti battaglioni: nella Val d’Arzino,
Meduna e nella Pedemontana, quindi la zona nord-est, dai distaccamenti del Btg. garibaldino
«Matteotti» a metà luglio si formarono altri due battaglioni, il «Gastone Sozzi» e «Stalin <89»; nella zona carnica, il 25 luglio, il Btg. «Carnia» si divise in due battaglioni, quali «Aulo Magrini» e «Antonio Gramsci» e in Valcellina, il 15 luglio, prese vita il Btg. «A. Gramsci». Nelle formazioni osovane, invece, confluirono: il 3 luglio 1944 il Btg. «Libertà», il 12 luglio il Btg. «Patria», il 19 luglio il Btg. «Giustizia» e il 29 luglio il Btg. «Val Meduna», con l’incorporazione del reparto autonomo «Gruppo Alpino Trasaghis-Settore 124» che successivamente sarà il Btg. «Friuli». Infine, i Btgg. «Vittoria» e «Cellina» nel settore della Valcellina. In quest’ultima zona, inoltre, nella metà del luglio 1944, dall’unione di alcuni battaglioni osovani e garibaldini (i Btgg. garibaldini «Nino Bixio», «Gramsci» e «Mazzini 2°»; osovani il «Piave», «Vittoria» e «Cellina») si costituì la Brigata Unificata «Ippolito Nievo A» <90, una parentesi nel travagliato percorso di unificazione dei due comandi di cui si tratterà successivamente.
Un’ulteriore spinta, che accrebbe il richiamo alla lotta di liberazione e l’arruolamento nelle formazioni partigiane, fu dettata dall’emanazione a fine luglio 1944 del bando di leva obbligatorio (esteso a tutte le classi dal 1914 al 1926) dal Gauleiter Friedrich Reiner, supremo commissario tedesco dell’OZAK [Operationszone Adriatisches Kustenland].
[NOTE]
83 Per una migliore comprensione circa l’organizzazione della struttura politica e militare della resistenza, è necessario proporre un breve sunto del processo organizzativo del Movimento di Liberazione italiano. In principio, la costituzione dei Comitati di Liberazione Nazionale (C.L.N.) - la cui nascita è parallela alla formazione delle prime bande partigiane - i quali assunsero il ruolo clandestino di direzione politica e militare e il cui organo militare fu rappresentato dall’Esecutivo Militare. I rapporti tra i C.L.N. e le bande partigiane si rivelarono complessi, principalmente perché queste ultime rifiutarono la subordinazione all’Esecutivo Militare, così verso la fine del 1943 si tentò un coordinamento delle azioni di guerriglia affidato al comando di ufficiali dell’esercito italiano. L’operazione risultò fallimentare e solo nei primi mesi del 1944 si assistette ad una riorganizzazione concreta: le bande iniziali trasformano il loro assetto in battaglioni e brigate; sul piano territoriale nacquero nuovi sistemi organizzativi che, al di sopra dei C.L.N provinciali, videro i C.L.N. regionali e al vertice il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (C.L.N.A.I.) che, su delega del C.N.L. di Roma, assunse il ruolo centrale nella direzione della Lotta di Liberazione nel Nord Italia, G. Gallo, op. cit., pp. 79-80. 84 Ivi, pp. 70-71.
85 Candotti, Le formazioni armate Garibaldi e Osoppo dalla loro origine all’offensiva nemica…, cit., p.30.
86 Ivi, p. 31.
87 Giampaolo Gallo, La Resistenza in Friuli 1943-1945, Udine, Istituto Friulano per il Movimento di Liberazione, 1988, p. 72.
88 Ivi, p. 78.
89 Mario Candotti, Il Battaglione “Stalin”, in “Storia contemporanea in Friuli”, a. 5, n. 6, 1975, p. 146.
Per un approfondimento, il Btg. Stalin fu composto da soldati sovietici, fuggiti dai campi di prigionia e di lavoro tedeschi, che operò in un primo tempo nella zona di Cornino-Forgaria e in seguito sul Monte Prat, in un primo tempo a fianco del Btg. garibaldino «Matteotti» (trasformato in seguito nella Brigata «Garibaldi-Picelli»).
90 Candotti, Le formazioni armate Garibaldi e Osoppo dalla loro origine all’offensiva nemica…, cit., p. 31-32.
Gioia Vazzaz, Soggettività e oggettività nell'opera storiografica di Mario Candotti, Università degli Studi di Trieste, Anno accademico 2021-2022

venerdì 1 dicembre 2023

Mafia capitale affonda le proprie radici nella Roma degli anni ottanta, dove a predominare erano l'eversione nera e la Banda della Magliana

Roma: scorcio di una periferia. Foto: D.D.

A cosa ci riferiamo veramente quando parliamo di Mafia Capitale? Un concetto molto forte che lascia ben poco spazio a interpretazioni o equivoci di alcun genere, è di pubblico dominio la consapevolezza di trovarsi di fronte ad un'organizzazione criminale, un'associazione di stampo mafioso dinamica con ampi margini di autonomia, in grado di far valere il proprio peso intimidatorio attraverso il conseguimento di comuni obiettivi, anelando ad un'inevitabile scalata al potere, un'ascesa inarrestabile che perdura da anni e non intende placarsi <32.
