giovedì 26 settembre 2024

Amato aveva consegnato a De Matteo un rapporto sul terrorismo di destra


Poco dopo, a luglio [1980], si tengono le elezioni amministrative, che non segnalano grandi cambiamenti nel consenso verso i due principali partiti italiani: la Dc perde meno di un punto (rispetto alle politiche del 1979), il Pci mantiene i propri voti; ma un risultato notevole è quello del Psi, che guadagna oltre tre punti percentuali, che consentono al segretario di sbandierare una vittoria, dopo tante delusioni e spaccature interne. Dopo la tregua con la sinistra in occasione del Comitato Centrale di gennaio, Craxi persegue con determinazione il suo obiettivo di estendere il proprio controllo sul partito, dimostrando particolare attenzione al mondo dell’informazione: ad esempio fa sostituire alcuni giornalisti di Rai Due in quanto ritenuti ostili (o non particolarmente pronti nel sostituire la fedeltà a de Martino, che li aveva proposti per quell’incarico, con quella al nuovo segretario) <154. Ad ottobre Craxi si dimette dalla carica di segretario in modo da poter rinnovare completamente la direzione; la conseguenza è che Signorile perde la carica di vicesegretario e la sinistra interna si riduce ad una piccola minoranza. Prosegue in questo modo il processo di controllo del partito che potrà dirsi completato pienamente in occasione del congresso di Palermo <155.
I comunisti, rispetto all’epoca della solidarietà nazionale, non sono più disposti a prestarsi in maniera gratuita ad appoggiare le politiche di moderazione salariale, né a chiedere ai sindacati di fare altrettanto. La cosa diviene di grande evidenza soprattutto in occasione della vertenza della Fiat a settembre, quando l’azienda di Torino decide di licenziare 14mila operai, per poi rivedere i piani e chiedere la cassa integrazione, ma questa volta per 23mila lavoratori. Ciò provoca scioperi e grandi tensioni nelle fabbriche del capoluogo piemontese. Il partito comunista, dopo le definizione degli equilibri nella Dc e nel Psi che hanno portato ad una riedizione del centrosinistra che relega il Pci all’opposizione e senza una visione strategica utile (è ormai evidente a tutti che continuare a marciare sulla via del compromesso storico è semplicemente velleitario), appare sulla difensiva; ma pensa di poter far leva sulla propria forza per dimostrare che «senza il Pci non si governa» ed è quindi indotto ad appoggiare, quasi senza riserve, le richieste degli scioperanti di Torino: diviene famosa la risposta di Berlinguer ad alcuni operai che gli avevano chiesto se i comunisti avrebbero appoggiato lo sciopero anche in caso di occupazione della Fiat; la risposta, poco cauta, del segretario era stata un «sì», sebbene sia stato poi accompagnato da diverse precisazioni <156. I comunisti si ritrovano però ancor più spiazzati ad ottobre, quando alcune decine di migliaia <157 di quadri ed impiegati manifestano a favore del diritto di lavorare e di far funzionare uffici e fabbriche, un evento, anche simbolico, che segna un ribaltamento del potere negoziale tra imprese e sindacati che caratterizzerà il decennio.
Nello stesso mese di ottobre il governo Cossiga, indebolito su vari fronti, giunge al termine ed è chiamato a succedergli Arnaldo Forlani. Secondo Giorgio Galli l’avvicendamento al governo costituisce un successo socialista in quanto Cossiga apparteneva a quella parte della Dc che, con Zaccagnini ed Andreotti guardava ancora alla collaborazione col Pci, mentre Forlani era uno dei firmatari del preambolo di Donat Cattin <158.
Nei mesi precedenti si erano verificati due episodi che avevano riportato alla ribalta il terrorismo di marca neofascista. Il primo e più terribile, nel mese di agosto, costituisce anche il più micidiale attentato nella storia dell’Italia repubblicana: la strage alla stazione di Bologna. L’evento contribuisce a irrigidire la posizione del Pci, il quale riserva giudizi molto duri sulla classe politica in questa fase <159. Il secondo è costituito dall’assassinio del magistrato di Roma Mario Amato, il 23 giugno del 1980, che segna probabilmente il massimo livello di allarme avvertito da tutta l’ordine giudiziario circa i rischi connessi alle inchieste sul terrorismo. Negli ultimi anni numerosi erano stati i giudici vittime di assalti da parte di gruppi eversivi di destra e di sinistra; dopo Coco e Occorsio assassinati nel 1976, vi erano stati i casi di Palma, Tartaglione e Calvosa nel 1978, di Alessandrini nel 1979, ma è nel 1980 che si intensificano gli agguati: il vicepresidente del Csm Bachelet a febbraio, Giacumbi, Minervini e Galli a marzo. Ad accrescere l’esasperazione tra i giudici non è solo la lunga serie di esecuzioni, ma anche la solitudine e la mancanza di tutele e protezione in cui Amato era stato lasciato nelle sue efficaci inchieste sui gruppi eversivi neofascisti.
La reazione immediata da parte dei magistrati romani è quella di proclamare uno sciopero di protesta nei confronti del governo per la mancata protezione del giudice ucciso. Alla Camera il ministro dell’interno Rognoni afferma che Amato aveva rifiutato la scorta, ma i colleghi del magistrato lo smentiscono <160 e annunciano una nuova astensione dal lavoro, che si estende anche ad alcuni uffici giudiziari di Milano. Pochi giorni dopo il governo prospetta aumenti salariali, ne segue una divisione tra le correnti dell’Anm: Md è contraria e determinata nel chiedere le misure di protezione e quindi confermare ulteriori scioperi, le altre correnti, in particolare Mi, si dimostrano molto più elastiche.
