domenica 26 giugno 2022

I militi delle Brigate nere furono i principali perpetratori di uccisioni punitive


Nuove sensibilità storiografiche orientate a definire i caratteri e le peculiarità della Repubblica di Salò e della sua violenza, superando le originarie reticenze, si impongono in Italia solo dalla metà degli anni Ottanta <7. A partire da questa data emerge negli studi un’immagine della Rsi rinnovata, frutto di una nuova attenzione alla complessità dell’articolazione delle sue componenti interne e della sua collocazione nel contesto di guerra internazionale, ma soprattutto del riconoscimento della centralità quale protagonista insieme al movimento partigiano del conflitto interno fra italiani. La categoria di guerra civile, proposta in questa congiuntura quale elemento interpretativo sostanziale a fianco di una nuova lettura del collaborazionismo, incentrata su una più accurata analisi dei rapporti fra apparati tedeschi, apparati della Rsi e popolazione civile <8, viene consacrata nel 1991 dalla pubblicazione dello studio di Claudio Pavone <9.
E tuttavia, anche le ricerche sulle stragi ai danni dei civili in Italia, la cui stagione storiografica si apre nella seconda metà degli anni Novanta e ha un ricco sviluppo nel decennio successivo <10, risultano permeate dai residui dell’originaria ritrosia a riconoscere il ruolo ricoperto nel conflitto dalla Rsi <11. Lasciando sullo sfondo figure di collaborazionisti ancora opache e apparentemente poco rilevanti, l’attenzione degli studi si è concentrata infatti nella prima fase di ricerca sul sistema di ordini della controguerriglia nazista, sulle pratiche di «guerra ai civili» e sui conseguenti rapporti instauratisi fra occupanti e popolazione a prescindere dall’intermediazione dell’amministrazione fascista, dedicando piuttosto attenzione alle logiche della rappresaglia e al conseguente sedimentarsi di memorie antipartigiane all’interno delle comunità martiri <12.
Una nuova cesura negli studi sulla Repubblica di Salò si evidenzia a cavallo degli anni Duemila con la simultanea uscita delle ricerche di Luigi Ganapini e Dianella Gagliani, nelle quali comincia a prendere corpo la società del fascismo repubblicano <13: il diffuso policentrismo, la complessa articolazione delle sue componenti interne - tra cui si staglia il ruolo del partito - nonché l’emersione delle diverse forze sociali, economiche, militari e culturali che lo attraversano. Entrambi gli autori prendono le mosse da un assunto comune: l’acquisita consapevolezza del rapporto esistente fra estrema crisi attraversata dalla società italiana dopo l’8 settembre 1943 e possibilità di rinascita di un nuovo fascismo. Seppur limitata fin dalle origini nella propria sovranità, la Rsi non può infatti presentarsi agli italiani senza tentare di delineare, almeno negli interstizi di autonomia che le sono concessi dagli occupanti <14, un proprio incisivo progetto politico in grado di richiamare a sé i fedelissimi e di recuperare consenso, cercando di ricomporre - per quanto possibile - il distacco fra paese e regime, progressivamente affermatosi a partire dai primi anni di guerra <15.
Sulla scorta di tale prospettiva di ricerca negli ultimi quindici anni sono apparse nuove ricerche sulle pratiche e politiche di violenza messe in atto dal fascismo repubblicano: studi che perlopiù si concentrano sulla ricostruzione di specifici contesti territoriali o particolari reparti, sfruttando la ricchezza descrittiva della documentazione giudiziaria <16. Veri e propri affreschi sui comportamenti e la composizione dei gruppi combattenti della Rsi, che attraverso la ricostruzione di biografie personali cominciano a delineare un primo abbozzo di analisi prosopografica dei carnefici italiani, declinata anche in prospettiva di genere <17.
[...] A favorire tale forma ufficiale di violenza, oltre all’appoggio dei comandi della Sipo-SD che perseguono parallelamente nelle città le stesse pratiche, Mussolini offre tra il novembre e il dicembre 1943 un’esplicita copertura legale alla volontà di rivalsa fascista istituendo speciali o rinnovati organismi giudiziari <36: fra cui i tribunali provinciali straordinari, affidati alle federazioni del Pfr e responsabili del giudizio verso coloro che si sono resi colpevoli di denigrazioni, atti di oltraggio e violenza contro personalità o simboli fascisti dopo il 25 luglio 1943 <37; il Tribunale speciale per la difesa dello Stato, ora competente anche per reati di disfattismo politico ed economico <38; ma anche organismi giurisdizionali militari straordinari, la cui speciale amplificazione di competenze ai civili in funzione repressiva viene giustificata attraverso il richiamo allo stato di guerra, come già accaduto nei territori occupati dalle forze armate italiane tra il 1940 e il 1943 <39.
[...] In concomitanza con il peggioramento delle condizioni della guerra al fronte, Mussolini ha inoltre predisposto la militarizzazione del Pfr istituendo il 30 giugno 1944 il Corpo ausiliario delle squadre d’azione delle camicie nere, organizzato per federazioni attraverso la costituzione delle Brigate nere. Formazioni politiche espressione della volontà di rivalsa contro il nemico interno dei membri del partito, che esplicitamente rivendicano uno smarcamento dai principi di legalità formale veicolati dal ministro dell’Interno quali linee guida per il controllo dell’ordine pubblico nelle fasi precedenti <60.
Se le esecuzioni precedute da condanna a morte, almeno in apparenza legittime, subiscono di conseguenza in questi mesi una netta contrazione - nonostante siano costituiti nuovi tribunali speciali afferenti ai corpi armati responsabili della lotta antipartigiana <61, sono i militi delle Brigate nere in competizione con i reparti della Gnr e le formazioni fasciste direttamente inquadrate nei gruppi di combattimento nazisti a divenire protagonisti di una violenza punitiva efferata, che si articola sia in città che fuori dai centri urbani in sanguinose rappresaglie contro partigiani ed elementi della comunità, ritenuti colpevoli di offrirgli appoggio.
[...] Risultano però i militi delle Brigate nere i principali perpetratori di questa tipologia di uccisioni punitive: fucilazioni e impiccagioni accompagnate da atti di degradazione fisica e morale del nemico, furti e saccheggi, che prevedono l’esposizione pubblica dei cadaveri e che sono quasi sempre precedute da arresti pianificati su indicazione di infiltrati o delatori, nonché da brutali interrogatori gestiti dagli Uffici politici investigativi (sia del Pfr, sia della Gnr) <65.
[...] Parallelamente - rinsaldati i legami di collaborazione con i comandi della polizia di sicurezza tedesca, che optano in questa fase per una strategia di distensione repressiva occultando le violenze più efferate <97 - i reparti fascisti attuano, all’interno dei centri urbani, esemplari esecuzioni di condanna a morte. Dal gennaio 1945 torna ad essere numericamente significativa la prassi di far precedere le fucilazioni di prigionieri politici, disposte dalle autorità della Rsi e dai Comandi Sipo-SD, da sommarie sentenze capitali emesse dai tribunali straordinari militari <98. Rimane infatti percepibile fino agli ultimi mesi di guerra - in particolare nelle grandi città <99 - la tensione interna all’universo politico fascista fra promotori di una dimensione punitiva apparentemente legalitaria e fautori di una violenza scomposta e senza regole, di cui i principali interpreti sono le Brigate nere, ma anche altri reparti che gareggiano con queste per espressione di ferocia e sadismo <100. Una compresenza tra forme di violenza ufficialmente regolate dal diritto e forme di esasperata brutalità contro gli inermi, che richiama la parallela espressione di modalità repressive già sperimentata dal fascismo di regime in un altro contesto di guerra caratterizzato da legami di contiguità fra partigiani e civili apparentemente intangibili, quello dell’occupazione italiana in Slovenia. Dove la repressione italiana antipartigiana, esacerbata da un costante conflitto d’egemonia fra autorità civili e autorità militare, gradualmente espande tra l’aprile del 1941 e l’agosto 1943 l’area di punibilità della popolazione slovena, affiancando l’opera di punizione giudiziaria del tribunale militare della 2a armata a efferate campagne di controguerriglia e internamento preventivo di chiunque sia sospettato di complicità con il nemico <101.
[NOTE]
7 A segnare questa svolta storiografica sono tre convegni che si svolgono in Italia tra il 1985 e il 1991. Cfr. P.P. Poggio (a cura di), La Repubblica sociale italiana, 1943-45, Atti del Convegno di Brescia, 4-5 ottobre 1985, in «Annali Fondazione Luigi Micheletti», 1986, n. 2; M. Legnani e F. Vendramini (a cura di), Guerra, guerra di liberazione, guerra civile, Milano, Angeli, 1990; L. Cajani e B. Mantelli (a cura di), Una certa Europa. Il collaborazionismo con le potenze dell’Asse, 1939- 1945: le fonti, Atti del seminario internazionale di Brescia, 24- 25 ottobre 1991, in «Annali Fondazione Luigi Micheletti», 1994, n. 6.
8 M. Palla, Guerra civile o collaborazionismo?, in Legnani e Vendramini (a cura di), Guerra, guerra di liberazione, guerra civile, cit., pp. 83- 98; L. Klinkhammer, Le strategie tedesche di occupazione e la popolazione civile, ibidem, pp. 99- 115.
9 C. Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, Torino, Bollati Boringhieri, 1991.
10 Per un quadro dei principali studi, si veda: F. Andrae, Auch gegen Frauen und Kinder. Der Krieg der deutschen Wehrmacht gegen die Zivilbevölkerung in Italien 1943- 1945, München- Zürich, Piper, 1995 (trad. it. La Wehrmacht in Italia. La guerra delle forze armate tedesche contro la popolazione civile 1943-1945, Roma, Editori Riuniti, 1997); G. Schreiber, Deutsche Kriegsverbrechen in Italien. Täter, Opfer, Strafverfolgung, München, Beck, 1996 (trad. it. La vendetta tedesca. Le rappresaglie naziste in Italia 1943- 45, Milano, Mondadori, 2000); M. Battini e P. Pezzino, Guerra ai civili. Occupazione tedesca e politica del massacro (Toscana, 1944), Venezia, Marsilio, 1997; L. Klinkhammer, Stragi naziste in Italia. La guerra contro i civili (1943-44), Roma, Donzelli, 1997; G. Gribaudi (a cura di), Terra bruciata. Le stragi naziste sul fronte meridionale. Per un atlante delle stragi naziste, Napoli, l’ancora del mediterraneo, 2003; P. Pezzino e L. Baldissara (a cura di), Crimini e memorie di guerra: violenza contro le popolazioni e politiche del ricordo, Napoli, l’ancora del mediterraneo, 2004; G. Fulvetti e F. Pelini (a cura di), La politica del massacro. Per un atlante delle stragi naziste in Toscana, Napoli, l’ancora del mediterraneo, 2006; L. Casali e D. Gagliani (a cura di), La politica del terrore. Stragi e violenze naziste e fasciste in Emilia Romagna, Napoli, l’ancora del mediterraneo, 2008; L. Baldissara e P. Pezzino, Il massacro. Guerra ai civili a Monte Sole, Bologna, Il Mulino, 2009; C. Gentile, Wehrmacht und Waffen-SS im Partisanenkrieg in Italien 1943-1945, Paderborn, Schöningh, 2012 (trad. it. I crimini di guerra tedeschi in Italia 1943-1945, Torino, Einaudi, 2015).
11 Un’eccezione di rilievo è rappresentata dagli studi di Dianella Gagliani. Cfr. D. Gagliani, Violenze di guerra e violenze politiche. Forme e culture della violenza nella Repubblica sociale italiana, in Baldissara e Pezzino (a cura di), Crimini e memorie di guerra, cit., pp. 292-314; Id., La guerra civile in Italia, 1943-45. Violenza comune, violenza politica, violenza di guerra, in G. Gribaudi (a cura di), Le guerre del Novecento, Napoli, l’ancora del mediterraneo, 2007, pp. 195-212; Id., Guerra terroristica, in Casali e Gagliani (a cura di), La politica del terrore, cit., pp. 9-53.
12 G. Contini, La memoria divisa, Milano, Rizzoli, 1997.
13 L. Ganapini, La repubblica delle camicie nere. I combattenti, i politici, gli amministratori, i socializzatori, Milano, Garzanti, 1999; D. Gagliani, Brigate Nere: Mussolini e la militarizzazione del Partito fascista repubblicano, Torino, Bollati Boringhieri, 1999.
14 Sul complesso equilibrio di dipendenze e autonomie che caratterizza il rapporto fra Rsi e autorità naziste, si veda: L. Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia, Torino, Bollati Boringhieri, 1993, pp. 266- 317 (ed. or. Zwischen Bündnis und Besatzung: das nationalsozialistische Deutschland und die Republik von Salò 1943-1945, Tübingen, Niemeyer, 1993).
15 L. Baldissara, I «resistenti» prima della Resistenza, in L. Alessandrini e M. Pasetti (a cura di), 1943. Guerra e società, Roma, Viella, 2015, pp. 17-33.
16 Per un quadro dei principali studi, si veda: R. Caporale, La «Banda Carità». Storia del Reparto Servizi Speciali 1943-1945, Lucca, Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea in provincia di Lucca, 2005; E. Collotti (a cura di), Ebrei in Toscana tra occupazione tedesca e RSI: persecuzione, depredazione, deportazione (1943-1945), 2 voll., Roma, Carocci, 2007; L. Allegra, Gli aguzzini di Mimo: storie di ordinario collaborazionismo (1943-45), Torino, Zamorani, 2010; T. Rovatti, Leoni vegetariani. La violenza fascista durante la Rsi (1943-45), Bologna, Clueb, 2011; I. Bolzon, Repressione antipartigiana in Friuli. La Caserma «Piave» di Palmanova e i processi del dopoguerra, Udine, Kappa Vu, 2012; S. Residori, Una legione in armi. La Tagliamento fra onore, fedeltà e sangue, Sommacampagna (VR), Cierre, 2013; N. Adduci, Gli altri. Fascismo repubblicano e comunità nel Torinese (1943-1945), Milano, Angeli, 2014; N. Fasano e M. Renosio, Un’altra storia. La Rsi nell’Astigiano tra guerra civile e mancata epurazione, Novi Ligure (AL), Istrat, 2015.
17 Si veda F. Gori, I processi per collaborazionismo in Italia. Un’analisi di genere, in «Contemporanea», 2012, n. 4, pp. 651-672; R. Cairoli, Dalla parte del nemico. Ausiliarie, delatrici e spie nella Repubblica sociale italiana (1943- 1945), Udine, Mimesis, 2013; C. Nubola, Fasciste di Salò, Roma- Bari, Laterza, 2016.
36 T. Rovatti, I tribunali speciali della Repubblica sociale italiana, in L. Lacché (a cura di), Il diritto del Duce. Giustizia e repressione nell’Italia fascista, Roma, Donzelli, 2015, pp. 279-296.
37 DL del Duce 11 novembre 1943, in «Gazzetta Ufficiale d’Italia», 18 novembre 1943, n. 269.
38 DL del Duce 3 dicembre 1943, n. 794, in «Gazzetta Ufficiale d’Italia», 20 dicembre 1943, n. 295.
39 DL ministeriale 9 ottobre 1943, in «Gazzetta Ufficiale d’Italia», 23 ottobre 1943, n. 248. Sull’uso dei tribunali militari nei contesti d’occupazione, si veda: G. Rochat, La giustizia militare dal 10 giugno 1940 all’8 settembre 1943, in N. Labanca e P.P. Rivello (a cura di), Fonti e problemi per la storia della giustizia militare, Torino, Giappichelli, 2004, pp. 227- 244.
60 DL del Duce 30 giugno 1944, n. 446, in «Gazzetta Ufficiale d’Italia», 3 agosto 1944, n. 180. Per un’esauriente disamina su genesi, fisionomia e azione di tale soggetto in armi rinvio a: Gagliani, Brigate Nere, cit.
61 Come il Tribunale contro guerriglia (Cogu) operativo a Torino a partire dal settembre 1944. A titolo di esempio, si veda: AS, B. Berruti, Poligono di tiro del Martinetto, Torino, 22.09.1944. Sulla peculiare dialettica tra rispetto delle procedure formali e aperta illegalità, che contraddistingue la violenza fascista nel caso torinese, rinvio al saggio di Berruti, Colombini e D’Arrigo in questo volume.
65 In alcuni casi le azioni interrompono la propria ritualità a causa della morte per tortura dei prigionieri durante gli interrogatori. A titolo di esempio, si veda: AS, S. Lavarda, Bocchetta Granezza, Lugo di Vicenza, 7.09.1944.
97 La prassi di occultare i cadaveri delle vittime e di ostacolarne l’identificazione, eliminando possibili segni di riconoscimento e seppellendoli in fosse comuni, viene utilizzata anche dalla XI. Brigata Nera «Cesare Rodini» nella strage di Barzio. Si veda: AS, R. Cairoli, Barzio e Maggio, 30-31.12.1944.
98 AS, G. Scirocco e L. Borgomaneri, Via Botticelli, Milano, 6.01.1945; B. Berruti e P. Carrega, Cittadella, Casale Monferrato, 14-15.01.1945; B. Berruti, Poligono di tiro del Martinetto, Torino, 23.01.1945; F. Maistrello, Pieve di Soligo, 26.01.1945; R. Moriani, Cimitero di Oneglia, Imperia, 31.01-15.02.1945; F. Caorsi e A. Parisi, Calvari, Davagna, 2.03.1945; T. Rovatti, Via Riva Reno 52, Bologna, 17.04.45.
99 N. Adduci, La Repubblica sociale italiana come problema storiografico: il caso torinese, in «Passato e Presente», 2009, n. 78, pp. 101-124. Per lo specifico sviluppo della violenza fascista nelle tre principali città industriali rinvio ai saggi di Berruti, Colombini e D’Arrigo, Borgomaneri e Dogliotti nel presente volume.
100 A titolo di esempio, si veda: AS, R. Cairoli, Montagnetta di Fiumelatte, Varenna, 8.01.1945.
101 T. Ferenc, «Si ammazza troppo poco». Condannati a morte - ostaggi - passati per le armi nella provincia di Lubiana 1941-1943. Documenti, Ljubljana, Istituto di Storia moderna, 1999; M. Cuzzi, L’occupazione italiana della Slovenia (1941-1943), Roma, Ussme, 1998.
Toni Rovatti, La violenza dei fascisti repubblicani. Fra collaborazionismo e guerra civile in Zone di guerra, geografie di sangue. L’Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia (1943-1945), (a cura di) Gianluca Fulvetti e Paolo Pezzino, Società editrice il Mulino, Bologna, 2017
 
