domenica 19 febbraio 2023

Ogni notte, per quante sentinelle si mettano, i soldati scappano a decine, spesso a centinaia


Nei piani del governo di Salò, la ricostituzione delle Forze Armate è ritenuta fondamentale. Essa deve segnare una rottura con il passato <601, dopo il tradimento del 25 luglio e dell'8 settembre, e - nello stesso tempo - deve costituire lo strumento attraverso il quale continuare la guerra accanto agli alleati tedeschi. Una forza militare organizzata e istituzionalizzata può, peraltro, conferire la legittimità e la sovranità di cui lo Stato Nazionale Repubblicano ha bisogno <602. Il compito, tuttavia, non è facile. Intanto, Hitler non si fida di un esercito italiano. Anche Goebbels manifesta le proprie perplessità e non senza una punta di sarcasmo. <603 Sul piano interno, inoltre, occorre dirimere la disputa tra Graziani, Ministro della Difesa Nazionale e sostenitore di un Esercito nazionale, apolitico, unitario, e Ricci, Comandante della Milizia e fautore, invece, di un Esercito con una forte connotazione politica. Occorre, infine, tenere a freno le attività di quei reparti armati che sembrano godere di ampia autonomia e libertà d'azione <604.
Nella riunione del Consiglio dei ministri del 27 ottobre [1943] sembra prevalere la linea di Graziani. Lo stesso Mussolini dice che la M.V.S.N. farà parte integrante dell'Esercito.
Tuttavia, nella successiva riunione del 24 novembre viene approvato lo Schema di decreto per l'istituzione di una “Guardia Nazionale Repubblicana” [GNR] con a capo Renato Ricci <605. Sembrerebbe una rivincita di Ricci e del Partito <606 o, quantomeno, un compromesso. In realtà, il mancato coordinamento dei diversi corpi militari, lo scontro relativo alle prerogative e alle competenze, la rivalità tra comandanti, il rapporto spesso conflittuale tra apparati dello Stato (Esercito, Polizia, Partito, Milizie, Amministrazione civile) rendono difficile il controllo della situazione, già particolarmente critica, sia sul fronte militare sia su quello interno <607.
Le Forze Armate rappresentano un elemento di credibilità prima ancora che di orgoglio e di onore ma non è facile gestire la loro costituzione. Mancano le armi, le uniformi, l'equipaggiamento. Se ne lamenta lo stesso Graziani. I tedeschi, d'altra parte, non collaborano. Si sa che non vedono di buon occhio la ricostituzione dell'Esercito italiano. Il corpo degli ufficiali è ritenuto incapace, debole, in parte corrotto. Manca ancora di spirito di sacrificio, entusiasmo, fiducia “nei destini superiori della nazione” e i dati relativi al reclutamento sono preoccupanti.
Il 9 novembre vengono affissi i bandi di chiamata alle armi che interessano i nati nel 1924 (secondo e terzo quadrimestre) e nel 1925. In pratica, ragazzi di 19 e 20 anni. Sono giovani ma “arrivano senza gioia nelle caserme svuotate dal tornado dell'armistizio e non sanno cosa fare. Sono partiti con treni dai vetri rotti, sulle corriere che perdono pezzi lungo la strada. Non più i berretti e le grida dei coscritti tradizionali, le scritte inneggianti alla classe richiamata, le sere a girovagare per le vie del centro con i fiaschi di vino penzoloni sul petto, prima di finire in massa nei casini locali. Adesso non si vedono che facce serie, arie caute” <608. Nelle loro valigie c'è un abito borghese. Può sempre servire. E in effetti, sono in molti a utilizzarlo quando decidono di scappare. “Ogni notte, per quante sentinelle si mettano, i soldati scappano a decine, spesso a centinaia, quasi sempre scappano con loro le stesse sentinelle” <609.
Altri, invece, decidono di non presentarsi affatto. Su 180.000 che ricevono la chiamata, si presentano circa 87.000. Meno della metà. I notiziari della Guardia Nazionale Repubblicana forniscono qualche dato: a Padova, su 400 se ne sono presentati soltanto 5; a Genova soltanto il 10%, a Casale Monferrato l'11%.
Eppure, le autorità intervengono in modo deciso. Il ministro dell'Educazione nazionale Biggini dispone che i renitenti siano denunziati e allontanati dalle scuole e, nel caso si tratti di studenti universitari, presentino un certificato che attesti la posizione regolare nei confronti del servizio militare prima di poter sostenere gli esami. A queste disposizioni si aggiungono interventi più duri quali i rastrellamenti di reclute e le rappresaglie nei confronti delle loro famiglie.
“A Sondrio […] il titolare di un negozio di generi alimentari con privativa e di un servizio di autopubbliche, perde la licenza perché ha “tre figli disertori in Svizzera”. A Vercelli viene ordinata la chiusura degli esercizi di sette commercianti, anch'essi con figli renitenti alla leva. Sulle saracinesche abbassate, i militi della GNR affiggono sgrammaticati cartelli: “Chiuso perché padre di un disertore”.[…] In provincia di Milano la prefettura ricorda che le famiglie dei renitenti delle classi 1924 e 1925 verranno punite nel modo seguente: arresto del padre del ragazzo; ritiro immediato delle carte annonarie a tutti i parenti di primo e secondo grado, esclusi i bambini inferiori a 10 anni; ritiro immediato delle licenze di esercizio e di circolazione delle autovetture per tutti i parenti di primo e di secondo grado; sospensione immediata del pagamento delle pensioni ai genitori; sospensione immediata dagli impieghi statali e parastatali dei famigliari di primo e secondo grado” <610.
