sabato 6 febbraio 2021

Ogni tanto mi piace trasferire il mio studio in galleria

Riccardo Mannelli, Parlando proprio di corpo pg 39 - Fonte: Galleria Tricomia

Avevamo pubblicato [il 18 maggio 2018] qualche cosa di una mostra a Roma di RICCARDO MANNELLI [...].
Chiara Salvini in neldeliriomaisola, 18 dicembre 2019

Il disegnatore satirico Riccardo Mannelli (foto di Stefano Di Cecio) - Fonte: Report Cult (vedere infra)

Il disegnatore [Riccardo Mannelli] è stato ospite a Pistoia in occasione della mostra mercato del fumetto e del disco organizzata da Stefano Bartolomei che si è svolta presso la Cattedrale dell’area ex Breda.
Quarant'anni anni di disegno artistico e satira, per non parlare dell’avere inventato il genere del Graphic Journalism con “Nicaragua” del 1985, c’è qualcosa che rimpiangi di non avere fatto?
No, perché francamente mi son levato tutti gli sfizi, mi è andata bene da questo punto di vista. Mi sono sempre sentito avvantaggiato, se rinunci a dei privilegi economici o a un certo tipo di successo economico o di garanzie eccetera, in un Paese come questo nessuno ti si “incula”, ti lasciano fare quello che vuoi...finché non disturbi, perché io qualche volta ho disturbato un po' troppo. Ho sempre lavorato ai piani alti, non facevo underground, sono sempre partito in quarta, poi facevo anche roba underground per sfizio, come Il Male, ma è quasi subito diventato un grande successo sebbene indipendente, abbiamo avuto tutti subito molta visibilità.
Perché eravate bravi…
Al di là di quello, c'è tanta gente brava che capita in un momento un po' più difficile, non è solamente una questione di bravura ma una questione di avere il culo di arrivare storicamente nel momento giusto. Dopo la nostra generazione si è stentato un po', non a caso siamo sempre ancora “fra i coglioni” noi, almeno quelli sopravvissuti.
Da quando hai cominciato il mondo è molto cambiato, in particolare la politica, era più semplice prima fare satira, andando a colpire certi difetti, o è più facile oggi?
Non è né più facile né più difficile perché bisogna vedere il taglio che gli dai. Oggi non è più facile, è semplicemente più inutile perché nel frattempo un certo tipo di giornalismo umoristico è diventato così canonico e ufficiale, ampliato poi con la Rete a livelli pazzeschi e banalissimi, per cui è fin troppo facile fare la “battutina”. E' pieno di questi meme su Facebook, Twitter eccetera, pieno di fotomontaggi che lasciano il tempo che trovano.
Satira addomesticata?
Se arriva ad essere un conformismo non ha più la forza deflagrante che avevano le nostre prime satire, bisogna cambiare obiettivo. Infatti io cambiai quasi subito direzione: ebbi successo e tutti i quotidiani cominciarono a chiedere il vignettista. Io ho fatto il giro di tutti i quotidiani, dopo aver lasciato Il Male, nel giro di un anno, mi ero bruciato tutta la stampa italiana e dovetti andare a Parigi per lavorare. Mi avevano fatto fuori dappertutto, a 24 anni ero già morto. Era già diventato conformismo. La vignetta era diventata una richiesta, e per il fatto di essere “una richiesta” e tu esegui, vuol dire che non fai più satira, fai una cosa in cui parli di cose di cui vogliono parlare “loro”. Devi commentare solo quello di cui si parla, di cui parla la stampa ufficiale, quindi l'80% del resto ti è impedito. Quando facevamo i giornali noi, parlavamo di quello che capitava quella era satira, quella “vera” che ho sempre inteso io. Sceglievo i miei argomenti, andavo in giro per il mondo e dicevo Voglio andare in Russia e vado in Russia, o racconto il muro di Berlino, ma decido io cosa raccontare. Su Il Fatto, oggi, io devo attenermi sennò risultano incomprensibili le vignette in prima pagina, capisci? Quindi non per snobismo, ma ho sempre detto che quella non la considero una satira al 100%. All'interno di questa produzione sappiamo bene che ci sono molte sfumature perché ci sono gli Altan, i Bucchi e poi ci sono degli sprofondi e banalità a palate. Un altro mio pallino è il disegno. Molte persone mi imputavano di non far ridere, ma io ho sempre sostenuto che la satira con la risata non c'entra. Non è richiesta, può accadere come no. La satira, da Giovenale in poi, è una forma di critica, non è vero che si castigano i costumi ridendo, è un'invenzione, se leggi Marziale o Giovenale leggi delle cose acidissime e permalose. Tutta la satira è pesante: Jonathan Swift, che era un prete, nel 600 scriveva cose cattivissime. I viaggi di Gulliver era una cosa straordinaria e feroce. La sua proposta di risolvere due problemi, quelli della fame nel mondo e della sovrappopolazione con un’unica soluzione di mangiare i bambini dei poveri e dava anche le ricette… Era satira, che c'entra la risata? Se la vignetta diventa conformismo vuol dire che la cosa è morta. Se io ancora ogni tanto riesco a far rimuovere la budella a qualcuno (Renzi, Salvini, la Boschi s'incazzano, minacciano querele) vuol dire che. al di là della battuta, c’è un altro strumento che riesco a manovrare ancora, perché il ritratto "arriva", il modo "arriva" attraverso il disegno e non avendolo si perde molta efficacia. La satira è una forma d'arte, non di giornalismo né tantomeno di politica. Se tu metti quella mediazione le battute più o meno indovinate sono metabolizzate dal mio corpo, perché si disegna con il corpo, mi passano attraverso e io le sento di più. Quando faccio un ritratto io mi "avvicino".
