Tra i suoi [di Peter
Tompkins] aiutanti più fidati vi sono Maurizio
Giglio
(“Cervo”) - giovane ufficiale di polizia della RSI che, in realtà,
lavora per l’OSS, ovvero colui che, dopo aver partecipato agli scontri di
Porta San Paolo contro i tedeschi, si era recato al Sud per mettersi a
disposizione degli Alleati ed aveva portato a Roma, da Napoli, la
radiotrasmittente clandestina dell’OSS (chiamata in codice “Vittoria”) e
che si occupa di spostarla periodicamente per evitare che venga trovata
dai nazifascisti - e Franco
Malfatti, stretto collaboratore del
socialista Giuliano Vassalli [...]
Tompkins stabilisce relazioni con i capi militari della Resistenza e con
rappresentanti delle forze badogliane. Viene così allestita un’estesa
rete spionistica [...] A metà marzo 1944 radio Vittoria, per la cattura del suo
radiotelegrafista e di Maurizio Giglio, è obbligata a cessare le
trasmissioni. Giglio, il 17 marzo 1944, viene fermato dalla banda Koch
mentre sta prelevando la radio, installata in una chiatta sul Tevere,
per metterla al sicuro: il 23enne è torturato a lungo e poi ammazzato
nell’eccidio delle Fosse Ardeatine. Tompkins si impegna a riorganizzare
il servizio di informazioni [...]
Marco Scipolo,
Maurizio Giglio,
Sicurezza Nazionale
Maurizio
Giglio nacque a Parigi il 20 dicembre 1920. Suo padre Armando, capitano di fanteria, fu ferito sul fronte francese durante la Grande Guerra e decorato con Medaglia d’Argento al Valor Militare.
Al termine del corso per Ufficiale di complemento del Regio Esercito, frequentato ad Ancona, fu chiamato alle armi nel gennaio del 1940. Nominato sottotenente fu inviato sul fronte francese.
Una volta cessate le ostilità, chiese di essere assegnato come volontario sul fronte greco albanese, laddove si distinse per coraggio e spirito di sacrificio non comuni, rischiando più volte la vita per salvare quella dei suoi soldati esposti alle repentine sortire nemiche.
Ferito gravemente nella battaglia del Kurvalesch, a seguito della quale fu decorato con una Medaglia di Bronzo al Valor Militare, nel gennaio 1941 ritornò in Italia con la nave ospedale “Aquileia”.
Dopo alterni periodi trascorsi in luoghi di cura e in licenze di convalescenza, durante i quali si laureò in Giurisprudenza, iscrivendosi, poi, all’Albo dei Procuratori Legali di Roma, fu richiamato in servizio ed assegnato alla Commissione Italiana di Armistizio con la Francia con sede a Torino, ove rimase fino al gennaio 1943, conseguendovi la promozione a Tenente.
Chiese ed ottenne di tornare in forza ad un reggimento. Rimpatriato fu assegnato al deposito dell’81° Fanteria di Roma con sede in Via delle Milizie.
Unitamente ad altri militari collaborò attivamente alle operazioni di soccorso delle centinaia di Romani rimasti vittima dei tremendi bombardamenti del 19 luglio e 13 agosto del 1943.
Dopo l’8 settembre 1943, a Porta San Paolo prese parte alla “guerra di popolo” per la difesa di Roma dall’occupante nazista, combattendo strenuamente fianco a fianco a molti eroici cittadini e soldati, molti dei quali appartenenti al Reggimento di appartenenza.
Deciso a continuare ad oltranza la lotta ai nazifascisti a fianco delle truppe Alleate, che già risalivano la Penisola, non esitò a passare le linee nemiche e a mettersi a disposizione della Quinta Armata.
Facendo leva sull’ardimento e sulla capacità evidenziate nel viaggio pericolosissimo appena compiuto, i Servizi d’Informazione statunitensi lo convinsero a diventare un loro agente e a fare ritorno a Roma, divenuta “Città aperta”, per acquisire informazioni di vitale importanza militare ai fini dell’avanzata Alleata verso Nord.
Il Ten. Giglio quindi, con altri suoi commilitoni, ritornò nella Capitale con una radiotrasmittente e i relativi cifrari, rischiando in più di un’occasione di essere scoperto e fucilato come spia.
Con l’aiuto del padre, che allora era Questore di Bologna e già Direttore della 2^ Zona della OVRA, riuscì ad arruolarsi nel Corpo degli Agenti di P.S., divenendo Tenente ausiliario del Corpo degli Agenti di P.S. presso la Divisione Speciale di Polizia di Roma, Assegnato allo Squadrone a Cavallo di stanza a Villa Borghese, seppe tessere una fitta rete di informatori, avvalendosi della collaborazione sia dei militari del Fronte Militare Clandestino del Col. Giuseppe Cordero Lanza di
Montezemolo che dei socialisti delle “Brigate Matteotti”.
La sua opera si rivelò, altresì, preziosissima nel preparare alcune basi sulla costa tirrenica (grossetano) per facilitare, con l’aiuto delle motosiluranti alleate, il passaggio nell’Italia Liberata di molti antifascisti braccati dalle SS: Gen. Accame, il Comandante Calosi, l’Ing. Morris, gli Ufficiali Paolo Poletti e Clemente Menicanti, prigionieri alleati evasi dai campi di internamento, e due delegati dei partiti del fronte antifascista per il Congresso di Bari.
Con l’arrivo a Roma nell’imminenza dello sbarco alleato ad Anzio del Ten. Peter Tompkins , responsabile delle attività dell’
OSS nella Capitale, l’attività del Ten. Giglio si fece più frenetica e rischiosa.
