domenica 30 gennaio 2022

Da tutta la massa anonima dei musulmani, Levi ne sceglie uno


La presenza aggiunta [n.d.r.: in Primo Levi, Se questo è un uomo] nel ‘58 di questo personaggio, dimostra non solo la volontà e l’importanza della testimonianza ma anche che Levi ha maturato e “assunto una posizione di testimone” <167 maggiore rispetto alla prima edizione nel ‘47.
Successivamente abbiamo il personaggio di Jean, il Pikolo del Kommando nel quale si trovava Levi. Egli non ha un ruolo importante sul piano oggettivo, nel senso che non aiuta lo scrittore in modo pratico o concreto come per esempio Lorenzo, il quale gli porta da mangiare per sei mesi. Tuttavia ha un ruolo fondamentale sul piano emotivo. Come Steinlauf, è un personaggio importante sul piano della memoria, il sergente dell’esercito austro-ungarico in quanto difende l’importanza della memoria di ciò che è stato e quindi della testimonianza, mentre Pikolo sul piano della memoria come “possibile riscatto” <168. Jean chiede a Levi di impartigli una lezione di italiano e dando così al compagno l’occasione di ritrovare un momento di umanità, ricordando il celebre canto di Ulisse della Divina Commedia di Dante. In questo contesto di inferno Jean, con la sua richiesta, “offriva a Primo una sorta di via per la salvezza” <169
"Ecco, attento Pikolo, apri gli orecchi e la mente, ho bisogno che tu capisca:
Considerate la vostra semenza:
Fatti non foste a viver come bruti,
Ma per seguir virtute e conoscenza.
Come se anch’io lo sentissi per la prima volta: come uno squillo di tromba, come la voce di dio. Per un momento, ho dimenticato chi sono e come sono". <170
La rievocazione della poesia di Dante “rimanda alla civiltà e alla cultura umanistica” <171; con ciò l’autore trova un modo per riscattarsi moralmente. È interessante vedere il ruolo che Pikolo ha in questo contesto, in quanto a differenza di altri personaggi presentati nel libro, Jean è una “spalla, piuttosto che un comprimario”. <172
Un ultimo personaggio molto importante e con una forte connotazione positiva è Lorenzo Perrone, un muratore italiano di Fossano; egli non è un prigioniero ma l’impiegato di un’impresa italiana trasferita nella periferia di Auschwitz. Per questo motivo, egli gode di una certa autonomia in quanto vive in baracche di tipo militare, ha diritto alla libera uscita la domenica, alle vacanze e al salario. Levi e Lorenzo fanno conoscenza quando, dopo un bombardamento alleato, quest’ultimo viene mandato a riparere i danni e lo scrittore ha il compito di aiutarlo.
"In termini concreti, essa [la storia della sua relazione con Lorenzo] si riduce a poca cosa: un operaio civile italiano mi portò un pezzo di pane e gli avanzi del suo rancio ogni giorno per sei mesi; mi donò una sua maglia piena di toppe; scrisse per me in Italia una cartolina, e mi fece avere la risposta. Per tutto questo, non chiese né accettò alcun compenso, perché era buono e semplice, e non pensava che si dovesse fare del bene per un compenso". <173
Lorenzo rappresenta un uomo a parte, non è come le altre figure riportate, infatti egli è “il vero rappresentante dell’umano in mezzo all’abiezione” <174 che si distingue dai “non uomini” <175 del Lager. Possiamo dire che questo civile è la vera allegoria dell’uomo caritatevole e disinteressato che salva l’umanità di Levi: "Ma Lorenzo era un uomo; la sua umanità era pura e incontaminata, egli era al di fuori di questo mondo di negazione. Grazie a Lorenzo mi è accaduto di non dimenticare di essere io stesso un uomo". <176
Del personaggio di Lorenzo, come di molti altri, l’autore ne parla anche nel libro "Lilìt e altri racconti"; è interessante perché si pone la domanda di come poter parlare nel migliore dei modi di persone ‘vere’:
"Lorenzo era ancora vivo quando io stavo scrivendo 'Se questo è un uomo', e l’impresa di trasformare una persona viva in un personaggio lega la mano di chi scrive. Questo avviene perché tale impresa, anche quando è condotta con le intenzioni migliori e su una persona stimata ed amata, sfiora la violenza privata, e non è mai indolore per chi ne è l’oggetto. Ciascuno di noi si costruisce, consapevolmente o no, un’immagine di se stesso, ma essa è fatalmente diversa da quella, o meglio da quelle, a loro volta fra loro diverse, che vengono costruite da chi si avvicina, e trovarsi ritratti in un libro con lineamenti che non sono quelli che ci attribuiamo è traumatico, come se lo specchio, ad un tratto, ci restituisse l’immagine di un altro: magari più nobile della nostra, ma non la nostra. [...] quale poi sia l’immagine “vera” di ognuno di noi, è una domanda senza senso". <177
Appare quindi evidente, quanto sia problematico restituire la figura di Lorenzo, e quindi anche degli altri personaggi, in quanto non solo viene data l’immagine soggettiva che lo scrittore ha della persona ma anche perché questo personaggio ha un ruolo importante nel libro, quello del simbolo della salvezza e della Provvidenza. <178
Tuttavia, il libro di Primo Levi, non presenta solo personaggi positivi, infatti l’autore non manca di mettere in risalto anche le figure negative, ovvero i personaggi, schiacciati dalla storia e dal Lager.
3.3 I personaggi simbolo della desolazione: Null Achtzehn, Khun, l’Ultimo
"L’intégration du déporté dans l’univers irréel du camp, où tous les points de repère familiers ont disparu, où la morale est renversée et remplacée par la loi de la jungle, ajoute une souffrance supplémentaire, à laquelle beaucoup succombent rapidement". <179
Si tratta della desolazione, un sentimento molto presente nel libro di Levi anche se non viene espresso esplicitamente lo incontriamo spesso e si rispecchia in alcuni personaggi che, al contrario di quelli visti nel capitolo precedente, simboleggiano non solo la desolazione, ma l’annullamento della vita e la vergogna.
[...] Il primo personaggio che rispecchia questo sentimento nel libro è Null Achtzehn, un sommerso di cui non si sa quale sia il suo vero nome: "È Null Achtzehn. Non si chiama altrimenti che così, Zero Diciotto, le ultime tre cifre del suo numero di matricola: come se ognuno si fosse reso conto che solo un uomo è degno di avere un nome, e che Null Achtzehn non è più un uomo. Credo che lui stesso abbia dimenticato il suo nome, certo si comporta così". <181
Nessuno vuole lavorare con lui perché fa tutto ciò che gli viene detto di fare senza cercare di risparmiare le forze; spesso viene messo in coppia con Levi perché, essendo l’autore “debole e maldestro” <182, viene anch’egli rifiutato dagli altri prigionieri. Null Achtzehn, non è considerato manco più come un uomo in quanto la perdita del nome proprio indica anche la perdita dei “valori individuanti, di storia e affettività” <183. Egli rappresenta tutti i sommersi del Lager, quelli schiacciati; l’autore, infatti, quando parla dei musulmani usa l’espressione: “un qualunque Null Achtzehn” <184 per definire coloro per cui non si ha alcun interesse. Zero Diciotto non prova niente, solo indifferenza, non essendo manco più un uomo, “ed è prevedibile che, quando lo manderanno alla morte, ci andrà con questa stessa totale indifferenza”. <185 Tuttavia, notiamo come Levi, attraverso il suo linguaggio molto legato al mondo animale, lo paragona ai “cavalli da traino” con i loro occhi “tristi e opachi” e “ai cani da slitta dei libri di London, che faticano fino all’ultimo respiro e muoiono sulla pista”. <186
Il fatto che questo personaggio non abbia un vero nome proprio gli dona una dimensione allegorica maggiore. Da tutta la massa anonima dei musulmani, Levi ne sceglie uno, perché in questa figura lo scrittore riassume uno stato d’animo e una categoria generale del campo. Rappresenta la “démolition de l’homme” <187: "Primo Levi veut représenter la progressive et méthodique déshumanisation de l’individu, sa transformation en bête de somme fourbue, la destruction de sa personnalité par les brimades, les punitions, la sous-alimentation et le travail, simple moyen de torture". <188
Vediamo la desolazione anche nel personaggio di Khun, a cui Levi dedica poche righe ma molto dure e pregnanti. Khun, nel capitolo «Ottobre 1944», ringrazia Dio per essere stato salvato dalla selezione, e l’autore, vedendolo “viene assalito da un impetuoso sentimento di ribellione” <189.
"Khun è un insensato. Non vede, nella cuccetta accanto, Beppo il greco che ha vent’anni, e dopodomani andrà in gas, e lo sa, e se ne sta sta sdraiato e guarda fisso la lampadina senza dire niente e senza pensare più niente? Non sa Khun che la prossima volta sarà la sua volta? Non capisce Khun che è accaduto oggi un abominio che nessuna preghiera propiziatoria, nessun perdono, nessuna espiazione dei colpevoli, nulla insomma che sia in potere dell’uomo di fare, potrà risanare mai più? Se io fossi Dio, sputerei a terra la preghiera di Khun". <190
In questo brano del libro domina l’“io giudicante, pacato ma severo” <191 di Levi, che attraverso questo personaggio esprime la sua indignazione. <192
Oltre a Null Achtzehn, solo un altro personaggio non ha il nome proprio: L’Ultimo, a cui è dedicato l'omonimo capitolo. Si tratta di due “casi-limite” <193, come li definisce Cavaglion. Zero Diciotto in quanto rappresenta l’annullamento dell’umanità in una persona mentre L’Ultimo raffigura l’ultimo uomo forte: “I russi possono ormai venire: non vi sono più uomini forti fra di noi, l’ultimo pende ora sopra i nostri capi”. <194
L’Ultimo è un uomo che ha partecipato alla rivolta dei crematori di Birkenau e stava progettando la stessa rivolta anche a Monowitz; i tedeschi lo impiccano davanti a tutti i prigionieri “e forse i tedeschi non comprenderanno che la morte solitaria che gli è stata riservata, gli frutterà gloria e non infamia” <195. Levi lo soprannomina in questo modo, L’Ultimo, per la frase pronunciata dal prigioniero stesso: “ - Kameraden, ich bin der Letzte! - (Compagni, io sono l’ultimo!)” <196. Possiamo dire che questo personaggio sia un simbolo della vergogna, non perché egli incarni la vergogna ma perché la sua forza e umanità fa vergognare lo scrittore e gli altri prigionieri per la loro “maledetta rassegnazione”. <197
"Alberto ed io siamo rientrati in baracca, e non abbiamo potuto guardarci in viso. Quell’uomo doveva essere duro, doveva essere di un altro metallo del nostro, se questa condizione, da cui noi siamo stati rotti, non ha potuto piegarlo. [...] Abbiamo issato la menaschka sulla cuccetta, abbiamo fatto la ripartizione, abbiamo soddisfatto la rabbia quotidiana della fame, e ora ci opprime la vergogna". <198
Ci si potrebbe chiedere se si tratti della vergogna di essere sopravvissuti o della vergogna per non aver reagito <199. Questo suo aspetto, gli conferisce una doppia connotazione di persona e di eroe, che incarna un ideale, una dimensione, come quella della dignità e dell’umanità, perciò egli viene definito l’“eroe della dignità”. <200
Possiamo notare come anche la presenza o assenza del nome proprio gioca un ruolo in questo libro, in quanto le uniche due figure senza un nome proprio sono coloro che rappresentano i due poli opposti della condizione umana in Lager.
[NOTE]
167 MESNARD P., cit., p. 100
168 Ibid.
169 ANISSIMOV M., cit., p. 289
170 LEVI P., Opere I, cit., p. 109
171 MESNARD P., cit., p. 101
172 BELPOLITI M., cit., p. 62
173 LEVI P., Opere I, cit., p. 115
174 SEGRE Cesare « Auschwitz, orribile laboratorio sociale », in LEVI Primo, Se questo è un uomo, Einaudi, Collana Super ET, Torino, 2014, p. 201
175 Ibid., p. 202
176 LEVI P., Opere I, cit., p. 118
177 LEVI Primo, Lilìt e altri racconti, in Opere II a cura di Marco Belpoliti, Roma, Gruppo editoriale L’espresso, 2009, p. 59
178 GRASSANO G., cit., p. 31
179 AMSALLEM D., p. 17
181 LEVI P., Opere I, cit., p. 36
182 LEVI P., Opere I, cit., p. 37
183 PORCELLI Bruno, Cerniere onomastiche nei racconti del Lager di Primo Levi, Giornale storico della letteratura italiana, 2003, n° 591, p. 408
184 LEVI P., Opere I, cit., p. 84
185 Ibid. p. 37
186 Ibid.
187 AMSALLEM D., p. 17
188 AMSALLEM D., p. 17
189 ANISSIMOV M., cit., p. 304
190 LEVI P., Opere I, cit., p. 126
191 SEGRE C., cit., p. 58
192 GRASSANO G., cit., p. 30
193 CAVAGLION A., cit., p. 108
194 LEVI P., Opere I, cit., p. 146
195 LEVI P., Opere I, cit., p. 145
196 Ibid.
197 Ibid.
198 Ibid. p. 146
199 BELPOLITI M., CORTELLESSA A., cit., p. 70
200 SEGRE C., cit., p. 60
Cecilia Forlani, Eroi o testimoni. Il problema del personaggio nelle opere di Primo Levi, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, 2017

martedì 25 gennaio 2022

Insieme agli ebrei stranieri vengono internati tutti coloro che erano ritenuti pericolosi in tempo di guerra