In questo senso ci si può ricollegare alla tua attività artistica. C’è qualcuno che ti è stato d’ispirazione per i tuoi ritratti?
Da autodidatta sostengo che mi fido “dell'autodidatta” più di chi ha fatto studi o scuole particolari. L’autodidatta quando vuol raggiungere certi risultati deve farsi un “mazzo” da solo ed è molto più sincero e va molto più a fondo. Io mi son nutrito di tutto, mi prendo tutto quello che mi attizza. Caravaggio me lo sono filato molto poco sebbene lo adori, lui lavorava con la luce, l'esatto opposto di me che lavoro col disegno e sono più vicino alle esperienze artistiche più moderne, dagli Impressionisti in poi, soprattutto gli Espressionisti (fine 800 primi 900), la scuola tedesca e nordica ed anche un certo classicismo anglosassone che rimane un fondamentale per me. Chiaramente c'è la luce nostra, mediterranea, che sono convinto sia nei nostri cromosomi. Non c'è niente di peggio di fare qualcosa che ti piace con dei pregiudizi o dei presupposti che ti imponi perché cerebralmente siamo molto più indietro di ciò che siamo in grado di fare. Se ti imponi di avere certi riferimenti e altri te li vieti è perché da giovane sei un cretino ideologizzato. Alla fine ti liberi di questi legacci perché capisci di avere bisogno di qualsiasi cosa. Io ho sempre disegnato così, 40 anni fa disegnavo in un altro modo perché me lo imponevo. Poi, da “Nicaragua” in poi mi sono lasciato andare.
Come nacque l’idea di fare il giornalismo disegnato?
Andare a vedere perché non mi fidavo di quel che mi veniva detto. E' un'antica tradizione dei butteri: “se 'un si va' 'un si vede”. Ho sempre avuto la grazia divina di essere molto veloce, per cui col disegno dal vero mi trovavo bene.
Veloce e bravo.
Siamo tutti bravi. Non è la bravura che ti aiuta, ma il "buco di culo": trovare ogni volta una sintesi tra quello vuoi rappresentare e quello che ti riesce tirare fuori.
A te riesce bene, in particolare quando disegni i volti, gli sguardi...
E’ come un rapporto affettivo, se tu dedichi tempo alla persona che disegni avrai modo di essere ricambiato. Va usata tutta la sfera affettiva, sessuale, la parte più misteriosa e completa di noi stessi e senza ritegno, ti permette sempre di più di andare a scavare. Alla fine padroneggi questa cosa e puoi dedicare del tempo alla persona, ai lineamenti e soprattutto alla cosa più importante in un disegno cioè la postura da cui deriva lo sguardo. Molti mi hanno detto che i miei ritratti spesso "stiano per" anche per l'uso del gesto. La differenza fra un disegno e una fotografia è che il disegno viene “fatto dal corpo”.
Ricostruire la bellezza, un tuo progetto
Era una mia idea, una “trovatina” di quelle che funzionano anche se sembrano pompose, ma poi alla fine vedi che è una cosa concreta per la sua meticolosa, tignosa e a volte eccessiva ricerca. Parte da una “sincerissima” esigenza privata, intima: è come il volontariato, o altre iniziative umane. Se uno sente lo slancio di fare qualcosa , molto spesso poi le paure, i timori, il contesto, la società, il momento storico che vivi, ti fanno rinunciare.. Io mi sono detto nel mio piccolo lo posso fare e lo dichiaro. Mi diverto, ho trovato delle strade, dei percorsi. Il progetto è venuto fuori di lavoro in lavoro.
Progetti a breve termine?
Progetti tanti ma i termini non te li so dire: ho capito che tutto quello che sto progettando non ce la farò mai a farlo, e quindi mi do delle priorità e di indovinare quella più giusta. Per ora mi è andata bene, sono ancora “in sintonia” ma si fa presto a fare degli scivoloni a una certa età.
Progetti su Pistoia?
Non ho nessun pregiudizio, mi ha fatto solo lo “scherzetto” di farmi nascere. Ho ricordi meravigliosi dell'infanzia e della prima giovinezza per cose che a Roma non avrei potuto fare, vivere campagna e montagna, prati, sbiciclettate alberi su cui arrampicarsi, fiumi...e in dieci minuti ero a casa, a corsa.
Stefano Di Cecio, Pistoia. Quattro chiacchiere con Riccardo Mannelli, autore irriverente e anticonformista, Report Cult, 17 settembre 2019, ripreso da Chiara Salvini in neldeliriomaisola, 18 dicembre 2019  