Non una ma tre radiotrasmittenti erano affidate alla sua responsabilità e da lui personalmente spostate frequentemente in varie parti della Capitale per evitarne l’individuazione da parte della Gestapo e dei reparti Speciali del Questore Caruso.
L’abilità negli spostamenti da lui messa in campo e la sua prudenza fecero si che per cinque lunghi mesi neanche i suoi più stretti collaboratori sospettassero minimamente l’importanza e complessità della sua missione.
Le informazioni sui movimenti e i concentramenti di truppe naziste nella Capitale e dintorni, da lui filtrate e fatte trasmettere in particolare da “Radio Vittoria”, risultarono così dettagliate da consentire agli Alleati di bombardare gli obiettivi segnalati con relativa facilità e precisione, disarticolando l’apparato bellico nemico e facendo risparmiare molte perdite umane ai contingenti impegnati duramente sui fronti di Anzio e di Cassino.
La sorte cominciò ad essergli avversa allorquando fu sorpreso dall’autista del Segretario federale del PFR Pizzirani mentre fotografava con un apparecchio miniaturizzato, marca Minox, le fasi di caricamento sui torpedoni di alcuni antifascisti da lungo tempo ricercati, catturati all’interno della Basilica di San Paolo fuori le mura, tra cui i generali Monti e Fortunato del Regio Esercito.
Per questo Maurizio Giglio venne sottoposto ad un provvedimento disciplinare che si concluse con la comminazione di un richiamo orale.
Decisivo anche in questo caso fu l’intervento del padre sul Questore Caruso.
Ciò non valse, però, a distogliere sul suo conto i sospetti della SS che presero a pedinarlo con assiduità per sospettata connivenza con gli antifascisti.
Si legò a sincera amicizia con Mons. Didier Nobels, parroco di San Giuseppe all’Arco di Travertino, anch’egli organizzatore di una rete di informatori denominata “banda dell’Arco di Travertino” .
La formazione partigiana era costituita da civili e militari, in prevalenza marinai, che dopo l’8 settembre operava in clandestinità nei pressi della Chiesa di campagna di San Giuseppe
Avendo appreso dell’arresto del suo collaboratore Enzo Buonocore, addetto all’apparato “Radio Vittoria”, che era stato avvicinato da Walter Di Franco, una spia di Koch e poi arrestato dai componenti della stessa banda, riuscì ad avvisare in tempo i compagni ma fu arrestato dagli uomini della Banda capeggiata da Pietro Koch, mentre tentava di recuperare una delle radiotrasmittenti a lui assegnate.
Nell’insospettabile Pensione “Oltremare” di Via Principe Amedeo, 2, adibita a luogo di tortura dagli scherani di Koch, Giglio per sei giorni subì torture inaudite, senza mai avere un istante di cedimento, accollandosi tutte le responsabilità pur di non rivelare i nomi e i nascondigli degli amici patrioti.
Intanto, il nome di Maurizio Giglio era stato aggiunto alla lista delle 330 persone che dovevano essere eliminate per rappresaglia dopo l’attentato di Via Rasella, ove perirono 33 soldati tedeschi appartenenti all’undicesima compagnia del 3° Battaglione del Reggimento di polizia SS Bozen (l’ultimo di essi perirà la mattina del 24).
Uno dei primi ad essere trucidato fu il giovanissimo Maurizio Giglio (aveva appena ventitrè anni)
Il 26 marzo 1944 fu il Capo del Corpo di Polizia della RSI Eugenio Cerruti a dare l’annunzio della morte di Maurizio Giglio al genitore Armando.
L'eroica storia del tenente ausiliario del Corpo degli Agenti di Ps Maurizio Giglio di Claudio Ianniello
Redazione, 17 marzo 1944: viene arrestato il partigiano e martire delle Fosse Ardeatine Maurizio Giglio, medaglia d'Oro al Valor Militare, 17 marzo 2020, ANPI Roma
Maurizio
Giglio. Di anni 23. Nato il 20 dicembre 1920 a Parigi, in Francia. Trasferitosi con la famiglia a Roma, consegue la maturità classica e si laurea in giurisprudenza. Partito volontario per la Grecia nel 1940, viene ferito in battaglia e decorato con la medaglia di bronzo al valor militare. Costretto ad un lungo periodo di riposo, viene successivamente assegnato al lavoro d’ufficio, finché non chiede e ottiene l’assegnazione ad un nuovo reggimento. Arruolato con il grado di tenente nell’81º fanteria dislocato a Roma, all’annuncio dell’armistizio prende parte alla difesa della capitale, contrastando l’avanzata delle truppe germaniche a Porta San Paolo. Dopo l’occupazione della città, si dà alla macchia e si sposta a sud, in territorio liberato. Entrato in contatto con la 5ª Armata americana, viene scelto dall’O.S.S (Office of Strategic Service) per svolgere attività di spionaggio. Tornato a Roma il 28 ottobre, si infiltra nella polizia della R.S.I. (Repubblica sociale italiana) e, in costante contatto radio con il comando Alleato, compie diverse missioni. Tradito da una delazione, è arrestato dalla Banda Koch il 17 marzo 1944 e rinchiuso nella pensione Oltremare. Per una settimana subisce ripetuti interrogatori e torture, ma senza rivelare alcuna informazione compromettente. Consegnato ai tedeschi, il 24 marzo è scelto per essere fucilato con altri 334 detenuti nella rappresaglia delle Fosse Ardeatine
(1). Alla sua memoria è stata conferita la medaglia d’oro al valor militare, con la seguente motivazione: "
Si portava alla conclusione dell’armistizio in territorio liberato desideroso di combattere contro i tedeschi. Assunto dal servizio informazioni della 5ª Armata americana dopo un breve periodo di addestramento, ritornava in territorio occupato munito di apparato radiotrasmittente ed, arruolatosi nella polizia della pseudo repubblica sociale, svolgeva intelligente, preziosa opera informativa. Sorpreso mentre eseguiva delle fotografie, fermato e sottoposto ad indagini con sangue freddo ed astuzia riusciva a confondere i suoi avversari ed otteneva la liberazione. Arrestato dai fascisti in seguito ad indicazione strappata al suo radiotelegrafista fu sottoposto a feroci interrogatori e torture senza nulla rivelare sul suo servizio. Veniva poi barbaramente trucidato per rappresaglia, immolando la giovane vita generosamente offerta per la liberazione della Patria dalla oppressione nazifascista. Roma - Fosse Ardeatine, settembre 1943 - 24 marzo 1944."
