venerdì 16 ottobre 2020

Noi non avevamo consuetudini georgiche

Uno scorcio della Valle Vésubie - Fonte: Wikipedia

[...] Sul fondo della Valle Vésubie in Francia, sempre negli anni Trenta, intellettuali illuminati come Arthur Koestler avevano trovato la serenità d’animo necessaria per completare capolavori come Schiuma della terra; l’Etrange defaite è scritta da Marc Bloch nel 1940 prima di entrare nella Resistenza francese. Un tema molto interessante - sia detto di sfuggita - quello dei grandi capolavori di storia composti durante il periodo preso in esame in questa mostra. Le Alpi in guerra, sono state, oltre al resto, un monumentale luogo di scrittura, un laboratorio di idee incredibilmente fecondo per il dopoguerra. L’arco alpino è puntellato di luoghi dove sono stati concepiti, e talora in modo molto fortunoso redatti, salvandoli dalla tempesta in corso, grandi libri di storia. Si potrebbe immaginare una ulteriore cartina, da aggiungersi alle tante previste dalla mostra, che associ un luogo al titolo di un libro non necessariamente composto da storici ebrei: si pensi al manoscritto, davvero fondamentale, che Federico Chabod si porta in montagna in Valgrisenche: ancora nell’autunno del 1943 il grande storico valdostano aveva tenuto a Milano un corso che è alla base del suo libro forse più suggestivo, L’idea di nazione, che vedrà la luce nel 1947 e racchiude al suo interno il segno di una maturazione intellettuale avvenuta nei mesi della Resistenza; e si chiuda questa breve digressione con il libro di un poeta, non di uno storico: Eugenio Montale che, sul versante ticinese delle «Alpi in guerra», pubblica una raccolta di versi dal titolo molto evocativo visto il momento in cui esce dalla tipografia, Finisterre (Lugano, 1943).
Sul versante italiano, nello stesso periodo, sul fondo della Valle d’Aosta, intellettuali ebrei altrettanto preveggenti come Leo Levi avevano inventato un nuovo modo di stare insieme e di reagire ai soprusi, i campeggi della gioventù ebraica, scegliendo per palestra di vita la val Ferret (Plan Pincieux), così ponendo le basi ideologico-religiose sia per un’opposizione politica al regime sia per la rinascita di un movimento sionista e socialista.
Luogo di devianza politica, ma anche psicologica e linguistica: all’inizio del secolo sappiamo che Cesare Lombroso era solito fare i suoi esperimenti craniologici nei pressi delle baite dell’alta Valle di Susa e di Lanzo che poi ospiteranno i profughi del 1943; negli stessi luoghi amava salire Benvenuto Terracini per compiere i suoi esperimenti linguistico-dialettologici, base e fondamento dei più moderni atlanti linguistici franco-provenzali e italiani. Sempre al fine di ricostruire un atlante linguistico non diversi erano stati nell’Ottocento le escursioni di Graziadio I. Ascoli sul lato opposto dell’arco alpino. Le Alpi sotto il fascismo sono state anche il luogo dove è stato possibile mettere alla prova la libertà di sbagliare, secondo quanto ci ha insegnato Primo Levi, nelle descrizioni delle sue gite in montagna, dove si teorizza una specie di binomio fra ebraismo e alpinismo, isole di libertà sotto il giogo della dittatura (Il sistema periodico).
Un percorso sulla memoria ebraica delle Alpi non può prescindere da queste premesse, da questo incrocio di sguardi. Tenere distinti il «prima» e il «dopo» 8 settembre 1943 è essenziale se si vuole capire meglio quanto è successo durante la seconda guerra mondiale, così come andrà tenuto presente il tipo di trasformazione avvenuto nell’arco alpino occidentale nello stesso vissuto degli ebrei, della loro condizione borghese e cittadina, esatto contrario di quanto è invece il tipo di sussistenza e di sopravvivenza alpina: «Noi non avevamo consuetudini georgiche», dirà Alessandro Levi nel suo diario svizzero del 1944. Vi era però stata una lunga e consolidata tradizione di turismo di montagna, di escursionismo (si pensi al caso Adriano Olivetti), che stabiliva già negli anni Trenta una convivenza fra chi vi risiedeva stabilmente e chi veniva da fuori, era un corpo estraneo.
Israele delle Alpi (val Pellice e Chisone), Sentinella delle Alpi (Cuneo), Siberia delle Alpi (Aosta), Suisse niçoise (la Costa Azzurra enjuivée finita sotto l’occupazione «buona» degli italiani): anche la scelta delle metafore e dei simboli faciliterà la lettura e la divulgazione dei concetti.
Le Alpi occidentali viste attraverso la lente d’ingrandimento della persecuzione antiebraica si possono visivamente rappresentare come una rete che sempre più restringe l’area di libertà di movimento: le fasi da scandire sono quelle che immediatamente seguono il giugno 1940, ma la data-spartiacque viene dal novembre 1942, con il definirsi più preciso delle zone d’occupazione italiana.
In altri termini, a partire dalle emigrazioni clandestine avviate a Ventimiglia già sul finire del 1938, ha inizio, intorno all’arco alpino, un percorso a spirale, con tanti punti di ingresso o di accesso e un’infinita serie di passaggi in più direzioni di marcia. Una spirale che coinvolse individui provenienti dall’Europa centrale, dalla Polonia, dall’Austria, dalla Russia, che salgono e scendono, passano frontiere, poi ritornano sui loro passi. Una cifra, fra le tante, dà il peso di queste vicende: circa 20.000 profughi di mezza Europa da Nizza guardavano alle Alpi Marittime (oppure al mare) come a una possibile via di salvezza nell’inverno 1942-1943.
Una serie di percorsi da indagare per ricostruire la dimensione europea di una pagina dimenticata della storia del Novecento. Da indagare attraverso la ricorrenza dei nomi e delle storie di vita: registriamo infatti nei documenti la presenza degli stessi uomini, delle stesse donne, degli stessi bambini ora nei registri francesi, ora nei registri comunali italiani, infine, nei documenti svizzeri. Non è un esercizio impossibile quello di seguire caso per caso la storia di una persona che a Ventimiglia si registra in un modo, poi due mesi dopo a Mentone la ritroviamo registrata in modo leggermente diverso nei documenti per le cartes d’alimentation; ritroviamo la stessa persona, lo stesso nucleo famigliare nella testimonianza di un soldato della IV Armata, poi vediamo comparire quelle stesse persone o nelle liste di deportazione pubblicate da Serge Klarsfeld nel suo Mémorial oppure nelle formazioni partigiane italiane del Cuneese o in Valle d’Aosta.
Dentro le Alpi, dentro questa spirale di valichi, passaggi frontalieri di contrabbando e di pescatori, linee ferroviarie percorse con «l’ultimo treno», mulattiere, postazioni militari, alpeggi, gli ebrei penetrarono rincorrendo più di una linea vettoriale, come si diceva.
La prima è quella della Riviera di Ponente, studiata da Paolo Veziano, in funzione già nel 1939 e forse anche prima. Questa linea vede protagonisti ebrei per lo più di lingua tedesca finiti in Italia dopo il 1933, vittime della politica razziale mussoliniana e di un’azione persecutoria che non può essere confrontata con quella, assai più blanda, che il Duce aveva approntato per gli ebrei di cittadinanza italiana. La seconda, e più consistente linea di accesso alla spirale alpina è quella posteriore al 1940 - intensificatasi nel novembre 1942 - che calamita verso il sud della Francia, e in particolare lungo le pendici dell’arco alpino occidentale sul versante francese, i protagonisti della marche à l’étoile sfuggiti all’occupazione nazista di Parigi. In questo caso il vettore conduce i personaggi della nostra vicenda dentro le Alpi da nord verso sud e pone il problema storiografico, assai delicato a trattarsi, dell’occupazione italiana della Francia meridionale: il prodotto, è stato detto, di un’occupazione «dolce» sorta al termine di una «cattiva» guerra.
L’8 settembre è una tempesta che sconvolge la spirale, ne disarticola i movimenti fino ad allora lineari e concentrici, costringe a rimettersi in movimento chi si era illuso che la fuga avesse avuto termine. Il movimento a spirale assume ritmi e velocità esacerbate dall’incalzare degli eventi e dal simultaneo avanzare delle camionette tedesche dal versante francese come da quello italiano in una perfetta sincronia. Si cerca riparo in Italia, poi dall’Italia si ritorna in Francia, respinti di nuovo a Nizza e di lì la linearità riprende, per i più fortunati con l’ingresso nella resistenza francese, per i meno fortunati con il ritorno a Parigi, anzi a Drancy e con la deportazione ad Auschwitz. La spirale non esclude altre linee di accesso e di uscita dall’arco alpino, soprattutto dalla Valle d’Isère, attraverso il piccolo San Bernardo.
Come il filo di un tessuto appeso a un ago che non riesce più a cucire, la fiumana entra ed esce dalle frontiere, ora seguendo le truppe di un esercito in rotta ora facendo gruppo da sola, disegnando una trama per alcuni senza sosta fino all’arrivo, non per tutti, dalla fragile e rischiosa Suisse niçoise alla Svizzera vera e propria.
Per altri - a contare bene forse la maggioranza - la mobilità senza fine trova fine proprio dentro il vecchio e consolidato luogo della devianza, le Alpi, che nei venti mesi della guerra partigiana ritornano a essere luogo di asilo. La trama dei passaggi si fissa in una miriade di punti stabili costituiti dai casolari, dalle sagrestie delle chiese, dalle abitazioni di alpigiani dove si trovò riparo fino alla liberazione.