Banda della Magliana e movimenti eversivi della destra romana rappresentano i due punti fermi dai quali Mafia Capitale trae origine ereditandone interpreti e modalità d'azione, un macchinario perfetto in grado di delineare un complesso d'interessi, leciti e illeciti, che oscillano tra ciò che viene definito il “Mondo di sopra” e il “Mondo di sotto”, tra imprenditori apparentemente ligi al dovere e la malavita sollecita a garantire i propri servigi <33.
Il “mondo dei vivi e quello dei morti” <34 per usufruire di un'intercettazione passata alla storia che vede protagonista Massimo Carminati, noto ex terrorista NAR, al quale si ascrive la teoria del “Mondo di mezzo”, il quale posizionandosi nell'area di confine tra i differenti “mondi” ha costantemente usufruito della conseguente abilità di insinuarsi all'interno di ciascuno di essi usufruendo - nel momento più opportuno - degli espedienti e delle risorse dell'altro, avviando irreversibilmente, come sostenuto dal Giudice Flavia Costantini, “una trade-union tra mondi apparentemente inconciliabili” <35.
Ardentemente lo desiderava la Banda della Magliana, altrettanto fervidamente lo bramano i suoi eredi: conquistare Roma! Una realtà che affonda le proprie radici nella Roma degli anni ottanta, dove a predominare erano quindi l'eversione nera e la Banda della Magliana, che arriva inesorabilmente ai giorni nostri, pronta ad evidenziare una linea di continuità con il passato che non sembra voler volgere ad un suo epilogo definitivo, individuando nell'attività criminale dei proseliti di Massimo Carminati i peculiari aspetti del crimine organizzato <36.
Passato e presente continuano incessantemente il loro “dialogo”, volti di ieri con quelli di oggi, tutto si mescola ma nulla cambia, per quanto avventata possa risultare una papabile correlazione tra il “Mondo di Mezzo” e il sostrato criminale romano degli anni ottanta. Ancora oggi non esistono smentite oggettive atte a screditare questa convinzione di base.
Il legame con la Banda della Magliana delinea infatti solo uno dei fattori su cui si impernia la forza intimidatoria dell'organizzazione, la quale si avvale di suddetta derivazione come espediente per rafforzare la levatura dei suoi affiliati, sfruttandone altresì il “successo mediatico” che ne ha innegabilmente conferito il carattere prevaricatore di “mafiosità” <37.
Un gruppo criminale organizzato come quello della Magliana, incline ad attività criminali indiscutibilmente facinorose e redditizie, tra le quali si annoverano il traffico e lo spaccio di droga, il gioco d'azzardo e il possesso di armi, hanno rappresentato un'eredità rispettabile che il “Mondo di Mezzo” ha accolto con ben poca riluttanza, raggiungendo un progresso evolutivo ragguardevole nel quale il ricorso ai soprusi e ai crimini emblematici delle organizzazioni mafiose di un tempo si è cominciato pian piano ad affievolire <38. Estorsioni e recupero crediti rappresentano solo in parte la schiera di attività in cui Carminati e altri suoi soci erano coinvolti, con il fine ultimo di avere il totale controllo del territorio. Un giro di affari che con il protrarsi del tempo non rendeva più giustizia alla caratura criminale dell'organizzazione stessa: era necessario un salto di qualità che mostrasse o - quantomeno - incrementasse tutto il peso dissuasivo che tanto aveva contraddistinto questa organizzazione sino a quel momento.
Il “Mondo di mezzo” emancipandosi dallo scarno giro di affari tanto decantato agli albori, ha ben presto vestito i panni di un'associazione consacrata al controllo di appalti e sovvenzioni pubbliche del Comune di Roma, nel campo, tra le molteplici operazioni, della creazione di centri di accoglienza per richiedenti asilo, inquinando tenacemente e faticosamente con metodi corruttivi diramati, le scelte politiche e l'operato della pubblica amministrazione, ponendo l'accento sulla minaccia che l'associazione nel suo complesso e dei singoli affiliati può rappresentare, i quali "le hanno coscientemente fatte convergere verso l'attuazione delle loro efferate finalità" <39.
Questa situazione ingarbugliata ha inevitabilmente posto l'attenzione sul business degli immigrati, condannando cooperative dedite alla gestione delle case d'accoglienza le quali, illecitamente, guadagnano a discapito di chi arriva speranzoso in cerca di fortuna, a spese di chi ha vissuto nella disperazione ed è ora più che mai alla ricerca di una pace smarrita all'interno del proprio paese <40. Un investimento oltremodo fruttuoso capace di superare 40 milioni di euro annui, congiunto alla gestione dei campi rom, coordinata dalla cooperativa 29 giugno e dalle cooperative specializzate nei Msna i quali vengono appaltati a cooperative ben più modeste rappresentate da opportunisti camuffati da effimeri industriali <41.
Mafia Capitale non doveva più solo essere in grado di fornire un'adeguata tutela o servigi alle imprese, ma altresì entrare in affari a pari merito con imprenditori (e non solo) fornendo appoggi e connivenze al fine di imbastire un particolare vincolo tra politica e settore imprenditoriale, garantendo ai partiti politici il finanziamento doveroso al loro sostentamento, una spartizione degli introiti derivanti da business redditizi associati alla gestione della res-pubblica <42.
[NOTE]
32 Renzi, Valerio. (2014). La Mafia Capitale che regnava sul “mondo di mezzo” nelle intercettazioni di Carminati. Fanpage.it
33 Renzi, Valerio. (2014). La Mafia Capitale che regnava sul “mondo di mezzo” nelle intercettazioni di Carminati. Fanpage.it
34 Calandra, Raffaella. (2018). Le mani su Roma, dalla banda della Magliana fino a Mafia capitale. Il Sole 24 Ore.
35 (2014). Banda della Magliana ed eversione nera: le origini di Mafia Capitale. Roma Today.