(1)
Il 23 marzo 1944 32 soldati tedeschi perdono la vita in Via Rasella, a
causa di un attentato partigiano. La rappresaglia scatta inesorabile il
giorno successivo. Dopo mezza giornata di ricerche frenetiche, le SS,
sotto il coordinamento del Ten. Col. Herbert Kappler, radunano 320
detenuti, tra ebrei e prigionieri politici, ed individuano il luogo
adatto all’esecuzione: le Fosse Ardeatine, antiche cave nei pressi della
via Ardeatina, poco fuori Roma. Poco dopo l’ora di pranzo tuttavia,
muore un altro dei feriti nell’attacco del giorno precedente. E’ la
trentatreesima vittima, perciò si richiedono altri 10 detenuti da
giustiziare. E’ lo stesso Kappler ad individuarli, tra gli ebrei
arrestati in mattinata. Nel primo pomeriggio i condannati vengono
caricati sui camion, senza che venga data loro alcuna spiegazione; il
loro numero totale è di 335. Arrivati alle Fosse, vengono condotti, 5
per volta, nel profondo delle grotte, posti in ginocchio e fucilati alla
nuca. La terribile processione di morte si chiude soltanto alle 7 di
sera, quando anche l’ultimo nome viene cancellato dalla lista. Subito
dopo le mine vengono fatte esplodere e la cava crolla sui cadaveri, allo
scopo di nascondere l’orrore della strage.
Napoli 12-10-43
Carissimi tutti, mamma papa, Anna Pupetta e tutti quanti mi state a cuore questa lettera vi perverrà nella sfortunata ipotesi che mi accadesse qualcosa. Cosa che spero che non accada poiché voglio al più presto riabbracciarvi e stringervi forte a me.
Vi narro in breve la mia storia: partito da Roma il 17, ero a Sulmona il giorno stesso e l'indomani a
Pescolanciano. Di lì, dati i forti controlli tedeschi, con Clinio e gli altri quattro abbiamo proseguito a piedi fin dinanzi Benevento ove giungemmo il 4.
Essendo in prossimità delle linee tedesche e quindi della zona di combattimento decidemmo di dividerci: cosicché io e Francavilla proseguimmo subito in una direzione e Clinio con Giorgio poco dopo in un'altra.
Da allora non ci siamo più rivisti ma sono certo che sono ora tra gli Americani e che stanno in ottima salute.
Per parte mia, dopo aver passato le linee e la zona di fuoco incontro gli Americani dinanzi Benevento:
dò ai reparti che proseguono le indicazioni delle posizioni nemiche e poi son condotto con la macchina al Cdo di un Rgt. Di lì a un Cdo di Divisione ove passo la notte proseguendo per il Cdo del Corpo d'Armata. Da lì all'Armata, la 5a, sempre più indietro verso Paestum finché il giorno 7 sono a Napoli ove mi presento per prestare il mio servizio pieno in corpo speciale. Tutto ciò vi sarà spiegato in caso mi accadesse qualcosa.
Ora dovrei tornare a Roma per il mio servizio e credo partirò oggi in modo da potervi riabbracciare presto.
Avrei voluto rivedere Roma altrimenti ma per ora non è possibile; la'ora ancora non è venuta ma scoccherà presto e se la mia vita dvesse servire a qualcosa, senza stolte o vane retoriche, sarei ben lieto d'averla utilizzata per un fine di codesta specie.
Il mio pensiero costante vi ha sempre accompagnato: papà tu a Bologna; Anna, mamma, Pupetta voi a Roma. Miei cari, carissimi sono sempre stato con voi.
Se non ho mantenuto la promessa fattavi di restare tranquillo a Pescasseroli è stato perché ciò non era
materialmente possibile in primo luogo e poi perché sarebbe stato poco bello che io che sempre ho professato e predicato la religione della Patria mi tirassi
indietro al momento dell'azione. No, così non poteva essere e voi lo capite benissimo.
Qui non si tratta di spirito eroico, è lo spirito umano che è in piedi ed ogni uomo con esso.
Da lungo tempo io cercavo in me stesso la verità cercavo affannosamente dove e quale fosse il retto
cammino; sono frasi banali e luoghi comuni che esprimo, lo sento, ma è quanto al momento passa per questo mio cervello che ancora non ha avuto il modo di formarsi ad una disciplina costante, ma che, pur nel buio, è stato sempre guidato e sorretto da quelle idee e principi morali che sono stati sempre a base di qualsiasi tempo e costume.
E da voi tutti miei cari, da te mia amatissima Anna, mia dolce sostenitrice, io ho appreso tutto ciò, da voi sono stato sorretto.