Manifesto di propaganda del 1944 per l'arruolamento nelle Brigate Nere

Non vi furono mai, nella nostra storia recente, reparti di più basso livello morale e tecnico-militare, e fu subito evidente a tutti, anche a Mussolini, che quell’insieme di giovani e vecchi, riottosi alla disciplina, non aveva alcun potere decisionale, non contava militarmente e poteva soltanto costituire un tampone alla guerriglia dal punto di vista poliziesco. Alla prova del fuoco, quelle poche volte in cui vennero chiamate accanto ai Tedeschi a far numero in azioni difficili, le Brigate Nere, che pur ebbero molti morti, dimostrarono - sempre salve le eccezioni - di essere del tutto impreparate. Ed una ragione c’era, fondamentale: gli uomini migliori non andarono nei reparti, ma rimasero agli alti comandi, e i gradi nei battaglioni e nelle compagnie vennero distribuiti come nelle bande messicane. I nazisti, dal canto loro, che odiavano queste formazioni, lesinarono in tutto, fin nelle cartucce per i fucili ’91 [...] Squallido e lugubre il loro stile, nefande certe loro azioni di vendetta. I Tedeschi, che li controllavano e li conoscevano molto bene, avendo l’esperienza dei Cosacchi, dei Mongoli, degli Ucraini, dei Croati e di tutti gli altri collaborazionisti, non permisero mai che si affacciassero al fronte, dove avrebbero rappresentato un pericolo gravissimo.
[...] In quei reparti nati in un’ora sbagliata s’infilarono al momento giusto per approfittare dell’occasione anche pregiudicati, arrivisti, violenti, trafficanti, profittatori, e la breve storia delle Brigate Nere diventò un saggio di tragedia e disumanità, commista di dolore e di sangue. Ma vi furono in quelle formazioni anche uomini puliti, che avvertirono il collasso dell’idea che li aveva mossi, ed alcuni, ma senza risultato, e troppo tardi, presero posizione. Diversi passarono ai partigiani. Molti morirono senza reagire, fatalisticamente, nel momento finale. Nessuno offrì più la propria vita per salvare Mussolini che fuggiva verso la Valtellina. Anche il suo mito era finito.
Ricciotti Lazzero, Le Brigate Nere, Rizzoli, 1983

sabato 25 giugno 2022

I servizi segreti stranieri visti da un generale franchista nel 1941

Il tenente generale Manuel Chamorro, Capitán General de la II Región Militar, con sede in Siviglia in visita a Ceuta nel 1968 (tratto da https://elfarodeceuta.es/1968-cuandoceuta-dejo-de-ser-capitania-general/) - Fonte: Flavio Carbone, art. cit. infra

[...] Il testo costituisce la traduzione dallo spagnolo di uno studio del tenente colonnello Manuel Chamorro. Gli interventi stilistici apportati alla traduzione presenti nel testo allegato costituiscono la revisione, a sua volta sottoposta a modifiche, nella stesura finale. Il fascicolo presente in Documentoteca da cui è stata tratta la trascrizione contiene unicamente la traduzione della relazione di Chamorro con gli allegati (in spagnolo) e non ha altre carte in grado di chiarire le ragioni del versamento di tale documento, né il contesto di produzione che ha poi consentito agli archivi dell’Arma dei Carabinieri Reali di custodire la relazione in questione <3.
Dunque, secondo quanto contenuto nella introduzione del testo <4 e nella presenza del medesimo nell’archivio storico dei Carabinieri che questo sia stato redatto almeno per una possibile pubblicazione su una rivista dell’Arma.
In particolare, sulla Rivista dei Carabinieri Reali del 1941 <5, nella rassegna di studi militari, fu pubblicato l’articolo “Il servizio d’informazione militare” all’interno della rubrica «rassegna di studi militari» <6 con la sigla d.t. senza tuttavia escludere possibili ulteriori impieghi del documento.
In linea generale, va ricordato che la Rivista dei Carabinieri Reali, apparsa tra il 1934 e il 1943, aveva iniziato ad accogliere contributi dedicati alla Spagna o redatti da autori spagnoli sin dal 1938, con un primo studio riservato alla Guardia Civil <7.
Dunque, vi sono due aspetti da chiarire: il rapporto tra la Rivista dei Carabinieri Reali e il contesto europeo dell’epoca e l’attenzione alle questioni di Intelligence come in questo caso. Sin dai suoi esordi, si può apprezzare una certa attenzione del periodico edito dal Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri Reali e sotto la responsabilità del suo capo di stato maggiore di inserirsi come una rivista di livello e qualità nel panorama delle riviste militari del periodo.
In questo senso, la rivista accolse contributi scritti da personaggi stranieri o reperiti in altre testate e tradotti per la successiva pubblicazione in quelle pagine.
A solo titolo di esempio, si possono ricordare lo studio citato poc’anzi a proposito della Guardia Civil o l’articolo siglato da Moreau in merito alla Gendarmerie Nationale francese <8. Insieme a contributi di primo piano, si inseriscono altri estratti da periodici stranieri del periodo in versione ridotta e sintetizzata come nel caso in questione.
[...] Innanzitutto, va precisato che il testo risulta firmato «d.t.» che potrebbe essere ritenuto il traduttore o, quantomeno, l’ufficiale che ha proceduto alla semplificazione dell’articolo originario. Allo stato, le iniziali potrebbero essere del tenente colonnello Dino Tabellini, un ufficiale dell’Arma che diede alle stampe numerosi contributi sulla rivista in questione.
Il titolo dell’articolo è il medesimo di quello di Chamorro, ma l’autore di questo contributo, d.t., personalizza e semplifica quanto riportato dallo spagnolo nella rivista Ejército del settembre 1941 <10.
[...] Il rinvenimento presso l’archivio storico dell’Ufficio Storico del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri della traduzione dell’articolo di Manuel Chamorro apre in definitiva nuove opportunità per la definizione di aspetti meno noti delle attività di carattere informativo tra la fine degli anni Trenta e l’inizio degli anni Quaranta. Lo scambio di esperienze e la presenza dei servizi italiani e tedeschi a fianco di Franco rappresentano sicuramente modelli a cui fare riferimento, anche se emerge chiaramente che alla fine il servizio tedesco fosse quello che aveva maggiore appeal almeno in ambito europeo. Tuttavia la visita dello spagnolo nell’ambito della delegazione presente in Italia nel 1940 lascia pensare che ci sia stato comunque l’interesse di comprendere meglio il funzionamento della struttura dei servizi informativi militari (e solo di quelli) da parte spagnola.
L’articolo apparso in Spagna sottolinea comunque un interesse verso un settore che, per la sua stessa natura, si era dimostrato poco disponibile alla divulgazione. In questo senso, sembra interessante che il testo di Chamorro sia giunto a Roma attraverso una traduzione che poi è stata comunque sottoposta a interventi piuttosto importanti prima della stampa sulla Rivista dei Carabinieri Reali. Ecco che l’autore non è più ufficialmente il colonnello spagnolo ma si sostituisce un altro militare, forse Dino Tabellini che ebbe tanta parte nella stesura di contributi apparsi nel corso degli anni sulla rivista.
Resta significativo il lavoro, sia pure di taglio divulgativo, che Chamorro realizza e presenta a favore della collettività dei lettori di Ejército. Non si conosce la sua eventuale disponibilità a pubblicare o a far pubblicare il suo intervento in Italia, ma l’articolo giunge nella Penisola per essere stampato nel 1941 oramai con le operazioni militari in pieno svolgimento e con i primi scricchiolii della fedeltà assoluta agli ideali fascisti.
[NOTE]
3 Archivio Storico dell’Ufficio Storico del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri (ASACC), Documentoteca, f. 241.9 “SERVIZIO INFORMAZIONE MILITARE - Funzioni, attività e scopii prefissi (relazione) 1940”.
4 Nella introduzione si fa esplicito riferimento a «la pubblicazione di un lavoro sul Servizio d’informazioni militari potrebbe sembrare, a prima vista, inopportuna e indiscreta».
5 Chi scrive ha avviato da tempo alcune attività dedicate allo studio della pubblicistica dell’Arma dei Carabinieri o per l’Arma dei Carabinieri delle quali la prossima in fase di stesura è dedicata proprio alla Rivista dei Carabinieri Reali. Un primo contributo è apparso col titolo «La stampa per l’Arma in età umbertina. Il Carabiniere. Giornale settimanale illustrato», in Nicola Labanca (cur.), Fogli in uniforme. La stampa per i militari nell’Italia liberale, Milano, Unicopli, 2016, pp. 105-151. 6 d. t., «Il servizio d’informazione militare», Rivista dei Carabinieri Reali - Rassegna di studi militari e professionali, a. VIII, n. 5, pp. 364-368.
7 Emilio Fernandez Perez, «Brevi considerazioni sulla Guardia Civile Spagnola», Rivista dei Carabinieri Reali, a. V (1938), n. 4, pp. 117-124 (traduzione a cura del colonnello Alfredo Ferrari). Fernandez Perez (8 luglio 1871 - 19 dicembre 1941), tenente generale, fu ispettore generale della Guardia Civile spagnola nella zona franchista. Con il successo della dittatura, negli anni successivi comparvero sulla rivista alcuni contributi dedicati alla situazione in Spagna.
8 F. Moreau (della gendarmeria francese), «In margine al servizio speciale», Rivista dei Carabinieri Reali, a. IV (1937), n. 2, pp. 61-66.
10 E’ possibile che l’interesse di Tabellini per il SIM spagnolo sia collegato a qualche sua esperienza nell’ambito della c. d. Operazione Militare Spagna (O. M. S.), per quanto la sua scheda biografica presso l’Ufficio Storico dell’Arma non menzioni alcun suo impiego ad esso correlato (ASACC, Documentoteca, ad nomen). Sull’impiego del SIM in Spagna, M. G. Pasqualini, Carte segrete dell’intelligence italiana. 1919-1949 cit., pp. 95-104.
Flavio Carbone, Dalla Spagna all’Italia: Il Servizio d’Informazione Militare in Europa nelle pagine della Rivista dei Carabinieri Reali in (a cura di) Gérald Arboit, Intelligence militare, guerra clandestina e Operazioni Speciali, Fascicolo Speciale 2021, Nuova Antologia Militare 
 

