giovedì 24 luglio 2025

Dopo i ripetuti bombardamenti alleati al ponte di ferro sul fiume Po, i tedeschi organizzarono attracchi per traghetti

 

Valenza (IM): Palazzo Pelizzari, sede del Municipio - Fonte: Wikipedia

Le montagne dell'Ossola, le colline del Monferrato, le Langhe, la Val Borbera, l'Oltrepo pavese sono tutti luoghi che hanno vissuto una propria e caratterizzante storia resistenziale, oggi di facile ricostruzione e lettura.
Per le città, ciò difficilmente avviene.
Valenza ne è prova. Una città, organizzata e viva, porta con sé un patrimonio di relazioni fra istituzioni, fra poteri pubblici, centri di riferimento economico e sociale.
Negli anni 30'- 40' Valenza, pur in presenza dell'autarchia di Regime, era legata a filo doppio con Alessandria e Casale Monferrato; sviluppava relazioni con la Lomellina, con Pavia e Milano, con Genova e Torino.
Le vie di comunicazione stradale e ferroviaria erano adeguate, poste a raggiera, con frequenti intersezioni verso Milano, Torino e Genova; il Po fungeva da confine fisico fra Piemonte e Lombardia, ma anche da via di traffico e comunicazione naturale.
Le aziende orafe e calzaturiere alimentavano traffici a dimensione più ampia, oltre i confini italiani; i gerarchi fascisti erano correlati al capoluogo provinciale e da qui verso Torino e Roma; le scuole servivano parecchi paesi limitrofi, con scambi di culture fra contadini, operai, artigiani, imprenditori; il Regime aveva da decenni promosso ed organizzato il consenso, con tutte le varie iniziative di proselitismo e indottrinamento.
Era una città articolata, fatta di vissuto diverso, una città aperta e geograficamente polarizzante.
Furono proprio questi fattori a far decidere gli occupanti tedeschi a scegliere Valenza come centro per collocarvi comandi di polizia, squadre di milizie SS, sezione SD Sicherheit Dienst, militari della Wehrmacht, l'organizzazione Todt, la Zugleitung, postazioni di contraerea della Flak, gruppi di genio pontieri.
La presenza tedesca si rafforzò, dopo che Alessandria divenne sempre più frequente bersaglio dei bombardamenti alleati.
A Valenza venne trasferito il comando provinciale delle truppe tedesche. Non solo, vennero intensificati tutti i controlli sulle vie di comunicazione, sulla rete ferroviaria, sul fiume Po, ad ogni attracco di barche e sui vari ponti di attraversamento fra Trino, Casale e Valenza.
In questo contesto va collocata la storia resistenziale di Valenza, una città occupata dai tedeschi perchè ritenuta strategica, una città cerniera fra due regioni, una città sotto il dominio capillare della K 1014 Kommandantur e l'ausilio delle rinate presenze repubblichine, con comandi della G.N.R. e Brigate Nere.
Pur in questo difficile contesto, sorsero le formazioni GAP (gruppi di azione patriottica) di Enzo Luigi Guidi, detto Batista; poi alcune esperienze di SAP (squadre di azione patriottica); la componente comunista, come in passato era stata fattore determinante dell'antifascismo locale unitamente alla matrice socialista, costituì una significativa ispirazione per le formazioni partigiane; venne ricostituita la sezione del PCI, mix di militanza politica ed ideologica.
I distaccamenti Rasinone e Paradiso, il gruppo di Ticineto-Valmacca della Garibaldi, vissero fasi diverse di organizzazione, in crescendo per adesioni ed efficacia. Si affermarono, inoltre, le formazioni GL Paolo Braccini con la brigata Pasino, al comando di Carlo Garbarino fra San Salvatore e Castelletto Monferrato; con la brigata Lenti al comando di Filippo Callori nell'area di Vignale.
Operarono, inoltre, la Divisione Matteotti-Marengo Borgo Po, tra Valle San Bartolomeo-Filippona-Lobbi; la Divisione Patria fra Occimiano-Mirabello-Giarole; la brigata 108 Paolo Rossi della Garibaldi, con il distaccamento nell'area di Bassignana-Fiondi-Pecetto-Grava-Mugarone <1
Attorno a Valenza, mese dopo mese, venne creata una rete capillare ed efficace di dissenso operativo. Le formazioni partigiane si impegnarono in consistenti azioni di sabotaggio e danneggiamento verso i posti di blocco e controllo dei nazifascisti; ospitarono e nascosero per mesi i prigionieri alleati inglesi, americani, australiani, neozelandesi liberati dai campi di concentramento-prigionia del Piemonte e Lombardia e dal Forte di Gavi.
La stazione e la galleria ferroviaria fra Valenza e Valmadonna costituirono per mesi l'obiettivo di furti, saccheggi da parte delle formazioni partigiane.
Sull'arteria ferroviaria, infatti, i tedeschi fecero transitare armi e viveri verso altre località lombarde e piemontesi, per evitare i frequenti bombardamenti alleati su Alessandria.
In alcune circostanze, i partigiani nascosero le armi e munizioni saccheggiate ai tedeschi proprio all'interno della galleria di Valmadonna.
Le formazioni GAP attaccarono a più riprese le postazioni tedesche; le azioni di sabotaggio sono ampiamente documentate e citate in numerosi dispacci e fonogrammi che i tedeschi inviavano giornalmente ai comandi superiori, fonogrammi rinvenuti recentemente, tradotti e pubblicati nel volume "Resistenza e nuova coscienza civile" a cura dell'autore.
