giovedì 2 giugno 2022

Il Regio Esercito in Jugoslavia


L’aggressione del 1941 da parte dell’Asse, conclusa in una rapida vittoria, portò alla spartizione della Jugoslavia fra i vincitori. Per quanto concerne l’Italia, da un lato essa ottenne la Slovenia meridionale con la capitale Lubiana (la cosiddetta Provincia di Lubiana), quasi tutta la costa dalmata, il controllo sul Montenegro ed il Kosovo (quest’ultimo annesso all’Albania già occupata dal 1939) dall’altro, trasformò la Croazia in uno Stato “indipendente” di fatto retto dal regime fascista degli Ustaša, «una spietata macchina di repressione antipartigiana e pulizia etnica» guidata da Ante Pavelić <101. Complessivamente, circa 800.000 tra sloveni e croati passarono sotto la sovranità italiana <102.
Nei territori occupati, organizzati in un intreccio di competenze tra autorità civili e militari, le truppe italiane tennero comportamenti contradittori: da un lato, si rifiutarono di consegnare gli ebrei ai tedeschi ponendoli al “sicuro” in una sezione speciale del campo di concentramento di Arbe dall’altro, nelle zone in cui erano attivi movimenti di resistenza, adottarono pratiche repressive assai violente <103.
L’atteggiamento “benevolo” italiano, spiega Eric Gobetti, dovrebbe ricondursi alla volontà italiana di affermare l’autonomia delle proprie forze armate di fronte alla prepotenza dell’alleato germanico - soprattutto in seguito al fallimento della campagna di Grecia e al rovinoso “fiasco” della “guerra parallela” -, piuttosto che all’interesse “umanitario” per gli ebrei <104. Gli ordini impartiti, sempre più draconiani a fronte dell’andamento disastroso del conflitto per l’Italia e dell’insoddisfacente controllo sulle zone occupate, si configuravano come una vera e propria “guerra ai civili”: rappresaglie, esecuzioni sommarie, distruzione dei paesi e politica della “terra bruciata” (da cui deriva il nome “italijanski palikuci” ossia italiani brucia case) <105. Il 6 maggio 1942, ad esempio, l’Alto Commissario per la Provincia di Lubiana Emilio Grazioli e il Comandante del XI Corpo d’Armata Mario Robotti approvavano una circolare che stabiliva, «in caso di delitti contro la libertà delle persone», la fucilazione di «elementi di cui sia stata accertata l’appartenenza al comunismo oppure sicuri favoreggiatori di attività comunque contraria alla Autorità dello Stato» <106. Accanto a tale politica repressiva, si aggiungevano le deportazioni di massa non solo dei prigionieri di guerra ma anche dei prigionieri politici e soprattutto civili nei campi d’internamento siti in Italia ed in territorio jugoslavo. Alle denunce della Croce Rossa internazionale sulla sistematica denutrizione e le pessime condizioni igienico-sanitarie del campo di Arbe (o Rab) - costruito nell’estate del 1942 sull’isola dalmata parallelamente alle grandi operazioni di rastrellamento -, il responsabile del campo, il generale Gastone Gambara, rispondeva «logico ed opportuno che il campo di concentramento non significhi campo d’ingrassamento. L’individuo malato sta tranquillo [15 dicembre 1942]» <107. Le vittime totali del campo di Arbe furono 1.252 <108.
Il regime fascista si impegnò altresì in una politica di italianizzazione coatta delle nuove province fondata su: «L’accertamento della “pertinenza” cioè la mappatura etnica e razziale del territorio; la snazionalizzazione, cioè la cancellazione dell’identità nazionale, l’internamento, il trasferimento e l’espulsione di una parte degli autoctoni; la fascistizzazione degli autoctoni […] realizzata attraverso l’educazione e l’intervento “totalitario” di tutti gli organi dello Stato e del partito; la colonizzazione italiana delle nuove province» <109.