36 Calandra, Raffaella. (2018). Le mani su Roma, dalla banda della Magliana fino a Mafia capitale. Il Sole 24 Ore.
37 (2014). Banda della Magliana ed eversione nera: le origini di Mafia Capitale. Roma Today.
38 (2017). Mafia Capitale, giudici: nessun legame con banda Magliana. Ask a news.
39 Zitelli, Andrea. (2017). Mafia Capitale, tutto quello che c’è da sapere su inchiesta e processo. Valigia Blu.
40 (2017). La storia di Mafia Capitale. Il Tabloid.
41 (2017). La storia di Mafia Capitale. Il Tabloid.
42 (2017). Mondo di mezzo: niente mafia, solo corruzione. Ecco le motivazioni della sentenza. Roma Today.
Gianluca Righi, Mafia capitale e il business dei migranti, Tesi di laurea, Università Luiss "Guido Carli", Anno accademico 2017-2018

Il caso “Mafia capitale” prende le mosse dall’inchiesta “Mondo di mezzo” condotta dalla procura di Roma, che ha ipotizzato la presenza di una mafia autoctona nel territorio romano.
Il caso in esame presenta elementi di particolare interesse, e dimostra ancora una volta (come già visto per il caso Fasciani) le difficoltà interpretative e le oscillazioni giurisprudenziali che comportano la nascita di nuove consorterie criminali.
La vicenda trae origine dalle indagini che avevano portato alla luce la presenza di due organizzazioni criminali facenti capo a Salvatore Buzzi e Massimo Carminati.
Queste due consorterie erano inizialmente separate, secondo la ricostruzione degli inquirenti, e dedite a settori criminali differenti. L’associazione facente capo a Carminati era principalmente dedita all’attività estorsiva nei confronti degli imprenditori, invece, il gruppo criminale facente capo a Buzzi, era dedita all’attività corruttiva, volta a pilotare appalti e concessioni. Successivamente queste due associazioni, sempre secondo la ricostruzione degli investigatori, si sarebbero fuse in un’unica organizzazione criminale, fondendo il know how acquisito nei rispettivi campi di interesse. L’associazione di Buzzi garantiva la protezione e il favore delle istituzioni, l’associazione di Carminati costituiva il braccio armato e più propenso al ricorso di atti di violenza e minaccia per raggiungere i propri obiettivi.
Occorre sottolineare come per le due associazioni fosse particolarmente importante la caratura criminale dei propri capi. Carminati era un ex terrorista dei Nar, già pregiudicato, Buzzi invece presentava un passato molto vicino all’estremismo di sinistra.
La fusione delle due organizzazioni avrebbe quindi dato vita alla nascita di un’unica associazione in grado di assoggettare attraverso una forza di intimidazione scaturente dalla fama criminale dei capi, e dal ricorso alla violenza presente nel background dell’associazione di Carminati e all’attività corruttiva presente nell’organizzazione di Buzzi.
La vicenda presenta particolare importanza non solo per la questione riguardante la nascita di un’associazione di tipo mafioso autoctona, ma anche in considerazione del metodo mafioso. Infatti, bisogna subito sottolineare come dalla ricostruzione operata dagli inquirenti, il metodo mafioso sarebbe stato acquisito dall’associazione in virtù della caratura criminale dei capi. In buona sostanza, i capi dotati di una propria fama criminale, sarebbero stati in grado di trasferire il metodo mafioso all’intera organizzazione, facendo sì che non fosse più il singolo ad essere dotato di forza di intimidazione ma la consorteria.
Un ulteriore elemento di interesse si rinviene nell’attenzione ad una forza di intimidazione che non si forma solo per mezzo di atti violenti, ma anche attraverso il ricorso ad una sistematica pratica corruttiva, in grado di escludere i soggetti che non si piegano al sistema criminale.
Le particolarità del caso di specie sono emerse nel corso della vicenda giudiziaria. Le diverse pronunce necessitano un’attenta analisi, e forniscono importanti spunti, non solo sulla ricostruzione della vicenda, ma anche sull’applicabilità dell’art. 416 bis c.p. ad associazioni autoctone, sull’assimilazione tra criminalità politico-imprenditoriale e criminalità di tipo mafioso, e della possibilità di configurare il metodo mafioso in contesti di corruzione sistemica <322.
Iniziando l’analisi della vicenda dalla prime pronunce, la Suprema Corte di Cassazione con due sentenze <323 in sede cautelare conferma il piano accusatorio prospettato dalla procura, riconoscendo la presenza di un’unica associazione criminale, le cui attività e modus operandi sono riconducibili al tipo di cui all’art. 416 bis c.p. In particolare, la Suprema Corte formula il principio di diritto secondo cui: “ai fini della configurabilità del reato di associazione per delinquere di stampo mafioso, la forza intimidatrice espressa dal vincolo associativo dalla quale derivano assoggettamento e omertà può essere diretta tanto a minacciare la vita o l’incolumità personale, quanto, anche o soltanto, le essenziali condizioni esistenziali, economiche o lavorative di specifiche categorie di soggetti. Ferma restando una riserva di violenza nel patrimonio associativo, tale forza intimidatrice può venire acquisita con la creazione di una struttura organizzativa che, in virtù di contiguità politico-elettorali, con l’uso di prevaricazioni e con una sistematica attività corruttiva, esercita condizionamenti diffusi nell’assegnazione di appalti, nel rilascio di concessioni, nel controllo di settori di attività di enti pubblici o di aziende parimenti pubbliche, tanto da determinare un sostanziale annullamento della concorrenza o di nuove iniziative da parte di chi non aderisca o non sia contiguo al sodalizio”.