Clinio e gli altri vi racconteranno il nostro viaggio piacevole e avventuroso. Tale esperimento era necessario ancora per la nostra formazione e per confermare le nostre idee e propositi.
Abbiamo in esso appreso più che in tanti anni di scuola, abbiamo in esso visto mille cose che in un tranquillo decennio non avremmo neppure notato. Ed ora vi lascio. E' tardi e debbo smettere: se non partissi, ancora continuerò questa mia più dettagliatamente. Abbiatemi sempre nel vostro cuore
Maurizio
Lettera [qui sopra la trascrizione diplomatica del testo] ai suoi cari, scritta in data 12-10-1943
Località di stesura: Napoli
Stato del documento: autografo
La lettera è conservata presso: Carte della famiglia Giglio, Roma
Collocazione bibliografica:
Angelo Antonio Fumarola, Essi non sono morti: le medaglie d’oro della guerra di liberazione, Roma, Magi-Spinetti, [1945?]
Note al documento:
La lettera fu scritta da Maurizio Giglio prima di partire in missione per conto degli Alleati e rappresenta il suo testamento spirituale. Fu recapitata alla famiglia da un ufficiale francese dell'O.S.S. (Office of Strategic Service), a cui lo stesso Maurizio Giglio l'aveva consegnata.
Igor Pizzirusso, Maurizio Giglio, Ultime lettere di condannati a morte e di deportati della Resistenza italiana
[...] Dopo il colpo di Stato del 24 luglio 1943, con cui venne arrestato Mussolini e nominato Badoglio Capo del Governo, Franco Malfatti venne assegnato al servizio informazioni di Badoglio a Roma. (P.Tompkins, Una Spia a Roma, p. 64). Dopo l'8 settembre si batterà contro i nazisti e si guadagnò la medaglia d'argento al valore. Malfatti farà parte dell'organizzazione militare clandestina del Partito Socialista sotto la guida di Giuliano Vassalli, membro socialista della giunta militare del CLN.
L'amicizia tra Franco e Maurizio Giglio si consoliderà proprio in quel periodo in quanto entrambi saranno combattenti a Porta San Paolo e saranno poi impegnati nella raccolta e trasmissione di informazioni agli Alleati nei mesi di occupazione di Roma. Durante la permanenza di Tompkins a Roma si incontraronoanche a casa di Maurizio, in largo della Gancia, precisamente la notte prima dello sbarco di Anzio.
"Andando alla ricerca di informatori attendibili e di militanti delle organizzazioni politiche clandestine di Roma disposti a collaborare", Maurizio ,"era rimasto colpito dalle capacità e dall'integrità di Franco."
(Peter Tompkins, Una Spia a Roma, p. 63).
Malfatti diventerà dopo la guerra Ambasciatore a Parigi e Segretario Generale alla Farnesina. (F. Scarpellini, p.11).
[...] Combatte [Maurizio Giglio] a Porta San Paolo con i suoi soldati della ottantunesima Fanteria contro le truppe tedesche. Insieme a lui combatterono il primo ReggimentoGranatieri di Sardegna al comando del colonnello Mario Di Pietro, alcuni elementi della PAI, militari di altri Corpi ed Armi, i Lancieri di Montebello, e alcune Compagnie dei Carabinieri. I combattimenti durarono due giorni, presso la Piramide Cestia, e si conclusero conuna trattativa umiliante che portò i tedeschi all'occupazione di Roma. Gli italiani deposero le armi e Kesserling con i suoi uomini potè entrare nella Capitale.
"Avendo fatto il suo dovere, sciolto il reggimento, rifiutando ogni collaborazione, poteva, senza buttarsi nella mischia, aspettare tranquillamente la fine. Non fu così: non lo fu perchè la sua coscienza, ascoltata voce della verità non glielo permise". (Didier Nobles, in Il Messaggero).
Maurizio si adoperò per evitare che le armi della sua caserma finissero in mano al nemico e il 17 settembre lasciò Roma. Lo stesso giorno raggiunse Sulmona e il 4 ottobre arrivò a Benevento, dove ebbe i primi contatti con gli americani. Il 7 ottobre andò a Napoli presso la V Armata per riferire informazioni sugli spostamenti delle truppe tedesche e qui venne arruolato nell'Office of Strategic Service. (Treccani.it Dizionario Biografico degli Italiani)
Viene ingaggiato da Bourgoin in persona. Quest'ultimo gli diede il compito di tornare a Roma e di formare una rete informativa. Gli diede anche una ricetrasmittente, radio Vittoria (Tompkins p.65).
Quest'ultima era di fabbricazione americana e venne nascosta in una valigia (F. Scarpellini, p.24).
Prima però venne inviato a Bari per mettere al corrente del suo ruolo il governo italiano. Fu poi accompagnato in automobile nei pressi dell'altopiano Matese e da lì, con altri volontari dell'OSS, riuscì a ritornare a Roma. Con sé aveva "i quarzi e il cifrario di una radiotrasmittente"(Giuseppe Sircana, in: Dizionario Biografico degli Italiani, in: Treccani.it). Con lui c'era l'agente tenente Clemente Menicanti, nome in codice 'Coniglio'. Il nome in codice dato a Maurizio fu invece 'Cervo'. I due agenti vennero condotti a piedi fino alle linee dal maggiore inglese 'Janzan', magg. Johnston, ed erano travestiti da contadini (F. Scarpellini, Maurizio Giglio, p.23).