Le difficoltà emerse sul fronte interno, alle quali si aggiungono quelle incontrate sul piano militare, impongono uno sforzo notevole per tenere la situazione sotto controllo <611.
Per il fascismo di Salò, questo è il momento di assumere un atteggiamento risoluto, irriducibile, inflessibile. L'alleato tedesco, d'altra parte, ha alzato la voce. Kesserling si è lamentato con Graziani e il 12 febbraio 1944 gli ha scritto: “Negli ultimi tempi i casi di diserzione degli appartenenti alle nuove formazioni dell'esercito italiano hanno preso proporzioni insopportabili” <612. I rastrellamenti e le rappresaglie nei confronti dei genitori non bastano più. Adesso bisogna fucilare. Il 18 febbraio viene emanato il “Bando Graziani” che prevede la “pena capitale a carico dei disertori o renitenti di leva” <613. Un successivo decreto del Duce prevede un periodo di reclusione non inferiore a dieci anni per chi presta assistenza ai disertori e un periodo non inferiore a quindici anni per chi è ritenuto responsabile di istigazione alla diserzione e alla renitenza. La simulata infermità è punita con non meno di otto anni di carcere. Il militare, anche di leva, che si procura un'infermità permanente è punito con la fucilazione al petto <614. I provvedimenti adottati producono i primi effetti <615. Sono numerose le condanne a morte eseguite <616 ma, nello stesso tempo, aumenta l'insofferenza della popolazione. Il consenso che la autorità della RSI ricercano sul piano politico, militare e - soprattutto - sociale, è inferiore alle aspettative. Il dissenso, invece, diventa sempre più aperto ed esteso. Nelle fabbriche, dall'1 all'8 marzo, si trasforma in sciopero generale <617.
La crisi è evidente. Ha radici profonde e sta corrodendo l'intero assetto della Repubblica Sociale Italiana.
[NOTE]
601 “Il Duce del Fascismo, Capo dello Stato Nazionale Repubblicano, accertato che le Forze Armate Regie, durante la guerra in corso, sono state fin dell'inizio, deliberatamente tradite dalla dinastia e dai capi militari ad essa legati, che hanno paralizzato gli splendidi, mirabili atti di valore compiuti e reso vano il sangue generoso versato; considerato che con la resa e col tradimento dell'8 settembre 1943 la dinastia e i capi militari ad essa legati hanno disonorato le Forze Armate Regie, di fronte al popolo italiano e al mondo; sentito il Consiglio dei Ministri, Decreta: Art. 1 - Il Regio Esercito, la Regia Marina e la Regia Aeronautica hanno cessato di esistere in data 8 settembre 1943 […]”, Decreto del Duce, 27 ottobre 1943 (G.U. 262 del 10 novembre 1943).
602 Il Duce del Fascismo, Capo dello Stato Nazionale Repubblicano, sentito il Consiglio dei Ministri, Decreta: Capitolo Primo: Disposizioni generali - Art. 1 - Le Forze Armate hanno lo scopo di combattere per la difesa dell'onore, dell'indipendenza e degli interessi del popolo italiano. Ad esse è affidato il compito esclusivo dell'educazione militare del popolo italiano. Esse comprendono: l'Esercito, la Marina da guerra, l'Aeronautica […] Art. 2 - Le Forze Armate sono costituite da volontari e da militari di leva […] La coscrizione militare è un servizio d'onore per il popolo italiano ed un privilegio per la parte più scelta di esso. […] Capitolo Secondo: Obblighi di servizio - Art. 5 - Il servizio militare obbligatorio si estende per tutti indistintamente i validi, dal 17° anno di età compiuto al 37° anno compiuto […] Capitolo Terzo: Diritti e doveri degli appartenenti alle Forze Armate - Art. 19 - Gli ufficiali, i sottufficiali e i soldati in servizio attivo non possono esplicare alcuna attività politica. Art. 20 - I militari non possono appartenere a società segrete. La infrazione di tale prescrizione costituisce reato. […]”, Decreto del Duce 27 ottobre 1943 (G.U. 262 del 10 novembre 1943).
603 Nel suo Diario, alla data del 23 settembre 1943, scrive: “Il Duce intende creare un nuovo esercito italiano coi residui del fascismo. Ho i miei dubbi sulle sue possibilità di riuscita. Il popolo italiano non è all'altezza di una politica rivoluzionaria concepita con ampiezza di vedute. Gli italiani non vogliono essere una grande potenza. Questa volontà è stata loro inculcata artificialmente dal Duce e dal partito fascista. Il Duce avrà quindi scarsa fortuna nel reclutare un nuovo esercito nazionale italiano. Il vecchio Hindenburg aveva indubbiamente ragione quando disse che nemmeno Mussolini sarebbe mai riuscito a fare degli italiani altro che degli italiani”. Citato da Renzo De Felice, Mussolini l'alleato II. La guerra civile (1943-1945), cit., p.441.