I comandi tedeschi giunsero a comminare multe salatissime ai comuni del Valenzano per disincentivare le attività di sabotaggio. Le multe dovevano essere pagate al comando tedesco di Valenza. I tedeschi non solo occuparono il territorio, ma inflissero sanzioni per punire le azioni di dissenso delle popolazioni.
Gli esordi, il CLN, una città controllata dai tedeschi.
La caduta di Mussolini del 25 luglio e l’armistizio dell' 8 settembre 1943 rialimentarono le convinzioni e le speranze per la libertà, anche a Valenza. Durante il ventennio fascista, il dissenso esplicito venne rappresentato, in modo efficace, dal socialista Francesco Boris, già capostazione. Non aderì al Fascio, dovette cercarsi un altro lavoro. Le organizzazioni comuniste, pur nell'omologazione dissuasiva del Fascio, tennero vivo il pensiero antifascista attraverso cellule di militanti. A Valenza era operativa una sezione comunista a tutti gli effetti, con riferimenti organici con Alessandria e Torino.
Anche nelle file cattoliche, si costituì nel ’42 la prima sezione della DC, d’ispirazione degasperiana. Nel laboratorio della farmacia Manfredi, alla presenza dell’ex popolare avv. Giuseppe Brusasca, venne fondata la sezione. Contribuirono Carlo Barberis, Gigi Venanzio Vaggi, Luigi e Vittorio Manfredi, Pietro Staurino, Luigi Deambroggi, Luigi Stanchi, Giuseppe Bonelli e Felice Cavalli. La sezione sviluppò immediatamente temi ed iniziative di dissenso clandestino al regime.
Alla notizia dell’arresto di Mussolini, nell’abitazione di Francesco Boris, si tenne un primo incontro per costituire il CLN valenzano. Accanto a Boris per il partito socialista, vi aderirono Luigi Vaggi per la DC, Ercole Morando per il PCI, Vittorio Carones per il Partito d’Azione e Poggio per il PLI, poi sostituito da Barberis detto Cuttica.
Il CLN di Valenza tenne varie riunioni, cambiando sede di volta in volta, per non destare sospetti. Si svolsero a casa Boris, a casa di Costantino Scalcabarozzi, in casa Mazza alle Terme di Monte Valenza, a casa dei fratelli Marchese, nella biblioteca Silvio Pellico dell’oratorio del Duomo di Valenza. <2
Francesco Boris e Paolo De Michelis (già parlamentare socialista negli anni ’20) furono arrestati a marzo 1944 e condotti nella sezione tedesca delle Carceri Nuove a Torino, per poi essere inviati nei campi in Germania. Vennero poi liberati, grazie ad uno scambio di prigionieri.
Il 16 gennaio 1944, il ventenne Sandro Pino venne colpito a morte in occasione di una perquisizione e retata della G.N.R. nel bar Achille, nel pieno centro, alla caccia di antifascisti e ribelli. Il fatto destò grande sconcerto ed intimorì i giovani. Giulio Doria, antifascista ed aderente a metà ’44 al movimento partigiano, ricorda dettagliatamente quei difficili momenti nell’intervista rilasciata a Maria Grazia Molina e pubblicata nel n. 23 di “Valenza d’na vota” edito a dicembre 2008. Il fratello di Giulio, Mario, aderì subito alla formazione autonoma Patria, guidata da Edoardo Martino e Giovanni Sisto. Il secondo fratello, Pietro, visse anni di prigionia in Germania, come militare catturato dai tedeschi. Giulio disertò la chiamata alla Capitaneria di Savona e si diede alla macchia, nella campagna valenzana. Giulio ricorda d’aver curato e nascosto cinque militari australiani, sfuggiti alla cattura dei tedeschi; di averli poi avviati in Lombardia. Anche Giulio entrò nella brigata autonoma Patria, si collegò con Vaggi e tesse una fitta rete di relazioni fra la città ed i comuni del Monferrato.
La presenza strutturata dei tedeschi occupanti cambiò il volto alla città. I liberi movimenti erano impossibili; le truppe tedesche, coadiuvate ed indirizzate dai fascisti repubblichini, erano pervasive. Vennero organizzati frequenti posti di blocco sulle vie di accesso, sulle arterie di comunicazione verso Pavia, Alessandria, Casale Monferrato, Tortona. La ferrovia era super controllata, perchè utilizzata spesso dai tedeschi per il trasferimento di esplosivi ed armi. Dopo i ripetuti bombardamenti alleati al ponte di ferro sul fiume Po, i tedeschi organizzarono attracchi per traghetti, sui quali transitavano truppe, armi e munizioni verso Milano.
Il 17 febbraio 1944, il 10 dicembre 1944 ed il 2 marzo 1945 si ebbero a Valenza rastrellamenti intensi e radicali, con minuziose perquisizioni ad intere vie ed isolati, arresti di giovani.
L' attività della missione americana Youngstown. Inediti dall'archivio di Gian Carlo Ratti
Una precisa conferma dell'organizzazione militare e logistica tedesca, delle forze partigiane operanti nel Monferrato e nel Valenzano, ci viene dall'inedito e significativo materiale documentale presente nell'archivio Gian Carlo Ratti, ora in consegna all'autore, di prossimo commento e pubblicazione. <3 L'archivio è costituito da un dettagliato memoriale, da ampia documentazione in originale, da mappe, appunti, manoscritti, rapporti, note di guerra, attestati, fonogrammi [...]
 