Tutte le principali forze politiche affermano la propria disponibilità nel sostenere le richieste dei magistrati. Il Pci, dopo l’incontro di una sua delegazione con i vertici dell’Anm si impegna ad un’azione «incalzante» nei confronti del governo per la sicurezza <161, ma lancia un allarme quando subentrano gli aumenti salariali: "… in pratica qualcuno ha tentato di barattare le sacrosante richieste dei sostituti procuratori di Roma e della grande maggioranza dei magistrati (sicurezza personale) con una manciata di aumenti salariali […] Md lamenta che il confronto tra il ministro e l’associazione magistrati sia stato dedicato quasi esclusivamente al problema economico…" <162, e, ancora: «la parte più progressista dei giudici denuncia il tentativo di svendere la vertenza attraverso le misure retributive» <163, mentre nell’ambito della maggioranza parlamentare, gli aumenti suscitano le proteste di Giorgio la Malfa <164.
Anche la Dc organizza un incontro tra l’associazione dei magistrati e l’ufficio problemi dello Stato del partito, guidato da Bosco; ma circa gli aumenti salariali l’organo del partito osserva un rigoroso silenzio in questa fase <165. Per quanto riguarda il Psi, anch’esso organizza un incontro con l’Anm all’inizio di luglio, mentre già nei giorni precedenti il partito aveva assicurato tutto l’appoggio ai giudici; in particolare Cicchitto aveva dichiarato che, sebbene non fosse facile proteggere adeguatamente tutti i magistrati, è «aberrante» che non siano state prese le misure del caso per Amato, data la natura delle sue indagini e le minacce ricevute <166. Per quanto riguarda l’aspetto dei riconoscimenti economici che si mescolano alle misure di sicurezza richieste dai giudici, il Psi all’inizio si limita a registrare la contrarietà di Md <167, ma in seguito si mostra molto più sensibile ai settori della magistratura che accolgono con favore gli aumenti di retribuzione; Gaetano Scamarcio, membro della commissione giustizia del Senato, dopo aver denunciato l’«assenteistico comportamento» del ministro della Giustizia, spiega che le richieste di sicurezza, ma anche quelle economiche sembrano ragionevoli e possono essere studiate, non ignorate <168.
L’omicidio di Amato costituisce anche un ulteriore duro colpo per De Matteo, dopo che all’inizio di giugno il Csm aveva iniziato la sua inchiesta sul procuratore di Roma per la gestione del caso Caltagirone. Il procuratore è indotto a dimettersi, gli succederà un altro magistrato che in passato non è apparso insensibile alle sollecitazioni del potere politico, l’ex capo dell’ufficio istruzione Achille Gallucci; Bruti Liberati individua negli sviluppi del caso Amato «una tappa importante del processo di “liberazione” della procura di Roma dai condizionamenti interni ed esterni». E aggiunge: «La preoccupazione che, sull’onda della cacciata di De Matteo, la procura di Roma cominci ad esercitare in modo davvero indipendente il suo ruolo istituzionale determina pressioni politiche fortissime sul Csm chiamato a nominare il nuovo procuratore; a stretta maggioranza viene scelto Achille Gallucci; che per il suo passato come capo dell’ufficio istruzione non appare certo l’emblema di un risanamento, come sarà reso manifesto dalle iniziative sconcertanti e clamorose degli anni successivi» <169. Ma i problemi di De Matteo non si esauriscono con le sue dimissioni, il Csm infatti chiede che venga aperta un’inchiesta penale nei confronti dei «vertici giudiziari» che avevano il dovere di proteggere Amato <170; il riferimento è piuttosto chiaro, si tratta del procuratore della Repubblica. L’inchiesta penale viene effettivamente aperta per omissione d’atti d’ufficio e omicidio colposo e sarà gestita da Perugia, sede indicata dalla Cassazione. Attraverso lo sviluppo dell’inchiesta emergono diversi dettagli: ad esempio che la polizia aveva inviato al ministero un rapporto circa i rischi corsi da Amato; oppure che poco prima dell’omicidio il presidente dell’Anm, Beria d’Argentine, aveva sollecitato una scorta per il giudice <171 e che a giugno Amato aveva denunciato al Csm il disinteresse di De Matteo per i suoi processi <172 (alla fine di settembre appaiono sull’Europeo le dichiarazioni in proposito, e virgolettate, di Amato <173). Ma i guai maggiori cominciano quando emergono i dettagli di un rapporto sul terrorismo di destra che Amato aveva consegnato a De Matteo, al quale era allegata la deposizione di un detenuto fascista, Massimi; questi affermava che «Mario Amato è uno degli obiettivi del terrorismo di destra». De Matteo, in un memoriale inviato a Perugia, afferma di non aver letto tale deposizione, ma in precedenza, al Csm aveva spiegato di aver rivelato all’avvocato difensore di Massimi il contenuto della deposizione del terrorista pentito <174. Intanto anche il procuratore aggiunto di Roma, Raffaele Vessichelli, rimane coinvolto nel caso in quanto lo si sospetta di aver informato Semerari (un perito del tribunale di simpatie neonaziste, e sospettato di omicidio e di complicità nella strage di Bologna) del rapporto inviato da Amato al procuratore (cosa che provoca un’interrogazione da parte del Psi) <175. Ma a metà novembre De Matteo viene convocato dal tribunale di Bologna dai giudici che indagano sulla morte di Amato (inchiesta finita nel capoluogo emiliano in quanto connessa con la strage di Bologna) in veste di imputato (per i reati di omissione e rivelazione d’atti d’ufficio; anche Vessichelli viene inquisito, ma solo per il secondo reato); cosa che spinge il ministro Morlino a chiedere la sospensione di De Matteo e Vessichelli, sancita pochi giorni dopo dal Csm. Nei giorni seguenti la vedova di Amato consegna un documento redatto dal marito (rivelato dall’Espresso) ai giudici bolognesi: in esso si racconta delle interferenze e delle minacce da parte del giudice Alibrandi (il cui figlio, Alessandro, è un elemento delle organizzazioni terroristiche di destra e sospettato di complicità per la strage di Bologna) sulle indagini di Amato circa l’eversione nera nel 1977. Alla fine di novembre i giudici di Bologna aggiungono un reato a quelli contestati a de Matteo, quello di calunnia, per aver incolpato il suo vice, Vessichelli, di rivelazione d’atti d’ufficio.