604 Per l'intensa attività repressiva e la particolare efferatezza si distinguono, nei seicento giorni di Salò, la Banda Koch, la Banda Carità, la Decima Mas, La Legione Autonoma Mobile Ettore Muti. Vedi: Aldo Lualdi, La banda Koch. Un aguzzino al servizio del regime, Bompiani, Milano 1972; Massimiliano Griner, La banda Koch. Il reparto speciale di polizia 1943-44, Bollati Boringhieri, Torino 2000; Riccardo Caporale, La Banda Carità. Storia del Reparto servizi speciali 1943-45. Prefazione di Dianella Gagliani, S. Marco linotipo, Lucca 2005; Massimiliano Griner, La pupilla del Duce. La Legione autonoma mobile Ettore Muti, Bollati Boringhieri, Torino 2004; Ricciotti Lazzero, La decima mas, Rizzoli, Milano 1984. Sulla Banda Koch vedi anche: Archivio di Stato di Milano, Corte di Assise straordinaria di Milano 1946, Procedimento penale contro il reparto speciale di polizia comandato da Pietro Koch (Inventario a cura di Fiammetta Auciello).
605 Il Duce della Repubblica Sociale Italiana e Capo del Governo […] Decreta: Art. 1 - E' istituita una “Guardia nazionale Repubblicana” con compiti di polizia interna e militare formata dalla M.V.S.N. (comprese le Milizie speciali: Ferroviaria-Portuaria-Postelegrafonica-Forestale-Stradale-Confinaia), dall'Arma dei Carabinieri e dal Corpo della Polizia dell'Africa Italiana. Art. 2 - La “Guardia Nazionale Repubblicana” è posta agli ordini di un “Comandante Generale” nominato dal Capo dello Stato. 3 - La “Guardia nazionale Repubblicana” ha bilancio ed amministrazione autonomi […], Decreto Legislativo del Duce 24 dicembre 1943 - XXII, n. 913 [in realtà, la data è 8 dicembre 1943, così come si evince dalla errata corrige nella Gazzetta Ufficiale anno 85, n. 165].
606 “[…] Ciò significa la costituzione di un altro esercito. Si parla infatti già con ironia dell'esercito “apolitico” di Graziani, e di quello “politico” di Ricci. Ma siccome questa formazione avrà anche i compiti dell'arma dei carabinieri, ci saranno nuovi motivi di conflitto, anche con la polizia. Si ritiene che sommersi tra consoli e generali della Milizia, ben pochi ufficiali superiori dell'Arma continueranno a prestare servizio. Verranno così perduti elementi preziosi e di vasta competenza. Buffarini, che ha incassato il colpo, si dà anima e corpo a ingrossare le file della polizia ausiliaria; il partito fa lo stesso con le sue squadre. La Decima, coi suoi reparti; le varie formazioni autonome, a carattere più o meno poliziesco, accrescono la propria consistenza. Graziani, che insieme con Gambara ha lottato sino all'ultimo per evitare tutto questo, mi dice con profondo scoramento come l'unico esercito che per costituirsi ha avuto un parto quanto mai travagliato è quello “nazionale”. Cioè, il solo che dovrebbe veramente esistere per combattere in campo aperto il nemico. Ed ha perfettamente ragione”, Giovanni Dolfin, Con Mussolini nella tragedia. Diario del Capo della Segreteria particolare del Duce. 1943-1944, Garzanti, Milano 1949. Citato da Renzo De Felice, Mussolini l'alleato II. La guerra civile (1943-1945), cit., p. 467.
607 “Rahn è tutt'altro che entusiasta della nostra situazione interna che egli considera molto lontana da qualsiasi parvenza di “normalità”. Si è lagnato delle iniziative delle polizie federali che interferiscono, talvolta con azioni del tutto illegali e arbitrarie, nella vita delle provincie, creando seri imbarazzi tanto ai locali Comandi germanici quanto ai prefetti… Lo stato di disagio e di agitazione perenne in cui vivono le provincie… è dovuto in gran parte a voi stessi”, Giovanni Dolfin, Con Mussolini nella tragedia, cit. Riportato da Renzo De Felice, Mussolini l'alleato II. La guerra civile (1943-1945), cit., p. 482, nota 1.
608 Silvio Bertoldi, Salò, cit., p.91.
609 Ivi, p.93.
610 Giampaolo Pansa, Il gladio e l'alloro. L'esercito di Salò, Mondadori, Milano 1991, p.27.
611 “La memorialistica fascista risuona di applausi per il successo della chiamata. Un coro intonatissimo. Con una voce discorde, quella di Stanis Ruinas, che ha vissuto da vicino l'esperienza amara di Salò: “La coscrizione fu la causa principale del “ribellismo”. Malgrado gli appelli, le lusinghe e le minacce i giovani non si presentavano che in percentuale minima. Quelli che si presentavano disertavano presto, constatando che tutto era marcio come e peggio di prima”, Ivi, p.30.