Un'immagine del bombardamento sul ponte e sulla strada di Torre Beretti (PV), effettuato il 27 Luglio 1944 dai bombardieri statunitensi del 320° Bomb Group, tratta dal sito www.320thbg.org, qui ripresa da Sergio Favretto, Op. cit. infra

[NOTE]
1 Si vedano i saggi: "Valenza antifascista e partigiana" di Enzo Luigi Guidi, edito nel 1981 dall'ANPI di Valenza; "Resistenza e nuova coscienza civile" di Sergio Favretto, edito da Falsopiano nel 2009; "La Provincia di Alessandria nella Resistenza" di William Valsesia, edito nel 1980; "Una brigata di pianura, cronaca della 108° brigata Garibaldi Paolo Rossi" di O. Mussio, edito dall'ANPI di Castelnuovo Scrivia, nel 1976.
2 Questi avvenimenti sono descritti nel volume "Resistenza e nuova coscienza civile" di Sergio Favretto, edito da Falsopiano nel 2009
3 L'archivio Ratti è stato solo recentemente consegnato in esame e custodia all'autore. Si presenta, già a primo acchito, come una fonte significativa di documentazione inedita. Per il 2013 si presume possa costituire la fonte di nuove analisi storiche e possa essere ospitato in alcune pubblicazioni sui temi resistenziali del Piemonte.