Non mancano le differenze di tono tra i giornali di partito nel trattare l’affaire: l’Unità è quella che dà maggior spazio all’argomento e che, con maggior vigore, sostiene l’accusa a De Matteo per le sue negligenze circa la protezione di Amato; l’Avanti narra tutti i fatti ma, in particolare rispetto all’aggressività dimostrata in passato nei casi di eversione nera o di giudici considerati conservatori, appare molto più cauto. Il Popolo dedica poco spazio alle vicende e le tratta con distacco.
[NOTE]
154 S. Colarizi e M. Gervasoni, La cruna dell’ago. Cit. Pag. 94. Secondo gli autori in questa maniera Craxi dimostrerebbe una certa «Discrasia tra visione strategica e pratica quotidiana»; ma si potrebbe obiettare che dal punto di vista del controllo del partito e della cura circa la stampa, l’azione di Craxi sia stata coerente durante tutta la sua segreteria.
155 In occasione del quale iniziano anche a manifestarsi, da parte di Craxi, i «primi segnali di un culto della personalità, destinato a dilagare negli anni successivi», come afferma S. Colarizi, “La trasformazione della leadership. Il Psi di Craxi”, in AA.VV. Gli anni Ottanta come storia, Rubettino, Cosenza, 2004. Pag. 63.
156 Emanuele Macaluso spiega che, mentre in passato i comunisti desideravano mostrare che non si poteva governare contro il Pci, ora intendevano sottolineare che non si poteva governare senza il Pci; da questo proposito derivava una certa «radicalità» politica. Vedi l’intervento di E. Macaluso in G. Acquaviva e M. Gervasoni (a cura di). Socialisti e comunisti negli anni di Craxi, Marsilio, Venezia, 2011. Pag. 104.
157 L’episodio viene ricordato come la «marcia dei quarantamila». Sulla marcia e sulla politica del Pci dopo le elezioni del 1979 vedere, ad esempio, G. Crainz, Il Paese reale, Donzelli, Roma, 2012. Pag. 34s.
158 G. Galli, Storia del socialismo italiano. Cit. Pag. 444
159 A. Giovagnoli, Il partito italiano. Cit. Pag. 205
160 “Udienze bloccate a Roma e Milano per le proteste dei magistrati”, La Stampa del 1 luglio 1980; oppure “Insufficienti per i magistrati le misure prese dal governo”, Unità del 1 luglio 1980
161 “Berlinguer: piena solidarietà del PCI con la magistratura”, Unità del 3 luglio 80. La valutazione del Pci circa la scarsa l’efficacia con cui il governo provvede alla sicurezza dei magistrati è anche espressa in un documento interno della Sezione problemi dello Stato datato giugno 1980. Fondazione Gramsci, Archivio del Pci, Busta 467, Pagina 1044.
162 “Giudici: verso lo sciopero nazionale?”, Unità del 5 luglio 80
163 “Contrasti tra magistrati di fronte alla mossa del governo per gli aumenti”, Unità del 7 luglio 80 164 Ibid.
165 “Magistratura, la Dc mette a punto le sue proposte”, Il Popolo del 3 luglio 80
166 “Appoggio del PSI alle richieste dei magistrati”, Avanti del 28 giugno 80
167 “Incontro PSI-Anm sui problemi della giustizia”, Avanti del 5 luglio 80
168 “Dove i giudici hanno ragione”, Avanti del 16 luglio 80
169 E. Bruti Liberati, “La magistratura dall’attuazione della Costituzione agli anni Novanta”. Cit. Pag. 205.
170 “Caso Amato: il CSM chiede misure penali”, Unità del 4 luglio 80
171 “Pagherà i conti con la giustizia chi non protesse il giudice Amato?”, Unità del 19 settembre 80
172 “E De Matteo ascoltò Amato infastidito”, Unità del 27 settembre 80
173 “Ma il procuratore De Matteo sarà solo un teste?”, l’Unità del 30 settembre 1980
174 “Caso Amato: De Matteo si contraddice”, Unità del 7 ottobre 80
175 “Inchiesta del CSM sul caso Vessichelli”, Avanti del 29 ottobre 80
Edoardo M. Fracanzani, Le origini del conflitto. I partiti politici, la magistratura e il principio di legalità nella prima Repubblica (1974-1983), Tesi di dottorato, Sapienza - Università di Roma, 2013

domenica 15 settembre 2024

Fin dai primi mesi altrettanto attiva fu l'assistenza agli ex prigionieri alleati

Sassa, frazione del comune de L'Aquila. Fonte: Wikipedia

Per il servizio di informazioni, la formazione partigiana "La Duchessa" si avvalse dell'opera di Mario Bafile <557 che, prima da L'Aquila e poi da San Marco in Preturo, strutturò <558 una fitta rete di collaboratori e di contatti estesa «all'alto bacino dell'Aterno, da S. Demetrio a Montreale; ed all'altipiano di Rocca di Mezzo» <559. Fu convincimento del Bafile che, «scartata la guerriglia arma pericolosissima che si sarebbe potuta ritorcere a tutto danno delle nostre popolazioni», solo attraverso un efficiente e ramificato servizio di informazioni si potesse nuocere ai tedeschi. Di primaria importanza risultava quindi raccogliere dettagliate notizie circa l'ubicazione e il movimento sul territorio di reparti, batterie contraeree, obiettivi strategici quali depositi, officine ed opere di fortificazione, e automezzi, per poi comunicarle agli associati con la massima celerità, «a voce o in inscritto, in qualunque ora del giorno e magari della notte» <560.