612 Ivi, p.34.
613 “Il Duce della Repubblica Sociale Italiana e Capo del Governo, Sentito il Consiglio dei ministri, decreta: Art.1 - Gli iscritti di leva arruolati ed i militari in congedo che, durante lo stato di guerra e senza giustificato motivo, non si presenteranno alle armi nei tre giorni successivi a quello prefisso, saranno considerati disertori di fronte al nemico, ai sensi dell'articolo 144 C.P. e puniti con la morte mediante fucilazione al petto. Art. 2 - La stessa pena verrà applicata anche ai militari delle classi 1923-1924-1925, che non hanno risposto alla recente chiamata o che, dopo aver risposto, si sono allontanati arbitrariamente dal reparto. […]”, Decreto legislativo del Duce 18 febbraio 1944-XXII, n. 30 (Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale d'Italia, n. 42 del 21 febbraio 1944).
614 Decreto legislativo del Duce 24 marzo 1944, n. 169 “Modificazioni alla legge penale militare”, (Gazzetta Ufficiale n. 109 del 9 maggio 1944).
615 “Giovani sono fucilati in varie parti della RSI tra l'orrore delle popolazioni obbligate ad assistere, uccisi con sadica protervia da criminali che sfogano in quelle esecuzioni i loro istinti perversi: fucilati a uno a uno, gli altri che assistono alla morte del compagno e sanno di doverne seguire la sorte, fosse fatte scavare agli stessi morituri, tra la gente che supplica e impreca, davanti alle madri o alle sorelle delle vittime, negato ai preti il cristiano diritto di impartire almeno l'estrema unzione agli infelici […] La tragica realtà persecutoria del bando rivela il vero volto dei fascisti, che è il volto della paura: la paura che i tedeschi ritorcano su di loro la colpa dell'insuccesso. Come sempre accade, nei deboli e nei pavidi la crudeltà nasce dalla viltà”, Silvio Bertoldi, Salò, cit., p.95.
616 Vedi Giampaolo Pansa, Il gladio e l'alloro, cit., pp.70-74. Pansa utilizza i notiziari della Guardia Nazionale Repubblicana, il “Diario storico” del Comando regionale dell'Umbria, lo spoglio del “Corriere della sera”.
617 Gli operai protestano per le difficili condizioni di vita imposte dalla guerra, per porre fine alle deportazioni di manodopera in Germania ma anche perché si è creato un divario tra la popolazione e le autorità fasciste e tedesche. Lo sciopero viene preparato, organizzato, attuato in un contesto difficile sottoposto ad un rigido controllo militare. Ciò nonostante è compatto ed interessa tutto il Nord, dal Piemonte alla Lombardia, al Veneto, alla Toscana. Dalle fabbriche si estende ad altri luoghi di lavoro. Scioperano gli impiegati, i tranvieri, gli studenti universitari. Anche i tipografi del Corriere della sera e per tre giorni il quotidiano non viene pubblicato. Anche alcune formazioni partigiane si uniscono alla lotta con rapide incursioni e atti di sabotaggio. I fascisti e i tedeschi reagiscono con forza. Molti operai sono licenziamenti, arrestati, deportati; altri torturati e fucilati. Per una descrizione degli avvenimenti vedi: Sciopero generale in tutta l'Italia occupata, in “La nostra lotta”, a.II, nn.5-6, marzo 1944, pp.5-24, ora in Luigi Longo, Sulla via dell'insurrezione nazionale, Edizioni di cultura sociale, Roma 1954. Vedi anche Giampaolo Pansa, Marzo 1944: situazione industriale e grandi scioperi nei rapporti della GNR, in “Movimento di Liberazione in Italia”, aprile-giugno 1968, n.91.
Antonio Gioia, Guerra, Fascismo, Resistenza. Avvenimenti e dibattito storiografico nei manuali di storia, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Salerno, Anno Accademico 2010-2011

venerdì 10 febbraio 2023

L'ultima volta che vidi Giovanni Franzoni fu a Torino una decina di anni fa


Giovanni Franzoni era stato Abate della Basilica di San Paolo fuori le Mura, nella capitolina via Ostiense.
Il titolo di "abate" era corrispettivo a quello di un vescovo (e infatti Giovanni aveva partecipato in tale veste alle conferenze della C.E.I.).
Piu' tardi aveva cominciato a mettere in discussione la struttura burocratica e sclerotizzata della "casta sacerdotale", venendo gradualmente emarginato, fino alla sospensione "a  divinis".
Da qui la costituzione della Comunità di San Paolo che raccoglieva persone di diversissima provenienza, ma che in comune si riconoscevano in quelli che allora erano definiti "cattolici del dissenso" (già qualche anno prima vi erano stati fenomeni simili a Firenze con la comunità dell'Isolotto di don Mazzi e a Parma, dove i fedeli avevano occupato la Cattedrale).
Nei primi anni '70 Franzoni, insieme ad ex confratelli tra i quali ricordiamo FILIPPO GENTILONI, GIANNI NOVELLI, LUIGI SANDRI, GIULIO GIRARDI e ROSARIO MOCCIARO, avevano dato vita alla rivista COM, che più tardi si fuse con NUOVI TEMPI, diretto dal pastore valdese GIORGIO GIRARDET, assumendo così la testata di "COM/Nuovi Tempi", una rivista referente alla Teologia della Liberazione, prima che anni dopo, il nuovo titolo CONFRONTI diventasse (per usare un'espressione del docente marxista CLAUDIO MOFFA) "una succursale cristianeggiante di SHALOM", mescolante sionismo di "sinistra" con buonismo veltroniano.