Agli stranieri di nazionalità nemica e agli oppositori politici si aggiunse, poi, la categoria degli ebrei stranieri. Si trattava di persone che, dopo le prime persecuzioni naziste iniziate con le leggi del 1933, erano giunte in Italia provenienti da diversi paesi europei alla ricerca di un luogo ove trovare sicurezza e rifugio.
Come ha mostrato Karl Voigt, che ha studiato in profondità il fenomeno, Mussolini poteva in tal modo vantarsi a livello internazionale di attuare una forma di governo più mite rispetto agli eccessi del nazismo hitleriano e al tempo stesso godere dei benefici economici provenienti dalla valuta straniera che affluiva in Italia, alimentando soprattutto gli introiti dell’industria alberghiera e della ristorazione. Le vicende storiche successive, e in particolare la campagna razzista messa in campo con la guerra d’Africa e le leggi del ‘38, mutarono profondamente il quadro politico. Agli ebrei stranieri, che erano entrati nel Regno d’Italia dopo il 1° gennaio 1919, venne ordinato di lasciare il paese entro sei mesi, pena l’espulsione. La tragedia umanitaria che provoca questo provvedimento razzista verso persone che spesso si erano integrate in Italia attraverso il lavoro, lo studio e la creazione di nuove famiglie, è aggravata dalla tragica impossibilità di rientrare nei luoghi di provenienza, dove da tempo erano in atto logiche di annientamento degli ebrei, e dalla difficoltà di ottenere il visto o di pagarsi il viaggio per andare fuori dall’Europa.
La corsa affannosa per raggiungere la libertà e salvarsi dalla morte sicura è interrotta il 10 giugno 1940 dall’entrata in guerra dell’Italia. A quella data i circa 3.800 ebrei stranieri, che non erano riusciti ad abbandonare il Regno, vengono arrestati e mandati nei campi di concentramento o nei luoghi di internamento che erano stati predisposti già prima dell’inizio del conflitto.
Insieme ad essi, come si è detto, vengono internati tutti coloro che erano ritenuti pericolosi in tempo di guerra, ossia i cittadini dei paesi belligeranti con l’Italia e gli oppositori politici, ma nell’elenco definitivo vengono inclusi anche gli zingari.
I campi di concentramento allestiti sono oltre 40, anche se non sempre funzioneranno contemporaneamente. A questi si aggiungeranno, dopo l’invasione della Jugoslavia, altri campi per slavi nel territorio italiano e nei territori annessi, portando il numero complessivo a oltre 60. La distribuzione geografica dei campi vede una forte concentrazione di questi nella fascia centro-meridionale dell’Italia orientale, con particolare riguardo all’Abruzzo che, con i suoi 15 campi di concentramento, è di gran lunga la regione a maggiore diffusione dell’universo concentrazionario. Essi sono ubicati a Chieti, Lanciano, Vasto, Tollo, Casoli, Lama dei Peligni, Città Sant’Angelo, Tortoreto, Tortoreto Lido, Tossicia, Civitella del Tronto, Corropoli, Nereto, Isola del Gran Sasso e Notaresco. Oltre che nei campi di concentramento giungono in Abruzzo centinaia di internati in regime di domicilio coatto e alcuni confinati politici. Le località di “internamento libero” erano disseminate capillarmente soprattutto nel territorio della provincia di Chieti.
Le ragioni di questa scelta geografica erano evidenti: il carattere montuoso della Regione, che la isolava di fatto dalle grandi città e dalle principali vie di comunicazione, la scarsa politicizzazione della popolazione residente, l’improbabilità che quell’area geografica sarebbe stata toccata direttamente dalla guerra.
Il campo di Casoli fu utilizzato soprattutto per ebrei stranieri; quello di Chieti ebbe breve durata e fu riservato a inglesi e francesi; a Vasto furono inviati gli italiani pericolosi, tra i quali il vignettista dell’Avanti! Giuseppe Scalarini e il futuro direttore dello stesso giornale, Giulio Guido Mazzali, lo scrittore Mario Borsa, che diventerà direttore del Corriere della sera, il critico d’arte Raffaello Giolli; Lama dei Peligni ebbe un campo di concentramento
con funzioni di smistamento degli internati, che vi restavano soltanto per brevi periodi; Lanciano ebbe un campo femminile prima e poi per comunisti jugoslavi; il campo di Tollo venne utilizzato essenzialmente per comunisti di Albania, Jugoslavia e Montenegro.
Negli altri campi istituiti nella regione si segnalano, per la loro specificità quello di Isola del Gran Sasso, riservato ai cinesi, e quello di Tossicia per gli zingari, in modo tale che la Regione Abruzzo riusciva a contemplare nei suoi campi di concentramento tutte le categorie degli internati del regime fascista.
Altro elemento che rende particolarmente interessante il territorio abruzzese è dato dalla folta presenza di confinati politici, molti dei quali ebrei, soprattutto provenienti dalle fila di Giustizia e Libertà, come il filosofo Guido Calogero, che venne raggiunto da Carlo Azeglio Ciampi, Tristano Codignola, che sarebbe diventato il più giovane esponente dell’Assemblea costituente, Enzo Enriquez Agnoletti, leader della Resistenza in Toscana, Leone Ginzburg, studioso di prestigio, che sarebbe poi morto in carcere per le percosse subite dai nazisti.
Tra i tanti politici internati e/o confinati in Abruzzo meritano di essere ricordati almeno Guido Molinelli, dirigente comunista che era stato confinato a Ustica con Gramsci e che divenne anch’egli padre della Costituzione repubblicana e Aldo Finzi, uno dei personaggi più controversi della politica italiana di quegli anni che, da esponente di primissimo piano del fascismo, fu messo in disparte dopo il delitto Matteotti e, dopo le leggi razziali e le guerre di Mussolini, divenne strenuo oppositore del regime, finendo per essere trucidato dai tedeschi alle Fosse Ardeatine.
Questi dati appena accennati sulla presenza in Abruzzo dei confinati politici e degli internati è comunque di grande importanza, in quanto rende necessario inquadrare sotto una nuova prospettiva tutta la storia regionale di quegli anni, compresa la Resistenza abruzzese, che a lungo è stata interpretata, senza considerare la sua specificità, come fenomeno marginale rispetto alla resistenza del Nord, non considerando che essa assume dei tratti di assoluta singolarità, non soltanto per il ruolo esercitato dalla Brigata Maiella, ma anche per l’apporto che gli internati forniscono alla Resistenza, come risulta inequivocabilmente dagli episodi di Bosco Martese e dalla rivolta di Lanciano, che ebbe tra i suoi principali protagonisti un internato ebreo, Carlo Schönheim, come ho avuto modo di scrivere negli ultimi lavori che ho dedicato ai campi di concentramento e alla rivolta lancianese. <1
Tuttavia, il principale interesse storico derivante dalla presenza degli ebrei in Abruzzo è dato certamente dalla pubblicazione del libro di Maria Eisenstein, "L’internata numero 6", che costituisce l’unico documento che ci è pervenuto sulla vita all’interno di un campo di concentramento fascista.
Fine scrittrice di origine polacca, Maria Eisenstein si laurea in Lettere a Firenze prima di essere arrestata in Sicilia e trasferita nel campo di Villa Sorge a Lanciano. Il suo lavoro, che rivela una grande capacità nel cogliere il dramma umano dell’internamento, è al tempo stesso un prezioso documento storico in quanto, pur avendo un autentico spessore letterario, giocato efficacemente sul tema della terapia della scrittura e sulla funzione del doppio, descrive momenti di vita del campo con assoluta fedeltà ai fatti realmente accaduti.
Ma il valore della scrittura di Maria Eisenstein è soprattutto nella capacità di rendere la paura e la crisi di identità determinate dalla vita nel campo: “più mi agito e più mi pare di essere in un mondo fittizio, non vero. O meglio: meno mi pare di essere io, in quel mondo. È un’altra, è il numero 6, che ha, sì, la sua personalità perché è 6 e non 59 né 23, ma non sono io. E dove sono io…? Nascosta. Molto ben nascosta e dal mio nascondiglio guardo questo 6 che si agita, scrive, discute, e mi meraviglio molto… Poi viene la sera, fa scuro e il numero 6 svanisce con le altre ombre. E io esco coraggiosa dal mio nascondiglio, coraggiosa perché fa buio e quando fa buio la maschera mi abbandona. Allora ho il coraggio di avere paura. Quanta paura, mio Dio, quanta paura! Mi stringe la gola, mi paralizza le membra. Mi rannicchio nella mia branda, mi copro la testa con la coperta e lascio che la paura salga, e m’avvolga, e cresca e geli in me, mi faccia stupida, ebete. È l’angoscia di quello che accadrà. Che accadrà di noi ebrei? Di me, se vince Hitler?” <2
Altrove, di fronte all’incubo ricorrente della morte, le tornano con straziante nostalgia le parole e i gesti della madre, che l’odio nazista ha allontanato da lei forse per sempre: “L’altro giorno ho pianto perché mi sono ricordata di una risposta che mi ha dato mia madre, quando le ho chiesto di darmi alcune delle sue gioie. Ha detto: “Quando sarai sposata le avrai tutte”… Ho rivisto mia madre nell’atto di agganciarsi la sua collana di perle: ogni volta - mille volte - mi diceva: Questo è il primo regalo di tuo padre dopo il primo processo che ha vinto”… Ora so che non mi erano indifferenti queste cose… Avevo creduto anche che non m’importasse della nostra casa, della raccolta di porcellana di mia madre, dei barattoli di marmellata che vi confezionava nella tarda estate, del giardino con gli arbusti di ribes e i due grandi meli, dei quali i ragazzacci del vicinato riuscivano sempre a rubare la frutta, nonostante Barry, il cane di guardia, che era molto vecchio e dormiva sempre. Credevo non m’importasse niente di tutto ciò e di tante altre cose: e invece ora m’importa molto”. <3
Il valore letterario, storico e umano costituito da "L’internata numero 6", un testo che ancora oggi è sconosciuto ai più, e che comunque non è mai stato fatto oggetto di un convegno di studi a livello nazionale, già da solo fa capire quanto poco è stato fatto sia a livello locale che accademico nella ricostruzione del contributo italiano alla Shoah. Molti restano ancora gli archivi comunali inesplorati, dove è possibile trovare traccia della moltitudine di
deportati che è transitata nell’Italia centro-meridionale e che spesso ha trovato la morte nei campi di sterminio nazisti.
Note
1 Vedi G. Orecchioni, I sassi e le ombre. Storie di internamento e di confino nell’Italia fascista. Lanciano 1940-1943, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2006 e, dello stesso autore, Postfazione a La rivolta di Lanciano nella storiografia della Resistenza, Edizioni di Memoria e Democrazia, Lanciano 2007
2 M. Eisenstein, L’internata numero 6, Tranchida, Milano 1994, p. 34
3 Op. cit., pp. 137-138
Gianni Orecchioni (storico), L’internamento in Abruzzo in (a cura di) Liliana Di Ruscio - Rita Gravina - Enrico Modigliani - Sandra Terracina, 1939-1943: dalla vita quotidiana alla storia, Federazione Nazionale Insegnanti (FNISM) - Sezione Roma e Regione Lazio, con la collaborazione di Progetto Memoria e con il contributo dell’Assessorato alle Politiche della Scuola della Provincia di Roma, Roma, 2010  