Sebbene unitaria nella composizione, operativamente la banda venne suddivisa fin dal suo esordio in tre distaccamenti con a capo un proprio capogruppo che, essendo originario del paese di competenza, aveva una maggiore conoscenza del territorio e della popolazione: a Sassa venne destinato lo Sciomenta, a Tornimparte il Selli, a Lucoli il Colafigli coadiuvato dal Madrucciani. Solo verso la fine dell'anno [1943] <561 venne costituito un quarto gruppo alle dipendenze del sottotenente di Fanteria Gaetano Tiberi <562, operante nelle frazioni di Foce, Piagge e Piè La Villa <563. Verso l'inizio di gennaio [1944] si unì alla banda anche un drappello di partigiani guidati da Ubaldo Pasqualone che si era formato grazie agli armamenti forniti dal tenente D'Amico de L'Aquila che fino a quel momento aveva operato «lungo la strada Aquila-Rieti cercando di sabotare in ogni modo mezzi di trasporto, munizioni e carburante che venivano prese dal deposito munizioni di Lucoli per portarle al fronte di Nettuno, e carburante che veniva trasportato dal campo Madonna della Strada Comune di Scoppito al posto di rifornimento verso il fronte» <564.
Il Marrone - più anziano in grado ed in età - assunse all'interno della banda l'incarico di collegare e coordinare i diversi gruppi, e su suo consiglio, l'organizzazione venne ad essere ideata a compartimenti stagni tali per cui «ognuno non doveva conoscere che i propri uomini e da questi essere conosciuto» <565. La misura cautelare fu motivata della forte preoccupazione che la cattura di uno potesse significare «la morte di tutti», soprattutto «la distruzione di famiglie e di interi villaggi» a seguito delle rappresaglie nazi-fasciste. Così solo il Marrone e i tre capigruppo, più il Madrucciani, restarono sempre in piena conoscenza di tutto quanto inerente la formazione, impegnandosi «con la loro parola, a tacere in tutti i momenti e per qualsiasi frangente» <566.
Dal punto di vista logistico la «speranza - allora per tutti certezza - che presto sarebbero arrivati gli alleati» e le difficoltà a reperire vettovagliamenti, ma anche alloggi in grado di dar riparo ai rigori dell'inverno, convinsero gli organizzatori a posticipare almeno fino all'inizio della primavera il trasferimento degli uomini alla macchia in montagna. Detta scelta, benché ai loro occhi del tutto motivata, di fatto comportò come conseguenza - e fu lo stesso Marrone a dirlo - «rimanere in paese, anche se questo richiedeva la massima prudenza e limitava notevolmente le azioni armate, per evitare le immancabili rappresaglie in danno dell'ignara popolazione» <567.
Un primo impegno per la banda fu diretto al reperimento armi <568: nella notte del 19 settembre '43 un ristretto gruppetto, guidato dal Colafigli, penetrò nella Caserma Allievi Ufficiali de L'Aquila, riuscendo a sottrarvi «dieci fucili mod. 91, tre mitra Beretta, tre casse di munizioni, sei pistole Beretta» <569. L'azione fu condotta con grave rischio per i partigiani dato che presso la caserma si erano acquartierate «le guardie già adibite alla custodia di Mussolini a Campo Imperatore, dopo la liberazione del quale esse, trasferitesi in città, avevano assunto un atteggiamento tedescofilo» <570. Non fu l'unica operazione del genere. La notte del 18 ottobre un più ampio drappello al comando sempre di Colafigli e comprensivo anche dei partigiani Giulio Marotta <571, Dante Aliucci e Giorgio Vespaziani <572, riuscì a trafugare dal Municipio di Lucoli alcune tra le armi in esso raccolte per essere consegnate ai tedeschi; a distruggere gli elenchi di leva e perfino a «bruciare il ritratto di chi aveva presenziato per venti anni a tutti i soprusi compiuti negli uffici d'Italia» <573. Da quando poi, agli inizi di dicembre, i tedeschi realizzarono un imponente deposito di munizioni e di esplosivo esteso per circa 10 chilometri lungo la strada che «da Genzano di Sassa mena alle Ville di Lucoli», le incursioni dei partigiani si ripeterono quasi ogni sera, coadiuvate dagli operai che vi lavoravano e con il concorso di due infiltrati della banda. A seguito di dette azioni, la banda entrò in possesso soprattutto di «ingenti quantità di munizioni di tutti i calibri, per tutte le armi; proiettili per Mauser, per Parabellum, per mitra, per cannoni, per obici, per mortai; bombe a mano italiane; bombe a mano tedesche […]; mine anticarro; dinamite» <574. In un primo tempo il materiale sottratto venne ad essere occultato in un piccolo ripostiglio alle pendici del monte, successivamente fu trasferito «in un grande deposito costruito ad arte in alta montagna, in un sotterraneo sotto i ruderi di una casa diroccata» <575.
Al contempo la banda diede inizio ad un'intensa e perdurante opera di propaganda antifascista e antinazista presso le popolazioni, atta soprattutto a evitare che i giovani di leva e gli sbandati rispondessero ai reiterati appelli di chiamata alle armi del governo repubblicano di Salò, diffondendo allo stesso tempo il messaggio di radio Bari presso i contadini e gli allevatori della zona: «contadini, seminate quanto più potete; non una zolla incolta; non un chicco al nemico; Nascondete quel che potete! Sotterrate quel che non potete nascondere! Avviate il bestiame nei boschi!» <576. «Opera continua, indefessa, una lotta non cruenta» - la definì il Marrone - «ma altrettanto rischiosa, laddove incominciavano a pullulare i delatori» <577.