Buonista ma fin dove faceva ad essa comodo. Nel 1994 la prof. Bianca Scarcia Amoretti, docente di Islamistica all'Università della Sapienza, venne estromessa da CONFRONTI, con metodi, a dir poco "gesuitico-stalinisti", senza tanti complimenti, solo per essere stata "troppo filo-palestinese". Alla faccia del "confronto". E fu in quel periodo che la Bianca Scarcia Amoretti, insieme a CLAUDIO MOFFA, a COSTANZO PREVE, a FRANCO CARDINI, a DOMENICO LO SURDO ed altri sottoscrissero un documento in cui si rivendicava la LIBERTA' DI RICERCA STORICA sugli avvenimenti del XX Secolo (un po' come in Francia faranno ROGER GARAUDY e l'ABBé PIERRE), attirandosi i fulmini da destra e da manca).
Giovanni Franzoni scrisse diversi libri di teologia, ma anche di antropologia culturale e di critica sociale (alcuni editi dalla casa editrice di orientamento evangelico "Claudiana"), oltre a collaborare a diversi quotidiani, come IL MANIFESTO e piu' tardi LIBERAZIONE.
Franzoni non era un marxista dogmatico, era estimatore di Pasolini e si confrontava anche con il Partito Radicale.
Ma l'ex abate non scriveva solo di politica - Giovanni Franzoni aveva interessi filosofico-antropologici al limite di un certo "esoterismo" -.
Nel 1987 aveva presentato "Il diavolo mio fratello", in cui sosteneva, rifacendosi ad un'antica tradizione caucasica, che alla fine dei tempi il diavolo stesso verrà comunque salvato e con lui tutti gli "empi". Un'analisi che non piacque né ai custodi dell'ortodossia marxista ("... ci siamo ridotti a parlare del diavolo... stiamo scadendo..." disse qualcuno in quel di Imperia...), né a certi mussulmani intransigenti.
Ricordo che nella primavera del 1986 lo incontrai sul treno per Firenze. Sul "Manifesto" lessi la notizia della morte dello scrittore e antropologo romeno MIRCEA ELIADE (articolo scritto con una certa obiettività da quotidiano "gauchista" romano). Giovanni Franzoni mi disse di leggere sempre volentieri i libri dello scrittore deceduto, per quanto certa cultura ufficiale "progressista" lo considerasse "di destra". Gli risposi che culturalmente piaceva anche a me, ma che non trattava mai problemi sociali (ero allora in Cassa Integrazione). Franzoni sorrise.
L'ultima volta lo vidi a Torino una decina di anni fa in una libreria del Gruppo "Abele". Mi riconobbe subito.
Ho saputo della sua morte con una decina di giorni di ritardo.
Penso che dispiacerà a molti. E non solo a chi  si professa "catto-comunista"...
Giovanni Donaudi, Giovanni Franzoni (1928/2017) in Mailing list di Gianni Donaudi, 10 febbraio 2023

giovedì 2 febbraio 2023

Il passaggio dal movimento ai gruppi è uno dei due aspetti della fase conclusiva del Sessantotto


Nei dodici mesi che seguono il settembre '68 si consuma - in forma sostanziale - la diaspora dei movimenti studenteschi nati nel precedente anno accademico, che vanno ricomponendosi in alcuni fra i principali gruppi politici nazionali di quella che sarà la nuova sinistra degli anni settanta.
"Nell’ottobre 1968 nasce l’Unione dei comunisti italiani (marxisti-leninisti), con il suo giornale «Servire il popolo»; nel dicembre dello stesso anno esce a Milano il primo numero di «Avanguardia Operaia»; il 1° maggio 1969 è la volta di «La Classe» che si trasformerà in «Potere Operaio» nel settembre dello stesso anno; nel giugno 1969 inizia le pubblicazioni «Il manifesto», mentre nell’autunno il movimento studentesco che fa capo all’università statale di Milano comincia a delinearsi come gruppo autonomo, pur conservando la denominazione generica di “movimento”. Anche la formazione di Lotta Continua avviene nello stesso periodo: tra il maggio giugno 1969 al momento della grande esplosione operaia alla Fiat Mirafiori, dove l’espressione «Lotta Continua» compare come intestazione dei volantini dell’assemblea operai-studenti e il 1° novembre 1969, data dell’uscita del giornale che configura […] il progetto di  un’organizzazione nazionale". <710
Il passaggio dal movimento ai gruppi è uno dei due aspetti della fase conclusiva del Sessantotto: raccontare le agitazioni studentesche del 1968/'69 significa considerare il problema del rapporto tra queste sigle politiche esterne e il movimento.
Si possono ad esempio citare un paio di episodi di minore entità, che hanno per teatro le vicende del movimento romano del 1968/'69.
