sabato 21 dicembre 2024

La Corte europea dei diritti dell'Uomo circa la criminalità organizzata italiana


Nelle diverse occasioni in cui sono venute in rilievo le misure patrimoniali di prevenzione, la Corte EDU [Corte europea dei diritti dell'Uomo] oltre a negare l’applicabilità dell’art. 6 per quanto concerne i diritti della persona accusata di un reato, ha escluso che detta misura si ponga in contrasto con l’art. 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione (107).
La Corte europea innanzitutto rileva che la confisca dei beni dei ricorrenti è ordinata a norma dell’articolo 2 ter della legge 31 maggio 1965 n. 575; e che, pertanto, si tratta di una interferenza prevista dalla legge. La Corte constata inoltre che la confisca di prevenzione prevista dalla legge italiana ha lo scopo di impedire un uso illecito e dannoso per la società di beni la cui provenienza lecita non è stata dimostrata. Il suo scopo, pertanto, appare certamente conforme all’interesse generale (108).
Quanto al requisito della proporzionalità dell’ingerenza rispetto allo scopo avuto di mira, la Corte osserva che tale tipo di confisca si iscrive nel quadro di una politica di prevenzione criminale, nella cui attuazione il legislatore deve godere di un ampio margine di apprezzamento, sia quanto alla identificazione del problema di interesse pubblico che impone un intervento regolativo, sia quanto alla scelta delle relative modalità.
Al riguardo, la Corte ha ripetutamente sottolineato che il fenomeno della criminalità organizzata di tipo mafioso ha raggiunto in Italia proporzioni preoccupanti: «gli enormi profitti che le organizzazioni mafiose traggono dalle loro attività illecite conferiscono a tali associazioni un potere che mette in causa il primato del diritto all’interno dello Stato. Così, i mezzi adottati per combattere questo potere economico, in particolare la confisca di prevenzione, paiono indispensabili per contrastare in modo efficace tali associazioni» («les profits démesurés que les associations de type mafieux tirent de leurs activités illicites leur donnent un pouvoir dont l’existence remet en cause la primauté du droit dans l’Etat. Ainsi, les moyens adoptés pour combattre ce pouvoir économique, notamment la confiscation litigieuse, peuvent apparaître comme indispensables pour lutter efficacement contre lesdites associations») (109).
Nella causa Prisco c. Italia sopra richiamata, la Corte ha esaminato un caso nel quale la confisca di prevenzione veniva applicata ad un soggetto, coinvolto in un procedimento penale per concorso in omicidio e mafia, ritenuto pericoloso per la società perché, secondo i rapporti della polizia, aveva stretti legami con un clan affiliato alla camorra.
Nella causa Arcuri e altri c. Italia sopra richiamata, la Corte ha esaminato un caso nel quale la confisca di prevenzione veniva applicata ad un soggetto più volte condannato per truffa, istigazione alla prostituzione, aggressione e percosse, violenza privata, sequestro di persona, atti osceni in luogo pubblico, emissione di assegni a vuoto, possesso ed un uso improprio delle armi, bancarotta fraudolenta e associazione a delinquere. Il soggetto nei cui confronti è stata applicata la misura, è stato accertato avesse stretti rapporti con persone legate alla criminalità organizzata; ed era ragionevolmente probabile facesse parte di tale associazione, avendo prestato denaro a tassi d’interesse esorbitanti e minacciato di morte per mancato pagamento.
Nella causa Riela e altri c. Italia sopra citata, la Corte ha esaminato un caso nel quale la confisca di prevenzione veniva applicata ad un gruppo di quattro soggetti considerati parte di una organizzazione criminale radicata in Sicilia, la cui attività era stata ricostruita attraverso la testimonianza di alcuni mafiosi pentiti.
Nella causa Capitani e Campanella c. Italia e nella causa Paleari c. Italia, la Corte ha esaminato un caso nel quale la confisca di prevenzione veniva applicata a soggetti considerati membri di un’organizzazione criminale dedita all’usura e al riciclaggio di denaro.
Nella causa Pozzi c. Italia, infine, la Corte ha esaminato un caso nel quale la confisca di prevenzione veniva applicata ad un soggetto considerato membro di un’associazione mafiosa dedita al riciclaggio di denaro e al racket.
L’estensione delle misure di prevenzione patrimoniali del sequestro e della confisca anche a persone non indiziate di appartenere ad associazione criminali di tipo mafioso, però, dovrebbe indurre a riflettere circa la reale tenuta delle argomentazioni sulle quali la Corte europea fonda la propria giurisprudenza in materia di misure di prevenzione patrimoniali.