Il 1° marzo del 1942 il Comandante del II Corpo d’Armata, Mario Roatta, emanò la Circolare 3C secondo cui le truppe italiane avrebbero dovuto agire «non occhio per occhio e dente per dente! Piuttosto una testa per ogni dente» contro i partigiani, le loro famiglie e i civili considerati conniventi <110. La Circolare 3C conteneva inoltre tutta una serie di misure che avevano come destinatario i civili nonché le minoranze slave ritenute “inferiori”. In tal senso, una nota del Comando italiano indicò esplicitamente: «se necessario, non rifuggire da usare crudeltà. Deve essere una pulizia completa. Abbiamo bisogno di internare tutti gli abitanti e mettere le famiglie italiane al loro posto [8 settembre 1942]» <111. Agli ordini di Roatta, si aggiungevano poi quelli del generale Mario Robotti: «fucilare senza pietà gli uomini validi che nelle retrovie fossero sorpresi in atteggiamento sospetto [17 luglio 1942]». Robotti, quindi, concludeva: «mi pare che su 73 sospetti non trovar modo di dare neppure un esempio è un po' troppo. Cosa dicono le norme della 3C e quelle successive? Conclusione: SI AMMAZZA TROPPO POCO! [4 agosto 1942]» <112.
Indubbiamente, nell’«intrecciarsi tra guerra di liberazione, guerra di classe e guerra etnica, in un crescendo di violenza e brutalità caratteristiche della “guerra civile”», l’Italia si era macchiata di gravi crimini di guerra nei territori jugoslavi <113.
Ma poi la storia cambiò. Il 25 luglio 1943 Mussolini fu messo in minoranza dal Gran consiglio del fascismo e subito dopo arrestato dal re che nominò Pietro Badoglio Capo del Governo. Nel settembre 1943 la potenza italiana collassò e il 3 settembre il generale Giuseppe Castellano firmò con le potenze alleate l’Armistizio di Cassibile (cosiddetto armistizio breve) che riconosceva l’Italia come potenza nemica sconfitta sottoposta a resa incondizionata <114.
[NOTE]
101 Come spiega Eric Gobetti, la creazione dello Stato collaborazionista croato fu il coronamento di una relazione di “vecchia data”. Sin dagli anni Trenta, in varie città italiane erano stati costruiti campi di addestramento degli uomini di Pavelić da cui poi erano partite spedizioni terroristiche verso il Regno SHS. Dal 1941 al 1945, il regime di Pavelić fu impegnato in una “guerra fratricida” contro i serbi in cui si stima siano stati uccisi circa 500.000 civili serbi. Vd. E. Gobetti, Alleati del nemico. L'occupazione italiana in Jugoslavia (1941-1943), Laterza, Roma-Bari, 2013, pp. 20 e ss.
102 G. Oliva, «Si ammazza troppo poco», cit., p. 47.
103 Sul salvataggio degli ebrei cfr., ad es., M. Shelah, Un debito di gratitudine. Storia dei rapporti tra l’Esercito italiano e gli ebrei in Dalmazia (1941-1943), USSME, Roma, 1991. L’analisi dell’occupazione italiana in Jugoslavia è tratta da D. Conti, L’occupazione italiana dei Balcani, cit.; G. Oliva, «Si ammazza troppo poco», cit., cap. II, III; M. Cattaruzza, L’Italia, cit., pp. 212-237; F. Caccamo, L. Monzali (a cura di), L’occupazione italiana della Iugoslavia (1941-1943), Le Lettere, Firenze, 2008; E. Gobetti, Alleati del nemico, cit.
104 Vd. E. Gobetti, Il mito dell’occupazione allegra. Italiani in Jugoslavia (1941-1943), in G. Contini, F. Focardi, M. Petricioli (a cura di), Memoria e rimozione. I crimini di guerra del Giappone e dell’Italia, Viella, Roma, 2010, pp. 163-173. L’atteggiamento “benevolo” dei soldati italiani costituirà, come si vedrà nel prossimo paragrafo, un elemento fondamentale del cosiddetto «mito del bravo italiano”».
105 Inoltre, sino all’8 settembre 1943, il Tribunale di guerra di Lubiana processò 13.186 sloveni comminando 83 condanne a morte (di cui 28 in un solo giorno contro abitanti per rappresaglia antipartigiana), 412 ergastoli e trent’anni di carcere per 3.082 imputati. Vd. D. Conti, L’occupazione italiana dei Balcani, cit., p. 13; sulla “guerra ai civili” vd. G. Oliva, «Si ammazza troppo poco», cit., cap. IV; sulla politica della “terra bruciata” per impedire il diffondersi della guerriglia A. Guerrazzi, L’esercito italiano in Slovenia. Strategie di repressione antipartigiana, Viella, Roma, 2011.