Si tratta di due momenti che hanno per oggetto dei dissidi tra la combattiva sezione dell'Uci (m-l) e il resto del movimento studentesco romano. Un primo caso di dissenso trova posto nel corso del corteo del 5 dicembre 1968 <711, indetto dalle sigle sindacali in segno di protesta per i fatti di Avola. Una seconda frattura, ancor più evidente, è rappresentata dagli esiti dell'assemblea di Lettere del 29 maggio 1969, quando i militanti dell'Uci (m-l) arrivano a scontrarsi fisicamente con l'altra parte dell'assemblea.
"Alle ore 10.30 di oggi, un centinaio di aderenti alla Unione dei Comunisti Italiani (marxisti-leninisti) si è riunito in assemblea generale nell'aula I della locale facoltà di Lettere, pavesata con striscioni di color rosso e ritratti di Mao. Un folto gruppo di essi si è schierato in cordone davanti all'ingresso dell'aula, impedendo ai colleghi del Movimento studentesco di entrarvi. Questi ultimi, che frattanto erano aumentati a circa 200, di forza hanno superato il cordone, insediandosi nell'aula. Al tavolo della presidenza si sono, quindi, alternati elementi del Movimento studentesco e dell'Unione. Ha preso, per primo, la parola lo studente Domenico De Feo, dell'Unione, il quale ha affermato che il Movimento studentesco è superato dal tempo e, pertanto, deve rinunciare al ruolo, finora assunto, della "leadership" della classe studentesca. [...] Al termine, uno studente ha avanzato la proposta di procedere all'occupazione della facoltà. La proposta, appoggiata dagli aderenti all'Unione, è stata decisamente respinta da quelli del "Movimento". Questi ultimi, compatti, sono usciti dall'aula e, dispostisi ad ala lungo il corridoio, hanno invitato, con un megafono portatile, i lì militanti dell'Unione ad abbandonare la sede della facoltà. Costoro, brandendo le aste di bandiere rosse che avevano portato all'interno dell'aula, sono usciti nell'atrio della facoltà e con fare minaccioso hanno fronteggiato il gruppo, più numeroso, degli aderenti al Movimento. Sono nate discussioni piuttosto accese, con scambio di invettive e lancio di pezzi di legno, ricavati anche da sedie e banchi della facoltà, alcuni dei quali hanno colpito qualche studente provocandogli leggere contusioni". <712
Anche a Milano l'anno 1968/'69 fu gravido di trasformazioni: come sottolineato dalla citazione di Bobbio il movimento studentesco milanese fu l'ultimo a istituzionalizzarsi come gruppo politico indipendente, nell'autunno-inverno del 1969, pur mantenendo formalmente il nome di "Movimento Studentesco di Milano" <713.
Eppure la storia puntuale delle agitazioni milanesi del Sessantotto va intrecciata con quello che fu senza dubbio il più significativo impegno di lotta nel corso del 1968/'69, l'occupazione dello stabile dell'ex Hotel Commercio in piazza Fontana <714. Anche in questo caso la discontinuità sembra abbastanza evidente.
Si è visto come nel corso del Sessantotto la Cattolica e la Statale fossero andate scambiandosi il ruolo di egemonia - se non di semplice centro ideale - delle agitazioni studentesche milanesi.
Un primo coordinamento a livello cittadino, tentato fin dalla tarda primavera, era stato presto egemonizzato dalla componente politicizzata proveniente dall'università Statale. Proprio questo gruppo facente riferimento al "movimento studentesco cittadino" è animatore della lunga occupazione del centralissimo stabile in disuso, occupazione che attraversa l'intero anno accademico 1968/'69.
E' l'hotel Commercio di piazza Fontana il centro principale dell'attività studentesca milanese in quei mesi, ed è proprio l'esperienza dell'hotel Commercio che segna il confine tra i movimenti studenteschi del Sessantotto milanese e il Movimento Studentesco di Milano - come gruppo politico indipendente facente capo al noto leader Mario Capanna.
La seconda discontinuità oggettiva tra il Sessantotto universitario e il periodo che lo segue immediatamente è rappresentata dalla comparsa di un'agitazione operaia nelle principali fabbriche del triangolo industriale, tra la fine del 1968 e l'estate seguente, a riddosso dei rinnovi contrattuali previsti per l'autunno del 1969. Tra le indiscutibili premesse dell'autunno caldo ci sono infatti le esperienze dei CUB della Pirelli di Milano <715, e le lotte organizzate dall'assemblea operai-studenti che prese a intervenire ai cancelli torinesi della Fiat, a partire dal maggio '69.