Maurizio, prima di tornare a Roma, volle scrivere una lettera per i suoi cari, che lasciò in consegna e da recapitare solo se gli fosse successo qualcosa di grave: alla sua mamma, al suo papà, a sua sorella Giulia, chiamata 'Pupetta', e ad Anna, la sua fidanzata.
<<Carissimi tutti, mamma, papà, Anna, Pupetta e tutti quanti mi state a cuore questa lettera vi perverrà nella sfortunata ipotesi che mi accadesse qualcosa. Cosa che spero non accada poichè voglio al più presto riabbracciarvi e stringervi forte a me...>>. Il latore della lettera era il capitano francese André Bourgoin [n.d.r.: ma agente OSS], il quale la consegnò alla madre Anna Giglio qualche giorno dopo la liberazione di Roma, a casa sua. (F.Scarpellini, p.68).
Dopo la liberazione di Roma, a testimonianza del prezioso lavoro svolto per l'OSS, da parte del Comandante della V armata americana, venne emanato un "attestato di gratitudine " a Maurizio Giglio, come atto di "riconoscimento, da parte degli Alleati, del valore italiano e del contributo attivo e fattivo alla lotta di liberazione" (Fumarola, Essi non sono Morti, p.29).
Maurizio chiese e ottenne dal padre una copertura per poter agire a Roma senza destare sospetti: Tenente Corpo Agenti di PS Div. Spec. Polizia della Capitale -Metropolitani- Squadroni a Cavallo. Di lui sappiamo anche che si addestrava e faceva regolare servizio all'ippodromo ovale di Villa Borghese e che comandava 400 uomini. (Peter Tompkins, p.78).
"Si fece riconoscere al più presto negli ambienti del CCLN e si assumeva i compiti più rischiosi, avvalendosi della sua divisa e della sua qualifica, per muoversi liberamente anche in zone vietate o durante il coprifuoco. Fu lui, ad esempio, a trasportare in motocicletta Oreste Lizzadri, designato a rappresentare il CCLN al congresso di Bari, sino a Orbetello, dove si doveva imbarcare clandestinamente per la Corsica e raggiungere poi le Puglie." (La Polizia Italiana nella Resistenza e per la Liberazione nazionale, Ministero dell'Interno, 1987, Museo Storico Dipartimento P.S.).
[...] Peter Tomkins affida le sue memorie a un diario che diventa libro 'Una spia a Roma", dedicato proprio a Maurizio Giglio: <<A Maurizio con affetto e a tutti coloro che in Italia agirono con coscienza.>>.
Peter Tomkins aveva 24 anni nel 1944 , quando venne a Roma, ed era all'epoca un maggiore americano dell'Oss della V armata. Aveva lavorato in Nordafrica con funzioni di spionaggio ed era stato portato a Salerno con lo scopo di "reclutare e addestrare agenti italiani che si infiltrassero tra le forze nemiche subito oltre la linea del fronte per raccogliere informazioniutili allo svolgersi dei combattimenti" (P. Tompkins, p. 27).
Dopo lo sbarco a Salerno, 9 settembre '43, e dopo la liberazione di Napoli Tompkins opera a Napoli in un edificio a 4 piani dove teneva radio segrete, esplosivo, guardaroba per travestimento degli agenti.
Qui riceveva "capi antifascisti per decidere il futuro dell'Italia e sulla liquidazione dei nazifascisti" (p.28) e qui ricevette, una settimana prima dell'operazione Shingle, ovvero sbarco di Anzio, il generale Donovan, capo dell'OSS comandante in capo, di ritorno da una visita a Caserta presso il quartier generale Mark Clark. "L'idea geniale di Clark e di Donovan era di un'insurrezione popolare a Roma che coincidesse con gli sbarchi di Shingle. Se fosse stata ben organizzata avrebbe preso Kesserling tra due fuochi, obbligandolo a ritirarsi a Nord per salvare la sua 10 armata" (p.28).
Tompkins venne mandato a Roma il giorno prima dell'operazione di sbarco ad Anzio, e trascorse la notte a casa di Cervo, in via della Gancia, nella stanza della sorella, che trova "piccola ma in perfetto ordine".
Venne accolto con molta cortesia da Maurizio ma anche dalla mamma e dalla sorella. Al suo risveglio, dopo la prima notte "la sorella di Cervo venne a svegliarmi con una tazza di tè e latte caldo"(p. 67). Il primo incontro con Cervo avvenne in una casa in zona Parioli, appartenente a un certo Topolino, dove conobbe anche Franco. <<L'ufficiale di polizia, quando riuscii a guardarlo senza tener conto della sua uniforme, mi apparve come un giovane pallido ma vigoroso, poco più che ventenne; si chiamava Maurizio Giglio e il suo nome in codice era Cervo. Era stato lui ad occuparsi della radio del gruppo Vittoria con l'incarico di provvedere ai suoi spostamenti>> (pp.59-60). Cervo si avvaleva di due operatori tecnici per far funzionare la ricetrasmittente, che veniva spostata molto spesso. Cervo lo invitò a dormire a casa sua dicendo: <<"Chi si aspetterebbe" disse con un sorriso" di trovare un agente americano dell'Oss nel letto di un poliziotto fascista?>> (p. 61). Arrivarono a casa sua con una piccola Fiat che Cervo riusciva a farsi dare ogni tanto dal suo comando. Il giorno dopo andarono insieme ad un appuntamento con alcuni agenti dell'attività clandestina di Roma. Tra essi c'era Giuliano Vassalli, membro del movimento socialista clandestino, artefice della liberazione dalla prigione di Regina Coeli di Pertini e Saragat, il 24 gennaio). Per gli spostamenti Cervo usava più spesso una motocicletta e la sua uniforme come tenente dei Metropolitani gli permetteva di circolare indisturbato, senza destare sospetti.