Fin dai primi mesi altrettanto attiva fu l'assistenza agli ex prigionieri alleati transitanti in zona dopo la fuga dai campi di concentramento abruzzesi. Venivano trattenuti, ospitati, trattata da amici, scrisse il Marrone, aggiungendo poi che alcuni vennero ad essere alloggiati presso contadini disponibili; mentre per chi volle proseguire, pur nelle estreme difficoltà nell'avventurarsi per montagne inospitali in condizioni climatiche avverse e con il continuo pericolo di rastrellamenti nemici, la banda fornì guide attraverso i valichi montani per superare le linee del fronte <578.
[NOTE]
557 Nato a Tornimparte (AQ) nel 1899, ha svolto patriottica nella banda. Cfr. ivi, schedario patrioti. Il Bafile rientrò il 10 settembre a L'Aquila da cui si era allontanato nel 1936 per stabilirsi a Roma. Esente da obblighi militari e non avendo in alcun modo partecipato alle precedenti fasi di guerra, decise di dedicarsi «alla semplice attività informativa […] prima per proprio conto e poi in contatto con la “Duchessa” […] sebbene, in verità con risultati alla fine piuttosto modesti», in Costantino Felice, Dalla Maiella alle Alpi. Guerra e Resistenza in Abruzzo, cit., pp. 238-239.
558 In collaborazione con l'ing. Filauro Ferdinando «che era tornato da Roma con me e si era stabilito presso i suoi Vecchi a S. Demetrio», ACS, Ricompart, Abruzzo, Banda La Duchessa, memoriale di Bafile Mario del 15 giugno 1944.
559 Ibidem.
560 Ibidem. L'area precedentemente identificata, fu divisa dal Bafile in 13 distretti, ognuno sotto in controllo di uno o più collaboratori. A se stesso il Bafile riservò il compito «di seguire un po' tutti e, all'occorrenza, coordinare e dirigere», mentre il ruolo di coordinatore fu affidato all'avv. Giovanni Carloni de L'Aquila - «fra tutti il più esposto al pericolo […] al centro dell'organizzazione avrebbe più facilmente potuto destare dei sospetti», ibidem.
561 Cfr. ivi, relazione Marrone.
562 Nato a Tornimparte (AQ) il 3 maggio 1920, sottotenente del 41° Artiglieria, ha svolto attività partigiana nella banda come comandante di distaccamento partigiano, dal 01/10/1943 al 13/06/1944. Cfr. ivi, schedario partigiani. All'8 settembre era di stanza a Firenze: ricevuto l'ordine di uscire con la batteria alle dipendenze del capitano comandante per raggiungere il Passo della Futa a metà strada fra Firenze e Bologna per appoggiare una compagnia di fanteria che doveva arginare le prime colonne tedesche scendenti verso Firenze, percorsi tre quarti di strada furono «bloccati da due macchine tedesche cariche di armati, fatti prigionieri ed inviati alla volta di Bologna; dopo mezz'ora di strada» furono «liberati dai nostri paracadutisti». Ottenuta dal Capitano una licenza per tutti i suoi uomini, il Tiberi al pari di molti altri, non rientrò in caserma a fine del perìodo, e non potendo restare nascosto a lungo a Firenze senza essere catturato dai tedeschi, preferì fare ritorno a Tornimparte dove si unì alla banda della Duchessa. Ivi, Banda La Duchessa, relazione personale di Tiberi Gaetano del 31 gennaio 1948.
563 Cfr. ibidem.
564 Ivi, relazione personale di Pasqualone Ubaldo. Il gruppo di Pasqualone Ubaldo era formato dai partigiani: Loddi Alessandro, Nardocci Angelo, Pasqualone Italo, Pesce Celestino, Pesce Giuseppe, Prescenzi Carlo e Prescenzi Giglio. Loddi Alessandro, nato a Tornimparte (AQ) il 21 ottobre 1922, soldato del 157° Rgt. mitraglieri di Fanteria, ha svolto attività partigiana nella banda dal 01/01/44 al 13/06/44; Nardocci Angelo, nato a Tornimparte (AQ) il 26 marzo 1922, soldato, ha svolto attività partigiana nella banda dal 01/01/44 al 13/06/44; Pasqualone Italo, nato a Tornimparte (AQ) il 29 settembre 1919, soldato, ha svolto attività partigiana nella banda dal 01/01/44 al 13/06/44; Pesce Celestino, nato a Tornimparte (AQ) nel 1918, soldato del 65° Artiglieria, ha svolto attività partigiana nella banda dal 01/01/44 al 13/06/44; Pesce Giuseppe, nato a Tornimparte (AQ) il 21 luglio 1924, soldato, ha svolto attività partigiana nella banda dal 01/01/44 al 13/06/44; Prescenzi Carlo, nato a Tornimparte (AQ) l'8 settembre 1924, soldato del 25° Rgt. Fanteria, ha svolto attività partigiana nella banda dal 01/01/44 al 13/06/44; Prescenzi Giglio, nato a Tornimparte (AQ) il 2 marzo 1922, soldato del 37° Mitraglieri, ha svolto attività partigiana nella banda dal 01/01/44 al 13/06/44. Cfr. ivi, schedario partigiani.
565 Ivi, Banda La Duchessa, relazione Marrone.
566 Ibidem.
567 Ibidem.
568 I mezzi materiali di cui allora disponevamo erano scarsi: solo qualche pistola che gli ufficiali avevano gelosamente custodita, simbolo del grado e dell'onore mai perduti. Cfr. ibidem.