Sergio Favretto, La Resistenza nel Valenzano. L'eccidio della Banda Lenti, Comune di Valenza (AL), 2012
 
Tra le pubblicazioni di Sergio Favretto: Beppe Fenoglio. Il riscatto della libertà, Falsopiano, 2023; Quando l'arte incontra il diritto. Autenticità e inquietudini del mercato, Giappichelli, 2022; Partigiani del mare. Antifascismo e Resistenza sul confine ligure-francese, Seb27, Torino, 2022; Il papiro di Artemidoro: verità e trasparenza nel mercato dei beni culturali e delle opere d’arte, LineLab, Alessandria, 2020; Con la Resistenza. Intelligence e missioni alleate sulla costa ligure, Seb27, Torino, 2019; Un carabiniere, testimone di storia. Mussolini a Ponza e a la Maddalena narrato in un diario, Arti grafiche, 2017; Una trama sottile. Fiat, fabbrica, missioni alleate e Resistenza, Seb27, 2017; Coraggio e passione. Riccardo Coppo, il sindaco, le sfide, Falsopiano, 2017; Fenoglio verso il 25 aprile. Narrato e vissuto in Ur Partigiano Johnny, Falsopiano, 2015; Resistenza e nuova coscienza civile. Fatti e protagonisti nel Monferrato casalese, Falsopiano, 2009; Il diritto a braccetto con l'arte, Falsopiano, 2007; Giuseppe Brusasca: radicale antifascismo e servizio alle istituzioni, Atti convegno di studi a Casale Monferrato, maggio 2006; I nuovi Centri per l’Impiego fra sviluppo locale e occupazione (con Daniele Ciravegna e Mario Matto), Franco Angeli, 2000; Casale Partigiana: fatti e personaggi della resistenza nel Casalese, Libertas Club, 1977
Adriano Maini 

sabato 19 luglio 2025

Il “fascista alla sbarra” era diventato un interesse comunitario che assorbiva l’attenzione di tutti