La pronuncia, come detto, assume particolare rilevanza sotto il profilo del metodo mafioso. Infatti, la Corte espressamente afferma che la forza di intimidazione può essere acquisita, ferma una riserva di violenza <324, anche dal ricorso ad una pratica corruttiva sistemica, in grado di annullare la concorrenza o la possibilità di accedere al mercato da parte di chi non aderisca al sodalizio.
[NOTE]
322 E. MAZZANTINI, Il delitto di associazione di tipo mafioso alla prova delle organizzazioni criminali della “zona grigia”. Il caso di Mafia capitale, in Arch. pen. web, 11 dicembre 2019, p. 9 ss.
323 Cass., sez. VI pen., 10 marzo 2015 [dep. 9 giugno 2015], n. 24535, Pres. Agrò, Rel. De Amicis; Cass., sez. VI pen., 10 marzo 2014 [dep. 9 giugno 2015], n. 24536, Pres. Agrò, Rel. Mogini.
324 Critica sul punto: D. FALCINELLI, Della mafia e di altri demoni. Storie di Mafie e racconto penale della tipicità mafiosa (Spunti critici estratti dal sigillo processuale su Mafia Capitale), in Arch. pen., 2020 n.2, p.2 ss.
Baldo Morello, Il metodo mafioso alla prova delle nuove manifestazioni criminali, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Palermo, Anno accademico 2020-2021

Durante il periodo della detenzione di Fioravanti il gruppo amalgamatosi dentro la sede del FUAN cominciò a disgregarsi, con un filone che cominciò a vagheggiare la costituzione di comuni agricole (che Fioravanti definì sarcasticamente “fascisti bucolici”) e uno scollamento della stessa frangia illegalista, involuta in un atteggiamento essenzialmente impolitico del tutto improduttivo o, in qualche caso, produttivo soltanto in termini strettamente criminali. È in quel periodo infatti che Alibrandi e Cristiano Fioravanti vengono attratti, tramite Massimo Carminati, ex missino proveniente dalla stessa sezione di Anselmi e come questo ex compagno di classe di Valerio Fioravanti, dai successi criminali della banda della Magliana. Dalla conoscenza di Calore derivò soprattutto il progetto di far evadere Pierluigi Concutelli, che comportò il mutamento della natura dei NAR e ne condizionò le vicende per il resto della loro esistenza. Vale la pena seguire i passaggi di tale mutamento, che si svolsero in poco tempo, meno di un mese. Il proposito di agevolare l'evasione del “comandante” arrivò a Fioravanti dai dirigenti di Terza Posizione, fin lì frequentata soltanto in ragione dell'ubiquità di Dimitri e perché Nistri aveva chiesto a Fioravanti due o tre pistole come dotazione per il Nucleo Operativo. Un dirigente siciliano di TP, Francesco Mangiameli, molto amico di Concutelli, diede l'input del progetto a Roberto Fiore, e questi a Dimitiri. Il 22 novembre Dimitri e Fioravanti, accompagnati da Nistri, si recarono a Tivoli da Calore per esporgli i loro propositi <329. Cinque giorni dopo Fioravanti e Dimitri andarono con Alibrandi, Carminati e l'avanguardista Domenico Maglietta, a rapinare la filiale romana della Chase Manhattan Bank, in piazza Marconi all'EUR. La rapina fruttò più di cento milioni di lire in contanti e più di duecentomila dollari in traveler's cheque, il cui riciclaggio venne appunto affidato alla banda della Magliana <330. La riuscita della rapina, mitizzata da molti e per molto tempo, fu in realtà dovuta alla collaborazione dall'interno di due cassieri e di un metronotte, ex missini della sezione della Montagnola <331.
[...] In ottobre i NAR, ormai senza più nessun freno, prepararono un attentato contro il capitano della DIGOS Francesco Straullu, accusato di violenze durante gli interrogatori e di aver circuito la compagna di Egidio Giuliani, del giro di Costruiamo l'azione, vantandosene con questo, nonché di avere quasi ucciso Massimo Carminati al confine con la Svizzera, mentre questi cercava di espatriare, nell'aprile precedente. Il 21 ottobre, ad Acilia, nella periferia meridionale di Roma, Giorgio Vale e Francesca Mambro lo attesero sotto casa, facendo da staffetta con Cavallini, Alibrandi e Sordi appostati all'altro capo del sottopassaggio di Ponte Ladrone che era solito percorrere. Convinti di dover sparare contro un veicolo blindato, i NAR si procurarono armi da guerra che tuttavia scaricarono contro una Ritmo tutt'altro che blindata, massacrando Straullu e l'agente Di Roma che era al volante <369.
[NOTE]
329 Cfr. Archivio Pio La Torre, Atti processuali, 4, Ordinanza-sentenza di rinvio a giudizio, “Ordinanza sentenza emessa nel procedimento penale contro Greco Michele+18 per gli omicidi Reina-Mattarella-La Torre-Di Salvo”, Tribunale di Palermo - Ufficio Istruzione processi penali, n. 3162/89 A- PM; n. 1165/89 RGUI, v. 4, cap, III, Le dichiarazioni di Giuseppe Dimitri […], pp. 539-545.