Bibliografia
Alberto Cavaglion, Nella notte straniera, Cuneo, L’Arciere, 2003, quarta ed. aggiornata; tr. francese Les Juifs de St Martin Vésubie, Editions Serre, Nice 1995.
Paolo Veziano, Ombre di confine. L’emigrazione clandestina degli ebrei stranieri dalla Riviera dei fiori verso la Costa Azzurra (1938-1940), Alzani, Pinerolo 2001.
Léon Poliakov-Jacques Sabille, La condizione degli ebrei sotto l’occupazione italiana, Edizioni di Comunità, Milano 1956.
François Maspero, Il tempo degli italiani, Einaudi, Torino 1998.
Jean Marie G. Le Clézio, Stella errante, Saggiatore, Milano 2000.
Karl Erlsberg, Come sfuggimmo alla Gestapo e alle SS. Racconto autobiografico, a cura di Klaus Voigt, Istituto storia della Resistenza e della società contemporanea, Edizioni Le Château, Aosta 1999.
Guido Fubini, L’ultimo treno per Cuneo, Albert Meynier, Torino 1991.
Klaus Voigt, Il rifugio precario. Gli esuli in Italia dal 1933-1945, La Nuova Italia, Firenze 1993-1996, due volumi.
Davide Rodogno, Il nuovo ordine mediterraneo. Le politiche di occupazione dell’Italia fascista in Europa (1940-1943), Bollati Boringhieri, Torino 2003.

Alberto Cavaglion, Persecuzioni e repressioni in Memoria delle Alpi