Tompkins pensava di poter favorire l'avanzata degli Alleati, che invece saranno immobilizzati ad Anzio per diversi mesi, preparando con Cervo e Franco un'operazione di "sbarco dall'aria" (p. 78). Credeva inoltre che l'operazione poteva benissimo partire dall'ippodromo di Villa Borghese con la mobilitazione dei 400 uomini di Maurizio. (p. 78).
Il piano di Tompkins venne mandato via radio in questi termini: impadronirsi di Villa Borghese "con aiuto polizia" attraverso i paracadutisti alleati. Progettava quindi la presa di Roma! E la progettava proprio da casa di Maurizio: qui i il 23 gennaio ci fu una riunione di due ore tra Tompkins, Giuliano Vassalli (Partito Socialista) e Giorgio Amendola (Partito Comunista), della Giunta Militare del Cln per discutere dei termini del piano. (Tompkins, p. 79)
Da Tompkins stesso apprendiamo che la stanza della sorella di Cervo diventa "la mia stanzetta", ovvero il quartier generale dove fa le riunioni e dove studia su carte topografiche e geografiche le vie di comunicazione stradali e ferroviarie e aeree. (p. 84-85).
Tompkins è convinto che il lancio dei paracadutisti su Villa Borghese avrebbe potuto "salvare la situazione il secondo o terzo giorno dopo lo sbarco" e ciò "è confermato dal generale Gavin". (Tompkins, p. 92).
<<Presi accordi necessari perchè lo squadrone di Cervo disponesse di postazioni di mitragliatrici nel parco intorno alle sue scuderie, che avrebbero così potuto fungere da sede principale di comando, mi sentii abbastanza sicuro della nostra posizione per mandare alla base un messaggio in cui esponevo il piano e chiedevo il lancio dei paracadutisti. IN CITTÀ SEIMILA UOMINI ARMATI CON AIUTO POLIZIA ASPETTANO ORA ESATTA PER ENTRARE IN AZIONE X CON SEI ORE DI
PREAVVISO POSSIAMO IMPADRONIRCI DI VILLA BORGHESE, ACCENDERE FUOCHI DI GIORNO O NOTTE PER LANCIO UOMINI E CANNONI ANTICARRO X ESSENZIALE DARCI SEGNALE CONTEMPORANEO A VOSTRA AVANZATA PER NON ABORTIRE DOVREMMO POTER CONTROLLARE LA CITTÀ PER QUARANTOTTO ORE X CITTADINI FELICI DI AVVISTARE AEREI ALLEATI.>> .(p. 79).
Il 24 gennaio arrivarono a casa di Cervo moltissime veline con informazioni sugli spostamenti dei tedeschi. <<Trasmettendo fino a cinque volte al giorno e facendo assegnamento su Cervo per spostare continuamente la radio, l'operatore riusciva a trasmettere fino a 300 gruppi di 5 lettere>> che venivano trasmesse all'Oss di Caserta.
A Roma agivano Montezemolo, con i suoi "badogliani", fedele al Governo al Sud e alla Monarchia, i partigiani dei sei partiti del Cln di cui i partiti Socialista, Partito d'Azione, Partito Comunista, di idee democratiche antimonarchiche, i Gap del P. Comunista. Il Cln, con a capo Bonomi, aveva un Comitato Esecutivo e una Giunta Militare.
Cervo e Franco avevano contatti con i badogliani di Montezemolo, fino al suo arresto avvenuto il 25 gennaio 1944. In seguito a questo arresto Cervo e Tompkins sapevano di rischiare di essere scoperti. Tompkins teme che si arrivi facilmente a lui ed è costretto a cambiare casa. Cervo trova un luogo sicuro nel "laboratorio di un sarto" dove avrebbe potuto ricevere e spedire messaggi per mezzo di corrieri che si sarebbero fatti passare per clienti. Venne convinto a sottoporsi ad un travestimento: occhiali,"ridicolo cappello" e "soprabito da poliziotto in borghese".
Così Tompkins ricorda il saluto ai familiari di Cervo: <<la ragazza era pallida, la madre cercava di mostrarsi allegra>> e l'agente non dimenticherà mai quell'<<ospitalità cordiale e spontanea>>. (Tompkins, p. 107).
Il compagno di Cervo, Coniglio, si rivela non molto affidabile. Maurizio scopre che "per gelosia" sta spargendo la voce che il capo dell'Oss per tutta l'Italia era lui! Coniglio si spacciava per il rappresentante politico del generale Clark! A via Tasso, quartier generale della Gestapo a Roma e luogo di detenzione e tortura, vediamo sulla parete della celletta 2 un disegno di un coniglio con la scritta 'ATTENTI AL' a conferma dell'atteggiamento ambiguo assunto da questo agente. Tale monito è opera di Arrigo Paladini, un aiutante di Sorrentino, un ex agente del Sim, arrestati entrambi da Kappler alla fine di aprile. Paladini il 4 maggio fu portato in via Tasso dove venne torturato (A. Majanlahti, A. Guerrazzi, p. 264).