330 Cfr. Le prove di una rapina in un covo di fascisti, in «La Stampa», 25/11/1980; La mala riciclava i milioni rapinati da bande fasciste, in «l'Unità», 25/11/1980. Gli articoli si riferiscono all'arresto di Franco Giuseppucci, Maurizio Abbatino e Giorgio Paradisi, in seguito il ritrovamento in casa di quest'ultimo di diecimila dollari provenienti dalla rapina. Le indagini collegarono la rapina al covo di via Alessandria scoperto a metà dicembre, identificando tre dei documenti e le divise da guardia giurata lì ritrovati rispettivamente in quelli presi alle donne delle pulizie della banca ed in quelle usate dai rapinatori.
331 Cfr. la testimonianza di V. Fioravanti in N. Rao, Il piombo e la celtica, cit., p. 231.
369 Cfr. Roma, capitano e agente Digos massacrati dai terroristi neri, in «La Stampa», 22/10/1981; Roma: atroce agguato nero, in «l'Unità», 22/10/1981.

Carlo Costa, "Credere, disobbedire, combattere". Il Neofascismo a Roma dai FAR ai NAR (1944-1982), Tesi di dottorato, Università degli studi della Tuscia - Viterbo, 2014

martedì 21 novembre 2023

Minore fortuna, invece, incontrò il secondo articolo proposto da Basso sulle attribuzioni costituzionali dei partiti


La genesi della disciplina dei partiti politici in Costituzione ha rappresentato un passaggio particolarmente significativo nella composizione del quadro istituzionale della costruenda Repubblica.
L’esplicita menzione della figura del partito nella Carta costituzionale1 è stata, da più parti, celebrata <2 per la sua primogenitura nel contesto giuridico comparato europeo <3. Questa scelta, in realtà, rappresentava lo sbocco naturale dell’esperienza istituzionale del Comitato di Liberazione Nazionale <4 che il Paese aveva conosciuto all’indomani della caduta del regime fascista: erano stati i partiti, riuniti all’interno del CLN <5 in posizione paritetica <6, a guidare quella delicata fase di transizione e ad assicurare una stabilità dell’assetto istituzionale tale da fargli guadagnare il riconoscimento di «autentici “padri della Costituzione”» <7.
Il comune sostrato antifascista ha continuato a fornire anche nella fase costituente una spinta propulsiva per addivenire ad una disciplina condivisa sul tema dei partiti. I vari schieramenti, che pure restavano aspramente contrapposti sul piano ideologico, trovarono un punto di incontro che, tenendo nella dovuta considerazione quella virtù originale, li spinse ad adottare una complessiva regolamentazione costituzionale dal carattere marcatamente garantista.
La discussione sulle libertà politiche, entro le quali rientrava la prima formulazione dell’art. 49 <8, fu incardinata da Merlin e Mancini <9 sulla base di un assunto fattuale dal quale il futuro dato giuridico non avrebbe potuto prescindere: posto che «i partiti sono una realtà che è inutile fingere di ignorare», «non è affatto vero che costituiscano un male, per quanto necessario», anzi «costituiscono un bene, che va riconosciuto e protetto» <10. La Repubblica di cui si stavano gettando le basi aveva bisogno dei partiti e, in particolare, di un sistema pluralistico, in contrapposizione al modello fascista del partito unico «che non deve avere giammai diritto di cittadinanza nell’Italia democratica» <11.
Le considerazioni - pur sintetiche - dei relatori facevano affiorare una più profonda e significativa evoluzione che era ormai maturata nel rapporto fra Stato e partito, e che comportava una netta preferenza per un modello di Legalisierung.
La formulazione presentata in sede di prima sottocommissione conteneva, pertanto, un’enunciazione a livello costituzionale del diritto dei cittadini a organizzarsi in partiti formati con metodo democratico, che veniva temperata, però, da una forma di controllo interno a maglie larghe, nonché dall’apposizione di una riserva di legge ordinaria non rinforzata <12.
Ad essa si contrappose la proposta sostitutiva di Basso <13, di matrice organicistica, nella quale si introduceva per la prima volta il concetto del “concorso” nella determinazione della politica nazionale e si avanzava la possibilità di assegnare «attribuzioni di carattere costituzionale» ai partiti maggiormente rappresentativi del corpo elettorale.
Nel dibattito sorto fra le due impostazioni si inserì l’intervento di Togliatti, il quale, sostenendo che, in forza della prima proposta, un futuro Governo avrebbe potuto colpire le minoranze tramite legge ordinaria <14, suggerì di rendere manifesta una sola limitazione: quella nei confronti del partito fascista <15, «perché si deve escludere dalla democrazia chi ha manifestato di essere il suo nemico» <16.
Attraverso questo stratagemma l’esponente comunista non solo ottenne la circoscrizione delle possibili limitazioni in materia partitica ad un fatto storicamente determinato <17, non suscettibile di interpretazioni faziose, ma riuscì anche a far cadere la possibilità di un successivo intervento del legislatore ordinario <18: una norma “chiusa” a livello costituzionale <19 rappresentava, infatti, la migliore garanzia per il suo partito <20. Tale proposta venne favorevolmente accolta in primis da Basso <21 e, poi, da tutti gli altri esponenti, come hanno dimostrato sia la sua approvazione all’unanimità in Sottocommissione che la successiva pedissequa trasposizione nella XII disposizione finale, comma 1, della Costituzione <22.