Vero è - come ha osservato a più riprese la Corte - che il procedimento di applicazione delle misure di prevenzione si sviluppa secondo il principio del contraddittorio, davanti a tre giurisdizioni successive (tribunale, corte d’appello e Corte di cassazione) e con l’attribuzione al proposto della facoltà di sollevare eccezioni, prospettare le proprie ragioni e presentare mezzi di prova (110). Ma è ugualmente vero che le regole di giudizio, previste dall’art. 24 del d.lgs. n. 159/2011, per l’applicazione delle misure di prevenzione e la relativa procedura, semplificando oltremodo le possibilità per lo Stato di aggredire il patrimonio del proposto, si pongono in attrito con il diritto al pacifico godimento dei beni, riconosciuto dall’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione.
[NOTE]
(107) Il procedimento per l’applicazione delle misure di prevenzione è stato censurato dalla Corte EDU solo per quanto riguarda la mancanza di pubblicità dell’udienza: cfr. C. eur. dir. uomo, Sez. II, Bocellari e Rizza c. Italia, 13 novembre 2007, ric. 399/02, §§ 33 ss.; C. eur. dir. uomo, Sez. II, Perre e altri c. Italia, 8 luglio 2008, 1905/05, §§ 23 ss.; C. eur. dir. uomo, Bongiorno et autres c. Italia, ric. 4514/07, §§ 27 ss.
(108) C. eur. dir. uomo, Prisco c. Italia, cit.; C. eur. dir. uomo, Arcuri e altri c. Italia, cit.; C. eur. dir. uomo, Riela c. Italia, cit.; C. eur. dir. uomo, Bongiorno e altri c. Italia, cit., §§ 43 ss.; C. eur. dir. uomo, Sez. II, Capitani e Campanella c. Italia, 17 maggio 2011, ric. 24920/07, § 32; C. eur. dir. uomo, Pozzi c. Italia, cit., § 26; C. eur. dir. uomo, Paleari c. Italia, cit.
(109) Così testualmente C. eur. dir. uomo, Bongiorno e altri c. Italia, cit., §45; nonché, in senso analogo, C. eur. dir. uomo, Prisco c. Italia, cit.; C. eur. dir. uomo, Arcuri e altri c. Italia, cit.; C. eur. dir. uomo, Riela c. Italia, cit.
(110) C. eur. dir. uomo, Prisco c. Italia, cit.; C. eur. dir. uomo, Arcuri e altri c. Italia, cit.; C. eur. dir. uomo, Riela c. Italia, cit.; C. eur. dir. uomo, Bongiorno e altri c. Italia, cit., § 49; C. eur. dir. uomo, Capitani e Campanella c. Italia, cit., §34; C. eur. dir. uomo, Pozzi c. Italia, cit., § 28; C. eur. dir. uomo, Paleari c. Italia, cit., §30.
Tommaso Trinchera, Lo statuto costituzionale e convenzionale della confisca della ricchezza illecita, Tesi di dottorato, Università Commerciale Luigi Bocconi, Milano, 2016

lunedì 9 dicembre 2024

Le conclusioni di uno studio sugli Anni di Piombo alla Fiat


Come abbiamo appreso nel corso di questo lavoro, l’azienda torinese è sempre stata uno dei pilastri del nostro paese e, a prescindere dalla vita di famiglie operaie o meno, sin dal 1899 la Fiat ha fatto parte della vita degli italiani.
Nel bene e nel male la casa automobilistica è stata, e continuerà a essere, parte integrante del nostro paese e della nostra storia, è quindi giusto dedicare questo lavoro alle donne e agli uomini che hanno “abitato” quei luoghi dando vita alla catena di montaggio.
Uno dei momenti più significativi e importanti di questo progetto è stato lo studio degli audiovisivi che ha permesso di verificare in che modo i media hanno influenzato l’immagine dell’operaio e della fabbrica: analizzare fiction e documentari ha portato alla luce una serie di differenze che si legano saldamente al modo in cui il pubblico percepisce l’argomento e crea una propria opinione e una propria presa di coscienza.
Analizzare una fiction piuttosto che un documentario ha messo in evidenza una serie di dinamiche che sembra giusto analizzare nello specifico: per prima cosa appare evidente che un prodotto come "Gli Anni Spezzati" ha avuto una diffusione su larga scala rispetto a un documentario come "Signorina Fiat", per il semplice fatto che, anzitutto, la fiction è stata trasmessa nella fascia oraria di punta, ottenendo quindi uno share molto alto; seconda cosa la scelta di attori noti e l’utilizzo di una pubblicità martellante ha permesso di accrescere la curiosità attorno al programma, complice anche la scelta di riportare il girato sotto forma di serie Tv (che è l’opzione più apprezzata, soprattutto dai giovanissimi) ci rendiamo conto che "Gli Anni Spezzati", prima di essere storia, siano stati soprattutto profitto, pubblicità e lotta allo share più alto.