106 Una copia della circolare si trova in D. Conti, L’occupazione italiana dei Balcani, cit., p. 236.
107 Citazione tratta da https://www.occupazioneitalianajugoslavia41-43.it/2-arbe-rab/ (ultima consultazione 4 novembre 2021).
108 Dati tratti da https://www.occupazioneitalianajugoslavia41-43.it/wpcontent/uploads/2021/04/Deceduti-nei-campi-RabArbe-e-Gonars-1.pdf (ultima consultazione 3 novembre 2021). Secondo le stime della “Commissione di Stato jugoslava per l’accertamento dei crimini degli occupatori e dei loro coadiuvatori”, il numero complessivo di internati jugoslavi nei circa 200 campi di internamento in territorio italiano (i più noti Gonars e Renicci) ammonta a circa 98.703. A questi campi, si aggiungono quelli siti in territorio jugoslavo, fra cui Arbe, Kraljevica, Fiume, Molat, Zlarin, Mamula, Lopud. Vd. ASMAE, Affari Politici 1931-45, busta 141 Jugoslavia
“stralcio di relazione n. 2”; D. Conti, L’occupazione italiana dei Balcani, cit., p. 70.
109 D. Rodogno, Il nuovo ordine mediterraneo. Le politiche di occupazione dell’Italia fascista in Europa (1940-1943), Bollati Boringhieri, Torino, 2003, p. 318. In proposito si veda anche G. Oliva, «Si ammazza troppo poco», cit., pp. 68-78.
110 Circolare No. 3C, Comando superiore FF. AA. “Slovenia-Dalmazia” (2° armata), Generale Comandante Designato d’Armata Mario Roatta, 1° dicembre 1942, in Fondo Gasparotto b. 10, fasc. 38, presso archivio Fondazione ISEC (MI). Sul trattamento dei ribelli jugoslavi caduti in mano italiana si veda P. Brignoli, Santa messa per i miei fucilati, Longanesi, Milano, 1973. Quanto al movimento di resistenza jugoslavo, nato all’indomani dell’invasione e attivo anche nei territori italiani nordorientali (ad es. nelle province di Gorizia e Trieste ove contò sull’appoggio della popolazione slovena traumatizzata da vent’anni di repressione fascista), va detto che anch’esso fu responsabile di gravi violenze come attentati, uccisioni efferate, stragi e torture. In merito vd. M. Cattaruzza, L’Italia, cit., pp. 216 e ss.
111 Nota al Comando supremo prot. 08906 dell’8 settembre 1942, cit. tratta da R. Battaglia, La colpa di esser minoranza, Ali Ribelli Edizioni, Milano, 2020.
112 Cit. tratte da http://www.criminidiguerra.it/DocumRob.shtml#Robaz (ultima consultazione 3 novembre 2021).
113 In breve: «le truppe del Regio esercito [sono] alleate degli ustascia ma anche dei cetnici che sono nemici degli ustascia; avversarie dei titoisti e dei movimenti antifascisti ma anche impegnate a frenare gli eccessi degli ustascia; nemiche dei cetnici in quanto oppositori dell’occupazione ma anche loro alleate in funzione anticomunista; alleate dei tedeschi ma anche attente a ritagliarsi margini di manovra autonomi». Vd. G. Oliva, «Si ammazza troppo poco», cit., p. 78. Sui crimini italiani si rimanda a R. Pupo (a cura di), Mostra fotografica virtuale “A ferro e fuoco. L’occupazione italiana della Jugoslavia 1941-1943”, visitabile a partire dal 6 aprile 2021 al sito http://www.occupazioneitalianajugoslavia41-43.it (ultimo accesso 5 febbraio 2022).
114 La firma dell’Armistizio fu apposta il 3 settembre ma annunciata solo l’8 settembre. Cfr. E. Aga Rossi, Una nazione allo sbando. L’armistizio italiano del settembre 1943 e le sue conseguenze, il Mulino, Bologna, 2003.
Denise Pinton, La questione del confine orientale. Le foibe e l'esodo giuliano-dalmata fra contenzioso diplomatico e dibattito pubblico (1989-2021), Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Anno accademico 2021/2022