Minore fortuna, invece, incontrò il secondo articolo proposto da Basso sulle attribuzioni costituzionali dei partiti: dopo un acceso dibattito in sede di commissione - che si era positivamente espressa sulla sua adozione - la trattazione venne rinviata ad un esame congiunto con la seconda sottocommissione <23 che, però, non avvenne mai <24.
All’attenzione del plenum della Costituente, pertanto, fu sottoposta una formulazione della norma <25 che, su un piano strettamente linguistico, rispecchiava quasi integralmente quella attualmente vigente; il tratto percorso fra la disposizione proposta e quella approvata è stato, però, solo apparentemente di breve respiro.
La deliberazione finale ha rappresentato, infatti, il frutto di una seria discussione, nella quale emersero istanze di primario rilievo che, pur essendo state allora accantonate, hanno continuato ad alimentare il dibattito dottrinario e si sono riaffacciate con pressante urgenza nel quadro istituzionale contemporaneo.
[NOTE]
2 U. MERLIN in ASSEMBLEA COSTITUENTE, Seduta del 22 maggio 1947, 4162, sottolinea che «è la prima volta che in una Carta statutaria entrano i partiti con una propria fisionomia, con una propria organizzazione e quindi con la possibilità domani che a questi partiti si affidino dei compiti costituzionali»; dello stesso avviso anche A. PREDIERI, I partiti politici, in P. CALAMANDREI - A. LEVI (a cura di), Commentario sistematico alla Costituzione italiana, Firenze 1950, 197 e G.D. FERRI, Studi sui partiti politici, Roma 1950, 128, che evidenzia come «l’art. 49 è un fatto nuovo nella storia costituzionale. Per la prima volta il partito politico viene considerato da una Costituzione in senso formale, direttamente e unitariamente, ossia in quanto organizzazione e per la sua specifica funzione»; v., ancora, E. CHELI, Intorno al problema della regolazione dei partiti politici, in Studi senesi, n. 2/1958, 235.
3 La Costituzione della quarta repubblica francese del 1946, nonostante la proposta avanzata da Sognel (sulla quale v. supra nell’introduzione, nota 16) non conteneva riferimenti ai partiti, a differenza di quella della quinta repubblica che li richiama all’art. 4. Il testo costituzionale tedesco, che se ne occupa diffusamente, è entrato in vigore nel 1949.
4 V., fra gli altri, C. LAVAGNA, Comitati di liberazione, in Enc. dir., VII (1960), 779 ss.; V. CRISAFULLI, I partiti nella Costituzione, in Jus, 1969, 14; P. RIDOLA, Partiti politici, in Enc. dir., XXXII (1982), 76; C.E. TRAVERSO, Partito politico e ordinamento costituzionale: contributo alla determinazione della natura giuridica del partito politico, Milano 1983, 120; A. CARDINI, I partiti e la costituente, in Studi senesi, n. 3/2008, 381 ss.; S. MERLINI, I partiti politici, il metodo democratico e la politica nazionale, in AA.VV., Partiti politici e società civile a sessant’anni dall’entrata in vigore della Costituzione, Annuario AIC 2008, Napoli 2009, 52 ss.
5 A. PREDIERI, op. cit., 193 sottolinea che la particolare composizione del CLN, i cui membri erano i partiti in prima persona, che designavano e sostituivano ad nutum i membri, ricorda da vicino la nota proposta di H. KELSEN, Das Problem des Parlamentarismus, Vienna-Lipsia 1924, in trad. it. di B. Fleury, Il problema del parlamentarismo, in La democrazia, Bologna 2010, 167, il quale avanzava l’ipotesi di «lasciare al partito la facoltà di delegare, scegliendoli dal proprio seno, secondo il bisogno, per la discussione e la deliberazione delle diverse leggi, i competenti di cui esso dispone, i quali parteciperebbero ogni volta alla deliberazione con quel numero dei voti che spetta al partito in base alla proporzionale» (enfasi testuale).
6 Secondo la ricostruzione offerta da P. RESCIGNO, Sindacati e partiti nel diritto privato, in Jus, n. 1/1956, 12, il CLN è stato un «organo di fatto dello Stato» fino a quando i poteri non
sono stati assunti dal governo militare alleato (1 giugno 1945) per divenire, da quel momento in avanti, «un’associazione di fatto […] con lo scopo di consulenza della pubblica amministrazione».