sabato 22 gennaio 2022

La Resistenza è la nostra identità

Sergio Favretto mentre svolge l'orazione ufficiale odierna

Ogni anno, da decenni, a ricordare la Banda Tom siamo in molti. La città di Casale, il Monferrato, altri comuni dell’Alessandrino, giovani e famiglie.
Facce consuete e di anno in anno molti visi nuovi, studenti e cittadini che vogliono partecipare.
Negli istituti scolastici si promuovono ricerche, si creano approfondimenti. Il Collettivo Teatrale e il Laboratorio teatrale dell’Istituto Superiore Cesare Balbo di Casale Monferrato hanno elaborato testi e curato rappresentazioni sulla Resistenza; il gruppo musicale YoYo Mundi ha coniato una ballata fortemente simbolica sui tredici della Banda Tom; l’ANPI ci richiama sempre alla memoria storica e attualizzata del fatto; la Chiesa locale da sempre riserva grande cura ai temi resistenziali come la Comunità ebraica assicura testimonianze e cultura appropriate.
Molte le pubblicazioni, i libri, le citazioni, i convegni che hanno incluso questa vicenda drammatica. Ricordiamo gli scritti e le memorie, le interviste di tanti partigiani e loro famigliari, i diari di tanti parroci; i contributi di Pansa, di Cazzullo, di Luzzati, di Gad Lerner, di Sisto, di Cotta, di Borioli, di Scarrone, di monsignor Angrisani, di Ottolenghi, di Carmi, di Ronco, di Guaschino e molti altri.
Nella nostra biblioteca civica è frequente imbattersi con studenti al lavoro per una lettura e ricerca sulla Resistenza nel Monferrato. Sabato 15 gennaio, alla Cittadella, lungo il muro dell’edificio ove vennero uccisi i partigiani della Banda Tom, il gruppo Scout di Casale depose tredici lumini e una frase a ricordo dell’eccidio. Gesto delicato, suggestivo e emblematico. I giovani di oggi che incontrano i partigiani di ieri.
Chiediamoci, perchè questa perenne attenzione spontanea e diversificata?
La risposta è una sola: perchè è la nostra identità.
Ricordiamo il fatto
Si era ad avvio 1945; gran parte dell’Italia era stata liberata dagli Alleati, a Torino il CLN e le varie divisioni partigiane stavano organizzando la ripresa di primavera per poi giungere agli scioperi nelle fabbriche e poi alla Liberazione.
A Casale, invece, i fascisti locali con l’ausilio dei tedeschi occupanti uccisero tredici giovani partigiani (fra loro vi era anche un aviere inglese prigioniero). Li catturarono tra Ottiglio e Casorzo, offesi ripetutamente, li costrinsero a camminare sulla neve fra le colline e poi lungo le vie della città, con un cartello e la scritta “Ecco i leoni di Tom”. Vennero rinchiusi nelle carceri cittadine, ove vi era pure la mamma di Tom, catturata per convincerla a parlare della banda di partigiani. Vennero fatti sfilare, un drappello di prigionieri sbeffeggiati, irrisi. Gli abitanti costernati, increduli, li osservavano fra le porte e le persiane socchiuse, alcuni erano incatenati. Vennero condotti nel pieno freddo alla Cittadella di Casale, qui fucilati in pochi minuti e lasciati per giorni sulla neve, senza alcun rispetto per i cadaveri.
Con il capo Antonio Olearo (detto Tom) nato ad Ozzano Monferrato ed ex Guardia di Frontiera, vennero uccisi: Augino Giuseppe di Valguarnera (Enna); Boccalatte Alessio di Lu Monferrato; Canterello Aldo di Alessandria; Cassina Luigi (Ginetto) di Casale; Cavoli Giovanni (Dinamite) di Solero; Harboyre Harrj, prigioniero britannico ufficiale della RAF; Peracchio Remo di S. Stefano di Montemagno; Maugeri Giuseppe di Siracusa; Portieris Boris di Genova; Santambrogio Luigi di Cesano Maderno, il più giovane; Serretta Carlo di Genova; Raschio Giuseppe di Alessandria.
Dei catturati a Casorzo, solo Giovanni Damarco evitò la fucilazione. Fu poi incarcerato a Casale ed Alessandria. Si salvarono anche Pagella Claudio e Giuseppe Sogno, ucciso poi dai tedeschi al castello di Tortona il 27 febbraio 1945 insieme ad altri partigiani, fra cui i casalesi Carlo Angelino (ferito e sopravvissuto alla fucilazione a Ticineto, curato dal prof. Debernardis sotto anonimato, poi catturato ancora da fascisti) e Alfio Zanello della X Garibaldi. Padre Angelo Allara, sacerdote camilliano, li confessò, ma non riuscì a portare loro la comunione; tentò di far avviare una trattativa per la liberazione fra i tedeschi e il vescovo Giuseppe Angrisani; ma l’esito fu negativo. Tedeschi e fascisti non vollero.
Erano tutti ragazzi e antifascisti, una parte del futuro di Casale, del Monferrato e dell’Alessandrino; vi era l’inserimento di due siciliani, giunti in Piemonte per aiutare la Resistenza, di un aviatore inglese ex prigioniero.
Le salme stettero alcuni giorni sulla neve. Il fotografo Torielli, di nascosto e con acrobazie per evitare il controllo dei fascisti, riuscì ad immortalare quegli attimi e quei cadaveri. Le immagini sono pubblicate, presenti sui siti e sui motori di ricerca. Fanno riflettere molto, come pure altre immagini di partigiani uccisi fra queste colline. Sono sufficienti queste immagini per indignarci contro chi le ha determinate.
Ricordiamo il contesto
Ogni volta che ricerco e scrivo su questi fatti, stento a credere come l’uomo abbia potuto rendersi autore di tali violenze, come il tutto sia avvenuto in un clima remissivo e incapace di contrasto.
C’è lo spiega la storia di un regime, la storia di decenni di dittatura culturale, psicologica e organizzativa; decenni di scuola non libera, di persecuzioni razziali, di cameratismo e privilegi dei forti, di propaganda subdola e capillare ovunque. La gente era annichilita, ma inerme, priva di ogni autonomia.
L’episodio della Banda Tom avvenne sì a gennaio 1945, ma nel pieno svilupparsi di una Resistenza del Monferrato che sorse con l’antifascismo e poi con il CLN e le brigate partigiane.
Ma quali ne sono stati i caratteri distintivi?
La Resistenza nel Monferrato fu:
a) Difficile e originale
Il Monferrato casalese era già allora geograficamente collocato al centro di un quadrilatero delimitato da grandi vie di comunicazione, viarie e ferroviarie, da città come Alessandria, Casale, Asti, Valenza, Chivasso, Torino, Vercelli.
Le truppe tedesche occuparono con molti presidi e postazioni tutta la zona, controllando tutte le vie d'accesso (strade, ponti, ferrovie). I fascisti durante il Regime, i repubblichini dopo l'8 settembre, assicurarono sempre una presenza organizzata in tutta l'area, con strutture e dirigenti operativi. Il quadrunviro casalese Cesare Maria De Vecchi non solo partecipò e promosse la marcia del ‘22, ma fu fascista-monarchico di riferimento per la presenza italiana in Somalia e nel Dodecanneso, con responsabilità nelle persecuzioni razziali e nella politica violenta e squadristica nelle isole dell’Egeo e in Africa. A Casale la militanza fascista era molto organizzata.
Su queste premesse geografiche e militari, si coglie come fu particolarmente difficile l'esordio della Resistenza. Senza alcun dubbio, fu più semplice organizzare le formazioni partigiane nelle valli delle Prealpi o degli Appennini.
Nel Monferrato casalese, invece, le prime formazioni partigiane ed il primo dissenso esplicito contro l'occupazione tedesca dovettero affrontare rischi significativi. Dovettero contrastare una presenza pervasiva delle forze militari tedesche ed un sostegno sinergico e capillare della RSI.
Fin dal primo avvio, fu una Resistenza originale, perchè sorse dall'integrazione fra il mondo contadino della collina e le realtà operaie e borghesi della città, con immediata spontaneità.
Così nacquero la banda di Guaschino-Venier a Gabiano, la banda Fox di Ronco a Mombello, la banda Lenti a Camagna, la banda Tom fra Ottiglio-Casorzo e la Valle Ghenza, le bande autonome dei fratelli Gabriele e Sergio Cotta fra Robella, Brusasco e Cavagnolo; la banda del Tek Tek a Grana, la banda di Beccuti a Calliano, la banda del Giusto Dellavalle a Moncalvo.
Fra le colline, la Resistenza si affermò spontaneamente e solo più tardi, a fine '44 ed inizio' 45, conobbe un'organizzazione strutturata.
Il dissenso, il contrasto alla rinascita del fascismo nella RSI e la chiara lotta di liberazione nei confronti dei tedeschi occupanti dovettero subito fare i conti con un nemico tangibile e determinato, la cui presenza sul territorio era diffusa e ramificata.
I recenti fonogrammi tedeschi (alcuni con la firma autografa del maggiore Meyer, responsabile della fucilazione della banda Lenti, dell'eccidio di Villadeati, della fucilazione della banda Tom) trovati in una soffitta ad Alfiano Natta documentano come le truppe tedesche controllassero ogni movimento, con l'ausilio sistematico dei fascisti.
Le prime formazioni partigiane sorsero per autogenesi, grazie ad un forte radicamento e sostegno della popolazione locale, con caratterizzazioni e dinamiche differenti. Al loro sorgere, le formazioni furono aiutate in modo rilevante dalla presenza di ex militari, ex alpini, ex carabinieri, ex avieri.
b) Corale e pluralista
Fin dal suo esordio, la Resistenza si caratterizzò per un'evidente coralità delle matrici ideali-culturali che l'ispirarono. Vi fu la componente comunista, radicata già nel territorio e  interpretata da episodi di chiaro antifascismo durante il ventennio di Regime, ora rappresentata all'interno del mondo operaio; vi fu la componente cattolica, espressa nelle figure del Vescovo di Casale  Monsignor Giuseppe Angrisani e di molti parroci, fra i quali non si può scordare il sacrificio di don Ernesto Camurati (originario di San Salvatore Monferrato) ucciso dai tedeschi a Villadeati, con altri nove capi famiglia; dei quadri dell'Azione Cattolica e di molti volontari già operanti nelle organizzazioni sociali cattoliche, delle staffette partigiane coraggiose come Ernestina Valterza; vi fu la componente socialista, legata alle esperienze operaie e cooperativistiche; vi fu la componente liberale ed azionista, ancorata alla storia culturale del Piemonte; vi fu la componente badogliana, ispirata da una visione patriottica di uno Stato unitario forte.
Tutte queste diverse matrici ideali-culturali si mescolarono, in un'alleanza ideale proiettata verso una nuova fase storica. Nel Monferrato operarono le Brigate Garibaldi, le Matteotti; la Divisione Patria, la Divisione Autonoma Monferrato, alcune formazioni di Giustizia e Libertà.
La Resistenza fu corale e pluralista anche per la partecipazione sociale che la caratterizzò.
Al movimento partigiano ed alla lotta di Liberazione, nel suo insieme, diedero contributi significativi tutte le componenti sociali di allora: dai giovani studenti liceali ed universitari ai militari, avieri ed alpini, carabinieri; dalle famiglie contadine agli operai ed artigiani della città, alle popolazioni rurali della collina; dagli insegnanti delle scuole superiori ad alcuni professionisti ed imprenditori; dal clero alle organizzazioni sociali cattoliche.
Questa coralità, anche sociale, di impegno contro l'occupante tedesco ha necessariamente interagito con la presenza a Casale e Moncalvo della comunità ebraica; la comunità era parte attiva da secoli della vita economica e pubblica del Monferrato.
Le leggi razziali, la violenza della RSI distrussero la comunità, ma a pari tempo fecero emergere una solidarietà nascosta e diffusa della gente comune, dei parroci verso gli ebrei.
Fra le colline si scrissero pagine singolari di soccorso vicendevole, di grande rispetto per l'autentica libertà di fede e di opzione ideologica. Un ruolo significativo, in parte ancora da esplorare completamente, venne svolto da alcune missioni anglo-americane o inglesi paracadutate nel Monferrato. Le missioni, al comando del maggiore inglese Leach, nei mesi precedenti la Liberazione assicurarono armi, munizioni, mezzi ed istruttori per sabotaggi, alimenti, vestiario, radio trasmittenti.
Le formazioni partigiane percepirono, quindi, come la lotta di Resistenza ai tedeschi occupanti fosse condivisa anche da altri popoli, da sempre liberi.
Si ricordano le missioni Morristown, Youngstown, Bet, Edison, Lana 2; le missioni erano correlate con il SIM italiano, con il SOE inglese e con il OSS americano.
c) Aperta e collaborativa
La Resistenza non fu espressione chiusa di gruppi militari o di cerchie ristrette di ribelli. Alcuni antifascisti casalesi operarono in formazioni partigiane nel Canavese e in Val di Susa, nel Varesotto e nel Pavese. Comandarono bande locali, con gesti di eroismo e furono vittime dei tedeschi.
Nelle formazioni partigiane, di contro, operarono giovani ed ex militari provenienti dalla Val di Lanzo, dalla Val Susa, dal paese di Mathi e dalla Val d'Ossola. Ci fu una mutualità tra le formazioni partigiane e il resto della Resistenza in Piemonte. Ne sono testimonianza le figure di Italo Rossi e Sergio Morello, comandanti partigiani uccisi in Val di Lanzo e nel Canavese; la figura di Francesco Alfieri Greppi ucciso ad Usseglio nel settembre '44; in Monferrato, sono testimonianza le figure di Angelo Bordino e Nicola Marchis, di origine canavesana e componenti della banda Lenti, uccisi a Valenza e a Vignale, di Miracapillo Bruno Savino, ucciso a Cantavenna; di Maugeri Giuseppe, ucciso con la banda Tom a Casale.
Bizzarro partì con una sessantina di altri giovani, in una domenica di fine ottobre '44 dalla piazza dell'Addolorata di Casale, alla volta di Arcesa in Valle d'Aosta. Qui organizzarono le prime formazioni partigiane locali; dopo la morte del compagno Carrera, ucciso dai tedeschi e fascisti di Aosta, Bizzarro ritornò a Casale per le esequie, ma venne catturato. Incarcerato e poi ucciso a Madonnina di Crea.
d) Crudele e violenta
L'esperienza resistenziale vissuta fra queste colline fu pesante, in termini di prezzo pagato alla vita. La vicenda della banda Lenti, formazione partigiana simbolo della lotta coraggiosa per la libertà, arrestata al completo e immediatamente fucilata a Valenza; la vicenda della banda Tom, anche qui catturata ed eliminata a Casale nel gennaio '45, mentre mezza Italia era già libera; l'eccidio di Villadeati, con il parroco don Camurati e nove capifamiglia uccisi in piazza; Arduino Bizzarro, per ben otto mesi in carcere, poi ucciso in uno scontro a fuoco con i fascisti, senza pietà; molti altri partigiani uccisi fra le colline e sulle rive del Po, catturati in scontri diretti e talvolta con delazioni ripetute, come Mario Talice, Livio Cover, Lazzaro Neno Lazzarini, Alfredo Piacibello, Pietro Pagliolico, Italo Rossi e Oreste Rossi, Innocenzo Rossi, Silvio Bondesan; i civili e partigiani uccisi a Ticineto (Grassi Pierino Lorenzo, Rossini Aimo, Zemide Giovanni, Rota Silvio, Scagliotti Edoardo, Rotelli Augusto), a Valenza ed a Castelletto Monferrato nel giorno della Liberazione; i partigiani casalesi Alfio Zanello e Carlo Angelino fucilati a Tortona al Castello, dopo essere stati prelevati con Giuseppe Sogno dal carcere di Casale; le violenze subite dalla popolazione civile, come gli attacchi e rastrellamenti, la battaglia di Cantavenna, gli scontri di Gabiano; i rastrellamenti, i saccheggi e incendi a Rosignano Monferrato; le vittime inconsapevoli e molte volte ingenue registrate tra le file della nuova Repubblica di Salò o fra le formazioni collaboranti; ebbene, tutte queste vite sacrificate connotano ancora oggi la  Resistenza nel Monferrato e nel Valenzano come un'esperienza crudele e violenta. Il Monferrato pagò un prezzo molto alto per voltare pagina, per superare un passato nefasto e creare condizioni nuove di libertà.  
La Resistenza nel Monferrato casalese fu un fenomeno complesso, articolato, a più voci: non è corretta una sua interpretazione manichea e semplificatrice, in chiave contrappositiva. Leggere, conoscere, incontrare in queste pagine mille fatti, volti, vicende, ideali e talvolta anche sogni, ci deve condurre dalla nuova coscienza civile di allora ad una consapevolezza storica comune di oggi.
e) autonomamente protagonista
La Resistenza consolidò, proprio per la sua specificazione e poi per il suo manifestarsi organizzato, una precisa autonomia di area forte da sempre assunta dal Monferrato.
Fu proprio così. Anche la Resistenza confermò il ruolo protagonista del Monferrato nella storia di questo pezzo di Piemonte. Già a fine '800 e nell'avvio del '900, il Monferrato visse una storia protagonista, esprimendo figure decisive nella politica, nella cultura, nell'economia, nell'arte, nell'agricoltura e nella socialità.
Il Monferrato non visse mai la propria storia in maniera residuale e marginale, ma seppe guidare i processi di cambiamento.
Anche nella Resistenza non mancò questo ruolo protagonista. Si pensi, ad esempio, alla figura di Giuseppe Brusasca, militante nel Partito Popolare di Sturzo e sostenitore delle prime formazioni partigiane, amico di alcune famiglie ebree casalesi, divenne vice-presidente del CNLAI, primo Presidente della Provincia dopo la Liberazione, poi sottosegretario di Stato.
Si pensi ad Eusebio Giambone, nato a Camagna, militante comunista, carcerato più volte dai fascisti, rifugiato in Francia, divenne elemento di spicco dell'antifascismo piemontese e membro del Comando Militare Regionale Piemontese. Venne fucilato al Martinetto a Torino il 5 aprile ' 44.
L'esperienza resistenziale fortemente partecipata da apporti diretti, autorevoli e convinti, contribuì a consolidare una precisa singolarità di area, distintiva rispetto al resto del Piemonte.
Fu una Resistenza coraggiosa, originale, ma soprattutto fondativa della nuova coscienza civile che, mese dopo mese, stava sorgendo fra le colline.
La nostra identità
I nostri tredici partigiani uccisi da fascisti e tedeschi il 15 gennaio 1945 sono ancora presenti oggi, qui, perchè alimentano i nostri ricordi, sono parte delle nostre certezze valoriali, perchè sono la nostra identità.
La Banda Tom, non da sola, ma unita alle altre drammatiche vicende resistenziali del Monferrato non è stata affatto un incidente di persorso e neppure solo il risultato di una guerra civile.
Persero la vita alla vigilia della Liberazione perchè qualcuno, inebriato di arroganza e violenza, volle impedire lo sviluppo naturale della vita, del bene comune, della libera convivenza di una comunità.
Qualcuno impedì che si operasse una svolta di libertà.
Su queste vicende, su questi contributi di giovani si è fondata la nostra Costituzione e oggi si fonda il nostro vivere quotidiano, o meglio si dovrebbe fondare il nostro presente.
Non tutto è infatti scontato.
Qui si alimenta la nostra cultura, la nostra identità di cittadini dialoganti e costruttivi.
Non servono affatto convegni, eventi, propagande per portare qui da altri contesti e luoghi pseudo identità. Non siamo terre da conquistare, ma comunità con la nostra storia e con la nostra cultura, con la nostra dedizione democratica.
Preoccupano, invece, alcune iniziative propagandistiche promosse in questi mesi anche con soldi pubblici, iniziative che vorrebbero caratterizzarsi come culturali, ma che fanno trapelare le subdole e grottesche intenzioni di affermare un’altra storia, un’altra identità, un altro paradigma di riferimenti rispetto a quelli che hanno fondato la Costituzione e la nostra democrazia partecipata.
Da studioso di Fenoglio, mi giunge spontaneo un parallelismo. In Ur partigiano Johnny, la missione inglese del maggiore Leach e alcuni partigiani entrano in Fubine.
Fenoglio scrisse il romanzo tutto in inglese, ma una libera traduzione ci consegna alcuni tratti molto belli. Johnny-Fenoglio arriva a Fubine con i partigiani di Tek Tek; nel paese un silenzio inspiegabile, strade deserte: "...l'unico suono era il rombo squillante con alti e bassi alternati di un motore elettrico in una segheria". Le donne erano chiuse in casa, "affinestrate occhieggianti dall'ombra dei battenti...". Incontrano un vecchio, lo interpellano sul silenzio irreale. In paese vi sono inglesi, vestiti come Johnny. Il riferimento al rumore della segheria non è solo un dettaglio narrativo, ma un preciso ricordo. Allora, nel '45, al fondo della strada verso Quargnento, vi era la segheria e falegnameria della famiglia Maggiora. Ma il paese aveva il terrore dei tedeschi e fascisti che ancora dominavano la zona e ritornavano spesso in paese. I tedeschi avevano collocato nel triangolo Felizzano, Quargnento, Fubine, alcuni distaccamenti, depositi e batterie contraeree. A Quargnento era stata creata una polveriera. Si dovevano controllare il movimento sulla ferrovia Alessandria-Asti e gli approdi al fiume. Fenoglio parla dell’arrivo di un grosso reparto repubblichino con avanguardia tedesca. Ancora gente terrorizzata, inerme.
Così a Casale, il 15 gennaio la gente non potè fare altro che osservare, fra le persiane e le porte socchiuse per terrore, avanzare i fascisti che conducevano i partigiani della banda Tom incatenati sulla neve verso la fucilazione. A Fubine, inglesi e partigiani che entrano in paese ancora terrorizzato da fascisti e tedeschi; a Casale, partigiani catturati camminano in una città sempre nel terrore di fascisti e tedeschi.
Vennero catturati e uccisi per punire la Resistenza del Monferrato, non all’esito di un conflitto a fuoco.
Erano un gruppo di giovani, con le rispettive famiglie a contorno; interpretavano il senso popolare della rivolta al regime fascista rinato con la RSI. Fascisti e tedeschi non tardarono a colpire.
Il significato per l’oggi è uno solo: la storia vissuta non è pagina a capo, non deve essere oblio; ma pagina avanti ancora, perchè è la nostra storia, la storia del coraggio dei nostri genitori e nonni, del nostro territorio, della nostra comunità di oggi.
La nostra identità, la nostra appartenenza, la nostra cultura discendono tutte dai due anni di lotta che in Italia si fece contro la violenza personale e culturale del Fascio e della RSI, contro la permanente propaganda del regime, contro il blocco economico e sociale derivato da scelte belliche e imperiali deleterie.
Ricordare i tredici della Banda Tom ci aiuta a ridare alimento a queste convinzioni positive.
Avv. Sergio Favretto, La Banda TOM nel 2022. La nostra identità, Orazione ufficiale della Cerimonia commemorativa della Banda Tom, Casale Monferrato (AL), 22 gennaio 2022