Nelle aule di giustizia di Venezia. Le prime udienze “arroventate” <412
Come in altre CAS l’inaugurazione dei processi fu attesa dalla popolazione fremente «tra ansia di giustizia e desiderio di vendetta» <413, e come in altre realtà anche a Venezia il numero di cittadini accorsi per assistere fu esorbitante. L’occasione di essere testimoni alla condanna di un collaborazionista, di un assassino, di un aguzzino costituiva un evento che nessuno si voleva perdere, soprattutto se, come accadde in particolar modo nei primi mesi, le sentenze non così raramente finivano per decretare la pena capitale o decine d’anni di carcere <414. Il “fascista alla sbarra” era diventato un interesse comunitario che assorbiva l’attenzione di tutti. Essendo le udienze pubbliche <415, in migliaia si ammassavano fuori dal tribunale fin dalle prime ore del mattino, pertanto si ripropose anche qui, come in moltissime altre sedi italiane, la necessità di istallare degli altoparlanti fuori dal tribunale, per alleggerire la pressione della folla e non da ultimo per motivi di sicurezza. L’aula veniva aperta un’ora prima del dibattimento <416 (probabilmente verso le ore otto, considerando che moltissimi fascicoli processuali presentano l’annotazione dell’inizio del processo sulle nove/nove e quindici <417) e il flusso veniva regolato da uno speciale servizio d’ordine. «I diffusori trasformarono così i primi processi in pubbliche requisitorie», ai «limiti della spettacolarizzazione» <418. In più la sede della CAS posta nel cuore della città a Rialto, nelle vicinanze del frequentatissimo mercato, non fece che attirare in gran numero anche diversi passanti incuriositi. Di norma il procedimento si svolgeva con una procedura piuttosto rapida. Questo era dovuto a molteplici fattori: prima di tutto all’art. 13 del decreto legislativo n. 142 che dimezzava i tempi dell’istruttoria e del giudizio <419, in secondo luogo ai tempi molto contingentati delle CAS (più volte ricordato, 6 mesi), al numero di processi piuttosto elevato ed infine alle aspettative della cittadinanza, ansiosa di udire sentenze adeguate. All’inizio del dibattimento il presidente della Corte dava lettura dei capi d’accusa per la lasciare poi la parola agli imputati. Seguivano successivamente gli interrogatori dei testimoni a carico e “discarico” <420, la requisitoria del pm e l’arringa dell’avvocato. Al termine di questa fase il presidente e i quattro giudici popolari si ritiravano in camera di consiglio per discutere ed emettere la sentenza <421. È interessante notare, consultando i numerosi fascicoli processuali, che ognuno di essi contiene un semplice foglietto di annotazioni scritte dal presidente, frutto della discussione con i colleghi proprio in camera di consiglio, le quali rappresentano la sentenza ufficiosa (non ancora verbalizzata) pronunciata attraverso i diversi articoli dei codici e dei decreti422. Come rammenta Borghi, seguendo questa procedura il ritmo dei processi fu così spedito da permettere di celebrare più processi al giorno <423. Ad esempio si segnala come le carte del verbale del dibattimento nel processo a Giovanni Berlese, celebrato il 15 giugno ’45, confermino questa tesi: aperto alle 9, il processo venne chiuso appena un’ora dopo, alle 10. La sentenza, per nulla mite, lo condannò a 24 anni di reclusione424 (e «all’interdizione perpetua dai pubblici uffici, all’interdizione legale per la durata della pena, alla libertà vigilata per tempo non inferiore a tre anni [ed] alle spese processuali» <425). Questo dibattimento venne ampiamente superato, in quanto a rapidità dell'udienza, da altri processi che videro però sul banco degli imputati collaborazionisti di minor peso; il dibattimento intero contro Edoardo Frignoli durò appena poco più di mezz’ora <426.
In queste prime udienze il popolo rivestì un ruolo da protagonista. Del resto il rinvio a giudizio dei persecutori che avevano terrorizzato la città e la provincia fino a qualche settimana prima rappresentò una vera e propria attrazione per la folla che partecipò tutt’altro che passivamente alle udienze: urla, fischi, cori e applausi fecero da sottofondo a parecchi dibattimenti <427. Tra questi, alcuni vennero persino interrotti per un eccessivo fermento dei presenti in aula; un rischio inoltre era rappresentato dalla possibilità che la gente si impossessasse dell’imputato per linciarlo e sfogare la propria sete di vendetta. «La presenza, numerosa e rumorosa, della popolazione [divenne] perlomeno fino al declinare del 1945, parte integrante nella rappresentazione dell’aula di giustizia» <428. La stessa stampa quotidiana riportava non solo la sentenza del processo bensì il comportamento del pubblico. Alcune proteste furono così veementi da influenzare il processo stesso, la sentenza e la possibilità della difesa di condurre arringhe efficaci. L’avvocato Carlo Buttero, veneziano e difensore dell’imputata Clementina Pomarici