7 V. CRISAFULLI, op. et loc. ult. cit.
8 Che era stato originariamente rubricato come art. 47. La ricostruzione dei lavori dell’Assemblea Costituente sui partiti politici è stata già condotta da amplissima dottrina; nel presente scritto, pertanto, si cercheranno di valorizzare solo i profili più importanti emersi dalle varie proposte e gli interventi in Aula maggiormente significativi. V. ex multis: v. A. PREDIERI, op. cit., 195 ss.; C. ESPOSITO, I partiti nella Costituzione italiana, in Arch. giur. Filippo Serafini, fasc. n. 1-2/1951, 3 ss., ora in ID., La Costituzione italiana. Saggi, Padova 1954 (la presente e le successive citazioni devono intendersi riferite alla prima pubblicazione); L. BASSO, Il partito nell’ordinamento democratico moderno, in ISLE, Indagine sul partito politico, tomo 1, Milano 1966, 64 ss.; ID., Considerazioni sull’art. 49 della Costituzione, in ISLE, Indagine sul partito politico, tomo 1, Milano 1966, 141 ss.; C.E. TRAVERSO, La genesi storico-politica della disciplina dei partiti nella costituzione italiana, in Il Politico, n. 1/1968, 282 ss.; ID., Partito politico, cit., 135 ss.; P. RIDOLA, op. cit., 72 ss.; F. LANCHESTER, Il problema del partito politico: regolare gli sregolati, in Quad. cost., n. 3/1988, 442 ss.; G. PASQUINO, op. cit., 7 ss.; P. SCOPPOLA, La repubblica dei partiti, evoluzione e crisi di un sistema politico (1945-1996), Bologna 1997, 212 ss.; G. RIZZONI, sub art. 49, in R. BIFULCO - A. CELOTTO - M. OLIVETTI (a cura di), Commentario alla Costituzione, vol. I, Torino 2006, 981 ss.; G.E. VIGEVANI, sub art. 49, in S. BARTOLE - R. BIN (a cura di), Commentario breve alla Costituzione, fondato da V. Crisafulli - L. Paladin, Padova 2008, 497 ss.; L. ELIA, A quando una legge sui partiti?, in S. MERLINI (a cura di), La democrazia dei partiti e la democrazia nei partiti, Firenze 2009, 51 ss.; S. MERLINI, op. cit., 62 ss.; P. MARSOCCI, Sulla funzione costituzionale dei partiti e delle altre formazioni politiche, Napoli 2012, 111 ss.; F. SCUTO, La democrazia interna dei partiti: profili costituzionali di una transizione, Torino 2017, 12 ss. V., poi, i resoconti dell’Assemblea Costituente reperibili sul sito internet della Camera dei Deputati, ai quali si fa riferimento nelle note, e in particolare quelli delle sedute della prima sottocommissione del 19-20 novembre 1946 e del plenum del 22 maggio 1947.
9 I quali furono relatori sull’argomento in seno alla prima sottocommissione.
10 P. MANCINI - U. MERLIN, Relazione su Le libertà politiche, in ASSEMBLEA COSTITUENTE, Atti della Commissione per la Costituzione, vol. II, 30.
11 Ivi, 31.
12 «I cittadini hanno diritto di organizzarsi in partiti politici che si formino con metodo democratico e rispettino la dignità e la personalità umana, secondo i principi di libertà ed eguaglianza. Le norme per tale organizzazione saranno dettate con legge particolare».
13 La proposta constava di due articoli: «Tutti i cittadini hanno diritto di organizzarsi liberamente e democraticamente in partito politico, allo scopo di concorrere alla determinazione della politica del Paese»; «Ai partiti politici che nelle votazioni pubbliche abbiano raccolto non meno di cinquecentomila voti, sono riconosciute, fino a nuove votazioni, attribuzioni di carattere costituzionale a norma di questa Costituzione, delle leggi elettorali e sulla stampa, e di altre leggi». Sulle finalità della proposta e sul dibattito sorto su di essa si vedano, in particolare, le riflessioni di interpretazione autentica contenute in L. BASSO, Il partito, loc. cit., e ID., Considerazioni sull’art. 49, loc. cit.
14 «Un Governo con basi democratiche potrebbe, servendosi dell’articolo in esame, mettere senz’altro il partito comunista fuori legge» in ASSEMBLEA COSTITUENTE, Seduta del 19 novembre 1946 della prima sottocommissione, 403.
15 La proposta recitava: «È proibita, in qualsiasi forma, la riorganizzazione di un partito fascista», ibid.
16 Ibid.
17 Come ebbe modo di precisare ulteriormente nel prosieguo del dibattito in commissione e segnatamente con la modifica della sua proposta in favore della locuzione «…riorganizzazione del partito fascista», op. ult. cit., 404.
18 Secondo C.E. TRAVERSO, Partito, cit., 147 «le minoranze pretesero la condanna formale di un pericolo conclamato ma fittizio, per allontanare l’eventualità di un pericolo sottaciuto ma possibile».
19 «Non la legge deve dettare queste norme, ma solo la Costituzione deve fissare lo sviluppo pacifico della lotta nel Paese», in ASSEMBLEA COSTITUENTE, Seduta del 19 novembre 1946, 405.
20 C.E. TRAVERSO, La genesi, cit., 288.
21 Il quale affermò apertamente che non si doveva «lasciar passare l’occasione per fare una delle poche affermazioni concrete e innovatrici della Costituzione […] finora, in Italia, ci si è preoccupati di assicurare la continuità giuridica dello Stato, evitando ogni aperta condanna del fascismo […] è necessario quindi che nella Costituzione ci sia finalmente un’affermazione concreta e precisa per cui si sappia che tutto ciò che è stato fascista è condannato», ASSEMBLEA COSTITUENTE, Seduta del 19 novembre 1946, 404.
22 La scelta delle norme transitorie e finali come sedes materiae di una norma di tale rilevanza pare che sia stata dovuta a mere esigenze organizzative; sul tema v. amplius nel capitolo III.
23 In particolare, venne approvato un ordine del giorno presentato da Dossetti sulla scorta del quale: «La prima Sottocommissione ritiene necessario che la Costituzione affermi il principio del riconoscimento giuridico dei partiti politici e dell’attribuzione ad essi di compiti costituzionali. Rinvia ad un esame comune con la seconda Sottocommissione la determinazione delle condizioni e delle modalità» in ASSEMBLEA COSTITUENTE, Seduta del 20 novembre 1946 della prima sottocommissione, 415.