[  n.d.r.: tra le pubblicazioni di Sergio Favretto: Il papiro di Artemidoro: verità e trasparenza nel mercato dei beni culturali e delle opere d’arte, LineLab, Alessandria, 2020; Con la Resistenza. Intelligence e missioni alleate sulla costa ligure, Seb27, Torino, 2019; Una trama sottile. Fiat: fabbrica, missioni alleate e Resistenza, Seb27, 2017; Fenoglio verso il 25 aprile, Falsopiano, 2015; La Resistenza nel Valenzano. L’eccidio della Banda Lenti, Comune di Valenza, 2014; Resistenza e nuova coscienza civile. Fatti e protagonisti nel Monferrato casalese, Edizioni Falsopiano, Alessandria, 2009; Giuseppe Brusasca: radicale antifascismo e servizio alle istituzioni, Atti convegno di studi a Casale Monferrato, maggio 2006; Casale Partigiana, Libertas Club, 1977  ]

[...] Ricca di spunti l'orazione di Sergio Favretto, avvocato e storico, tra i principali esperti della Resistenza in Monferrato.
Sarà Sergio Favretto, avvocato e saggista storico sulla Resistenza piemontese, l'oratore ufficiale della Cerimonia commemorativa della Banda Tom, nel 77mo anniversario dell'eccidio compiuto dai fascisti, che si svolgerà sabato 22 gennaio.
Il relatore ha ricordato come, il 25 aprile del 1945, proprio di fronte al castello, al Liceo, ci fu la resa del comando tedesco. Citazioni anche per Fenoglio e Pavese: «Da decenni su questi fatti c'è attenzione storica e culturale perchè questa è la nostra storia, la nostra identità di territorio, la nostra identità storica».
Favretto ha quindi tratteggiato i tratti della Resistenza in Monferrato: «Difficile, singolare, corale, pluralistica a livello culturale e sociale». E poi ancora altri episodi poco noti, in cui la Resistenza si intreccia con la tragedia della Shoah, il parallelismo tra la tragica ostentazione dei partigiani della Tom, a piedi nella neve nel silenzio di paura della città e quanto racconta Fenoglio dell'ingresso a Fubine delle forze partigiane».
Immancabile il riferimento alla Costituzione: «Il ricordo non sia solo storico ma per trasmettere il fondamento delle nostre convinzioni, della nostra Costituzione, che tuti i partiti l'abbiano nei loro statuti».
Finale in Cittadella. Con l'inno nazionale, il 'silenzio' e le deposizioni delle corone d'alloro. Anche qui nutrita la partecipazione.
Marco Bertoncini, La cerimonia. Casale celebra la Banda Tom: «La nostra identità storica», Il Piccolo, 22 gennaio 2022