569 Ibidem. Secondo quanto riferito dal Bafile: «alla Caserma Allievi Ufficiali i capitani Mario Lolli […] e Vincenzo Giglio furono molto solerti; armi e munizioni furono date a tutti coloro che le richiesero, ed ho ragione di ritenere che la maggior parte delle armi che sono passate più tardi nelle mani dei patrioti, uscirono dalla Caserma Allievi Ufficiali in quei giorni», ivi, memoriale di Bafile Mario del 15 giugno 1944. Questa versione dei fatti è solo in apparente contrasto con quanto riferito dal Marrone, in quanto, come ci ricorda Costantino Felice, «probabilmente, come di solito accadeva, viene sferrata un'azione dall'esterno con complicità dall'interno», in Costantino Felice, Dalla Maiella alle Alpi. Guerra e Resistenza in Abruzzo, cit., p. 240.
570 ACS, Ricompart, Abruzzo, Banda La Duchessa, relazione Marrone. La circostanza trovò conferma anche nel memoriale del Bafile secondo cui nella caserma «furono accasermate le guardie che erano state addette alla custodia di Mussolini e che scesero da Campo Imperatore giusto in quei giorni […] ed impiantarono subito una specie di corpo di guardia all'ingresso della Caserma ed assunsero un atteggiamento alquanto tedescofilo», ivi, memoriale di Bafile Mario del 15 giugno 1944.
571 Nato a Lucoli (AQ) il 12 febbraio 1923, alpino, ha svolto attività partigiana nella banda dal 15/09/43 al 13/06/44. Cfr. ivi, schedario partigiani.
572 Nato a Roma il 29 aprile 1922, aviere presso il 1° Rgt. Avieri Roma, ha svolto attività partigiana nella banda dal 15/09/43 al 13/06/44. Cfr. ivi, schedario patrioti e ivi, Banda La Duchessa, ruolino.
573 Ivi, relazione Marrone.
574 Ibidem.
575 Ibidem.
576 Ibidem.
577 Ibidem.
578 Cfr. ibidem.
Fabrizio Nocera, Le bande partigiane lungo la linea Gustav. Abruzzo e Molise nelle carte del Ricompart, Tesi di Dottorato, Università degli Studi del Molise, Anno Accademico 2017-2018

giovedì 5 settembre 2024

Programma ideologico e connotazione del MSI entro la destra neofascista


Il MSI, quale partito originatosi dalla costola della RSI, appare “chiaramente debitrice del fascismo repubblicano” <64, nella piena impossibilità di ripristinare il regime fascista del ventennio, dal quale si distacca anche nella denominazione, appellandosi come “movimento”. Tuttavia, nella sua configurazione, il MSI assurge a partito di massa, al pari di quello fascista, che si accresce utilizzando vari strumenti di propaganda (quale la stampa), raccogliendo un numero elevato di iscritti <65.
Esso desidera, quindi, oltrepassare la stretta e angusta nicchia della clandestinità, per raggiungere un ampio consenso popolare, tramutandosi, da “fenomeno di conventicole” in una “forza politica in grado di parlare a molti, se non a tutti” <66.
Il partito prendeva le mosse dalla consapevolezza che il Paese stesse attraversando una fase di crisi, al pari di ogni altro Stato immerso in uno scenario post-bellico, e necessitasse, quindi, di nuovi riferimenti politici che accompagnassero la ricostruzione, recuperando e valorizzando in una diversa luce gli ideali fascisti.
A questo proposito, giova ricordare le parole di Giorgio Almirante, il quale sosteneva: “Che vi sia, in genere una crisi di costume, una crisi morale e civile, prima ancora che politica, di tutto il mondo moderno, è ormai generale ammissione, è angoscia largamente sentita. Noi concepiamo il fascismo come possibilità di superare la crisi del mondo moderno, e nella organizzazione dello Stato, e nei rapporti sociali e nelle relazioni fra le Nazioni, e specificatamente nei compiti che la civiltà assegna all’ Europa e all’Italia” <67.
Il MSI si trovava immerso in un clima politico fondato sull’antifascismo; dunque, esso non avrebbe potuto avviare una politica strettamente aderente a quella del regime, bensì valorizzare quegli ideali a mezzo di un asserito rinnovamento, tale da attirare “consenso e di stabilire criteri di legittimità, e di discriminazione”, rispetto agli altri soggetti partitici, “riconosciuti” e ben identificabili dall’elettorato <68. La nuova manifestazione del fascismo si sarebbe così inserita nei ranghi della “destra”, determinando quella che, secondo alcuni, ha costituito un’“invasione” nell’area della legalità di un gruppo politico erede di un passato “illegale”, almeno alla luce dei crimini commessi dal regime <69.
Gli scopi perseguiti dal partito sono chiaramente enunciati nel relativo programma, composto da una serie di punti sintetici, ai quali era premesso un “Appello agli italiani”, di carattere esortativo, diretto all’ottenimento del consenso di tutti i nostalgici e dei lavoratori che avessero, tra i loro ideali, anche quello di difesa dalla patria, per riportare Roma “all’antica dignità calpestata dall’occupazione straniera e dal servilismo e dall’abiezione morale [...] dalla faziosità imperante, generatrice di scandali e di ruberie” <70.
Una sintesi di questo programma è delineata nell’articolo 2, in cui viene precisata anche la natura del MSI. Si tratta, invero, di “un movimento politico che ha lo scopo di difendere gli interessi e la dignità del popolo italiano, promuovendo tutte quelle iniziative intese ad affermare, difendere e realizzare con la collaborazione di tutti gli italiani”.
Il programma si fondava su alcuni concetti-cardine del neofascismo: la subordinazione della politica estera all’unione nazionale; il superamento della frammentazione territoriale e l’accentramento dei poteri; i limiti posti alle libertà individuali, come quella di espressione, anche a mezzo stampa, e di associazione, le quali non potevano svolgersi in modo contrario al buon costume <71.