Copertina della Rivista dei Carabinieri Reali (bimestre gennaio - febbraio 1941) - Fonte: Flavio Carbone, art. cit. infra

[n.d.r.: qui segue - messa in corsivo - una selezione di parti dell'articolo del generale spagnolo, tradotto in italiano per la menzionata rivista dei carabinieri italiani]
[...] Il servizio segreto inglese costituisce un organo o, per meglio dire, un’organizzazione inter-imperiale con vaste ed estese ramificazioni in tutto il mondo.
La centrale si trova a Londra, in seno al governo britannico, spettando la suprema direzione del S.S. (Servizio segreto) al Ministero per la coordinazione della difesa <17, verso il quale gli altri ministeri hanno un[‘]effettiva dipendenza informativa.

(17 Con l’ultima riorganizzazione ministeriale, questo ministero è stato soppresso e sostituito da un Comitato dei ministri della difesa, la cui presidenza è stata assunta da Churchil [l]. Questo Comitato è attualmente l’organo supremo del S.S. britannico.)
A dire il vero nessuno conosce esattamente la macchina complicata del servizio d’informazione britannico. Qui possiamo solo affermare che la sua organizzazione rimonta a Cromwell e che durante molti secoli esso ha costituito il principale strumento dell’espansione inglese e il severo tutore dell’Impero britannico.
In effetti, in ogni porto, in ogni nodo ferroviario importante, in ogni punto di obbligato passaggio, in ogni centro commerciale o industriale del mondo esiste una cellula britannica e la sua presenza è perfettamente giustificata da interessi legittimi.
In quanto alla sua struttura organica, l’intelligence service ha, oltre al capo del servizio, un secondo capo, tre delegati (uno al ministero degli affari esteri, l’altro al ministero dei domini e il terzo a quello degli interni), cinque grandi sezione d’informazione (esercito, marina, [10] aeronautica, diplomatica ed economica) e due Special Intelligence Departments: il Colonial Service e l’Indian Department.
Riferendoci particolarmente a quello del Ministero della guerra che più ci interessa, il S.S. prende il nome di Military Intelligence, con funzioni analoghe a quelle del servizio d’informazione militare degli eserciti delle altre nazioni.
Il Military Intelligence si divide in cinque grandi uffici con i compiti qui appresso indicati:
- M.I - 1: raccolta d’informazioni;
- M.I - 2: studio e interpretazione vaglio delle informazioni e della situazione riferentesi all’Europa;
- M.I - 3: idem, idem, idem riferentisi agli altri paesi;
- M.I - 4: controspionaggio;
- M.I - 5: istituto geografico militare.
Come si vede, il primo ufficio (M.I - 1) svolge tratta la parte offensiva del servizio; il secondo, terzo e quinto (M.I - 2, M.I - 3, M.I - 5), la parte statistica, e il quarto ufficio (M.I - 4) la parte difensiva del servizio.
Negli altri ministeri militari (marina e aria) e in quello delle colonie esistono organizzazioni analoghe a quelle indicate per l’esercito. Il ministero dei dominii, in ispecie, assicura il coordinamento [ill.] con cogli uffici distaccati in altri Stati membri del Comm[on] we[a]lth britannico.
I mezzi finanziari del S.S. sono ingenti per non dire illimitati. A parte l’assegnazione normale di 250 milioni di lire sterline all’anno e a parte l’amministrazione dei fondi segreti governativi, il S.S. dispone di fondi e risorse notevoli, dal momento che, valendosi della priorità nella conoscenza delle notizie, può, sotto il punto di vista finanziario conseguire lauti guadagni nei giuochi di borsa sui differenti mercati borsistici del mondo.
Il servizio d’informazione degli Stati Uniti è organizzato e si orienta sulle linee generali del servizio d’informazione britannico, poiché, sino [11] ad un certo punto, deve risolvere problemi analoghi e far fronte alle medesime necessità.
2° - Sistema sovietico.
Il sistema sovietico si basa su principi completamente diversi da quelli indicati per il sistema inglese.
I Soviets trovano più utile ed economico, per raccogliere informazioni di carattere militare, impiegare la medesima rete che utilizzano per diffondere nel mondo l’idea comunista; per conseguenza, l’azione informativa si svolge parallelamente a quella della propaganda bolscevica.
le centrali e le cellule comuniste dei vari paesi vengono ad essere altrettante centrali e cellule di spionaggio, le quali utilizzano individui appartenenti ai ceti sociali inferiori, che s’infiltrano dappertutto e che, se non vengono energicamente controllati dalle autorità, possono costituire un serio pericolo ed arrecare danni gravissimi.
Possiamo dire che il sistema sovietico è un sistema centrale.
In effetti, le ambasciate sovietiche [inizialmente al singolare], nei paesi in cui l’U.R.S.S. gode di questa rappresentanza, o le delegazioni, in quelle ove non hanno questo esiste tale organo diplomatico (generalmente queste delegazioni hanno carattere commerciale) dirigono e tengono nelle loro mani le fila delle reti di spionaggio. Parallelamente alle ambasciate lavora il partito comunista locale, fedele esecutore delle direttive del Comintern che, con le sue cellule e con i suoi uomini, penetra nelle organizzazioni del paese e ne scava profondamente le fondamenta basi.
È costituito, in generale da individui umili e privi di volontà personalità, come quelli che meglio possono servire a tale attività; gente che si accontenta di poco e che, senza considerare le conseguire dei suoi atti, esegue quasi macchinalmente gli ordini ricevuti dagli organi superiori.
Il Comintern, per parte sua, ha studiato a fondo (in base all’esperienza fornita dai movimenti e dalle rivoluzioni scatenate in diversi Stati) il modo migliore di utilizzare codesta gente ed è arrivato ad organizzare corsi per i dirigenti comunisti del[l]l diverse nazioni, allo scopo di conseguire [12] unità di dottrina e di direzione indirizzo.
Se riesaminiamo qualcuno dei molti documenti caduti in nostro potere durante la nostra guerra di liberazione, potremo meglio comprendere ricordare sino a quel punto giungono la minuziosità e le precauzioni nella preparazione di queste rivoluzioni.
3 - Sistema germanico.
In generale, possiamo affermare che il servizio d’informazione tedesco, come del resto [quello] delle altre nazioni di Europa (Francia, Italia, Peasi Balcanici, ecc.) ha un carattere prevalentemente militare che lo distingue dalle altre attività informative e che è in contatto coi sistemi di tipo britannico o sovietico. Ciò deriva dal fatto che tutti i paesi europei confinano con un determinato numero di Stati grandi o piccoli, da parte dei quali si può temere sempre, o quasi sempre, qualche sorpresa e tra i quali esiste, generalmente, reciprocità di aspirazioni e di rivendicazioni. Questo fatto, in uno alle continue fluttuazioni della politica internazionale, soprattutto in questi ultimi anni, rende necessario d’altra parte intensificare la vigilanza sugli organismi militari dei paesi vicini e star sempre in attitudine di allerta rispetto a questi ultimi.
[...] 4. - Sistema francese.
A dire il vero, in Francia non esisteva prima della guerra del 1939 un servizio informativo unico. Al contrario funzionavano vari servizi d’informazione, quanti erano i ministeri militari, cui si dovevano aggiungere quello del il Quai Dorsay, quello del il ministero della colonie e il Servizio speciale di sicurezza nazionale.
Esistevano per conseguenza:
1) il Deuxième Bureau del ministero della guerra;
2) il Deuxième Bureau del ministero della marina;
3) il Deuxième Bureau del ministero dell’aeronautica;
4) il Servizio speciale del ministero delle colonie;
5) il Servizio speciale del ministero degli affari esteri;
6) Il Servizio speciale della sicurezza nazionale. [15]
Nella prima sezione del Deuxième Bureau del Ministero della guerra veniva registrato e catalogato quanto si pubblicava nel mondo su questioni militari; diari, riviste, carte, piani, cataloghi delle fabbriche di armi e munizioni, ecc.; in una parola: tutto quanto poteva interessare degli eserciti degli altri paesi. Tutto era esaminato, confrontato e interpretato vagliato da parte di questa sezione che giungeva a studiare, inventare escogitare e provare gli artifici destinati a scoprire segreti del nemico o a difendere i propri.
Era questa la sezione che poteva dirsi la palese, la visibile del Deuxième Bureau, la quale si occupava del ramo statistico. La dirigeva un colonnello. Separata da questa e installata in un luogo occulto del quadrilatero degli Invalidi, funzionava la seconda sezione, quella del servizio segreto, nella quale si davano appuntamento per ricevere ordini e recare informazioni gli agenti segreti del servizio. Questa sezione che era quella che si occupa del ramo offensivo del servizio ed entrambe erano costituite da non più di trenta ufficiali.
Il Deuxième Bureau del Ministero della marina e quello dell’Aeronautica erano organizzati e funzionavano in forma analoga a quella indicata per quello della guerra.
[...] Il servizio speciale di sicurezza nazionale era incaricato del controspionaggio: perseguire e arrestare le spie del nemico nel territorio francese ed impedire la divulgazione di piani o progetti relativi alla difesa nazionale costituiva il compito principale di questo servizio.
Il controspionaggio francese faceva capo al Ministero degli interni.
Si trattava di un organismo burocratico e scheletrico ove scriveva, più che investigare, un certo numero di commissari e di ispettori di polizia.
Privo di risorse, con un personale vecchio e scarso e con mancanza continua d’informazioni straniere, questo organismo essenziale conduceva vita difficile e pesante e la sua attività era molto limitata.
A dire di certa stampa francese, tutti i servizi d’informazione che abbiamo indicati, fatta eccezione per quello del Quai d’Orsay, disponevano di risorse insignificanti. Così, nel preventivo del Ministero della guerra corrispondente all’anno 1936, nel capitolo 61 “Spese riservate”, erano stanziati 10 milioni di franchi; in quello della marina “capitolo 44”, 2.135.000 franchi e in quello dell’Aria (capitolo 7), 1.904.000 franchi. É possibile che negli anni successivi queste cifre abbiano subito un aumento. Nel 1938 e 1939 tali bilanci preventivi avevano un carattere segreto.
[...] Il sistema italiano ha qualcosa in comune con quello tedesco e col francese, senza però giungere ad eguagliare il primo.
In effetti, l’azione informativa militare italiana si svolge a messo di tre organi indipendenti; il servizio d’informazione militare (S.I.M.) per l’esercito; il servizio d’informazione speciale (S.I.E.) per la marina e il servizio di informazione aeronautica (S.I.A.) per il ministero [18] dell’aeronautica.
Senonché anche quando l’azione informativa militare si esplica in maniera autonoma e indipendente nei tre ministeri militari, in ciascuno di questi la parte offensiva, la difensiva e la statistica fanno parte dello stesso organo e sono azionate e dirette da un sol capo.
Della eccellenza dell’organizzazione tedesca sono persino convinti i dirigenti del S.I.M. italiano; unicamente ragioni tradizionali e interessi già creati nei tre rami militari (esercito, marina e aria) son le cause che spiegano meglio perché non si è giunti ancora a centralizzare tutto il servizio d’informazione militare in un solo organo che imprima indirizzo al complesso [...]