Sostituisce Gad Lerner, precedentemente annunciato, che non potrà intervenire per sopraggiunta indisponibilità.
Il programma aggiornato prevede alle 10, la Santa Messa di suffragio presso la Cattedrale di Sant'Evasio.
Poi, alle 10.45, ci si trasferirà al Castello del Monferrato, nella Sala Marescalchi dove sono previsti gli interventi di Andrea Testa e Carla Gagliardini, a nome del Comitato Unitario Antifascista e dell'Anpi, di Federico Riboldi, sindaco di Casale Monferrato.
L'orazione ufficiale sarà tenuta da Sergio Favretto, avvocato e saggista storico sulla Resistenza piemontese.
Al termine trasferimento alla Cittadella e deposizione delle corone alle lapidi dei 13 caduti della Banda Tom e del partigiano Gaetano Molo.
Redazione, Sergio Favretto oratore ufficiale della Cerimonia commemorativa della Banda Tom, Casalenews, 20 gennaio 2022                                                                                                                  

venerdì 21 gennaio 2022

Gli organi di polizia sospettavano che anche l’Uisp svolgesse, per conto del Pci, un ruolo di copertura rispetto alla preparazione di attività di carattere sovversivo

Momento di una partita di calcio UISP (inizio anni Cinquanta) - Fonte: Aa.Vv, ... Sessant’anni di sport sociale in Italia attraverso la storia dell’UISP, La Meridiana, 2008