Il 4 febbraio Maurizio entra nel nascondiglio di Tompkins "bianco come un cadavere e visibilmente scosso da un tremito": <<è finita, (...), mi hanno preso>> (P. Tompkins, pp. 140-142). Un fascista della milizia lo aveva sorpreso a fare foto alla basilica di San Paolo mentre la polizia stava facendo una retata. Maurizio fu convinto da Tompkins a chiedere aiuto al padre, che si trovava a Roma in quel momento e chiedergli di fare una deposizione in suo favore, che potesse discolparlo in qualche modo, e poi doveva "tornare" di corsa al suo squadrone per scatenare un pandemonio dicendo che un idiota di poliziotto in borghese gli aveva sequestrato la macchina fotografica di suo padre, che l'aveva presa a un agente nemico nella Grecia occupata e che lui aveva fotografato l'irruzione della polizia di Caruso solo per vedere come funzionava l'apparecchio". (Tompkins, p. 141). Cervo venne messo tecnicamente agli arresti dal comandante del suo squadrone, ma sembrava che tutti avessero creduto alla sua storia. Pietro Caruso, nuovo questore di Roma, era venuto intanto in possesso della macchina fotografica Minox, con cui Giglio era stato sorpreso a fare scatti nell'operazione extraterritoriale nella chiesa. La basilica infatti godeva del diritto di extraterritorialità, in quanto parte della Città del Vaticano e dentro si nascondevano ufficiali italiani disertori (P.Tompkins, p.140). La retata venne organizzata da Pietro Caruso e Pietro Koch e coinvolse anche i fascisti del 'ras' Giuseppe Bernasconi, "un tipo che faceva paura perfino a Koch per la violenza dei suoi metodi" (A.M.A.G., Roma Occupata, p. 246). Fu presente anche Giuseppe Pizzirani, vicesegretario nazionale del Pfr, a conferma dell'approvazione da parte delle gerarchie superiori. Furono utilizzati circa cento poliziotti, tra cui Maurizio Giglio. A bussare con l'inganno alla porta del monastero, alla mezzanotte del 3 febbraio 1944, c'era don Ildefonso, un monaco sadico, amico di Koch. Si attaccò al campanello urlando: <<Aiuto! Aiuto! Sono un prete inseguito dai tedeschi>> (in: Roma Occupata, p. 247). Sentendo queste parole le guardie aprirono e e Koch e i suoi fecero irruzione, perquisirono ogni stanza "senza alcun riguardo", "colpendo e insultando gli sfortunati prigionieri". Per smascherare i finti monaci, don Ildefonso interrogava le persone in latino, con citazioni dal breviario, e chi non rispondeva veniva arrestato e portato via. L'incursione si protrasse fino alle dieci del mattino dopo. In una delle foto che Maurizio Giglio riuscì a scattare, c'era il generale Monti in abiti monastici. Caruso, per farsi beffa di lui, mandò la foto al giornale. Ci furono 66 arresti, tra cui ufficiali e soldati, poliziotti e 9 ebrei. Furono inoltre portate via armi, pellicce, alimenti, 600 litri di benzina. Il tutto fu caricato sul camion di Caruso. (Anthony Majanlahti, Roma Occupata, p. 248). I poliziotti erano il Commissario agg. D'Anselmi Giuseppe e il Commissario agg. Chiari Mario. Essi furono "brutalmente percossi e feriti con il calcio delle armi, furono tradotti al carcere di Regina Coeli per essere giudicati dal Tribunale Speciale". Per intervento del Vaticano, che protestò per l'invasione e violazione dell'extraterrit., fu ottenuto un declassamento delle imputazioni e i
due funzionari P.S. vennero messi in libertà ad aprile, in attesa di giudizio del Tribunale militare. Chiari era disertore della questura di Perugia e si era nascosto per sottrarsi all'ordine di recarsi al nord a capo di un reparto con funzione antipartigiana. Chiari e D'Anselmi , usciti dal carcere, entrarono nel gruppo del Commissario Fumanti Valentino. (La Polizia Italiana nella Resistenza e per la Liberazione Nazionale, Ministero dell'Interno Dipartimento della Pubblica Sicurezza, Museo Storico Ministero dell'Interno Dipartimento della P.S., 1987).
Giglio venne rilasciato ma forse i sospetti su di lui rimasero perchè di lí a poco subì il secondo arresto. Tompkins ricorda quando lo vide per l'ultima volta: <<il campanello suonò sei volte ed entrò Cervo, agitato come al solito. La sua visita inaspettata mi irritò (cominciavano a diventare troppo frequenti e pericolose...). (Tompkins, p. 194). Cervo raccontò delle difficoltà a trovare una collocazione per la ricetrasmittente. Inoltre c'era stato un imprevisto: l'operatore Enzo era stato avvicinato da un certo Franco Di Walter, che gli era stato presentato da Lepre, della banda di Coniglio. Questo Di Walter aveva lasciato un biglietto per Enzo in un bar in cui gli chiedeva un appuntamento. Il barista gli aveva consegnato il biglietto ma prima lo aveva messo in guardia sul fatto che "l'uomo si spacciava per comunista ma quasi certamente era un agente provocatore nazista" (Tompkins, p. 194).
Purtroppo sappiamo che, nonostante anche Cervo lo avesse messo in guardia e gli avesse detto di non andare più al bar e non uscire di casa, Enzo andò all'appuntamento, cadde nel tranello e tradì Cervo, con conseguenze terribili.
Prima di salutare Tompkins per l'ultima volta, Cervo gli chiese se volesse conoscere suo padre, che era a Roma per qualche giorno. Organizzarono che l'incontro avvenisse alle quattro del pomeriggio del giorno dopo in largo della Gancia, a casa di Maurizio. Tompkins era interessato a far assumere presso i comandi nazifascisti di Bologna uno dei suoi agenti e intendeva chiedere aiuto ad Armando Giglio. Quel pomeriggio Cervo andò a prenderlo "con la solita motocicletta", e "nell'appartamento...fummo accolti con la consueta cordialità dalla madre e dalla sorella", che si congedarono con una scusa per lasciarli soli. Tompkins così ricorda quell'uomo: <<Gli stavo stringendo la mano quando improvvisamente si chinò verso di me e nel modo tipicamente italiano di manifestare un'amicizia o consacrare un'iniziativa generosa presa insieme, mi baciò su entrambe le guance. Un po' in imbarazzo per il gesto inaspettato, rimasi tuttavia commosso; mi sembrò un uomo a suo modo onesto e di buon cuore, che non aveva avuto una vita facile>> (Tompkins, p.197).