giovedì 23 giugno 2022

Sogno chiese esplicitamente l’aiuto di Mrs. Luce


Una figura utile per capire il clima di allora, non incluso nell’Operation Enterprise perché viaggiatore abituale sulla rotta Italia-Usa, è Vittorio Valletta. In generale, va detto che era uno degli imprenditori più ricettivi - non senza esitazioni - nell’implementare la strategia discriminatoria proposta da Washington e dall’ambasciata romana. Negli ultimi mesi del ’54, l’amministratore delegato della Fiat si era più volte recato in America allo scopo di ottenere nuovi contratti nel settore aeronautico.
L’occasione per assestare un colpo decisivo alla Cgil avrebbe dovuto essere l’elezione per le commissioni interne della Fiat, previste a fine marzo ’55. Come ha ricordato Maria Eleonora Guasconi, si verificò una sostanziale inversione di tendenza: la Fiom-Cgil passò dal 63.2% al 36.69%, la Cisl raggiunse il 40.49% e la Uil il 22.52%. L’autrice tende a non enfatizzare troppo il ruolo positivo della “guerra psicologica” e pone l’accento sugli errori della Cgil. Altro elemento da considerare è il mancato riavvicinamento tra i due “vincitori” Cisl e Uil. Cosa che, secondo gli osservatori americani, allontanava la prospettiva della sospirata unità dei sindacati occidentali e democratici <62. In ogni caso, la Fiat poté trarre beneficio dalle elezioni tramite l’assegnazione del progetto F-86K. Con la sconfitta della Cgil riprese quota «l’approccio “pressioni-ricompense”» che tanti sospetti aveva attirato all’inizio. Il caso della Fiat ne era la riprova <63.
Un ruolo di primo piano nella clamorosa sconfitta della Fiom-Cgil, è stato svolto da “Pace e Libertà”, pur non versando in condizioni particolarmente felici. Il movimento di Sogno, infatti, aveva subito una scissione che ne avrebbe potuto pregiudicare il futuro. All’origine dei dissidi c’erano fattori interni ed esterni. In primo luogo, erano aumentate le frizioni tra i due principali leader, Sogno e Cavallo. Secondo un rapporto della Prefettura, Cavallo e gli esponenti del neonato movimento “Pace e Lavoro” (poi rinominata “Fronte del Lavoro”), giudicavano l’anticomunismo di “Pace e Libertà” «troppo borghese e quasi fine a sé stesso». L’intento, invece, doveva essere «agire direttamente sulla massa di militanti comunisti». In secondo luogo - ed è la ragione esterna - lo scandalo Ingic e le pressioni esercitate da Scelba sono state decisive nell’accelerare il divorzio tra Sogno e Cavallo <64.
Con la scissione, “Pace e Libertà” perse parte dei finanziamenti. Ma fu soprattutto a causa della fine del legame privilegiato con Valletta che Sogno si vide costretto a chiedere aiuto altrove. Dopo il suo decisivo impegno nella fabbrica torinese - spesso assai criticato dalla storiografia <65 - Cisl e Uil trionfarono nelle elezioni per le commissioni interne. Raggiunto lo scopo, il Professore decise di tagliare le sovvenzioni. Come racconta il fondatore di “Pace e Libertà” all’ambasciatrice nell’aprile ’55, aveva bisogno tra i 5 e i 10 milioni al mese per continuare le sue attività. A questo proposito, aveva programmato un viaggio negli Usa per la metà di maggio. Chiese esplicitamente l’aiuto di Mrs. Luce, sia affinché «mettesse una buona parola con Valletta» e sia per avere indicazioni su persone interessate oltreoceano. Sogno, notava Clare Luce, era «pubblicamente conosciuto come uomo di destra», ma stava facendo di tutto per identificare «il suo anticomunismo con un movimento di centro democratico e non di destra». Ora che “Pace e Libertà” aveva raggiunto una certa visibilità, era in una posizione che consentiva di «attaccare i fascisti». Che non meritavano alcun tipo di attenzione <66.
Prima del viaggio negli Stati Uniti, gli alti funzionari destinati a incontrare Sogno avevano fatto il punto della situazione. Ecco quanto scrisse C.D. Jackson a Henry Luce, qualche giorno prima dell’incontro tra il marito dell’ambasciatrice e l’ex partigiano monarchico <67:
"Una breve ricapitolazione su Sogno, in previsione del tuo appuntamento con lui. È qui per raccogliere denaro perché la Fiat, cioè la sua principale fonte, sta per esaurirsi. Sogno vuole ottenere circa 30.000 dollari al mese per continuare la sua operazione su vasta scala. Ha paura che dovrà cessare le attività se non riuscirà a trovare i soldi tramite risorse americane. In maniera educata gli avevo detto che trovavo questo molto desolante perché, se il suo lavoro anticomunista era efficace, come mi era sembrato, lo era più nell’interesse italiano che americano. Perciò non capivo perché i capitalisti italiani non potevano metterci dei soldi, dopotutto Valletta non era l’unico industriale italiano ricco. La sua risposta è stata “loro davvero non capiscono”. E La mia replica: “Bene, tu [sottolineato] dovresti farglielo capire”. Non ti consiglierei certo di aiutarlo, né personalmente né prendendo impegni per coinvolgere altri industriali americani. Quando torni in Italia potresti fare un discorso a qualche imprenditore italiano sul sostegno a “Pace e Libertà”, e potresti, eventualmente, dire a Sogno che hai intenzione di farlo. Penso che questo sia il massimo a cui tu debba arrivare."
Se ne deduce un fondo di scetticismo per certi versi sorprendente: la presentazione, dunque, fu tutt’altro che favorevole. Sempre in quei giorni, Sogno illustrò le sue richieste a C.D. Jackson, sperando che lui e Luce potessero fare qualcosa. In particolare, confidava «in un qualche aiuto di cui così disperatamente aveva bisogno». L’aiuto più grande, però, sarebbe stata l’opera di convincimento presso la classe imprenditoriale italiana <68.
Tra le tappe del viaggio non mancò l’Office of Western European Affairs del Dipartimento di Stato. In tale sede, a colloquio con Jones, Tyler e Engle, ribadì la sua appartenenza al centro democratico. Appartenenza che, però, era in bilico a causa della precaria condizione finanziaria. E poteva essere inficiata da aiuti provenienti da una certa parte politica. In altri termini, Sogno affermava che “Pace e Libertà”, rispetto ad altri gruppi che combattevano il comunismo, aveva il vantaggio di non avere una connotazione partitica e, soprattutto, di non essere legato ai neofascisti. Questo gli dava, implicitamente, una legittimazione trasversale nello spettro politico. Ad ogni modo, senza il denaro della Fiat, aveva bisogno di almeno 50.000 dollari, cioè quasi il doppio di quelli prospettati da C.D. Jakson. Poteva certo avere - continuava - «un aiuto dai fascisti come Cini, ma un’assistenza del genere avrebbe rovinato “Pace e Libertà”, perché un’organizzazione su base fascista o finanziata dai fascisti non poteva essere efficace nella lotta al comunismo». Da qui l’importanza di ottenere fondi dal governo Usa o dall’ambasciata. Per continuare a combattere da una posizione di centro democratico. E anche perché, se fosse tornato a mani vuote dall’America, «tutti avrebbero riso di lui, specialmente i comunisti». Evasivo fu il commento dei funzionari, che non poterono garantire alcunché <69.
Stando alle testimonianze rilasciate da Sogno, il giugno ’55 avrebbe costituito una svolta. Si sarebbe recato, con l’obiettivo di chiedere un sostegno economico, da Allen Dulles, il quale rispose «né sì, né no».
Poi, tornando in Italia, Sogno ricevette una busta tramite Pizzoni, presidente del Credito italiano, di «cinque o sei milioni, che poi divennero dieci al mese» <70. Sulla vicenda, però, rimangono alcuni punti oscuri. Non è chiaro se e quando i finanziamenti effettivamente arrivarono. Va detto, intanto, che difficilmente possono trovarsi tracce scritte di un flusso di denaro del genere. A maggior ragione quando i personaggi coinvolti sono esperti della diplomazia e di covert operations come Dulles, Pizzoni e Sogno. È naturale, quindi, affidarsi a ricordi personali, il più delle volte - purtroppo - imprecisi e approssimativi.
La corrispondenza scritta del tempo può aiutare a comprendere meglio gli eventi. Allen Dulles, in una lettera del 25 giugno a Henry Luce, affermò di aver seguito con interesse l’azione di “Pace e Libertà”. Tuttavia, dopo essersi consultato con Gerry Miller - capo della Cia a Roma - ritenne che la situazione finanziaria del movimento «non fosse così cupa» come Sogno aveva lasciato intendere <71. Perfino il direttore della Cia, amico personale del Conte piemontese da una decina d’anni, nutriva dubbi sulla genuinità delle richieste. Almeno fino a luglio ’55, quando l’editore di «Time» informò Sogno di un qualche spiraglio <72, non c’era ancora chiarezza sulla questione.
Se Dulles si era dimostrato tutt’altro che entusiasta in giugno, non è detto che successivamente abbia cambiato idea. Resta il fatto che Sogno, incontrando Pizzoni, rimase colpito dal «viso tumefatto» e dai «segni del male che di lì a poco lo avrebbe stroncato» <73. Visto che erano già evidenti i segni della malattia, la data poteva essere solo dopo l’ottobre 1957. Pizzoni morì nei primi giorni del ’58, quindi avrebbe fatto da tramite solo per novembre e dicembre <74. L’ipotesi del finanziamento della Cia tramite il presidente del Credito italiano, quindi, sarebbe ipotizzabile solo per gli ultimi mesi del ’57, peraltro non particolarmente intensi per “Pace e Libertà”.
Insomma, a differenza di quanto ricorda Sogno e di quanto si legge nella dettagliata biografia di Luciano Garibaldi, l’atteggiamento statunitense - e di Allen Dulles in particolare - non risulta molto ben disposto verso le sue attività. Tanto che, dal settembre ’55 non fu il denaro americano a permettere a Sogno di ripartire. Grazie a De Micheli, presidente di Confindustria, e alla ripresa dei finanziamenti della Fiat, il movimento riuscì a sopravvivere e a riprendersi. Queste notizie provengono dal resoconto, ampiamente noto <75, di un colloquio tra Dell’Amico e Stabler tenutosi all’ambasciata americana. Con l’accordo, si legge, Sogno aveva ottenuto 25 milioni al mese da De Micheli, a condizione di abbandonare gli apprezzamenti al centro-sinistra e i favoritismi per la Uil. E di aprire i ranghi a tutto il fronte anticomunista, dal Msi al Psdi. Sogno, sempre secondo Dell’Amico, lo aveva fatto «malvolentieri», ma si rendeva conto che rimaneva l’unica possibilità per non chiudere. Dopo due-tre mesi di inattività, fu costretto a cedere, annunciando il ritorno per ottobre. Il coinvolgimento dei neofascisti, comunque, oltre ad essere mal digerito dal Conte, risultò poco gradito anche agli americani <76.
A questo punto è logico domandarsi l’incidenza dei finanziamenti - veri o presunti - ottenuti da Dulles e Pizzoni. Se, infatti, Sogno fu comunque obbligato ad aprire le porte ai neofascisti, probabilmente la quantità di denaro presente nelle famose buste non era molto alta. E poi, visto che gli americani erano tanto antifascisti quanto anticomunisti, pare difficile pensare che concorressero a finanziare un movimento con una folta presenza missina. Nel settembre ’55 all’ambasciata erano a conoscenza dei nuovi sviluppi inerenti le casse di “Pace e Libertà”. A fine ottobre - ecco un altro tassello che fa propendere per un finanziamento americano tardivo o, in ogni caso, non essenziale - Edgardo Sogno scriveva preoccupato a C.D. Jackson <77:
"In seguito alle conclusioni negative a cui eravamo arrivati nell’incontro con lei e Mr. Luce, ho ricevuto una comunicazione, sempre da parte di Mr. Luce, in cui si alludeva ad un cambiamento della situazione. Ancora oggi non so a cosa si stesse riferendo, ma il punto è che non è arrivata la benché minima conferma di queste speranze legate alla sopraccitata comunicazione. Il debito della nostra organizzazione è stato saldato, ma i pochi mezzi a nostra disposizione per continuare l’attività sono assolutamente sproporzionati rispetto al compito. In ogni caso, non abbiamo rinunciato alla nostra battaglia e, nonostante tutto, non posso fare a meno di pensare che lei e i vostri amici troverete una maniera concreta di dimostrare la vostra solidarietà. Apprezzerei molto, in ogni caso, i vostri commenti sul tema e, se dovesse essere necessario, sono sempre pronto a partire e a farvi visita di nuovo."
Proprio in ottobre, nota Garibaldi, l’organizzazione di Sogno riprese a lavorare sotto il nome di “Comitato di Difesa Nazionale”, con metodi assai più discreti, lontani da quelli di “Pace e Libertà”. Con il nuovo anno sarebbero cambiate le priorità e gli strumenti utilizzati: meno poster e «giornali murari»; più attenzione alla distribuzione capillare di volantini in luoghi molto frequentati, come cinema, fabbriche e stazioni. Diminuiva, in altri termini, «l’utilità della propaganda d’urto con affissioni massicce di manifesti “esplosivi”». E aumentava il peso della propaganda anticomunista «a favore o in appoggio di persone, organizzazioni, enti, agenti sul piano economico, sindacale, culturale […] all’interno del Pci del Psi e della Cgil, dei loro organismi di massa, dei loro alleati per approfondire l’attuale crisi comunista e sindacale e frapporre ostacoli ai tentativi di colloquio coi cattolici, apertura a sinistra e riunificazione socialista». Il testo del rapporto Khruschev, ha ricordato Guasconi, «fu inviato a migliaia di operai delle maggiori industrie e ad altrettanti attivisti del Pci, con una diffusione pari a 160.000 copie» <78.
A differenza di ciò che aveva dichiarato Dell’Amico, Sogno affermò di non aver ricevuto finanziamenti da Confindustria, a causa delle pesanti condizioni politiche imposte. Rimase vago sulla sua attuale fonte di finanziamento. Accennò a una stretta collaborazione con il ministro della Difesa Taviani, che gli aveva garantito qualche entrata, e con il ministro dell’Interno Tambroni, che lo stava aiutando nel reperire informazioni.
Certo è che Sogno stava attuando una sorta di evoluzione “governativa” piuttosto distante dalle prese di posizione di qualche anno prima. Dopo le incomprensioni con Scelba, i rapporti con l’esecutivo Segni erano nettamente migliori. E questo, con ogni probabilità, ebbe effetti anche sulle entrate dell’organizzazione. Il fondatore di “Pace e Libertà”, comunque, continuò a chiedere che l’ambasciata intercedesse per lui con alcuni imprenditori, per esempio con Faina della Montecatini <79.
[NOTE]
62 M.E. Guasconi, L’altra faccia della medaglia. Guerra psicologica e diplomazia sindacale nelle relazioni Italia-Stati Uniti durante la prima fase della guerra fredda (1947-1955), Rubbettino, Soveria Mannelli, 1999, pp. 126-135; E. Ortona, Anni d’America, cit., p. 74. Per un giudizio molto duro sull’esito delle pressioni americane si veda L. Sebesta, L’Europa indifesa. Sistema di sicurezza atlantico e caso italiano, 1948-1955, Ponte alle Grazie, Firenze, 1991, pp. 227-228.
63 M. Del Pero, L’alleato scomodo, cit., p. 260.
64 Lo scandalo Ingic (Istituto Nazionale Gestione Imposte di Consumo) esplose nel 1954 e coinvolse funzionari e dirigenti dei tre maggiori partiti (Dc, Pci, Psi). Ci furono tangenti versate dagli imprenditori alle amministrazioni in cambio di appalti per la riscossione delle imposte. L’inchiesta partì per un attacco di “Pace e Libertà” al sindaco comunista di Perugia. Su questo e sul dissidio Sogno-Cavallo si vedano: M.E. Guasconi, L’altra faccia della medaglia, cit., p. 149 (da cui è tratta la citazione della Prefettura); E. Sogno, A. Cazzullo, Testamento di un anticomunista. Dalla resistenza al «golpe bianco», Mondadori, Milano, 2000, p. 91; L. Garibaldi, L’altro italiano, cit., p. 198.
65 Soprattutto da L. Sebesta, L’Europa indifesa, cit., p. 228. Altri, invece, hanno posto l’accento sul maggior impegno di “Pace e Lavoro” di Cavallo. Tale constatazione consigliava, comunque, di diminuire i finanziamenti a Sogno, M.E. Guasconi, L’altra faccia della medaglia, cit., p. 150 e n. Oltre a Valletta, i soldi arrivavano da un «gruppo ristretto di Confindustria: Costa, Valerio, Faina e Cini», E. Sogno, A. Cazzullo, Testamento di un anticomunista, cit., p. 97.
66 Memorandum of conversation, E. Sogno, C.B. Luce, E. Freers (First Secretary of Embassy), April 19, 1955, NARA, RG 59, CDF, Box 3603. Sulla non collaborazione di Sogno coi neofascisti anche E. Sogno, A. Cazzullo, Testamento di un anticomunista, cit., p. 82.
67 Citazione tratta dalla seguente lettera, con alcune parti ancora coperte da segreto: C.D. Jackson to H. Luce, June 3, 1955, DDEL, CDJ, Box 70, f. Luce, Henry R. & Clare, 1955 (4).
68 E. Sogno to C.D. Jackson, June 6, 1955, DDEL, CDJ, Box 93, f. Sn-So Misc.
69 Memorandum of conversation, E. Sogno, J.W. Jones, W.R. Tyler, J.B. Engle, June 15, 1955, NARA, RG 59, CDF, Box 3603. Scorrendo il libro intervista di Sogno pare che Cini, in realtà, finanziasse già il movimento. Si tratterebbe, quindi, o della possibilità di non dipendere più da lui o di un ricordo impreciso - più che comprensibile - relativo a vicende di qualche decennio prima, E. Sogno, A. Cazzullo, Testamento di un anticomunista, cit., p. 97.
70 E. Sogno, A. Cazzullo, Testamento di un anticomunista, cit., pp. 98-99; L. Garibaldi, , L’altro italiano, cit., pp. 202-203. Il medesimo contenuto emerge dalla testimonianza presente in M.E. Guasconi, L’altra faccia della medaglia, cit., p. 151.
71 A. Dulles to H. Luce, June 25, 1955, DDEL, CDJ, Box 93, f. Sn-So Misc.
72 H. Luce to E. Sogno, July 5, 1955, DDEL, CDJ, cit.
73 E. Sogno, Le memorie di Alfredo Pizzoni: spunti e considerazioni, «Storia contemporanea», a. XXV, n. 3, giugno 1994, pp. 450-451.
74 T. Piffer, Il banchiere della Resistenza. Alfredo Pizzoni, il protagonista cancellato della guerra di liberazione, Mondadori, Milano, 2005, p. 235 e pp. 296-297.
75 Memorandum of conversation, L. Dell’Amico (“Pace e Libertà”), W. Stabler (Second Secretary of Embassy), L. Schineau (Rumanian refugee, close to PSDI), September 23, 1955, NARA, RG 59, CDF, Box 3604. Citato in C. Gatti, Rimanga tra noi. L’America, l’Italia, la “questione comunista”: i segreti di cinquant’anni di storia, Leonardo, Milano, 1990, pp. 37-38; M.E. Guasconi, L’altra faccia della medaglia, cit., pp. 150-151. Su Dell’Amico, collaboratore di “Pace e Libertà” ed ex missino, si veda G. De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, Editori Riuniti, Roma, 1991, p. 156.
76 C. Gatti, Rimanga tra noi, cit., p. 38.
77 E. Sogno to C.D. Jackson, October 25, 1955, DDEL, CDJ, Box 93, f. Sn-So Misc.
78 L. Garibaldi, L’altro italiano, cit., p. 203. Citazioni dall’Archivio privato di Edgardo Sogno tratte da M.E. Guasconi, L’altra faccia della medaglia, cit., pp. 152-153. Conferme dell’avvenuto cambio di strategia anche in E. Sogno to C. D. Jackson, July, 1956, DDEL, CDJ Papers, 1931-1967, Box 93, f. Sn-So Misc.
79 Memorandum of conversation, E. Sogno, W. Stabler, May 2, 1956, NARA, RG 59, CDF, Box 3605, 765.00/5-756.
Federico Robbe, Gli Stati Uniti e la Destra italiana negli anni Cinquanta, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 2009/2010