"Già prima dell'arrivo dei militanti del Movimento Studentesco torinese riunioni informali si svolgevano tra gruppi di operai e appartenenti alle formazioni operaiste (Potere operaio e Lega studenti-operai) in un bar di Corso Tazzoli, situato a due passi da Mirafiori. L'Assemblea operai e studenti si forma invece nel mese di maggio del 1969, quando finalmente gli studenti decidono di passare dalle riunioni all'Università all'intervento davanti alle porte di Mirafiori. Si tratta questa volta di una scelta radicale e di un impegno totale a fianco della lotta degli operai, che chiude ogni possibile via di ripiegamento verso l'università e il movimento studentesco, con questa scelta esso infatti cessa ufficialmente di esistere. Questa volta, a differenza degli interventi precedenti, gli studenti ci tengono a segnalare che non vengono davanti alle porte per “scambiare quattro chiacchiere” con i lavoratori, vengono per favorire la costruzione di un collegamento tra operai delle diverse squadre e officine, per riunirsi insieme a loro e “decidere insieme le azioni di lotta”. L'unità d'azione tra loro e i gruppi operaisti che già intervengono alla Fiat si consolida su una piattaforma che rivendica: aumenti salariali uguali per tutti, rifiuto dei tempi di produzione, diminuzione dell'orario di lavoro. Più in generale esprimono un giudizio critico verso le forme storiche di organizzazione operaia, partiti di sinistra e sindacati, e sono propensi a non accettare, in qualunque modo e forma, la figura del delegato operaio. <716
Le agitazioni di una parte degli operai Fiat, tra la tarda primavera e l'estate del 1969, culminano nel corteo del 3 luglio, quando una giornata di protesta contro il caro-affitti sfugge di mano alle organizzazioni sindacali e un corteo non autorizzato viene caricato dalle forze dell'ordine, proprio davanti ai cancelli di Mirafiori. Il corteo si ricompone immediatamente e raggiunge il vicino corso Traiano, dove gli scontri diventano cruenti e dilagano a macchia d'olio, coinvolgendo per alcune ore la popolazione della periferia operaia, da Nichelino a Borgo San Pietro, fino a Moncalieri" <717.
A mio avviso gli scontri di corso Traiano segnano una delle discontinuità più evidenti tra il Sessantotto universitario e il Sessantanove operaio, che dopo l'estate avrebbe preso pieno possesso della ribalta pubblica.
Un rapporto prefettizio della fine di giugno, a pochi giorni dal corteo, riassume sinteticamente il quadro che aveva contraddistinto le agitazioni alla Fiat. Vi si possono leggere in controluce molti dei particolari ricorrenti nelle varie ricostruzioni offerte dalla storiografia e dalla memorialistica in materia: in questo senso il prefetto sorprende per la sua puntualità di giudizio e per la precisione sintetica con cui dipinge le posizioni dei vari attori coinvolti.
"I risultati ottenuti alla Fiat, dove gruppi di operai, manovrati dalle forze extrasindacali con fermate interne di reparto che si susseguono da circa un mese, hanno praticamente bloccato la produzione, hanno ridato slancio e vigore ai movimenti contestatori, i cui attivisti, spesso in polemica con i sindacati, svolgono un'intensa, continua azione di propaganda e di agitazione, promuovendo riunioni ed incontri che si svolgono nei bar, nelle sedi universitarie, all'ospedale Molinette, sovente con la presenza di dirigenti estremisti "calati" da tutta Italia, che hanno visto aprirsi, con l'inattesa breccia della lotta rivoluzionaria nel paese". <718
Da un lato a cavallo dell'estate '69 si completa in via quasi definitiva il processo di istituzionalizzazione dei vari gruppi studenteschi nei nuovi partiti minoritari della sinistra extraparlamentare, con la diaspora dei gruppi che intervenivano alla Fiat di Torino e la nascita di Potere Operaio e di Lotta Continua.
Dall'altro la stagione dei rinnovi contrattuali nazionali apertasi nell'autunno 1969 vede l'emersione di uno strato operaio dequalificato e particolarmente combattivo, prevalentemente non inquadrato nei sindacati tradizionali e capace di mettere in crisi il modello fordista di produzione a partire da uno dei centri più prestigiosi della grande industria nazionale, il complesso Fiat degli Agnelli.
La ricomposizione politica nei gruppi extraparlamentari e l'innesco di una crisi di medio periodo nei rapporti industriali aprono oggettivamente nuovi capitoli della storia recente del nostro paese, mentre la breve stagione dei movimenti studenteschi del Sessantotto universitario può dichiararsi conclusa, o almeno superata da nuovi problemi e da nuovi protagonismi.
[NOTE]
710 Da L. Bobbio. Storia di Lotta Continua cit., p. 3.
711 Per i dettagli sullo spezzone studentesco al corteo del 5 dicembre 1968 vedi la comunicazione riservata del questore del 6/12/1968 in ACS [Archivio Centrale dello Stato], Ministero Interno, Gabinetto, 1967-1970, b. 354, fasc. 15.584/69, Roma Università, sottofasc. 2.
712 Dalla comunicazione riservata del questore del 29/5/1969 in ACS, Ministero Interno, Gabinetto, 1967-1970, b. 354, fasc. 15.584/69, Roma Università, sottofasc. 2.