La cosa che influisce maggiormente sull’immaginario collettivo è la consapevolezza di avere davanti agli occhi un prodotto basato su avvenimenti reali, anche se, nel caso dell’ingegnere, raccontati da protagonisti di fantasia: i personaggi e le azioni che scorrono sullo schermo, giuste o sbagliate che siano, hanno avuto perciò il potere di influenzare lo spettatore portandolo inevitabilmente ad immedesimarsi coi protagonisti; questa empatia mescolata con il potere delle immagini e l’evidente semplificazione dei temi trattati, porta nella maggioranza dei casi alla creazione di un percorso storico distorto che incide in negativo sull’immaginario dello spettatore.
É evidente che questo potere dell’immagine non è altrettanto “prepotente” per quanto riguarda la sezione documentaristica, per il semplice fatto che questa tipologia di audiovisivi ripiega su una forma espositiva più schematica, oggettiva e ovviamente meno enfatica: documentari come "In Fabbrica", nonostante siano dei prodotti molto più riusciti, hanno avuto, per ovvi motivi, un impatto meno deciso sul pubblico.
Proprio dopo questa analisi i quattro audiovisivi sono diventati uno dei punto delle interviste riportate nel capitolo precedente. Dalle risposte è evidente quello che abbiamo appena sottolineato: le fiction sono state il canale trasmissivo più seguito e chiaramente quello che presenta più errori di natura tecnica e di carattere storico, mentre i documentari hanno avuto una diffusione più ridotta riuscendo però a raccontare dignitosamente le vicende storiche.
A questo punto riprendendo quanto detto nel terzo capitolo si può affermare che la maggior parte degli spettatori che ha seguito "Gli Anni Spezzati" si ritrova con una serie di informazioni errate e, a tratti, faziose che però vengono recepite come giuste o comunque fondate, “merito” anche della trasmissione sul primo canale della Rai, da sempre la rete di Stato ammiraglia.
«Siate sempre padroni del vostro senso critico, e niente potrà farvi sottomettere» <118, così scriveva Alberto Manzi <119 in una lettere ai suoi alunni; “il Maestro” parla di senso critico dopo aver insegnato per otto anni l’italiano tramite la televisione, riuscendo a “indottrinare” più di una generazione a quella lingua che in breve tempo diventerà (realmente) nazionale.
Quello che nel 1976 è una raccomandazione, a quasi quarant’anni potrebbe diventare, forse, una richiesta di aiuto: mandare in onda un programma che distorce la realtà dei fatti, raccontando in maniera errata eventi e avvenimenti storici contribuisce ad oscurare la vicenda stessa, creando un immaginario sbagliato dove il senso critico sparisce dietro la “garanzia” di veridicità che dovrebbe conferire una rete televisiva autorevole e, soprattutto, di Stato.
Personalità come quella di Manzi mostrano come l’uso corretto del potere delle immagini potrebbe davvero fare la differenza e conferire quel senso di autorevolezza a quella “scatola” (che ormai non è più nemmeno una scatola), al punto da
renderla un canale di apprendimento valido e, soprattutto, lontano da errori e interpretazioni grossolane, volute o meno.
A prescindere dalla qualità di quello che vediamo, tutto quanto contribuisce alla costruzione del nostro immaginario ed è quindi molto difficile mantenere il controllo sulle cose senza la giusta dose di spirito critico.
Siamo d’accordo sul fatto che rappresentare gli Anni di Piombo potrebbe risultare un’operazione davvero ardua, anche perché il rischio di “dimenticare” qualcosa o qualcuno è sempre in agguato; d’altra parte, però, la correttezza dell’informazione dovrebbe restare il fulcro di ogni rappresentazione.
“Rimozioni” e dati inesatti continuano ad essere l’emblema di un periodo storico che è già radicato (nel bene o nel male) all’interno dell’immaginario collettivo, ma che necessita ancora di studi approfonditi e mirati, soprattutto per quanto riguarda determinate tematiche, come quelle in esame.