[...] Nel 1940, dopo un secondo tentativo vano di entrare in diplomazia, Sogno si laureò in Lettere e in Scienze politiche, rafforzando la propria adesione alla cultura angloamericana. Cominciò anche a collaborare col “Telegrafo”, il giornale del mussoliniano Galeazzo Ciano. Assunto dal ministero degli Esteri, nell’estate del 1942 presentò domanda di arruolamento nel Savoia Cavalleria in partenza per il fronte russo, deciso a combattere, ancora al fianco dei nazifascisti, contro l’Armata rossa degli odiati bolscevichi; ma in seguito a pressioni di suoi familiari, venne dirottato a Nizza, tenente del Nizza Cavalleria in funzione antisbarco, dove nel maggio 1943, espressosi in pubblico in favore della vittoria alleata, venne posto agli arresti domiciliari fino al 25 luglio (caduta del Duce e del fascismo).
Quello che Sogno enfatizzerà poi come un proprio fervido antifascismo, in realtà era l’ambiguo afascismo di un aristocratico monarchico destrorso e ossessionato dal comunismo. Ne era una conferma il fatto che, sebbene si dicesse molto amante degli ebrei («Per la sensibilità, l’intelligenza, la cultura, la profondità che avvertivo [in loro]... Il saperli esposti alle persecuzioni sollecitava il mio animo da donchisciotte [sic! nda]. E poi ero innamorato di una ragazza ebrea»), al varo delle leggi razziali mussoliniane, nel settembre 1938, controfirmate da re Vittorio Emanuele III, Sogno aveva reagito con un episodico happening: «Quel giorno passeggiai per tutto il pomeriggio, con tre amici, sotto i portici di via Po, davanti all’università, con una stella gialla appuntata sul petto. Anni dopo scoprii che il fatto era stato segnalato alle autorità, ma non furono presi provvedimenti» <2. Solo nelle sue memorie postbelliche, Sogno scriverà: «Nel 1941 ho letto il primo rapporto sui massacri degli ebrei in Polonia. Era un rapporto della Segreteria di Stato [vaticana]. Da quel momento il problema non era più politico, diventava un problema morale [sic! nda]. Sapendo, non si poteva in nessun modo rimanere solidali con la Germania [sic! nda]. Sono arrivato all’armistizio come un cane attaccato alla catena» <3.
Al momento assai poco turbato dall’antisemitismo e dallo stesso nazifascismo, il giovane conte Sogno aveva la fissazione della monarchia: «Noi giovani monarchici cercavamo un aggancio a corte, e lo trovammo in Maria José [moglie di re Umberto II di Savoia, nda]. La frequentai abitualmente tra l’autunno del ’42 e l’estate del ’43... Conoscevo bene i gentiluomini di corte» <4. E soprattutto condivideva col nazifascismo un anticomunismo viscerale e irriducibile.
Nome di battaglia “Franco Franchi”
Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, il tenente Sogno lasciò Torino e raggiunse l’esercito monarchico e il governo italiano a Brindisi, dove erano riparati il re Vittorio Emanuele III, il governo Badoglio e i vertici militari.
Coinvolto nella riorganizzazione del Sim (il Servizio informazioni militari partecipe dei crimini fascisti culminati nell’uccisione dei fratelli Carlo e Nello Rosselli), Sogno venne inserito nella rete spionistica Nemo, collegata alla Number one Special force della britannica Soe-Special operations executive. L’operato della rete spionistica del “nuovo Sim” preposta allo spionaggio nel Nord Italia aveva lo scopo strategico di contribuire alla stabilizzazione politico-sociale del primo dopoguerra.
Gli Alleati volevano per l’Italia postbellica un assetto istituzionale moderato e liberaldemocratico, mentre le componenti maggioritarie del movimento partigiano - comunisti, socialisti e azionisti - si proponevano una radicale trasformazione (per i comunisti “rivoluzionaria”) dell’assetto istituzionale del Paese. Così gli angloamericani intendevano circoscrivere la portata della Resistenza partigiana, limitando la forza socio-politica delle componenti di sinistra, attraverso l’azione dei Servizi alleati: l’Oss-Office of strategic services statunitense, e soprattutto il Sis-Secret intelligence service britannico.
Gli inglesi, che dirigevano la politica alleata nel Mediterraneo, appoggiavano la monarchia sabauda, mentre diffidavano del movimento partigiano perché in prevalenza non solo di sinistra, ma soprattutto comunista.
[...] L’agente speciale Franchi, insubordinato, ardimentoso e spericolato, attivo all’interno della lotta armata di Liberazione, era mosso dal patriottismo monarchico e dall’anticomunismo: combatteva i nazifascisti «per il riscatto della patria e la liberazione del territorio nazionale», ma al tempo stesso osteggiava e contrastava i partigiani comunisti «che si battevano per instaurare anche in Italia un regime bolscevico di marca sovietica» <14. Per Sogno, la guerra in corso ai nazifascisti era il preludio a quella contro i comunisti, e si trattava di un doppio binario che presupponeva una particolare sofisticatezza. Del resto, Franco Franchi all’apparenza aveva ben tre committenti, ma in realtà agiva in proprio: «Lavoro per il Cln, per gli inglesi e per il Comando italiano, ma dipendo soltanto da me» <15.
Alla fine di marzo 1944 Sogno, col suo carico di informazioni politico-militari da trasmettere agli Alleati, si recò a Genova con documenti falsi per incontrare i rappresentanti dell’organizzazione Otto con la quale collaborava. Rete informativa costituita nel capoluogo ligure, nel settembre 1943, dal neurologo filocomunista Ottorino Balduzzi, la “Otto”, autonoma dal Comitato di liberazione di Genova e anche dal Comando militare del Clnai, era in rapporti diretti con i Servizi alleati che la finanziavano, ed era attiva, attraverso una rete di 12 stazioni radio (e collegamenti col quartier generale alleato di Algeri), in Liguria, Piemonte, Lombardia e Veneto. Formatasi in maniera tumultuosa nel volgere di poche settimane, l’organizzazione Otto era «un nucleo d’intelligence» nel quale c’erano le provenienze più disparate, compresi alcuni militari già mussoliniani e ufficiali monarchici, e anche «molti agenti doppiogiochisti e di dubbia fama, reclutati nei vecchi apparati fascisti e in quelli della Rsi» <16. Entro pochi mesi «la Otto aveva pompato dalla sua rete di spie ottimo materiale informativo, che era stato regolarmente trasmesso al Comando alleato [il quale] non poteva non apprezzare enormemente il lavoro dell’organizzazione fondata dal neurologo di Genova» <17. L’incontro di Franchi con la rete spionistica genovese fu compromesso da una o più delazioni, per cui quel giorno la Gestapo arrestò, a Genova, i vertici della “Otto” e lo stesso Sogno (che però evase subito con facilità), mentre a Torino la polizia nazista arrestava il Comitato militare del Clnai fucilandone quasi tutti i componenti.
«Partii per Genova, per tentare di prendere contatto con l’organizzazione Otto. Era il primo gruppo clandestino a essersi collegato via radio con gli Alleati e a fare da tramite con le bande partigiane, come più tardi e in larga scala facemmo noi dell’organizzazione Franchi. La “Otto” si chiamava così dal nome del fondatore, Ottorino Balduzzi, chirurgo al San Martino di Genova, comunista. Il contatto con gli Alleati era stato stabilito grazie ad Alberto Li Gobbi, che era con me a Brindisi ed era poi stato paracadutato al Nord. E proprio con Li Gobbi avevo appuntamento a Genova, in via San Luca, il mattino del 30 [marzo]. Poi sarei tornato a Torino... Ma quel giorno Li Gobbi non venne. In base ai nostri accordi, l’appuntamento si intendeva rinviato al giorno dopo, stesso posto, stessa ora. Il 31 marzo, mentre i miei amici torinesi venivano arrestati, la Gestapo ci sorprese a Genova. Il fratello di Alberto, Aldo Li Gobbi, fugge, viene colpito alla schiena, cade. Alberto e io finiamo in cella [nella Casa dello studente, nda]. Riusciamo a forzare le sbarre della finestra. Potremmo fuggire insieme, ma Alberto teme che i tedeschi si vendichino sul fratello, non sa che Aldo è già morto, e decide di restare. Lo riducono in fin di vita per farlo parlare di me. Invano. E io prendo con me stesso l’impegno di liberarlo. Magari con uno scambio di ostaggi» <18.
Il doppio arresto Genova-Torino fu «un’operazione coordinata sui maggiori obiettivi di cui le polizie erano a conoscenza. Infatti, mentre ci stavano trasferendo nella sede del comando alla Casa dello studente, da un dialogo fra i poliziotti appresi che una parte degli italiani e dei tedeschi impiegati nell’operazione era arrivata la sera prima da Torino» <19. I sospetti di tradimento si appuntarono soprattutto sul sottotenente Italo Cavallino, reclutato dal Sim e dai Servizi inglesi, il primo della “Otto” a essere arrestato dai tedeschi. Ma l’organizzazione spionistica genovese venne scardinata anche a causa di «tutti gli errori cospirativi commessi, per inesperienza, per la leggerezza degli Alleati nell’addestrare gli agenti segreti, per l’imprudenza di Balduzzi nel reclutare collaboratori, per l’incoscienza di molti di questi e per la debolezza di alcuni».
Tuttavia era la fine di un’araba fenice: «Dalle ceneri del gruppo fondato da Balduzzi risorgeva però quasi subito un’altra organizzazione destinata a restare celebre negli annali della Resistenza: la “Franchi” fondata da Edgardo Sogno dopo la sua fuga avventurosa» <20.
Infatti il 10 aprile 1944 Sogno si recò a Berna (Svizzera) per una serie di incontri con John McCaffery, capo della Number one Special force britannica per l’Europa, dopo i quali nacque l’organizzazione Franchi. Per facilitare il passaggio del confine con tappa a Lugano, e preservare la missione elvetica, Franco Franchi fornì ai Servizi svizzeri materiale informativo e notizie militari opportunamente selezionate. Il monarchico McCaffery, allarmato dal fatto che il Clnai fosse «pieno di comunisti e di sovversivi», disse a Sogno: «So che sei stato mandato al Nord con compiti informativi; però le notizie, invece di mandarle, è meglio farle» <21.