713 La trasformazione del movimento studentesco milanese in 'partito' d'ispirazione esplicitamente marxista-leninista viene fatto coincidere con l'approvazione del documento La situazione attuale e i compiti politici del Movimento Studentesco da parte di un'assemblea generale il 18 dicembre 1968. Il documento venne subito dato alle stampe, per un'edizione ufficiale vedi quindi (a cura del) Movimento studentesco della Statale di Milano, La situazione attuale e i compiti politici del Movimento Studentesco, Milano, Sapere dicembre 1969. Naturalmente le fonti di polizia avevano seguito attentamente il dibattito interno al gruppo milanese (e per esempio sulle differenze tra i due leader Mario Capanna e Salvatore Toscano vedi la comunicazione riservata del prefetto del 8/11/1969 in ACS, Ministero Interno, Gabinetto, 1967-1970, b. 352, fasc. 15.584/48, Milano Università, sottofasc. 6), tanto che la genesi e l'impatto di questo documento trovano ampio riscontro tra le mie fonti d'archivio. Una primissima versione del documento fondativo del 'nuovo' Movimento Studentesco di Milano viene tra l'altro allegata ad una comunicazione prefettizia del 9 dicembre 1969 (ora raccolta in ACS, Ministero Interno, Gabinetto, 1967-1970, b. 352, fasc. 15.584/48, Milano Università, sottofasc. 2), che avvisava il Ministero come nel documento, presentato all'assemblea ma ancora in fase di discussione, fossero state tracciate "le linee dell'azione e dei compiti futuri del Movimento Studentesco".
714 In realtà già la prima assemblea studentesca del nuovo anno accademico era stata organizzata negli spazi dell'albergo di piazza Fontana (vedi la comunicazione riservata del prefetto del 9/9/1968 in ACS, Ministero Interno, Gabinetto, 1967-1970, b. 352, fasc. 15.584/48, Milano Università, sottofasc. 2). I locali dell'Hotel Commercio vengono comunque ufficialmente occupati solo il 28 novembre 1968, in seguito ad un corteo studentesco (sull'occupazione e sulle reazioni delle autorità comunali vedi ad esempio L'ex albergo Commercio adibito a casa provvisoria dello studente, «Corriere della Sera», 30/11/1968, p. 8). Le forze di polizia intervengono con lo sgombero solo nella mattinata del 19 agosto 1969, in piena estate (sullo sgombero vedi il telegramma prefettizio del 19/8/1969 in ACS, Ministero Interno, Gabinetto, 1967-1970, b. 352, fasc. 15.584/48, Milano Università, sottofasc. 2). Per una ricostruzione soggettiva dell'esperienza dell'occupazione dell'Hotel Commercio vedi il celebre phamplet 'Un pugnale nel cuore della città capitalistica', «Aut Aut», n. 108, Milano 1968, Lampugnani Nigri Editore, pp. 115-120.
715 La partecipazione studentesca all'esperienza dei Comitati Unitari di Base fu notata anche dalle forze dell'ordine: "Di seguito a precedenti segnalazioni, si comunica che l'attività del Movimento Studentesco milanese segue attualmente il passo sia per le divisioni politiche verificatesi nel suo interno in questi ultimi tempi, sia per le sessioni autunnali di esami, tuttora in corso. Vari tentativi diretti ad allargare la base del Movimento ed ad estendere il seme della contestazione a livello di istituti medi e a livello cittadino, attraverso la cosidetta "politica di quartiere" non hanno dato finora i risultati sperati, come è stato anche rilevato nel corso di una recente assemblea del Movimento studentesco cittadino. Il collegamento con il movimento operaio è invece, attualmente, l'unico campo in cui si nota un certo successo. I picchettaggi alle varie fabbriche in occasione di agitazioni sindacali, la distribuzione di volantini furante gli scioperi, la partecipazione attiva ai cosiddetti "comitati unitari di base" sono le espressioni più appariscenti. L'atteggiamento degli studenti in seno ai "comitati unitari di base" è diretta, tra l'altro, ad ottenere l'istituzione dell'assemblea di fabbrica allo scopo di contrapporsi all'azione dei sindacati, sull'esempio delle ultime esperienze degli studenti e degli operai francesi."; dalla comunicazione riservata del prefetto del 25/10/'68 in ACS, Ministero Interno, Gabinetto, 1967-1970, b. 352, fasc. 15.584/48, Milano Università, sottofasc. 2. Per una descrizione 'tipica' dei volantinaggi degli studenti milanesi davanti gli stabilimenti vedi ad esempio il telegramma prefettizio del 28/3/1969 in ACS, Ministero Interno, Gabinetto, 1967-1970, b. 352, fasc. 15.584/48, Milano Università, sottofasc. 6
716 Da D. Giachetti, Il giorno più lungo. La rivolta di Corso Traiano. Torino 3 luglio 1969, Pisa, Biblioteca Franco Serantini 1997, pp. 56-57.
717 Per una ricostruzione puntuale sul corteo del 3 luglio e sulle agitazioni che lo precedettero vedi in primo luogo D. Giachetti, Il giorno più lungo. La rivolta di Corso Traiano cit. Per la cronaca giornalistica vedi ad esempio 'Gravi incidenti a Torino. I dimostranti erigono barricate', «Corriere della Sera», 4/7/1969, p. 1.
718 Dalla comunicazione riservata del prefetto del 27/6/1969, in ACS, Ministero Interno, Gabinetto, 1967-1970, b. 355, fasc. 15.584/81, Torino Università, sottofasc. 1.
Fabio Papalia, Il Sessantotto italiano nella dinamica delle occupazioni e dei cortei. Un confronto tra i movimenti studenteschi di Torino, Milano e Roma, Tesi di dottorato, Università degli Studi Roma Tre, Anno accademico 2010/2011