Il materiale preso in esame per questo contributo proviene dalla serie «G Associazioni» del fondo del Ministero dell’Interno conservato presso l’Archivio Centrale dello Stato <1 . La serie è costituita da carte di polizia: telespressi riservati, corrispondenza tra organi dello Stato, relazioni informative, rapporti su singoli e gruppi, note trasmesse da “fonti fiduciarie”.
La rappresentazione dell’attore politico “vigilato” risulta ovviamente filtrata dalla chiave di lettura delle autorità politiche e di pubblica sicurezza, con «un forte elemento di soggettività, una serie di interessate esagerazioni e anche di falsità» <2 . Occorre quindi una particolare attenzione nell’utilizzare queste fonti che «devono essere tenute a distanza, interpretate, padroneggiate, ma mai accettate acriticamente» <3 .
Se si escludono i materiali prodotti dai soggetti indagati, raccolti dagli organi dello Stato e allegati alle note informative, le carte di polizia sono infatti, «anche se non esclusivamente, principalmente una fonte sui sorveglianti». Tuttavia, proprio perché «nessun punto di osservazione [può] essere considerato, di per sé, del tutto attendibile e scientificamente “neutro”», ecco allora che «anche una visione palesemente “nemica” può diventare elemento indispensabile della conoscenza». Inoltre, come osservato da Mimmo Franzinelli, utilizzando i documenti polizieschi con la dovuta attenzione, è possibile far emergere vicende personali e collettive altrimenti destinate all’oblio <4 .
I documenti sull’Unione Italiana Sport Popolare (Uisp) sono raccolti in due buste <5  contenenti diversi fascicoli che coprono l’arco temporale compreso tra il 1948, anno di nascita dell’associazione, e il 1984.
Anche nel caso dell’Uisp, la documentazione di polizia - oltre a fornire informazioni che possono arricchire la conoscenza della storia nazionale e locale dell’associazione <6 - risulta utile per verificare in che misura l’Unione fosse considerata “pericolosa” per lo Stato ed esplorare alcuni aspetti dell’azione di controllo e di repressione del dissenso svolta dagli organi di polizia in ambito sportivo, nel quadro della generale azione di sorveglianza nei confronti della sinistra, e particolarmente del Partito comunista.  
Dal punto di vista cronologico, l’analisi dei documenti è circoscritta al periodo che vede l’Uisp impegnata nella costruzione della sua struttura organizzativa e nella definizione del proprio profilo politico-sportivo, in un contesto molto difficile.
Nel clima della guerra fredda l’associazione, al pari delle altre organizzazioni delle sinistre, deve misurarsi con il duro attacco portato al movimento operaio dal blocco politico-economico conservatore che fa perno sulla Democrazia cristiana. La Dc tende ad egemonizzare tutti i settori della vita sociale e culturale, compreso lo sport, a partire dal Coni, di fatto sotto tutela governativa in quanto dipendente in termini amministrativi dalla presidenza del Consiglio. Sul piano dei finanziamenti i vertici politico-sportivi discriminano le associazioni di sinistra rispetto a quelle “clericali”, l’associazionismo popolare viene marginalizzato ostacolando o impedendo la promozione di manifestazioni e il possesso di licenze, figure legate alla sinistra sono escluse dalle cariche direttive dello sport nazionale.
Costretto sulla difensiva e con pochi mezzi a disposizione, l’Uisp risente delle rigidità e della radicalizzazione che caratterizzano lo scontro ideologico, politico e sociale nei “duri” anni Cinquanta e tende ad utilizzare lo sport in chiave propagandistica, agendo in funzione di collateralismo rispetto ai partiti di sinistra, soprattutto al Pci, egemone al suo interno.
L’associazione riesce comunque a ritagliarsi un ruolo peculiare in campo sportivo, articola la sua presenza sul territorio attraverso comitati provinciali radicati principalmente nelle regioni “rosse” e contribuisce a rappresentare i valori della sinistra nello spazio dello sport italiano: tra questi, anzitutto il diritto allo sport e una concezione del fenomeno sportivo come pratica popolare di massa, aperta a tutti, non limitata allo svago o alla ricerca della prestazione, volta a realizzare momenti di partecipazione democratica e a fornire strumenti di emancipazione e di crescita sul piano individuale e sociale.
Uno sguardo d’insieme
Una parte cospicua della documentazione si riferisce alla struttura nazionale dell’Uisp e alla partecipazione a competizioni sportive in Europa orientale. Altre carte riguardano l’attività dell’associazione in diverse province, in primo luogo dell’Emilia-Romagna e della Toscana, punti di forza dell’Unione.
Questori e prefetti forniscono anzitutto informazioni sul quadro dirigente nazionale che consentono di individuare in modo sufficientemente preciso la sua composizione. Si tratta in genere di persone definite come «note», ovvero precedentemente schedate per la loro attività politica, di cui in alcuni casi si sottolinea la particolare “pericolosità” («ex partigiano, fazioso violento, per cui è ritenuto elemento pericoloso per l’ordinamento democratico dello Stato»; «comunista fanatico ed attivissimo») <7 .
Diversi dirigenti hanno alle spalle un’esperienza politica iniziata in età liberale o sotto il fascismo. Le relazioni di polizia ripercorrono la loro storia fornendo una serie di dati che possono integrare le importanti biografie contenute nel volume sull’Uisp di Di Monte, Giuntini e Maiorella, dalle quali emergono alcuni tratti comuni della classe dirigente uipsina: «diverse esperienze assorbono la lezione appresa con l’emigrazione e l’esilio politico in Francia, la quasi totalità dei “padri fondatori” passa per l’opposizione antifascista, la lotta partigiana, la stagione del FdG [Fronte della Gioventù] e l’attiva militanza nei due partiti di sinistra» <8 .
Attraverso le carte si delineano i principali filoni di impegno dell’Uisp, dal sostegno agli sport minori all’attenzione per l’attività sportiva femminile, dalla formazione di leve sportive agonisticamente competitive alla cura per l’aspetto ricreativo dello sport.
L’attività di controllo si intensifica in occasione delle manifestazioni e dei congressi nazionali, seguiti dagli organi di polizia attraverso specifiche relazioni e la raccolta di documenti prodotti dall’associazione. “Confidenti” assistono alle riunioni del Consiglio nazionale riferendo sull’evoluzione della linea politico-sportiva uispina. Anche organismi collegati all’Uisp come l’Uges (Unione ginnico escursionistico sportiva) - indicata come «similare all’Associazione Esploratori Cattolici e capace di contrastarne l’attività tra i giovani» <9 - e il Cet (Campeggi escursioni turismo) sono oggetto di attenzione da parte degli organi di sicurezza.
I documenti restituiscono alcuni aspetti dei primi anni di vita dell’Uisp lungo la penisola, visti attraverso lo sguardo dei sorveglianti che insistono sul carattere “pretestuoso” dell’attività sportiva promossa dall’associazione, letta come un’insidiosa e subdola trappola per avvicinare i giovani alla causa comunista e «inculcare in essi l’ideologia estremista» <10 .
Sebbene […] non sia specificamente menzionato lo scopo politico e le finalità a cui mirano i dirigenti, che sono mascherate sotto il pretesto della cultura fisica e morale, gli scopi si ritengono quelli di avere sempre maggiori aderenti, nelle masse, al PCI <11 .
In realtà, fine principale di detta Unione è quello di riunire in sé il maggior numero di giovani di ambo i sessi, venendo loro incontro nel miglior modo possibile, nel campo dello sport per poi, a conquistata fiducia degli stessi, deviarli sul campo politico e convogliarli sotto la Direzione del P.C. <12
Gerarchi della gioventù comunista, sono all’opera […] per promuovere manifestazioni sportive tra i vari gruppi UGES, nel quadro dell’Unione Italiana Sport Popolari. […] Tali iniziative hanno lo scopo di allettare i giovani e i giovanissimi perché, con il pretesto dello sport, si affianchino alle organizzazioni comuniste, abbandonando i Patronati cattolici <13 .
Gli organi di polizia locale trasmettono a Roma informative anche sui dirigenti dei Comitati provinciali, corredate da note sull’età, sulla professione, sugli orientamenti ideologici, sulla condotta politica e “morale” e su eventuali precedenti penali <14 . I militanti più attivi sono in maggioranza giovani, molti sono operai, alcuni hanno incarichi nel partito o nelle Camere del lavoro o provengono dalla Fgci e dalla precedente esperienza nel Fronte della Gioventù, altri sono “indipendenti” o sportivi che non risultano impegnati in campo politico. Come a livello nazionale, anche nelle sedi periferiche dell’Uisp la componente comunista è nettamente prevalente rispetto a quella di area socialista.
Nel complesso si delinea un universo di militanti che suppliscono con il volontariato alle carenze finanziarie e strutturali dell’associazione. Al pari di altre attività culturali e politiche, lo sport svolge una preziosa funzione di scuola di formazione per i giovani della sinistra <15 .
Le informazioni che giungono dai prefetti e dai questori sono talvolta approssimative e inducono perciò a sovradimensionare o sottovalutare la forza dell’Uisp. Alla fine del 1948 ad esempio vengono segnalati 15.000 iscritti 16 , quando i tesserati a quella data sono in realtà circa 9.000 <17 . I Comitati provinciali individuati nel 1950 risultano 12 <18 , mentre a quell’altezza l’Uisp ha ormai articolato la sua presenza in molte province italiane. Gli atleti organizzati dall’associazione nel 1951 vengono valutati intorno ai 50.000 19 , mentre sono oltre 70.000 <20 .
I documenti della serie consultata sono legati da precisi vincoli archivistici, ma il flusso di informazioni tra la periferia e il centro risulta evidentemente lacunoso. Mancano materiali relativi alle Marche, all’Umbria, all’Abruzzo, al Molise, alla Calabria e alla Sicilia. Colpisce l’assenza della Lombardia e soprattutto di Milano (sono conservate solo due note della questura milanese), una città centrale per lo sport italiano e di radicate tradizioni nello sport popolare. D’altra parte, non tutta la documentazione sulle associazioni e i movimenti sorvegliati confluiva in questa serie che presenta il vantaggio dell’omogeneità tematica ma dovrebbe essere integrata dalla consultazione di altre carte di polizia conservate nell’Archivio Centrale dello Stato <21 .
Sport e “addestramento militare”
L’esistenza di una struttura militare occulta predisposta dal Pci nel secondo dopoguerra - non in funzione difensiva, come “apparato di vigilanza”, ma con l’obiettivo di rovesciare lo Stato democratico - è un tema che ricorre frequentemente nella pubblicistica anticomunista, con evidenti intenti politici.
In ambito storiografico questa tesi è al centro di alcune ricerche realizzate allo scopo di riequilibrare la storiografia prevalente che sostiene l’estraneità dell’opzione militare al corpo e alla cultura dei comunisti italiani, impegnati durante la ricostruzione a dare forma ad un partito di massa secondo l’impostazione togliattiana.
Si tratta di studi che tendono a considerare le carte di polizia e dei servizi segreti come fonti “neutre” e dunque attendibili e veritiere, perché non destinate a scopi propagandistici esterni ma ad una corrispondenza interna prodotto da soggetti che non avrebbero alcun interesse ad ingannare se stessi.
Un esempio significativo è la relazione approntata da Gianni Donno per la Commissione stragi, confluita nel volume La Gladio rossa del PCI (1945-1967) <22 .  Nella sua indagine Donno si affida esclusivamente a documenti prodotti dai servizi - «che lasciano, in molti casi, francamente perplessi sulla loro autenticità e sul loro valore ai fini della ricerca» <23  - e descrive l’inventario di un “archivio segreto” del Pci della cui esistenza non viene data alcuna prova, «se non testimonianze de relato » <24 . Come nota Aldo Giannulli, «il prestigioso storico salentino» «assume le informazioni contenute nei documenti dell’Ufficio Affari Riservati e del SIFAR senza alcuna riserva sulla loro veridicità»: "Tanta fiducia è rafforzata anche dal rinvenimento di un documento che un confidente avrebbe trafugato al PCI, nel quale sono contenute asserzioni abbastanza esplicite sull’esistenza dell’esercito parallelo. La lettera - vero “pezzo forte” dell’intera ricerca - reca l’intestazione a stampa Partito Comunista Italiano-Direzione Militare del Mediterraneo-Comando Emilia Romagna : colpisce che l’autore non sia assalito dal dubbio sull’autenticità del documento, al punto di non svolgere alcuna verifica in merito; in fondo, non appare molto probabile che il Pci stampasse la carta intestata di un organismo segreto, la cui stessa esistenza doveva essere tenacemente negata!" <25
Gli organi di polizia sospettavano che anche l’Uisp svolgesse, per conto del Pci, un ruolo di copertura rispetto alla preparazione di attività di carattere sovversivo.
Le prime informazioni sulle strutture paramilitari in seno all’Unione risalgono all’autunno del 1948. A partire dall’estate, il Partito comunista e le sue organizzazioni collaterali sono oggetto di una «durissima repressione poliziesca ad opera del ministro dell’Interno Scelba, fondata sul principio che il Pci fosse solo una sezione italiana del partito bolscevico con precisi piani insurrezionali (“piano K”)» <26 . Per Scelba il Partito comunista «era responsabile del clima di guerra che si era venuto a creare e nel quale era maturato l’attentato a Togliatti» <27 .
L’8 ottobre 1948 il prefetto di Firenze comunica alla Direzione generale della Pubblica sicurezza che l’Uisp è nata «pare per disposizioni date dal Cominform» che avrebbe stanziato «dieci milioni di lire» per sostenere l’organizzazione. Scopo dell’associazione, afferma perentoriamente il prefetto fiorentino, è «istruire militarmente i giovani di ambo i sessi, mediante l’apertura di palestre ginnastiche e campi sportivi» <28 .
Poco dopo, una relazione più circostanziata proviene dal questore di Foggia. «Persona degna di fede» riferisce agli organi di polizia che «di recente è ripreso il lavoro di organizzazione e di inquadramento della gioventù comunista in reparti organici di tipo militare» e a tale fine è stata costituita l’Uisp sui cui membri il questore assicura di «aver disposto le più oculate misure di vigilanza». Per non incorrere «nei divieti e nelle sanzioni previste dalla legge per le formazioni paramilitari e per l’uso delle uniformi», il Pci avrebbe scelto di «mascherare i suoi veri scopi» dando «a tutta l’attività» illegale «una veste sportiva» <29 .
Richiamandosi alla nota del collega foggiano, il 18 gennaio 1949 il questore di Bari rincara la dose. Fallito «almeno in parte» il tentativo di «costituire veri e propri reparti paramilitari camuffati in seno al noto “Movimento avanguardie garibaldine”» <30 , il Partito comunista si orienta verso lo sport, «strumento efficacissimo di propaganda», per realizzare una «graduale e pervicace infiltrazione» nelle masse giovanili. L’Uisp, sorta «per disposizioni del Cominform» che ha stanziato a questo scopo «ingenti somme» <31 , si propone, «in apparenza, di risollevare lo sport nazionale e di difendere “gli interessi degli sportivi più poveri”», in realtà secondo «notizie confidenziali molto attendibili» ha il compito di «catechizzare, sotto la copertura sportiva, i giovani d’ambo i sessi ed educarli all’ideologia marxista, istruendoli, nel contempo, militarmente, per costituire una massa di manovra da impiegare eventualmente al momento opportuno» <32 .