McCaffery concordò con Sogno il varo della organizzazione Franchi, una rete collegata all’Intelligence service britannico con speciali compiti informativi, di spionaggio e controspionaggio, di sabotaggio e infiltrazione. Finanziata dagli Alleati e sostenuta da Radio Londra (con quotidiani messaggi cifrati), la “Franchi” doveva inoltre coordinare gli aviolanci di armi e rifornimenti destinati alle varie brigate partigiane del Nord Italia, previa infiltrazione: «Sogno avrebbe dovuto individuare i campi di lancio, inserire uomini suoi nelle formazioni in Piemonte, fornire notizie sulle bande e sui loro comandanti. Quello che si voleva da lui era una specie di “nulla osta” per poter mandare gli aiuti» <22. Altri compiti della “Franchi”: «Disarmo e neutralizzazione di sentinelle e militari isolati, cattura di ostaggi, liberazione di prigionieri, eliminazione di spie e di elementi pericolosi, distruzione o sottrazione di armi» <23.
La nascente organizzazione Franchi, definita dallo stesso capo-fondatore Sogno «un’organizzazione militare autonoma, in collegamento diretto con gli Alleati e con il Comando italiano del Sud» <24, era formata all’inizio da «ufficiali in servizio permanente o di complemento, o membri di missioni alleate paracadutati al Nord» <25 disposti a «obbedire agli ordini senza discutere» <26. E aveva un preciso presupposto politico, esplicitato da Sogno con queste parole: «Fra noi ci possono essere appartenenti a qualunque partito antifascista o anche militari apolitici, purché sentano il dovere di battersi contro i tedeschi. Questa era la posizione che aveva inizialmente il vecchio Comitato militare, prima che i partiti cominciassero a dare un colore politico alle bande. È la posizione che permette di conservare il movimento di Resistenza su di un piano nazionale. Oggi i partiti tendono invece a trasformare le bande in strumenti di azione politica. Noi dobbiamo, per quanto possibile, combattere questa tendenza» <27.
Tra i fondatori della “Franchi” c’era il torinese Adolfo Beria di Argentine, classe 1920, rampollo dell’alta borghesia piemontese e monarchica (madre di nobili ascendenze, padre magistrato), laureato in giurisprudenza. «Mobilitato all’inizio del 1942 come allievo ufficiale [e] assegnato al XV Reggimento autieri dell’Autocentro di Savona», Beria di Argentine nel febbraio 1943 era stato «chiamato a Roma, come addetto all’ufficio centrale corrispondenti di guerra: riceveva i dispacci e i telegrammi inviati dai giornalisti al fronte, e li trascriveva in un linguaggio idoneo alla pubblicazione sulla stampa»; dopo l’armistizio del settembre 1943 «col dissolvimento delle forze armate italiane», il monarchico Beria aveva cominciato a collaborare col movimento resistenziale, nome di battaglia “Nuccio” <28. All’inizio della organizzazione Franchi, nell’aprile 1944, Beria «si occupò del settore informativo», e in un secondo tempo «dell’organizzazione dei campi di lancio allestiti per ricevere materiali dagli Alleati» <29.
Lo strumento in funzione anticomunista
Con l’avanzata delle truppe alleate e l’approssimarsi della sconfitta nazifascista, Londra e Washington cominciarono a preoccuparsi e occuparsi della forza sociopolitica, organizzativa e militare del Pci. Un memorandum dell’aprile 1944 della Commissione di controllo alleata segnalava che «il potere del Partito comunista cresce ogni giorno». Gli angloamericani temevano che in Italia alla imminente Liberazione potesse seguire una presa del potere da parte dei comunisti, e proprio allo scopo di contrastare questa prospettiva progettarono il recupero di strutture e personaggi compromessi col nazifascismo. La stessa “Franchi” costituiva uno strumento in funzione anticomunista: attraverso l’organizzazione di Sogno, e a partire da una mappatura completa di tutte le bande e formazioni partigiane con i relativi organigrammi e parole d’ordine, gli Alleati intendevano assumere il pieno controllo della Resistenza partigiana.
Dalla Svizzera il Soe britannico informò il Foreign office che «Sogno sta costituendo un corpo speciale composto da 200 uomini [i quali] dovrebbero agire da polizia, da organizzazione di sicurezza e per compiere azioni sul campo, agli ordini del Clnai. Si tratta di elementi non appartenenti a partiti politici, scelti tra le migliori formazioni partigiane. Saranno utilizzati al momento dello scoppio della crisi [cioè quando, sconfitti i nazifascisti, si sarebbero dovuti neutralizzare i partigiani comunisti, nda]. Vi chiediamo quindi di paracadutare armi per questo corpo speciale (località 106). Per telegrammi di questo tipo usate il prefisso “Franchi”» <30.
La “Franchi” incorporò la organizzazione Otto, senza guida dopo l’arresto del suo capo-fondatore Balduzzi. «Sgominata la “Otto” dalla Gestapo», ricorderà Sogno, «creiamo un’altra organizzazione di collegamento, la “Franchi”» <31. Lo stesso Balduzzi, alla fine della guerra, ricorderà: «Edgardo Sogno, del Cln torinese e nostro collaboratore, arrestato con il gruppo della “Otto”, potette evadere dalla Casa dello studente di Genova con il nostro aiuto, e potette, qualche mese dopo, riprendere contatti con gli Alleati e dare luogo all’organizzazione Franchi, che sostituì la scomparsa “Otto”» <32.
La fusione tra la “Otto” e la “Franchi” non fu priva di ombre e sospetti: «In seguito, molti uomini della “Otto”, circostanza davvero curiosa, fuggiranno dai campi di prigionia (Li Gobbi da quello di Carpi) oppure saranno liberati dai tedeschi e confluiranno nella rete “Franchi”» <33.
La struttura e l’articolazione della organizzazione capeggiata da Sogno era particolare, assai simile a quella che molti anni dopo caratterizzerà le Brigate rosse, a partire dalla più rigida compartimentazione: «Da un punto di vista operativo, la Franchi era una struttura nuova e tutt’altro che ortodossa rispetto ai canoni del Soe britannico, secondo i quali nessuno dei membri avrebbe dovuto conoscersi, se non attraverso parole d’ordine e nomi di battaglia... Rispecchiava quella dei Gap mutuata invece dai canoni della Gpu sovietica e alla quale si rifaranno, quasi trent’anni dopo, le Brigate rosse, con la loro suddivisione in “regolari”, “irregolari” e “fiancheggiatori”. Al vertice della Franchi stavano infatti i membri organizzatori, che arrivarono a essere una cinquantina: si conoscevano tutti tra loro [e il cemento che li unificava], la garanzia di sicurezza, era l’amicizia comune con Sogno. Ogni organizzatore poteva contare su una rete di collaboratori affiliati alla “Franchi” secondo il modello dei réseaux francesi, specializzati in determinati servizi (lanci, trasporti, collegamenti radio, fabbricazione di documenti falsi, operazioni attivistiche, controspionaggio). Questi collaboratori, che nel periodo di massima espansione arrivarono a essere oltre 200, erano in genere conosciuti solo dall’organizzatore cui facevano capo. Infine venivano gli organizzati (i “fiancheggiatori”), che fornivano prestazioni occasionali: lavori gratuiti, ospitalità, collegamenti saltuari. Gli organizzati arrivarono a essere alcune migliaia [...]. [Quanto alle basi della “Franchi”] erano appartamenti presi in affitto da tranquilli studenti iscritti all’università, o di cui gli organizzatori s’erano procurate le chiavi dai legittimi proprietari, di solito elementi “organizzati” o “simpatizzanti”...
A novembre del 1944 la “Franchi” era articolata su cinque gruppi cittadini: Torino (capogruppo Ferdinando Prat “Gigi”, 14 organizzatori, 10 squadre); Milano (capogruppo Pierluigi Tumiati “Tum”, 9 organizzatori, 9 squadre); Genova (capogruppo Giacomo Medici “Gigetto”, 4 organizzatori, 4 squadre); Biella (capogruppo Lorenzo Levis “Gianni”, 4 organizzatori, 4 squadre); Venezia (capogruppo Alessandro Cicogna “Sandro”, 4 organizzatori, 5 squadre)» <34.
[NOTE]
2 Edgardo Sogno con Aldo Cazzullo, op. cit., pagg. 26-27.
3 Edgardo Sogno, Guerra senza bandiera, Mursia 1970, pag. 256. In pratica, a detta dell’antifascista donchisciottesco Sogno, senza l’antisemitismo il nazismo sarebbe stato un semplice «problema politico», e solo la persecuzione antiebraica impediva di «rimanere solidali» con il Reich hitleriano.
4 Edgardo Sogno con Aldo Cazzullo, op. cit., pagg. 32-33.
15 Edgardo Sogno, Guerra senza bandiera, cit., pag. 159.
16 M.J. Cereghino e Giovanni Fasanella, Il golpe inglese, Chiarelettere 2014, pag. 120.
17 Franco Fucci, op. cit., pag. 135.
18 Edgardo Sogno con Aldo Cazzullo, op. cit., pagg. 54-55. Enigmatico il destino di Ottorino Balduzzi: non venne fucilato, ma deportato nel lager di Mauthausen; e dopo qualche tempo ottenne dalle autorità naziste lo straordinario privilegio di lavorare come medico in un ospedale militare specialistico nella zona di Linz. «La generosità dei nazisti verso Balduzzi stupisce... Tutti sappiamo che i nazisti fucilavano una persona per molto meno» (Franco Fucci, op. cit., pag. 135).
19 Edgardo Sogno, La Franchi. Storia di un’organizzazione partigiana, Il Mulino 1996, pag. 69.
20 Franco Fucci, op. cit., pag. 134.
21 Ibidem, pag. 147.
22 Luciano Garibaldi, op. cit., pagg. 68-69.
23 Edgardo Sogno, La Franchi, cit., pag. 114.
24 Ibidem, pag. 190.
25 Luciano Garibaldi, op. cit., pag. 111.
26 Edgardo Sogno, La Franchi, cit., pag. 192.
27 Ibidem.
28 Mimmo Franzinelli con Pier Paolo Poggio, Storia di un giudice italiano. Vita di Adolfo Beria di Argentine, Rizzoli 2004, pagg. 13-14.
29 Ibidem, pag. 15.
30 Cit. in Mario José Cereghino e Giovanni Fasanella, op. cit., pag. 106.
31 Edgardo Sogno e Aldo Cazzullo, op. cit., pag. 57.
32 Cit. in Franco Fucci, Spie per la libertà, cit., pag. 145.
33 Mario José Cereghino e Giovanni Fasanella, op. cit., pag. 101.
34 Luciano Garibaldi, op. cit., pagg. 113-15.