Questo programma manifestava le caratteristiche di un partito, almeno apparentemente “ispirat[o] ad una concezione etica della vita, che ha lo scopo di difendere la dignità e gli interessi del popolo italiano e di attuare l’idea sociale nella ininterrotta continuità storica” <72.
Si tratta di un orientamento che venne propugnato durante i vari Congressi del partito, luogo privilegiato per l’elaborazione delle azioni da intraprendere e delle posizioni da assumere rispetto alle varie questioni di rilievo politico <73.
Emblematico appare il fatto che, nel corso del primo Congresso del MSI, svoltosi a Napoli nei giorni 27, 28 e 29 giugno 1948, il partito emanò alcune determinazioni, in forma di relazione, circa gli interventi proposti dal Governo. Esso si schierò contro l’istituzione di enti con competenza territoriale (nella specie, le Regioni), che avrebbe dovuto, secondo i missini, essere sottoposta al vaglio referendario (relazione sulla Politica interna e costituzionale). A latere, si collocava la relazione sulla Politica Estera, con la quale il MSI si opponeva ai Trattati di Parigi, ritenendo la sottoscrizione di tali accordi poco degna per la protezione dell’interesse del Paese, pur sconfitto dalla guerra.
Si trattava di rendere coerente quanto espresso nel programma del partito, il quale desiderava dare vita a un vero e proprio “movimento di consensi per la revisione degli accordi internazionali esistenti” <74 che superasse la logica dei “vinti” e dei “vincitori”.
Infine, con l’approvazione da parte del Comitato centrale della relazione in materia di Politica sociale ed economica venne esposta la posizione del MSI contraria al liberismo e favorevole al corporativismo, nonché alla nazionalizzazione delle imprese e, dunque, all’intervento dello Stato nell’economia <75.
Sotto l’aspetto della composizione e della membership, il MSI raccoglieva tanto le istanze dei militanti che costituivano la corrente rivoluzionaria della destra - avendo combattuto per una riaffermazione degli ideali fascisti, all’indomani dell’avvento della Repubblica - quanto quelle dei moderati, che desideravano conferire veste legale alle attività clandestine organizzate sotto l’egida del neofascismo fino a quel momento.
Si trattava, in altri termini, di trovare un’adeguata sede per evitare che “decine di migliaia di giovani fascisti clandestini o semiclandestini” scegliessero di continuare ad agire “sul piano della lotta armata” <76.
Nella storia del MSI, la fazione “anticapitalista e antiatlantic[a]” <77 trovò sempre un equilibrio nella presenza dell’ala moderata, emblematicamente espressa dal Segretariato, in origine occupato da Almirante, e - in veste di vicesegretari - da Giorgio Roberti e Arturo Michelini.
Proprio questo elemento consentì al MSI di inserirsi nel tessuto democratico e nella logica parlamentare, che - invece - il fascismo rivoluzionario negava e rifiutava.
I rischi, tuttavia, dell’uscita dalla clandestinità e della fondazione di un’organizzazione che avesse una fisionomia partitica, erano ben evidenti agli stessi neofascisti, preoccupati per come sarebbe stata interpretata la loro scelta a favore della strada della legittimità.
Giorgio Almirante, in occasione del Congresso del MSI del 1956 <78, ricordava che lo scopo del MSI era quello di “fare una politica di rilancio sociale”, in qualità di “fascisti della Repubblica Sociale Italiana”, reduci da quella esperienza. Il timore era, invece, quello di ingenerare “l’equivoco” di “essere fascisti in democrazia”, qualifica che appare di “spaventevole difficoltà per [la] democrazia, per [l’] Italia del dopoguerra”; dunque, il fine doveva essere quello di un inserimento “come MSI cioè come partito operante in questa democrazia” e in piena legalità <79. Tale bilanciamento risultava, però, difficile da realizzare, soprattutto a causa del permanere di gruppi di giovani neofascisti, soprattutto studenti, che sostenevano la componente “militare” del partito, attivandosi concretamente anche con manifestazioni di violenza, condannate (formalmente) dal MSI, ma di fatto avallate per poter consentire la stessa sopravvivenza del partito, che altrimenti avrebbe ceduto di fronte ai tentativi di rafforzamento politico della sinistra.
Queste azioni vennero, nel tempo, canalizzate e indirizzate attraverso la creazione di soggetti organizzati, nella forma di associazioni studentesche. Si pensi, per esempio, al Fronte Universitario di Azione Nazionale (FUAN) - poi divenuto, alla fine degli anni Settanta, FUAN Destra Universitaria - che raccoglieva studenti universitari animati dalla volontà di rinsaldare i valori fascisti oltre ciò che proponeva il MSI, distaccandosi da esso <80. Fondato a Roma, nel 1950, il Fronte trovò la tolleranza del MSI, anche se a più riprese ebbe contrasti accesi con quest’ultimo.
D’altra parte, la decisione di intraprendere un percorso legale di riconoscimento e legittimazione politica da parte del MSI era incompatibile tanto con il supporto ad azioni di carattere eminentemente eversivo, quanto con un atteggiamento di impedimento a iniziative giovanili di autonoma organizzazione, che trovavano proprio del MSI la propria forza propulsiva.
È anche innegabile, però, che la mancanza di coesione interna e le difficoltà per addivenire a una linea politica unitaria avrebbero potuto causare una scissione insuperabile, tale da compromettere la stessa sopravvivenza del partito <81, ragione per cui il MSI si schierava solo a parole contro le dimostrazioni dei rivoluzionari, non assumendo, in pratica, alcun provvedimento per impedirne la realizzazione.
Allo stesso modo, esso criticava le posizioni dei giovani neofascisti fuoriusciti dal partito per ingrossare le fila delle associazioni studentesche, senza - tuttavia - pervenire a una formale condanna di questo tipo di atteggiamento.