Il questore si adopera inoltre per impedire che possa andare a buon fine la richiesta dell’Uisp di affittare una palestra della ex Gil «chiusa, vastissima, ove, lontano da sguardi…indiscreti e senza la possibilità di controllo alcuno, è facile riunire - per qualsiasi scopo - centinaia di persone ed occultare materiale vario se non armi addirittura.» <33 .
Il 21 gennaio 1949 è la Direzione generale della Pubblica sicurezza, per conto del ministro degli Interni, a diramare una circolare «riservata personale» nella quale si invitano i prefetti ad intensificare la sorveglianza sull’attività dell’Uisp, descritta con parole che ricalcano quasi letteralmente la nota del prefetto barese <34 .
In risposta alla circolare ministeriale, il più solerte ad aderire alla tesi del “complotto militar-sportivo” è ancora una volta il prefetto di una città pugliese - Brindisi - che conferma la natura nascostamente paramilitare dell’Uisp 35 , seguito dal collega di Cagliari che avvia i dovuti accertamenti <36 .
Fino a questo punto, si può supporre che alcuni funzionari e organi di polizia abbiano ricavato dalla teoria sul “Piano K” la lente di lettura sulle iniziative e le finalità dell’Uisp, attentamente monitorata perché le attività fisiche, apparentemente “innocue”, si presterebbero in realtà a forme di addestramento militare.
Vittime dei loro schemi interpretativi, i sorveglianti procedono però lungo una pista che si rivela un vicolo cieco. Tra il 1949 e il 1956 indagini e rapporti “confidenziali” attestano la natura esclusivamente politico-sportiva dell’associazione e in alcuni casi escludono esplicitamente l’ipotesi complottista <37 .
Anche le cosiddette “operazioni sulla linea gotica”, attribuite al Pci, non trovano sostanziali riscontri. Si veda ad esempio il caso delle gare nazionali di sci organizzate dall’Uisp il 16-17 febbraio 1952 a Maresca, una frazione di San Marcello Pistoiese, sull’Appennino tosco-emiliano.
In vista della manifestazione il Comitato di zona del Pci promuove un incontro al quale partecipano alcuni dirigenti nazionali dell’Unione e dirama un comunicato nel quale invita tutti gli iscritti a mobilitarsi, data «la massima importanza politica» dell’iniziativa <38 .
Il prefetto di Pistoia invia una relazione al Gabinetto del Ministero degli Interni nella quale riporta puntuali informazioni sull’organizzazione della manifestazione <39 .
L’Uisp sta costituendo un «centro turistico di sport invernale» presso Maresca, in località “Casetta”, raggiungibile «a mezzo di strada rotabile forestale», in una zona «fitta di vegetazione, per cui poco adatta allo sport sciistico». Per realizzare il centro l’associazione «ha ottenuto, mascherando evidentemente l’iniziativa con l’intenzione di valorizzare la zona, l’adesione degli esercenti di Maresca, i quali hanno versato ciascuno un’offerta di L. 10.000». Il comitato organizzatore è costituito da quattro operai e artigiani comunisti e da due albergatori, uno «indipendente», l’altro «elemento opportunista»; del Comitato faceva parte inizialmente anche il parroco di Maresca, «il quale soltanto in questi giorni si è ritirato, avendo constatato lo scopo politico dell’iniziativa». Il 20 gennaio viene inaugurato il centro; sul posto confluiscono 200 persone, in prevalenza operai.
A queste osservazioni seguono le notizie raccolte per “via confidenziale”: "Secondo taluni confidenti, il nascente centro turistico sportivo a Maresca, avrebbe lo scopo occulto di istruire militarmente, attraverso l’U.I.S.P., i giovani di ambo i sessi alla vita della montagna, in relazione anche alla nota attività del P.C.I. lungo la linea gotica. Infatti tenuto conto che
a) la località prescelta non può essere definita ideale per praticare lo sport sciistico;
b) la strada che conduce alla “Casetta” è solo in parte carrozzabile;
c) la frazione Maresca è situata in località fuori mano isolata, rispetto alla strada statale 66;
d) la foresta del “Teso” è completamente appartata e ben si presta ad essere frequentata, senza sorveglianza diretta da parte della polizia (la stazione dell’Arma di Campotizzoro dista circa 10 km dalla “Casetta”);
e) valicando i crinali, oltre località “Casetta”, si arriva dopo circa 10-15 km per sentieri diversi al confine modenese-bolognese;
si desume che gli organizzatori dell’U.I.S.P., prevalentemente operai, avrebbero tutta la possibilità di istruirsi, indisturbati, all’uso degli sci, di conoscere tutte le piste che da Maresca e dalla località “Casetta” conducono ai versanti modenese e bolognese e di impratichirsi della zona appenninica Tosco-Emiliana" <40 .
Le allarmistiche note dello zelante prefetto pistoiese non hanno però seguito. La manifestazione dell’Uisp risulta essere, come annunciato, una tranquilla competizione sciistica e il pericoloso “centro” di Maresca altro non è che un modesto luogo di ritrovo uispino per gli sport invernali.
Anche i campeggi in montagna sono ritenuti potenzialmente “pericolosi”. Nell’estate del 1952 il capo della polizia di Modena chiede alla questura di Trento di accertare «l’effettiva attività» svolta in un campeggio organizzato sulle Alpi dall’Uisp modenese <41 . Effettuati gli «accertamenti», la questura comunica che «non si sono tenuti corsi di mistica comunista o di addestramento militare, in quanto i partecipanti curavano soltanto l’attività ricreativa e turistica, compiendo brevi escursioni nelle vicinanze del campeggio o recandosi a Molveno a prendere bagni in quella piscina» <42 .
Sportivi comunisti per la pace
A cavallo tra gli anni Quaranta e Cinquanta, mentre nei paesi dell’Europa orientale i colpi di Stato appoggiati dall’Urss impongono i partiti comunisti al potere e la guerra di Corea definisce drammaticamente i tratti della guerra fredda, il Pci elabora una politica sempre più incentrata sulle questioni internazionali e sul rischio di un nuovo conflitto. Iniziano le campagne per la pace e si serrano le file intorno all’Unione sovietica.
Alla fine del 1948 si costituisce a Roma il Movimento dei partigiani della pace, guidato per il Pci da Ambrogio Donini. Collegato ad un comitato mondiale, il movimento promuove numerose iniziative, a partire dalla campagna contro il Patto atlantico e dalla raccolta di firme per l’interdizione delle armi atomiche, lanciata a Stoccolma nel 1950, che raccoglie oltre 16 milioni di adesioni. <43
Il Pci utilizza il movimento per sviluppare un’incessante azione propagandistica basata su «una mitologia manichea che si nutre della connotazione positiva dell’Urss (adesso identificata con la causa della pace, oltre che con il progresso e la giustizia sociale) e della assimilazione degli Stati Uniti a “male radicale”»: «nell’immaginario collettivo e nella cultura politica dei militanti comunisti, “imperialismo”, “Casa Bianca”, “NATO” diventano sinonimi che identificano stabilmente il nemico principale, assoluto e irriducibile: una “realtà” aliena, da combattere senza quartiere e senza incertezze» <44 .
Le attività del settore culturale e ricreativo del Pci, comprese quelle sportive, vengono ricondotte al tema onnipresente della pace:
"Parola che sembrava dotata della capacità di rivestire e dare significato a qualunque momento di aggregazione e socialità: «serate della pace», gare di marcia «Trofeo della pace», gite «per la pace», tornei calcistici «Coppa per la pace», gare di cucito «per la più bella bandiera per la pace», concorsi per «la più bella poesia sulla pace», estrazioni a premi con in palio «colombe della pace», sino all’elezione delle «stelline» e degli «angioletti». Ovviamente «della pace»" <45 .
La pace è al centro anche dei Festival mondiali della gioventù nei quali lo sport assume un notevole rilievo. Il Pci organizza la partecipazione dei giovani comunisti alle assise internazionali che si svolgono nei paesi dell’Est europeo. Queste trasferte politico-sportive preoccupano i governi democristiani. In occasione della seconda edizione del Festival, che si tiene a Budapest nell’agosto 1949, la delegazione sportiva italiana, «largamente composta da atleti “uispini”», viene bloccata ai confini con l’Austria <46 .
Due anni dopo il Festival viene organizzato a Berlino Est. Il 5 agosto 1951 è Enrico Berlinguer a tenere il discorso di apertura <47 . Al rientro in Italia, il segretario dei giovani comunisti viene fermato alla frontiera di Chiasso dove gli vengono sequestrati i documenti d’identità. Sull’episodio i deputati Ottavio Pastore (comunista) e Emilio Lussu (socialista) presentano un’interpellanza parlamentare, alla quale risponde seccamente Scelba: «Il ritiro del passaporto al signor Berlinguer è stato disposto perché l’attività da questi svolta all’estero risulta pregiudizievole ai fini della sicurezza interna e internazionale dello Stato» <48 .
In occasione del IV Festival che si tiene a Bucarest nel 1953 l’Uisp denuncia le manovre ostruzionistiche del Coni «che non ha dato il suo appoggio affinché il Ministero dell’Interno concedesse sollecitamente i passaporti agli atleti» <49  costringendo alcuni di loro a rinunciare alla manifestazione.
Il Ministero e gli organismi dirigenti dello sport italiano si adoperano inoltre per ostacolare la partecipazione di atleti uispini alle gare ciclistiche internazionali “per la pace” che si svolgono nell’Europa dell’Est.
Il 1 maggio 1949 prende il via la Varsavia-Praga «la più importante corsa ciclistica dell’Europa centrale […], alla quale partecipano le rappresentanze ciclistiche albanesi, cecoslovacche, francesi, svizzere e sovietiche» <50 . L’Uisp iscrive alla competizione una squadra di 12 atleti, ma l’Unione Velocipedistica Italiana, in accordo con il Coni, non concede il nullaosta. «Ci punge il sospetto - commenta “Pattuglia”, la rivista della Fgci - che in tutto questo ci sia lo zampino dell’On. Andreotti» <51 .
Nel maggio 1952 l’ambasciata italiana a Varsavia comunica al Ministero degli Interni i nominativi dei ciclisti uispini che stanno per recarsi nella capitale polacca dove è prevista la V Corsa internazionale per la pace. Il gruppo è guidato dal deputato comunista e dirigente nazionale dell’Uisp Leonildo Tarozzi. Anche alcuni corridori triestini «cominformisti» partecipano alla gara <52 . L’ambasciatore trasmette a Roma la traduzione degli articoli della stampa polacca che riportano le dichiarazioni rilasciate dai ciclisti italiani, giunti a Varsavia «dopo 36 ore di viaggio per treno»:
"Anche quest’anno abbiamo trovato difficoltà a venire fino a voi. Gli organizzatori ci avevano già comprato i biglietti per via aerea ma, ciononostante, il Governo italiano non ci ha permesso il sorvolo. Abbiamo, pertanto, dovuto comprare i biglietti [del treno] a nostre spese, vendendo la radio avuta per premio l’anno scorso. Siamo lavoratori e non abbiamo risparmi. Due di noi sono disoccupati. […] Noi operai sportivi, in nome della pace, protestiamo contro la rinascita del fascismo. Siamo uniti con tutti coloro che amano la pace e la libertà" <53 .
Per la successiva edizione della corsa, che si snoda in otto tappe tra Varsavia, Berlino e Praga, il Coni concede il nullaosta alla rappresentativa dell’Uisp. L’associazione chiede quindi al Ministero degli Interni di rendere validi i passaporti per l’Europa orientale <54 . Scelba nega l’autorizzazione, suscitando una dura reazione della stampa comunista:
"Per più di una settimana l’on. Tarozzi aspettò che il visto arrivasse. Il giorno 27 aprile alle ore 13 il vicepresidente dell’Uisp riceveva comunicazione che l’on. Scelba aveva categoricamente rifiutato i visti degli italiani. […] Tale diniego è semplicemente antisportivo. […] Giuridicamente e politicamente è un arbitrio. […] Il Coni e l’Uvi ne escono con la dignità scossa" <55 .
Il copione si ripete nel 1954. Il Coni invia al Ministero le richieste di concessione del passaporto per i ciclisti che parteciperanno alla Varsavia-Berlino-Praga <56 . Su indicazione del capo gabinetto della presidenza del Consiglio, l’autorizzazione viene bloccata <57 . Come l’anno precedente, mentre la sinistra protesta <58 , il Coni tace.
Lo stillicidio di divieti degli organi di polizia si estende anche alle attività minori dell’Uisp: quando una squadra di calcio di una fabbrica di Lipsia propone all’associazione di incontrare un’omologa formazione italiana nel territorio della Germania orientale, il Dipartimento di Pubblica sicurezza del Ministero interviene prontamente impartendo disposizioni affinché «non sia dato corso ad eventuali richieste di passaporto da parte di aderenti all’Unione» <59
L’Uisp e il Coni
Il primo Statuto dell’Uisp, varato nel 1950, si propone tra l’altro di definire «accordi con il CONI e le Federazioni Sportive Nazionali allo scopo di garantire il successo delle manifestazioni organizzate e nell’interesse dei singoli sportivi» <60 .
Il Coni si muove però su una asse politico che discrimina palesemente l’Uisp e favorisce il Centro sportivo italiano, l’ente di propaganda sportiva cattolico guidato da Luigi Gedda: «prendendo a campione il 1952», il Csi «ebbe da Onesti un contributo di 30 milioni», l’Uisp «di 7» <61 .
Gli organi di polizia inizialmente faticano ad inquadrare il rapporto tra Uisp e Coni. Nel 1949 il questore di Roma attribuisce all’Unione nientemeno che l’intento di esautorare il Coni <62
Più realisticamente, negli anni successivi si segnalano le difficoltà dell’Uisp che rivendica «la concessione di tutte le sovvenzioni e agevolazioni» di cui godono le altre strutture sportive: «Sembra, però, che i dirigenti del partito comunista non nutrano molte speranze sul successo di questa iniziativa, ben sapendo come l’UISP sia guardata con molta diffidenza negli ambienti sportivi ufficiali […] per il suo malcelato carattere di organizzazione pseudosportiva controllata da un partito politico» <63 .
Nel 1955 il Ministero degli Interni chiede al Coni «dettagliate notizie sull’attività dell’Uisp». Il Comitato olimpico risponde con una lettera riservata inviata alla presidenza del Consiglio dei ministri nella quale enfatizza la capacità dell’organismo di mantenere lo sport al riparo da contaminazioni politiche - secondo la formula “lo sport agli sportivi” -, conferma la prevalenza delle tendenze politiche conservatrici nel mondo sportivo e minimizza il peso dell’Uisp:
"Il C.O.N.I vigila attentamente affinché non vi siano deviazioni politiche nel campo sportivo […?]. Aggiungiamo, per maggiore conoscenza di codesta Presidenza, che la quasi totalità delle forze sportive italiane diffuse in tutta la periferia della Nazione è, per certa conoscenza, diretta da elementi che se pure si professano apolitici sono tendenzialmente orientati verso i partiti di centro. Si tratta nella grande maggioranza di industriali, di commercianti, di professionisti, di funzionari che naturalmente si incanalano nelle correnti di centro oppure vanno con prudenza e moderazione verso destra. Tale situazione non è possibile rilevarla da documentazioni ma per logica sensazione che chiunque può trarre entrando in contatto con i Circoli sportivi. Le cosiddette forze dell’U.I.S.P., in conseguenza di tale situazione, sono pertanto del tutto marginali" <64 .