Quella notte Tompkins fu svegliato nel suo nascondiglio da Cervo, allarmato perchè il suo operatore Enzo era scomparso. "Ho paura che gli sia successo qualche cosa", disse Cervo: evidentemente aveva disobbedito ed era sceso al bar, e da allora era scomparso. Cervo manifestò preoccupazione per le radiotrasmittenti e disse che avrebbe provveduto personalmente a rimuoverle e a portarle in un luogo sicuro. Riuscì a rimuoverne due ma la terza, quella sul galleggiante del dopolavoro della Guardia di Finanza, non fu possibile prelevarla in quanto ad attenderlo c'erano gli uomini di Pietro Koch.
"Concordammo una frase convenzionale che sua sorella avrebbe dovuto comunicare al telefono se in un modo qualsiasi le cose si fossero messe male:" la sorella vuole sapere se le ho comprato il miele". Se ne andò precipitosamente, agitato come sempre". (Tompkins, p.197-198). Fu l'ultima volta che Tompkins lo vide. Seppe da un ragazzo che era stato a casa di Cervo che il poveretto era stato portato in uno "strano appartamento pieno di uomini e donne spaventosi" (Tompkins, p.235). A Cervo erano stati strappati i gradi di tenente, gli erano state inflitte inenarrabili torture. Il ragazzo dodicenne era stato arrestato il 16 marzo, e venne rilasciato la mattina del 23. (R. Katz, p. 49).
Tompkins riuscì a scoprire che quel terribile luogo si trovava in via Principe Amedeo 2, vicino alla Stazione Termini, "in un tetro palazzo grigio", "i vicini si lagnavano perchè fino a tarda notte si udivano grida terrificanti e colpi da arma da fuoco"(Tompkins, p.236).
Cercò di organizzare, insieme a Franco Malfatti che aveva individuato il luogo di detenzione e tortura, un piano di azione per liberare Cervo:" era un debito che avevamo con Cervo", ma non ce ne fu il tempo.
Il 23 marzo ci fu l'attentato a via Rasella, e la richiesta, da parte di Kappler della lista di uomini da sacrificare al questore Caruso, determinò la sorte di Maurizio. La sera del 23 venne portato dalla pensione Oltremare al carcere di Regina Coeli e poi, il giorno dopo, fu tradotto alle Fosse Ardeatine.
Il 7 gennaio 2015, la classe 3 D dell'I.C. F.lli Bandiera di Roma si reca ad assistere all'installazione della Pietra d'Inciampo in memoria dell'eroe Maurizio Giglio, a Largo della Gancia 1, alle ore 10.00. Con emozione partecipiamo alla commemorazione...Classe 3 D dell'I.C. F.lli Bandiera - Roma,
Maurizio Giglio,
Arte in Memoria, 2015
Questa è stata anche la sfortunata sorte di Maurizio Giglio (Cervo) il cui impegno e la fermezza hanno conquistato l'ammirazione degli agenti OSS che gli avevano chiesto di infiltrarsi in Roma mentre le forze fasciste e naziste controllavano ancora la città.
Un collaboratore che percorse clandestinamente l'intera distanza da Napoli alla città eterna attraverso le linee di combattimento portando con sé la radio affidatagli dall'OSS, in codice segreto Vittorio, radio che doveva essere la fonte della trasmissione di informazioni vitali agli Alleati.
Giglio aveva la copertura di prestare servizio come tenente della polizia romana, mentre segretamente aiutava l'OSS tramite Radio Vittorio con la quale forniva un prezioso collegamento di iinformazioni tra Peter Tomkins, l'agente più importante dell'OSS a Roma, e la V Armata.
Giglio fu catturato e ferocemente torturato dalla polizia fascista nel tentativo di costringerlo a rivelare l'identità dell'agente segreto dell'OSS a Roma.
Incapace di fargli tradire il nome del suo contatto, la polizia fascista italiana consegnò Giglio agli occupanti nazisti che lo mise con 335 civili e militari italiani che giustiziarono nel famigerato massacro delle Ardeatine il 24 marzo 1944: l'evento divenne il simbolo delle dure rappresaglie naziste contro gli italiani durante il periodo di occupazione. La strage delle Ardeatine fu solo un episodio di un vasto numero di orrende rappresaglie tedesche di rappresaglia a fonte delle azioi dei partigiani. Adottando la formula dei dieci civili italiani da giustiziare per ogni soldato tedesco ucciso, i nazisti avevano scelto indiscriminatamente di masacrare vittime civili innocenti indipendentemente dall'età o dal sesso.
Giglio sapeva che il suo rifiuto di divulgare identità di agenti segreti dell'OSS avrebbe comportato la sua morte. Il suo silenzio e la sua abnegazione di fronte alla tortura atroce lasciò al sicuro quegli agenti.
Rinunciando alla sua salvezza, "Cervo" aveva infatti sacrifica la propria vita tenendo altresì indenne suo padre da ogni accenno di sospetto.
Robert Katz, The Battle for Rome, Simon & Schuster Ltd, 2004, p. 278