La ratio che sottendeva a questa strategia risiedeva nella consapevolezza di non poter godere di un vasto e diffuso consenso politico, ragione per cui la conservazione, anche a fronte di un latente compromesso, costituiva l’unica arma di difesa contro i possibili attacchi alla unità del partito.
[NOTE]
64 P. IGNAZI, Il polo escluso, cit., p. 22.
65 Così osserva P. IGNAZI, La cultura politica del Movimento Sociale Italiano, in “Rivista Italiana di Scienza Politica”, vol. 19, n. 3, 1989, pp. 431-465, confrontando il MSI con altri partiti espressione della destra italiana del dopoguerra.
66 G. PARLATO, op. cit., p. 250.
67 G. ALMIRANTE, F. PALAMENGHI CRISPI, Il Movimento Sociale Italiano, Nuova Accademia, Roma, 1958, p. 19.
68 G. SORGONÀ, Cantagallo o Predappio? Il Movimento sociale italiano in Emilia Romagna tra esclusione e tolleranza (1970-1983), in M. Carrattieri, C. De Maria (a cura di), La crisi dei partiti in Emilia Romagna negli anni ’70/’80. E-review dossier, n. 1, 2013, p. 86.
69 G. PARLATO, La cultura internazionale della destra tra isolamento e atlantismo (1946-1954), in G. Petracchi (a cura di), Uomini e nazioni. Cultura e politica estera nell’Italia del Novecento, Gaspari editore, Udine, 2005, p. 134.
70 Ivi, p. 32.
71 La tutela del pudore e di ogni altro profilo rientrante nella nozione extra-giuridica di “buon costume” aveva costituito uno dei principali interessi pubblici protetti dal legislatore fascista, il quale proponeva, soprattutto nella normativa penale, un archetipo “astratto e paternalistico” con l’obiettivo di sostenere altre finalità (si pensi solo alla politica demografica), attraverso una imposizione di un “valore deontologico”, in parte rimasto ingabbiato anche nel vigente quadro giuridico, G. FIANDACA, Il codice Rocco e la continuità istituzionale in materia penale. Dibattito su “Il codice Rocco cinquant’anni dopo”, “La questione criminale”, vol. I, 1981, p. 77.
72 M. GIOVANA, op. cit., p. 48.
73 Proprio durante il primo Congresso del partito, tenutosi a Napoli, fu redatto quello che costituì lo schema del programma del MSI, in sette punti così articolati: “I) Non rinnegare e non restaurare [...] Negare il passato significa svilire il presente e rinunciare all’ avvenire... II) Lanciare tra le generazioni che il dramma della guerra civile ha diviso il ponte della concordia nazionale e della solidarietà sociale [...] III) Esigere che la Nazione sia ricondotta al suo rango di dignità ed onore [...] IV) Lottare ad oltranza [...] soprattutto contro gli abusi e le iniquità di una legislazione anticostituzionale e di una Costituzione antinazionale [...] V) Riconoscere in modo nettissimo che il nostro problema interno è oggi essenzialmente un problema sociale il quale si pone in termini incisivi e indilazionabili: o attuare un sistema che dia al lavoro il rango di protagonista della vita nazionale o cedere al dilagare della reazione bolscevica. Per avviare il problema a soluzione occorre restituire ai lavoratori l’orgoglio del lavoro come manifestazione fondamentale della propria umanità, risolvere in una nuova sintesi il drammatico squilibrio che il prevalere della macchina sul l’uomo ha determinato. In tal senso noi non esitiamo a richiamarci all’idea corporativa concepita come armonia finale degli elementi naturali: individuo e nazione [...] tale idea si ispira la dottrina dello stato Nazionale del Lavoro che è sociale e non socialista, nazionale e non nazionalista. VI) Attuare questa idea nella socializzazione della impresa attraverso la compartecipazione del lavoro manuale e direttivo, agli utili delle aziende, e la corresponsabilità dei lavoratori alla gestione di essa [...] VII) Dare al sindacato [...] personalità e poteri di diritto pubblico e il compito di stipulare i contratti collettivi di lavoro aventi efficacia di leggi”, “Il Secolo d’Italia”, 23 gennaio 1973.
74 G. ALMIRANTE, F. PALAMENGHI CRISPI, op. cit., p. 58. Cfr. sul punto anche R. CHIARINI, «Sacro egoismo» e «missione civilizzatrice». La politica estera del Msi dalla fondazione alla metà degli anni Cinquanta, “Storia contemporanea”, vol. XXI, n. 3, 1990, p. 457 ss.
75 Secondo il programma del partito, suddetto intervento costituiva un “dovere” dello Stato, che richiedeva di essere adempiuto “vastamente e pesantemente” (G. ALMIRANTE, F. PALAMENGHI CRISPI, op. cit., p. 21).
76 P. G. MURGIA, Il Vento del Nord. Episodi e cronache dopo la Resistenza, Edizioni Sugar, Milano, 1975, p. 150.
77 P. BUCHIGNANI, Ribelli d'Italia, Marsilio, Venezia, 2017.
78 Intervento pubblicato in “Il Secolo d’Italia”, 15 novembre 1956.
79 Ibidem.
80 Il Fronte è legato ai nomi di Silvio Vitali, il quale assunse la carica di Presidente, nonché di Franco Petronio, Tomaso Staiti di Cuddia, Benito Paolone, e Giuseppe Tricoli, tutti aderenti al MSI.
81 Tale era la preoccupazione di Romualdi, il quale riteneva che un partito non potesse presentare scissioni interne, ma dovesse riunirsi in una unica corrente, espungendo coloro che non aderivano in pieno alla linea di azione intrapresa.
Andrea Martino, Nascita del MSI nel periodo dal 1946 al 1960 con riferimento al rapporto tra società italiana e neofascismo, Tesi di Laurea, Università Luiss "Guido Carli", Anno accademico 2019-2020