Oggi, anche se in ritardo, cominciamo a "sciallarci" un po’ con le vignette di RICCARDO MANNELLI
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Chiara Salvini in neldeliriomaisola, 22 agosto 2019

Riccardo Mannelli, Parlando proprio di corpo pg 9 - Fonte: Galleria Tricomia

Riccardo Mannelli, Parlando proprio di corpo pg 29 - Fonte: Galleria Tricomia

Ogni tanto lo faccio. Ogni tanto mi piace trasferire il mio studio in galleria, o almeno una parte. Mettere in mostra il mio quotidiano, i miei lavori in fieri, le mie indecisioni, gli entusiasmi di mezz’ora rimasti tali, i dubbi, i “boh..?”. Per non mostrare sempre la sicurezza dell’opera compiuta, che a volte mi risulta tronfia e un po’ prepotente. È un alleggerirsi. Come una comminata in montagna: arrivato in vetta, l’aria rarefatta ti scombussola e cambi sguardo sulle cose.
Così Riccardo Mannelli parla del suo nuovo appuntamento alla Galleria Tricromia di Roma.
Corpi, volti, amori, politica e attualità sono i temi centrali della mostra, visitabile dal 17 al 31 maggio 2018, in un allestimento che ripercorre in modo trasversale la ricerca artistica del disegnatore toscano.
Sono esposti Dieci minuti di…, Dal vero, Ritratti, molti dei progetti principali di Mannelli, ma anche molti incompiuti. Questa scelta è nata dalla necessità di far interagire tre realtà che spesso sono separate: il pubblico, l’artista e la galleria.
Chiara Salvini in neldeliriomaisola, 18 maggio 2018