Aa.Vv., Esecuzione capitale. Edgardo Sogno e il delitto Moro, Kaos, 2021 

Il generale Bozzo aggiunse che «nell’ultima fase della guerra partigiana, un certo numero di repubblichini in contatto con uomini della Franchi avevano infiltrato diverse Brigate Garibaldi per indurle a compiere azioni particolarmente efferate, in modo da metterle in cattiva luce agli occhi dell’opinione pubblica o per portarle all’annientamento soffiando informazioni ai reparti della RSI» <17; e che «le persone utilizzate per le infiltrazioni «erano uomini e donne» che avrebbero agito per conto di «qualche servizio segreto alleato (…) una struttura (…) che non si è mai sciolta ed è tutt’ora operante dietro il terrorismo rosso e nero».
Bozzo avrebbe riferito un tanto al suo superiore, che in seguito lo convocò ad un incontro con Edgardo Sogno, al quale però, Sogno non volle che Bozzo fosse presente. E dopo il colloquio, Dalla Chiesa avrebbe detto a Bozzo «lascia perdere (…) è una storia più grande di noi, qui siamo a livelli internazionali, le BR non c’entrano più» <18.
[...] Nel citato 'Golpe inglese', troviamo la descrizione di una serie di manovre molto interessanti. Alla fine degli anni ‘40 l’Information Research Department <43, iniziò un lavoro di avvicinamento nei confronti di personalità della cultura che si ritenevano «disilluse dal comunismo» (tra cui Ignazio Silone, Elio Vittorini, Alberto Moravia ed Elsa Morante), da utilizzare per promuovere una cultura antisovietica ed anticomunista. Fu in questo periodo che venne lanciata l’operazione Packet (in collaborazione con i servizi statunitensi) il cui primo atto fu la convocazione di un “Congresso per la libertà della cultura”, svoltosi a Berlino nel 1950, organizzato da Ignazio Silone e presieduto da Benedetto Croce. Tra i membri della delegazione italiana «spiccano i nomi di Nicola Chiaromonte, Altiero Spinelli, Enzo Forcella», e l’attività in Italia si concretizzerà nella fondazione di una serie di testate giornalistiche e letterarie, tra le quali ricordiamo Tempo presente di Silone e Chiaromonte ed il Mondo di Pannunzio. Nello stesso periodo iniziò l’attività editoriale dell’ex agente del SOE, l’industriale Adriano Olivetti (che si era fatto un nome come “socialista riformatore”) <44, il cui prodotto più importante sarà la rivista l’Espresso “regalata” a Carlo Caracciolo, figlio del suo ex collega nel SOE, l’agente Filippo Caracciolo.
[NOTE]
17 Possiamo riconoscere in questo punto alcune delle indicazioni del “piano Graziani”, ma anche il modo d’agire di Zolomy. Consideriamo che il 26/11/44 nella zona controllata dai partigiani di Moranino furono fucilati i componenti della “missione Strassera”, ritenuti spie nazifasciste, e per tale azione il comandante Gemisto fu perseguito negli anni ’50, come vedremo.
18 Mario José Cereghino e Giovanni Fasanella, Il golpe inglese, Chiarelettere 2011, p. 245-246, che citano una «testimonianza di Nicolò Bozzo a Sabina Rossa», inserita in G. Fasanella e S. Rossa, Guido Rossa, mio padre, BUR 2006.
43 Durante il secondo conflitto mondiale era attivo lo Psychological Warfare Branch (PWB), l’Ufficio per la propaganda e la guerra psicologica dei servizi angloamericani; successivamente l’ufficio si divise, la sezione statunitense divenne United States Information Service (USIS), quella britannica Information Research Department (IRD).
44 Vicino al “socialismo empirico” di Gaetano Salvemini, Olivetti prese contatto con gli Alleati nei primi mesi del ’43, introdotto da Silone, allo scopo di illustrare un piano di pace che aveva redatto; dopo l’armistizio fu arrestato ed accusato di “intelligenza col nemico” ma riuscì a riparare in Svizzera. «Preso atto del fallimento dell’ideologia socialista e della crisi del capitalismo, elabora una nuova idea di Stato basato sulla Comunità come nucleo fondante della società», in collaborazione con Luigi Einaudi ed Ernesto Rossi. Tale progetto viene presentato nel volume L’ordine politico delle Comunità (pubblicato nel 1945) ed è così riassunto: «un piano organico di riforma di struttura dello Stato, inteso ad integrare i valori sociali del marxismo con quelli di cui è depositaria la civiltà cristiana, così da tutelare la libertà spirituale della persona» (cfr. https://www.fondazioneadrianolivetti.it/).

Claudia Cernigoi, Le serpi in seno. L’infiltrazione e la provocazione nei movimenti comunisti in Supplemento al n. 416 - 3/12/21 de “La Nuova Alabarda e la Coda del Diavolo”, Trieste, 2021

domenica 19 giugno 2022

L’illusione di far rimanere la Divisione Decima sul territorio della Venezia Giulia si infranse presto


Il ruolo di protagonista principale delle febbrili attività che si sarebbero svolte a Trieste nei giorni precedenti la fine di aprile del 1945, se lo autoassegnò Bruno Coceani, il rappresentante degli interessi, assieme al podestà, dell’alta borghesia industriale cittadina, che lo aveva scelto per essere tutelata di fronte alle autorità naziste <87, e, come questa, desideroso di assicurare legittimità alla sua azione di fronte ai rappresentanti dell’Esercito angloamericano <88. Il prefetto aveva già predisposto un piano per la difesa della città, che avrebbe dovuto essere attuato dai soldati italiani contro i partigiani jugoslavi in avvicinamento alla Venezia Giulia <89, con la collaborazione del comandante regionale Esposito <90. Per coinvolgere nel suo progetto gli esponenti del CLN (Comitato di liberazione nazionale) cittadino, Coceani si rivolse in particolare ad alcuni volontari del 1915-18 suoi conoscenti, come Ercole Miani, Antonio Fonda Savio e Biagio Marin <91, ai quali propose il suo programma, da attuare dopo la resa dei tedeschi, che comprendeva, tra l’altro, la garanzia per i fascisti di non essere incriminati.
I componenti del CLN rifiutarono, così come vennero rifiutati gli abboccamenti con il federale ed il generale Esposito <92. Ad Esposito, per il tramite di Italo Sauro, arrivò l’ordine da Mussolini di assumere il comando di tutte le forze armate presenti nella Venezia Giulia: a sua disposizione però riuscì ad avere solo i circa 600 uomini alle dipendenze del Comando regionale <93. Bruno Sambo, a sua volta, fece sapere di voler consegnare le armi in possesso dei fascisti al Corpo volontari della libertà (CVL), il braccio militare del CLN <94.
In quei giorni frenetici, dunque, si assisteva a decisioni confuse e improvvisate, oltre che inconcludenti. Pure i tentativi organizzati dal comandante della Decima Mas, Junio Valerio Borghese, per un intervento militare italiano in queste terre andarono a vuoto, anche per gli ostacoli posti dal Supremo commissario. Il servizio segreto della Decima Mas, che si dedicava alla redazione di documenti sull’attività nella Venezia Giulia di tedeschi, austriaci, sloveni, croati, serbi e russi <95, si servì della collaborazione di un’organizzazione chiamata «Movimento Giuliano». Questo, diretto secondo una fonte da Italo Sauro <96, secondo altre fonti da Nino Sauro <97, si occupava della diffusione nella Venezia Giulia di giornali clandestini a carattere nazionale. A Venezia fondò un Istituto per gli studi sulla Venezia Giulia, con il compito di tener desto l’interesse dell’opinione pubblica italiana sulla situazione in quel territorio, pubblicando articoli informativi e di propaganda sui giornali della RSI <98.
L’illusione di far rimanere la Divisione Decima sul territorio della Venezia Giulia si infranse presto. Alla fine della battaglia di Selva di Tarnova, nel gennaio 1945, il Supremo commissario Rainer ottenne dal generale Wolff, comandante delle forze armate tedesche in Italia, l’allontanamento della divisione dal confine orientale. In Istria rimasero alcuni presidii, che avrebbero difeso le loro postazioni fino alla fine della guerra, mentre la Divisione Decima si sarebbe attestata in Veneto, fra Thiene e Bassano, da dove Borghese sperava di farla arrivare nella Venezia Giulia non appena se ne fosse presentata l’occasione.
Verso la fine del marzo 1945 avvennero gli ultimi due, inconcludenti, incontri tra Borghese e gli emissari del Ministro della Marina del governo italiano del Sud; in particolare, il capitano Marceglia si recò anche a Trieste e venne messo in contatto con Italo Sauro, solo per venire a sapere che non esisteva nulla di organizzato <99.
Si sarebbe così arrivati con un nulla di fatto al 20 aprile 1945. Al castello di Miramare si celebrò il 56° compleanno di Hitler alla presenza delle autorità civili e militari tedesche ed italiane <100. Finita la cerimonia, Esposito e Sambo rivolsero a Rainer la richiesta di poter far affluire truppe della RSI nella Zona di operazioni Litorale adriatico, a difesa dei confini orientali della Venezia Giulia e stavolta il Supremo commissario non si oppose.
Sambo si mise immediatamente in contatto con il comando dei mezzi d’assalto dell’Alto Adriatico, agli ordini del triestino Aldo Lenzi, operante in città secondo le direttive di Borghese, per fargli sapere che la Decima Mas aveva via libera per rientrare nella Venezia Giulia. Ma Lenzi non riuscì a contattare Borghese, che solamente il 24 aprile avrebbe ricevuto da Mussolini l’incarico di assumere il comando di tutte le forze armate italiane che si trovavano oltre l’Isonzo e di procedere alla difesa ad oltranza della Venezia Giulia.
[NOTE]
87 C. Schiffrer, Trieste nazista, in «Trieste», n. 28, 1958 e Due vie e due costumi, in «Trieste», n. 31, 1959. D. De Castro, questione di Trieste. L’azione politica e diplomatica italiana dal 1943 al 1954, vol. I, Lint, Trieste 1981, p. 196. E. Apih, Trieste, cit., pp. 148-149.
88 C. Schiffrer, Trieste nazista, cit.
89 Il prefetto Coceani è definito da Sambo, nel memoriale del 2 maggio 1945, «capo spirituale del movimento di liberazione nazionale» [sic., N.d.A.]. Coceani, afferma ancora Sambo, aveva «predisposto ogni cosa per la fusione in un blocco unico di tutti gli italiani, senza distinzione di colore o di partito…..».
90 B. Coceani, Mussolini, Hitler, Tito, cit., pp. 222-279-280. L. Grassi, Trieste, cit., p. 86.
91 B. Coceani, Mussolini, Hitler, Tito, cit., p. 289. C. Schiffrer, Trieste nazista, cit.
92 Memoriale Sambo del 2 maggio 1945, cit.
93 G. Esposito, Trieste e la sua , cit., pp. 183-184-192.
94 Processo al gen. Giovanni Esposito, fascicolo in possesso dell’AIRSML-FVG. Memoriale Sambo 2 maggio 1945, cit.: le armi sarebbero state consegnate agli uomini del C.L.N. per il tramite del podestà Pagnini, che è l’unico a cui Sambo parlò di questo piano.
95 G. Bonvicini, Decima marinai! Decima comandante! La fanteria di marina 1943-1945, Mursia, Milano 1988-1989, p. 227. S. Nesi, Decima Flottiglia nostra…. I mezzi d’assalto della marina italiana al sud e al nord dopo l’armistizio, Mursia, Milano 1986-1987, p. 133. Junio Valerio Borghese e la X.a Flottiglia Mas. Dall’8 settembre 1943 al 26 aprile 1945, a c. di M Bordogna, Mursia, Milano 1995, p. 189.
96 R. Lazzero, La Decima Mas. La compagnia di ventura del «principe nero», Rizzoli, Milano 1984, p. 147, riporta il fatto che Italo Sauro collaborò, assieme a Maria Pasquinelli, con il servizio informazioni della Decima, ma l’organizzazione «Movimento giuliano» non viene nominata. G. Bonvicini, Decima marinai!, cit., p. 227, parla invece esplicitamente di Italo Sauro quale promotore e direttore del «Movimento giuliano».
97 S. Nesi, Decima Flottiglia nostra, cit., p. 133. L. Grassi, Trieste, cit., p. 127, dove si parla però di un «Movimento Istriano Clandestino». M. Bordogna, Junio Valerio Borghese, cit., p. 143 e p. 189.
98 G. Bonvicini, Decima Marinai!, cit., p. 227. M. Bordogna, Junio Valerio Borghese, cit., p. 189. È possibile che di iniziative del «Movimento giuliano» parli l’organo del PFR di Trieste, «Italia Repubblicana», nel suo ultimo numero, che porta la data del 25 aprile 1945, riferendosi all’indirizzo di cittadini della Venezia Giulia e della Dalmazia residenti a Venezia e Milano e riguardante l’inviolabilità dei confini della regione. I due testi citati riferiscono anche che una parte del materiale raccolto dal «Movimento giuliano», in particolare sul massacro degli italiani avvenuto in Istria dopo l’8 settembre 1943, si trovava nell’Ufficio stampa del Comando della Decima, situato proprio a Milano.
99 Su tale vicenda vedi: R. Pupo, L’Italia e la presa del potere jugoslava nella Venezia Giulia, in La crisi di Trieste. Maggio-giugno 1945. Una revisione storiografica, a c. di G. Valdevi, Irsml FVG, Trieste 1996. R. Lazzero, La Decima Mas, cit., p. 147. M. Bordogna, Junio Valerio Borghese, cit., pp. 156-157, p. 192.
100 «Il Piccolo», 21 aprile 1945. «Italia Repubblicana», 21 aprile 1945. L. Grassi, Trieste, cit., p. 110 sgg. B. Coceani, Mussolini, Hitler, Tito, cit., pp. 264-265.
Raffaella Scocchi, Il PFR a Trieste: premesse per una ricerca, Quale Storia, Rivista di storia contemporanea, Miscellanea adriatica, Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli Venezia Giulia, Anno XLIV, N.ro 2, Dicembre 2016