Forse non è del tutto corretto parlare di “rimozione” dato che l’argomento preso in esame viene comunque presentato in ambito storico il relazione agli Anni di Piombo; chiaramente gli storici sono costretti ad attuare una selezione (per motivi di spazio e di tempo), lasciando un po’ marginalmente la questione Fiat; sembra più corretto, quindi, parlare di una selezione con possibilità di ricerca.
Probabilmente questa non è la sede adatta (soprattutto nelle conclusioni) per aprire un’ulteriore parentesi su quanto affermato da Gabriele Polo <120, però sembra giusto sottolineare come, in realtà, è assolutamente errato parlato parlare di “rimozione” perché i licenziamenti Fiat del ’79 e ’80, assieme ai “provvedimenti” di Ronald Reagan (1981) e di Margareth Thatcher (1984) segnarono un punto cruciale nella “costruzione” dei nuovi rapporti di forza tra lavoratori e padroni: il compromesso e il dialogo vennero rapidamente soppiantati dal decisionismo e dalla linea dura, alterando profondamente gli equilibri sociali che saranno “relegati” all’ombra di concetti come progresso, consumo e ritmi di produzione sempre più meccanici e sempre meno umani.
La storia da sempre fa il suo corso ed è normale che alcuni eventi riescano ad emergere solo se esaminati in un quadro più ampio e in una prospettiva temporale più estesa; è comunque giusto avere un quadro obiettivo e completo di ciò che si va a studiare, includendo tutti gli avvenimenti che hanno caratterizzato gli Anni di Piombo in primis, e il futuro stesso del lavoro e dei diritti dei lavoratori.
Sono passati quasi quarant’anni da quel 1979: qualcuno ha gradualmente dimenticato, altri ricordano ancora ma «alla fine, anche se la storia ha dei pessimi alunni, in qualche modo insegna» <121, proprio per questo è stato portato avanti questo progetto, arrivando fino a questo punto.
Tutto questo lavoro sarebbe stato impossibile senza le testimonianze del capitolo precedente che con lucidità e correttezza hanno risposto alle domande, riportando a galla anche ricordi che, anche a distanza di tempo, continuano a far riflettere. Qualcuno ha parlato di “tre uomini soli” <122, la verità è che quello che emerge da questo lavoro non ha nulla a che fare con in singolo individuo, ma piuttosto prende in esame la coralità, una collettività che ancora oggi annette al proprio interno una serie di voci autorevoli che hanno fatto parte del racconto; i risvolti e l’evoluzione degli avvenimenti può anche aver portato all’individualità, ma l’appartenere a una categoria segna profondamente la vita di chi fa una determinata scelta e decide di perseguirla.
E allora, che prezzo è stato pagato? Probabilmente quello di sentir dire, nel tempo, «gli operai avevano ragione, per questo scioperavano» <123; o forse il tentativo di ridurre tutto al classico giusto o sbagliato, facendo apparire la questione di una semplicità disarmante; o forse il prendere atto (col senno di poi) dei cambiamenti maturati che hanno influenzato il modo di concepire l’operaio e la fabbrica.
«Il progresso richiede il continuo consumo, la differenza tra vita e respiro. Forse ti sei scordato che la differenza tra vita e respiro è la distanza tra ultimo e primo». <124 La Storia ha fatto il suo corso: gradualmente gli Anni di Piombo hanno lasciato il posto a nuove esperienze proiettate direttamente verso il nuovo millennio; le vittime si celebrano, il ricordo si conserva e, come l’orologio fermo alle 10:25 <125 che rievoca uno dei momenti più bui della nostra storia, anche l’immaginario e la coscienza storica restano “a guardia” di una memoria collettiva in continuo divenire che aspetta soltanto di essere ricostruita ed essere commemorata.
[NOTE]
118 Lettera di Alberto Manzi ai suoi alunni di quinta elementare, 1976.
119 Alberto Manzi (Roma, 3 novembre 1924 - Pitigliano, 4 dicembre 1997) è stato un pedagogista, personaggio televisivo e scrittore italiano, noto principalmente per essere stato il conduttore della trasmissione televisiva «Non è mai troppo tardi», messa in onda fra il 1960 ed il 1968.
120 Cfr. capitolo IV.
121 Vittorio Arrigoni.
122 Cfr. capitolo III.
123 Cfr. capitolo III.
124 Linea 77, Absente Reo, Oh!
125 L’orologio della stazione dei treni di Bologna è rimasto fermo alle 10:25 del 2 agosto 1980.
Mirco Calvano, Terrorismo e tute blu, gli Anni di Piombo alla Fiat, Tesi di Laurea Magistrale, Università degli Studi di Roma "La Sapienza", Anno Accademico 2014-2015