24 Lo stesso L. BASSO, Il partito, cit., 67, non seppe dire se la riunione non ebbe luogo per inerzia o per una precisa scelta.
25 «Tutti i cittadini hanno diritto di organizzarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale».
26 V. P. MARSOCCI, op. cit., 115 ss. Secondo A. PREDIERI, op. cit., 195 «I lavori preparatori della Costituzione non fecero che riprodurre, e in sede di lavori della prima sottocommissione e in sede di discussioni generali, il contrasto fra l’esigenza del riconoscimento e della regolamentazione dei partiti e la riluttanza ad ammetterli, dissidio malamente superato con l’introduzione di una formula imprecisa ed elastica, anzi diremmo sempre più imprecisa ed elastica man mano che i lavori proseguivano».
Giuseppe Donato, La funzione costituzionale dei partiti e il sindacato del potere giudiziario, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Messina, 2021

sabato 18 novembre 2023

Dieci prigionieri vennero lasciati a Valpromaro quale garanzia contro ulteriori attacchi partigiani


Gli eventi occorsi di fronte al cimitero di Massarosa erano soltanto il preludio di una stagione di violenza quale il comune e tutta la Versilia non avevano mai sperimentato.
Alla fine di giugno fu la volta di Valpromaro. Questo piccolo abitato sorge sulle boscose colline a nord-est del capoluogo e si trova esattamente sul confine tra Massarosa e Camaiore, tanto che il paese è letteralmente spartito tra i due comuni.
Il 28 giugno [1944] un distaccamento della formazione partigiana «Mulargia», da poco rifondata, si stava spostando nel Lucese in attesa di un aviolancio alleato <568. Attorno all’una e un quarto del mattino del 29 l’avanguardia si scontra però con due portaordini della 65ᵃ Divisione di fanteria della Wehrmacht, i quali vengono uccisi nei pressi di Piazzano, a circa due chilometri a sud-est di Valpromaro.
Il locale comando tedesco venne presto a conoscenza dell’accaduto e si adoperò per effettuare un rastrellamento della zona, che ebbe inizio già all’alba. Vennero catturati 25 uomini residenti a Valpromaro e due cittadini di Torre del Lago che si trovarono loro malgrado a passare per la zona dopo essersi recati a Lucca al mercato. Dieci prigionieri vennero lasciati a Valpromaro quale garanzia contro ulteriori attacchi partigiani, mentre gli altri furono incolonnati e scortati fino a San Macario; tre riuscirono a fuggire durante il percorso. Nel frattempo il parroco del paese, don Chelini, si offrì prigioniero insieme al professor Pizzi, docente di Lettere, riuscendo come contropartita a far liberare 10 prigionieri <569.
La situazione però era ancora molto tesa e precipitò quando un singolo soldato tedesco, risalito da solo fino all’abitato di Gombitelli, iniziò a perpetrare una serie di atti di violenza e di saccheggio. I suoi spari richiamarono un vicino distaccamento di cinque o sei uomini della banda «Ceragioli» che sceso in paese riuscì a catturare il soldato.
Il mattino successivo, 30 giugno, una pattuglia germanica si recò a Gombitelli, ma non fu in grado di trovare traccia né del commilitone né dei partigiani, che ormai si erano sganciati.
La rappresaglia scattò immediata. I militari tedeschi iniziarono bruciando alcune abitazioni del luogo e poi, tornati a Valpromaro, decisero di giustiziare i prigionieri, in tutto 17 persone.
Qui, dopo alcune confuse trattative cinque di essi vennero rilasciati: due parroci, il fratello e il cognato di un tenente della Milizia fascista e il professor Pizzi. I dodici rimasti, tutti di età compresa tra i 17 e i 52 anni, vengono giustiziati in via Piano del Rio <570.
L’azione punitiva di Valpromaro si inserisce appieno nella lotta sempre più aspra tra le formazioni partigiane e le forze nazifasciste; essa è un classico esempio di rappresaglia messa in atto a seguito di un’azione della Resistenza, in questo caso l’uccisione di due staffette della 65ᵃ Divisione e la cattura di un altro militare germanico.
Che però le forze tedesche, nell’effettuare queste azioni, spesso non provassero neppure a cercare eventuali veri fiancheggiatori delle bande partigiane, lo dimostra la vicenda di una delle dodici vittime di quel 30 giugno 1944. Si tratta di Guido Posi, l’unico massarosese ucciso quel giorno. Egli venne infatti catturato mentre si stava recando dal barbiere a farsi la barba. Il parroco di Massarosa, venuto a sapere dell’accaduto, pur temendo la reazione dei tedeschi si recò a Valpromaro con l’autoambulanza e riuscì ad ottenere la consegna del cadavere, che si trovava ancora sul luogo della fucilazione legato agli altri giustiziati. Poté quindi essere riportato nel capoluogo, dove la salma venne lavata e composta nella bara <571.
[NOTE]
568 Fulvetti, Uccidere i civili, cit., p. 203.
569 Ibid.
570 Ivi, pp. 203-204.
571 APM, Cronache 1938-1966 (B-F 65 372), Breve cronistoria della Parrocchia di Massarosa dall’anno 1938.

Jonathan Pieri, Massarosa in guerra (1940-1945), Tesi di laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2013-2014