L’ammiraglio Raffaele De Courten, Ministro e Capo di Stato Maggiore della Regia Marina, come scrive nelle sue memorie, incaricò Calosi di verificare cosa gli Alleati pensassero in merito ad una eventuale azione militare italiana che, al momento del crollo tedesco, avesse preceduto quella jugoslava nell’occupazione della Venezia Giulia. Il Sis avrebbe inoltre elaborato un progetto che prevedeva lo sbarco di reparti della Marina e dell’Aeronautica, il Reggimento San Marco e il Battaglione Azzurro, nelle vicinanze di Trieste. «Queste truppe sarebbero state trasportate da mezzi navali italiani, dato che l’intera operazione avrebbe dovuto essere di esclusiva esecuzione italiana, e gli Alleati, per non compromettersi con gli jugoslavi, avrebbero finto di non saperne nulla» <311. Era dunque necessario predisporre un’organizzazione militare clandestina composta di uomini affidabili e di sicura fede italiana e anticomunista <312. L'ambizioso piano del Sis tuttavia non riscontrò favori presso gli Alleati e la Marina fu costretta ad abbandonarlo nel settembre 1944 <313.
Fu in questo momento che, pertanto, entrarono in gioco i contatti con la Marina Repubblicana e con la Decima Mas in primis. Se le prime due missioni inviate al Nord non avevano come unico (o ufficiale) obiettivo la difesa di Trieste, quella affidata al Capitano del Genio Navale Antonio Marceglia era stata dichiaratamente ideata per quell'obiettivo e godeva inoltre dell'appoggio ufficiale dell'OSS. La missione infatti consisteva nel «prendere contatto con il Com.te J.V. Borghese della Xª MAS al fine di concretare un piano combinato di difesa della Venezia Giulia» <314. Marceglia, accompagnato fino al fronte da Angleton e Resio, attraversò le linee presso Viareggio ma venne arrestato il giorno dopo dai tedeschi. Riuscì tuttavia a far giungere un messaggio a Borghese il quale fece pressioni sul comando delle SS che aveva arrestato l'ufficiale italiano e lo fece scarcerare. Nel primo colloquio che Marceglia ebbe con Borghese, il 28 marzo, l'agente del Sis riferì lo scopo della sua missione e insistette «sulla necessità che ai confini orientali ci [fosse] una resistenza armata e organizzata della durata di due o tre giorni al fine di permettere l'occupazione esclusiva della regione da parte degli Alleati e non delle truppe di Tito» <315. Borghese si dimostrò scettico sulla fattibilità del piano, dato che anche il suo personale tentativo di inviare sul fronte 5000 marò della Decima era stato stoppato dalle autorità tedesche. Anche il suo accordo con gli industriali era fallito perché, secondo Borghese «l'interessamento degli industriali era solo a vantaggio personale e non nazionale» <316. Marceglia fu colpito in modo negativo da Borghese: «Trovo in genere -scrive nella relazione- che nel Comandante Borghese è avvenuta una profonda trasformazione. C'è in lui un senso di leggerezza e fatuità che non gli riconoscevo, si sono inoltre sviluppate delle tendenze megalomani veramente strane. Ho l'impressione che tutta la creazione di questa organizzazione non sia che frutto dell'ambizione personale» <317. Marceglia decise tuttavia di non demordere e in un secondo incontro provò a «invogliare il Comandante ad un'azione attiva ed efficace», dichiarando di poter equipaggiare i suoi reparti destinati alla Venezia-Giulia tramite un «falso lancio ai partigiani in territorio controllato invece dalle sue forze». Tuttavia, nemmeno il fatto che la Marina fosse decisa a sostenerlo «qualora egli [desse] l'appoggio a questi progetti e [fosse] decisa a sottrarlo alle ire popolari o partigiani», riuscì a «portare il Comandante ad una decisione definitiva o ad un impegno formale» <318.
Egli si dilunga a parlarmi dell'opera di propaganda da lui svolta della Venezia-Giulia mediante un apposito ufficio installato a Venezia sotto la direzione del Dottore Italo SAURO e di un certo DRAGHICCHIO. Parla dell'ingente materiale tipografico propagandistico distribuito nella regione da un sedicente comitato di azione italica da lui creato. Dichiara di aver creato pure una rete di informazioni sia nella regione che in Croazia ma che in quest'opera è fortemente ostacolato sia dal Ministero degli Interni tramite la questura che arresta i suoi informatori sia dal Partito Fascista. Dichiara inoltre di aver tentato prendere contatto con la Divisione Partigiana Osoppo e con le brigate Piave ma che ha trovato in questa opera notevoli ostacoli <319.
Sembra in effetti che Borghese, tramite il capitano Manlio Morelli del battaglione Valanga, avesse avuto dei contatti con il comandante Candido Grassi, alias Verdi, delle Brigate Osoppo. Secondo quanto riferirà nell'agosto 1945 lo stesso Morelli ad Angleton, una bozza di accordo sarebbe stata siglata con l'obiettivo comune di «combattere gli slavi» ma che incontrò resistenze all'interno della stessa Decima. Probabilmente, infatti, l'iniziativa fu stoppata dall'opposizione di Giuseppe Corrado e Rodolfo Scarelli, numero uno e numero due della Divisione Xª, impegnata direttamente sul fronte orientale prima di essere fermata dai tedeschi <320.
Marceglia provò a contattare personalmente anche altri ufficiali della Decima Mas prospettando loro la necessità di risolvere il problema giuliano. Anche in questo caso l'opinione sulla situazione e sul personale della Decima è molto netta e non lascia speranze sull'esito favorevole dell'operazione: «Ho l'impressione che nessuno di loro abbia sufficientemente chiaro a quale punto si sia della guerra e sulla situazione politica. Riscontro piuttosto diffuso un certo fanatismo parolaio che non ha certo intenzione di estrinsecarsi nell'azione» <321. Nonostante ciò, Marceglia decise di recarsi personalmente a Trieste i primi di aprile per vedere da vicino la situazione della città giuliana. Anche qui lo spettacolo era desolante, poiché notò, Marceglia, non esisteva «alcun serio tentativo per fronteggiare la minaccia Slava». Il CLN, escluso il partito comunista, era costretto a lavorare «quasi nel vuoto, fortemente ostacolato dalla miope politica fascista. Le forze armate italiane sono esigue, sparpagliate e non esiste alcun piano difensivo» <322. Il 17 aprile Marceglia ritornò a Venezia dove incontrò per la terza e ultima volta con il Comandante Borghese. Ancora una volta l'ufficiale della Marina tentò di convincere disperatamente Borghese ad intervenire. L'unica soluzione proposta dal Comandante fu quella di conferire pieni poteri al Comandante del Distretto militare di Trieste, il Generale Giovanni Esposito, «allo scopo di riunire tutti gli elementi italiani facenti parte delle forze armate italiane e dei gruppi ausiliari tedeschi sotto un'unica direzione e preparare con essi una difesa o rallentamento avanzata slava per due o tre giorni» <323. La debolezza del piano era evidente per Marceglia ma decise di comunicarlo comunque alle autorità del Sud.
[NOTE]
311 S. De Felice, La Decima Flottiglia MAS e la Venezia Giulia, p. 111; R. De Courten, Le memorie dell’Ammiraglio De Courten (1943-1946), Roma, U.S.M.M., 1993, p. 546.
312 Ibidem.
313 R. De Courten, Le memorie dell’Ammiraglio De Courten, p. 112.
314 CIA, FOIA, Relazione sulla missione eseguita nell'Italia occupata dal capitano G.N. Antonio Marceglia, 20 giugno 1945, p. 1. Consultabile al link: https://www.cia.gov/library/readingroom/docs/PLAN%20IVY_0078.pdf.
315 Ivi, p. 14.
316 Ivi, p. 15.
317 Ivi, pp. 15-16.
318 Ivi, p. 18.
319 Ivi, pp. 18-19.
320 NARA, rg. 226, e. 108A, b. 258, f. jzx-2080, Accordi intercorsi tra il comando della Decima e la divisione patriottica Osoppo, cit. in N. Tranfaglia, Come nasce la Repubblica, pp. 54-58. Sulla questione vedi anche G. Pacini, Le altre Gladio. La lotta segreta anticomunista in Italia. 1943-1991, Torino, Einaudi, 2014, pp. 43-45.
321 CIA, FOIA, Relazione sulla missione eseguita nell'Italia occupata dal capitano G.N. Antonio Marceglia, 20 giugno 1945, p. 20. Consultabile al link: https://www.cia.gov/library/readingroom/docs/PLAN%20IVY_0078.pdf.
322 Ivi, p. 22.
323 Ivi, p. 25.
Nicola Tonietto, La genesi del neofascismo in Italia. Dal periodo clandestino alle manifestazioni per Trieste italiana. 1943-1953, Tesi di laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno accademico 2016-2017