La questione del rapporto Uisp-Coni si ripresenta l’anno successivo quando, con l’approssimarsi delle Olimpiadi di Roma, l’Unione costituisce le “Leve delle giovani speranze di Olimpia”. Il significato dell’iniziativa è tratteggiato da Antonio Ghirelli sulle pagine della rivista dell’Uisp, con accenti che richiamano lo spirito dell’”olimpismo”:
"La scelta di un tema apparentemente così remoto come “la preparazione dello sport italiano alle Olimpiadi del ‘60”, non ha nulla di arbitrario. […] È appena il caso di notare, del resto, come altre organizzazioni e gruppi politico-confessionali di consumata esperienza, abbiano addirittura anticipato le iniziative della nostra UISP, lanciando grandi parole d’ordine e attuando espedienti propagandistici […]. L’Unione Popolare […] si è proposta di affrontare la questione sotto un profilo ben diverso. In luogo di aspirare ad una qualificazione politica o settaria delle Olimpiadi, l’Unione al contrario ha chiaramente affermato di volerne esaltare il significato universale, la nobile funzione mediatrice tra politiche ed ideologie diverse che possono odiarsi solo a patto di non conoscersi. […] Basterebbero le “leve delle giovani speranze di olimpia” a dar ragione della fattiva nobiltà dei nostri propositi. Vogliamo essere presenti alla grande festa della gioventù italiana, vogliamo che essa si risolva in una affermazione di civiltà e di progresso del popolo italiano" <65 .
Il questore di Roma informa il ministro degli Interni che l’Unione ha predisposto una «campagna», incentrata sulle Leve olimpiche, attraverso la quale "intende procedere ad una vasta azione di reclutamento, specie tra i giovanissimi, col proposito di dare nuova linfa alla sua organizzazione e di preparare, nelle varie specialità, il più gran numero di giovani possibile in vista delle Olimpiadi di Roma, col proposito anche di far partecipare a tale grande manifestazione sportiva internazionale dei propri atleti" <66 .
Ma, al contrario dei “nobili” propositi enunciati da Ghirelli, secondo i funzionari di pubblica sicurezza «lo scopo effettivo», "è convogliare la gioventù, attraverso gli allettamenti delle manifestazioni sportive, presso i partiti di sinistra. La relativa azione viene svolta, naturalmente, anche nei confronti dei giovani cattolici, ai quali, come, del resto, ai giovani di altre tendenze, si fa balenare la possibilità di successi sportivi e, più ancora, di viaggi e divertimenti come, ad esempio, la partecipazione, gratuita o quasi, al Festival di Mosca, in programma per l’estate del 1957" <67 .
Sul tema interviene con un’informativa riservata anche il Sifar <68 , riproponendo la tesi dell’assalto al “palazzo d’inverno” dello sport italiano da parte dell’Uisp. Il servizio segreto non ha dubbi sulle reali finalità dell’iniziativa. Le “leve” sono il “cavallo di Troia” che i comunisti intendono utilizzare per penetrare nella “cittadella dello sport”, “corrompere” «centinaia di migliaia» di giovani cattolici e «impadronirsi» del Coni:
"Il P.C.I., con la nuova iniziativa, in sostanza si ripromette, attraverso l’UISP, di:
a) sottrarre al controllo del Centro Cattolico Italiano <69  e della Gioventù Italiana di Azione Cattolica, col miraggio d’un brillante avvenire sportivo, centinaia di migliaia di giovani che, gradatamente, dovrebbero ingrossare le fila della FGCI;
b) impadronirsi delle principali Federazioni sportive italiane e quindi del CONI" <70 .
A dispetto di questa ennesima rappresentazione dell’associazione come soggetto politico “sovversivo”, l’Uisp sta avviando un percorso che la porterà ad attenuare la sua “opposizione sportiva”. In occasione delle Olimpiadi di Roma del 1960 l’Unione si spenderà per la buona riuscita dei Giochi e per garantire un clima di pace sociale, in nome dell’interesse dello sport nazionale e in funzione di una propria legittimazione come forza “responsabile” <71 .
[NOTE]
1  Si tratta di 7.435 fascicoli classificati dal Dipartimento di Pubblica sicurezza del Ministero, Ufficio ordine pubblico. Il versamento risale al 2002 e si compone di due parti (prima e dopo il 1966), corrispondenti a due successivi titolari. Prima della ristrutturazione degli apparati di polizia (1981), la serie era indicata come “G1 Associazioni” e faceva capo alla Sezione prima della Divisione Generale Affari Riservati della Pubblica sicurezza. Tra il 1948 e il 1956 la Divisione era guidata dall’ex dirigente dell’Ovra Gesualdo Barletta, affiancato da Domenico Rotondano, un altro ex funzionario della polizia politica fascista, cfr. G. De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia , Editori Riuniti, Roma, 1991, pp. 46-48.
2  M. Franzinelli, Sull’utilizzo (critico) delle fonti di polizia , in «Percorsi Storici», n. 0, 2011: [ http://www.percorsistorici.it/component/content/article/10-numeri-rivista/numero-0/20-franzinelli ] (salvo diversa indicazione tutti gli url sono stati controllati il 3 ottobre 2019).
3  Id., Sull’utilizzo (critico) delle fonti di polizia , in AA.VV., Voci di compagni schede di questura. Considerazioni sull’uso delle fonti orali e delle fonti di polizia per la storia dell’anarchismo , Milano, Quaderni del Centro studi libertari archivio Pinelli, 2002, p. 20.
4  E. Francescangeli, Sorvegliare con lentezza. I gruppi della sinistra extraparlamentare nelle carte di polizia , in Gli anni Settanta. Tra crisi mondiale e movimenti collettivi , a cura di A. De Bernardi, V. Romitelli, C. Cretella, Bologna, Archetipolibri, 2009, p. 324. Cfr. G. Sacchetti, Sovversivi agli atti. Gli anarchici nelle carte del ministero dell’Interno. Schedatura e controllo poliziesco nell’Italia del Novecento , Ragusa, La Fiaccola, 2002, p. 9; e M. Franzinelli, Sull’utilizzo (critico) delle fonti di polizia , Op. cit ., pp. 22-23.
5  Archivio centrale dello Stato (ACS), Ministero dell’Interno (MI)  Dipartimento generale pubblica sicurezza (DG) , Segreteria del dipartimento (Sdip), Ufficio ordine pubblico (OP), Categorie permanenti (CP), G.1 Associazioni (1944-1986), bb. 207 (1948-1966) e 388 (1969-1984). Poiché tutte le carte in seguito citate sono raccolte nella prima busta (erroneamente indicata nell’inventario come busta 208), in nota si farà riferimento solo ai fascicoli.
6  Cfr. L. Martini, Nascita di un movimento. I primi anni dell’UISP , Roma, Edizioni Seam, 1998; B. Di Monte, S. Giuntini, I. Maiorella, Di sport, raccontiamo un’altra storia. Sessant’anni di sport sociale in Italia attraverso la storia dell’UISP , Molfetta, La Meridiana, 2008. Sulla storia locale dell’Uisp cfr. S. Giuntini, UISP a Milano 1948-1990. Dall’Unione Italiana Sport Popolare all’Unione Italiana Sport Per tutti , Milano, Edi-ermes, 1991; L. Senatori, Dallo sport popolare allo sport per tutti: le radici storiche, l’esperienza dell’UISP di Firenze , Firenze, Polistampa, 2006. Sull’UISP tra il 1968 e la prima metà degli anni Settanta cfr. A. Molinari, G. Toni, Storie di sport e politica. Una stagione di conflitti (1968-1978) , Milano-Udine, Mimesis, pp. 125-138.
7  F. 1 (1948-settembre 1952), Questura di Roma, Unione Italiana Sport Popolare, 12 gennaio 1951; ivi, Questura di Roma, Unione Italiana Sport Popolare, 4 agosto 1952.
8  Di Monte, Giuntini, Maiorella, Op. cit ., p. 44.
9  F. 3 (giugno 1954-settembre 1954), Prefettura di Padova, Padova-Attività del P.C.I., 31 maggio 1954.
10   Ivi, Prefettura di Matera, Costituzione Comitato Unione italiana sport popolare, 9 agosto 1954.
11  F. 1 (1948-settembre 1952), Prefettura di Alessandria, Attività del P.C.I. attraverso l’U.i.s.p., 1 giugno 1949.
12   Ivi, Questura di Livorno, Unione Italiana Sport popolare-Federazione di Livorno, 10 febbraio 1950.
13  F. 3 (gennaio-giugno 1954), Questura di Padova, Padova-attività del P.C.I., 24 marzo 1954.
14  Talvolta gli organi di polizia forniscono indicazioni anche sull’ubicazione delle sedi, sul numero di iscritti, sulle iniziative per l’autofinanziamento.
15  Su questo tema cfr. il capitolo Lo sport popolare  della ricerca di A. Fanelli, A casa del popolo. Antropologia e storia dell’associazionismo ricreativo , Roma, Donzelli, 2014, pp. 89-94.
16  F. 1 (1948-settembre 1952), Questura di Roma, Unione Italiana Sport Popolare, 6 ottobre 1948.
17  Di Monte, Giuntini, Maiorella, Op. cit ., p. 32.
18  F. 1 (1948-settembre 1952), Ministero dell’Interno, Unione popolare sport popolare, s. d., ma databile alla fine del 1950.
19   Ivi, nota di una “fonte fiduciaria”, L’azione dell’Unione Italiana per lo Sport Popolare per penetrare nelle società sportive, 27 gennaio 1952.
20  Di Monte, Giuntini, Maiorella, Op. cit , p. 72.
21  Come le serie “Fascicoli permanenti. Partiti politici” e “Fascicoli correnti” del Gabinetto del ministro dell’Interno e il fondo “Affari vari” della Divisione Affari Riservati della Direzione generale di Pubblica Sicurezza.
22  Cfr. G. Donno, La Gladio rossa del PCI (1945-1967) , Soveria Mannelli, Rubbettino,  2001; cfr. anche R. Turi, Gladio Rossa , Venezia, Marsilio, 2004.
23  G. Scirocco, recensione a La Gladio rossa del PCI (1945-1967),  in SISSCO. Società italiana per lo studio della storia contemporanea: [ http://www.sissco.it/recensione-annale/gianni-donno-la-gladio-rossa-del-pci-1945-1967-2001/ ]. Perplessità espresse anche da uno storico non sospettabile di simpatie “negazioniste” come E. Galli della Loggia, cfr. il forum sul libro in «Nuova storia contemporanea», a. V, n. 6, novembre-dicembre 2001.
24  Scirocco, Op. cit .
25  A. Giannulli, Il trattamento delle fonti provenienti dai servizi di informazione e sicurezza , in AA.VV., Op. cit., p. 51.
26  A. Vittoria, Storia del PCI (1921-1991) , Roma, Carocci, 2006, p. 68.
27  Ibidem;  «Le voci sui presunti piani comunisti di rovesciamento delle istituzioni democratiche», «messe in circolazione ad arte dagli ambienti moderato-conservatori italiani e statunitensi», sono funzionali ad una strategia politica che alimenta nell’opinione pubblica il timore per il pericolo rosso, cfr. M. Dondi, La lunga liberazione. Giustizia e violenza nel dopoguerra italiano , Roma, Editori Riuniti, 2004, pp. 178-179, 183. Anni dopo, lo stesso Scelba affermerà di non avere mai creduto all’esistenza del “piano K”, cfr. F. Orlando, Ecco come difesi la libertà degli italiani. Intervista a Mario Scelba , in «Prospettive del mondo», n. 139-140 (1988), p. 9 e sgg.
28  F. 1 (1948-settembre 1952), Prefettura di Firenze, Unione Italiana Sport Popolare e Unione Turistica Italiana, 8 ottobre 1948.
29  Ivi, Questura di Foggia, Partito comunista-Pseudo attività sportiva, 14 dicembre 1948.
30  Il movimento giovanile promosso dalla sinistra in vista delle elezioni del 18 aprile 1948.
31  «Il finanziamento sarebbe effettuato attraverso la fabbrica di biciclette Taurus di Bologna»: f. 1 (1948-settembre 1952), Questura di Bari, Gioventù comunista-U.I.S.P.-Pseudo attività sportiva, 18 gennaio 1949.
32   Ibidem .
33   Ibidem .
34   Ivi, Direzione Generale della Pubblica Sicurezza-Divisione Affari Riservati, Riservata personale, 21 gennaio 1949.
35   Ivi, Prefettura di Brindisi, Attività del Partito Comunista Italiano, 25 gennaio 1949.
36   Ivi, Prefettura di Cagliari, Comitato Provinciale Unione Sport Popolare, 17 febbraio 1949.
37   Ivi, Prefettura di Napoli, P.C.I. Attività, 21 agosto 1950; ivi, Prefettura di Arezzo, Unione Italiana Sport Popolare, 18 aprile 1951.
38   Ivi, P.C.I. Comitato di zona Montagna Pistoiese, A tutti gli iscritti della sezione, s.d.
39   Ivi, Prefettura di Pistoia, Attività del partito comunista lungo la linea gotica, 26 gennaio 1952.
40   Ibidem .
41   Ivi, Questura di Modena, Gruppo campeggiatori modenesi, aderente all’Unione Italiana Sport Popolare, 8 agosto 1952.
42   Ivi, Questura di Trento, Gruppo campeggiatori modenesi, aderenti all’U.I.S.P,   18 agosto 1952.  
43  S. Cerrai, I partigiani della pace in Italia. Tra utopia e sogno egemonico , Padova, Libreria Universitaria, 2011, p. 209.
44  G. Gozzini, R. Martinelli, Storia del Partito comunista italiano. Dall’attentato a Togliatti all’VIII congresso , Torino, Einaudi, 1998, p. 178.
45  A. Guiso, La colomba e la spada. “Lotta per la pace” e antiamericanismo nella politica del Partito comunista italiano , Soveria Mannelli, Rubbettino, 2006, p. 483.
46  Di Monte, Giuntini, Maiorella, Op. cit ., p. 92.
47   Discorso di apertura di Enrico Berlinguer. Conquisteremo la pace al mondo intero , in «Pattuglia», n. 32, 26 agosto 1951.
48  Atti parlamentari (d’ora in avanti AP), Senato della Repubblica, Discussioni, Seduta n. 708 del 31 ottobre 1951, p. 28.087.
49  Dichiarazione del dirigente Uisp Giorgio Mingardi rilasciata il 1° agosto 1953, cit. da Di Monte, Giuntini, Maiorella,  Op. cit ., pp. 95-96.
50   Strano rifiuto dell’UVI all’UISP , in «Pattuglia», n. 8, 1-15 maggio 1949.
51  Ivi .
52  F. 1 (1948-settembre 1952), Ministero degli Affari esteri, Comunicato dell’ambasciata d’Italia in Varsavia, Unione Italiana Sport Popolare-V Corsa Internazionale della pace,   26 aprile 1952; Ivi, Prefettura di Gorizia, Riservata raccomandata, 17 settembre 1952.
53   Ivi , Ministero degli Affari esteri, Comunicato dell’ambasciata d’Italia in Varsavia, Stampa polacca del 30 aprile 1952, 6 maggio 1952.
54  F. 2 (marzo-dicembre 1953), Lettera del Consiglio nazionale dell’Uisp all’On.le Mario Scelba, 22 aprile 1953.
55  Scelba ha negato i visti , in «Pattuglia», n. 19, 10 maggio 1953.
56  F. 3 (gennaio-giugno 1954), Lettere di Bruno Zauli, segretario generale del Coni al Ministero dell’Interno, 20 e 26 aprile 1954.
57   Ivi, Telespresso del capo gabinetto della presidenza del Consiglio, 29 aprile 1954.
58   Proibita ai nostri ciclisti la “corsa della pace , in «Il Paese», 30 aprile 1954.
59  F. 2 (marzo-dicembre 1953), Direzione Generale della Pubblica Sicurezza-Divisione Affari Riservati, Progettato scambio di squadre sportive tra un’associazione della Germania Orientale e l’U.I.S.P., 4 settembre 1953.
60  Di Monte, Giuntini, Maiorella, Op. cit ., p. 82.
61   Ivi , p. 74.
62  F. 1 (1948-settembre 1952), Questura di Roma, Sport popolare-Unione italiana, 24 gennaio 1949.
63  F. 2 (marzo-dicembre 1953), Questura di Torino, Iniziative comuniste nel campo sportivo, 5 dicembre 1953.
64  F. 4 (gennaio 1955-agosto 1956), Il testo della lettera si trova in Presidenza del Consiglio dei ministri (d’ora in avanti PCM), Unione italiana sport popolare, 18 maggio 1955.
65  A. Ghirelli, Tempestività  in «Il Discobolo», n. 2, febbraio 1956.
66  F. 4 (gennaio 1955-agosto 1956), Questura di Roma, Attività della U.I.S.P. - Campagna per la leva delle giovani speranze di Olimpia, 15 maggio 1956.
67  Ibidem.
68  Il Servizio informazioni forze armate - primo servizio segreto della Repubblica - nasce il 1° settembre 1948 «in forza di una circolare interna del Ministero degli Interni e non a seguito di dibattito parlamentare». Nel 1956 è guidato dal generale Giovanni De Lorenzo e la sua attività è ancora disciplinata da norme che risalgono all’epoca fascista. Cfr. De Lutiis, Op. cit ., pp. 38-39.
69  Si tratta probabilmente del Centro sportivo italiano.
70  La segnalazione del Sifar è riportata in f. 4 (gennaio 1955-agosto 1956), P.C.I.-Attività dell’Unione Italiana Sport Popolare, 5 giugno 1956,.
71  Cfr. Di Monte, Giuntini, Maiorella, Op. cit ., pp. 107-109.
Alberto Molinari (Istituto Storico di Modena), I sovversivi dello sport. L’Uisp nelle carte di polizia (1948-1956) in Storia Dello Sport. Rivista Di Studi Contemporanei, Vol 2 No 1 (2020), pp. 74-86, 6 febbraio 2021