Santoni <429 chiese alla Corte che si tenesse conto, nel pronunciare la sentenza di Cassazione, dell’«ambiente arroventato e pericoloso in cui ebbe a svolgersi il processo» <430 della CAS lagunare. Tale processo, come ancora l’avvocato sottolineò, essendo il terzo celebrato dalla Corte d’Assise straordinaria di Venezia «dopo la Liberazione» risentì fortemente del «furore di popolo che a tutti i costi voleva sangue e condanne gravissime» e così facendo «tolse […] alla difesa la sicurezza e la serenità necessarie per l’adempimento del proprio mandato, sia pure d’ufficio» <431. Simili le affermazioni di un altro avvocato, il romano Mario Pittaluga, che nella difesa stilata per la Cassazione in difesa al suo assistito Gino Carrer <432 (brigatista nero condannato a morte con sentenza pronunciata dalla CAS di Venezia il 26 settembre 1945) scriveva che il verdetto della Corte d’Assise avesse risentito «della arroventata atmosfera in cui il processo si [era] celebrato, ed [era] priv[o] di ogni obiettività e serenità» <433. D’altra parte l’affluenza dei cittadini era stata fortemente condizionata dai quotidiani locali che avevano cominciato a pubblicizzare l’inizio dei lavori delle CAS attraverso numerosi articoli a titoli cubitali nelle prime pagine, con un’intensità che mancava da anni in seguito alle censure del regime. In questo i giornali diretti dagli organi del CLN descrissero l’imminente avvio della giustizia con toni risolutivi e manifestando la convinzione che le corti avrebbero fatto inflessibilmente giustizia <434.
[NOTE] 
412 La definizione è presente nella difesa stilata per la Corte di Cassazione dall’avv. Carlo Buttero, legale di Clementina Pomarici Santoni, ASVe, sezione CAS Venezia, busta numero 1, fascicolo 8, anno 1945, imputato Clementina Pomarici Santoni. Il concetto viene ribadito dalla storiografia generale che descrive le prime udienze come “incandescenti”. La Pomarici era stata nel Ventennio fiduciaria delle organizzazioni femminili del Partito fascista e in seguito aveva aderito alla RSI.
413 T. ROVATTI, Ansia di giustizia e desiderio di vendetta. Esperienze di punizione nell’Italia del Centro-nord, 1945-1946, in E. ACCIAI, G. PANVINI, C. POESIO, T. ROVATTI, (a cura di), Oltre il 1945. Violenza, conflitto sociale e ordine pubblico nel dopoguerra europeo, Viella, Roma, 2017, pp. 73-87.
414 A tal proposito di vedano le prime sentenze della CAS veneziana.
415 Gli unici ad essere esclusi erano coloro che non avevano compiuto i 18 anni. M. DONDI, La lunga liberazione, op. cit., pp. 49-55.
416 Cfr. M. BORGHI, Dall’insurrezione alla smobilitazione, op. cit., p. 61.
417 Si vedano ad esempio i verbali del dibattimento degli importanti processi contro Umberto Pepi e Pio Leoni, ASVe, sezione CAS Venezia, busta numero 1, fascicolo 3, anni 1945, imputato Umberto Pepi e ASVe, sezione CAS Venezia, busta numero 1, fascicolo 19, anno 1945, imputato Pio Leoni.
418 Cfr. M. BORGHI, Dall’insurrezione alla smobilitazione, op. cit., pp. 61-62.
419 Si veda decreto legge luogotenenziale n. 142, 22 aprile 1945, art. 13 e supra, capitolo primo, scena quinta, paragrafo secondo: Alcune problematiche del decreto.
420 È questa la parola che si trova in numerosi processi. Cfr. ASVe, sezione CAS Venezia.
421 Si consulti ad esempio il fascicolo processuale dell’imputato Giovanni Berlese, che contiene una chiara sequenza di queste fasi attraverso i documenti ben ordinati, ASVe, sezione CAS Venezia, busta numero 1, fascicolo 11, anno 1945, imputato Giovanni Berlese. In aggiunta si rimanda per ulteriori informazioni a M. BORGHI, Dall’insurrezione alla smobilitazione, op. cit., p. 62.
422 Sono citati: il decreto legge luogotenenziale n. 159 del 27 luglio 1944, il decreto legge luogotenenziale n. 142, 22 aprile 1945, il Codice Penale militare di guerra e il Codice penale (Codice Rocco).
423 Cfr. M. BORGHI, Dall’insurrezione alla smobilitazione, op. cit., p. 62.
424 ASVe, sezione CAS Venezia, busta numero 1, fascicolo 11, anno 1945, cit. D’altra parte pur essendo poco mite la sentenza della CAS veneziana, poi confermata dalla Cassazione, il condannato beneficiò dell’amnistia Togliatti e venne scarcerato. Questa informazione è reperibile grazie al primo documento del fascicolo ma ultimo in ordine cronologico, datato 3 luglio 1946.
425 Ivi, documento numero 21.
426 ASVe, sezione CAS Venezia, busta numero 3, fascicolo 76, anno 1945, imputato Edoardo Frignoli.
427 Si vedano, tra i tanti, il caso Basile descritto in L. BORDONI, La sentenza Basile e il dibattito sul funzionamento delle Corti d’assise straordinarie lombarde, in C. NUBOLA, P. PEZZINO, T. ROVATTI, (a cura di), Giustizia straordinaria tra fascismo e democrazia. I processi presso le Corti d’assise e nei tribunali militari, Il Mulino, Bologna, 2019, pp. 57-69 e H. WOLLER, I conti con il fascismo, op. cit., pp. 410-423.
428 M. BORGHI, Dall’insurrezione alla smobilitazione, op. cit., p. 63.
429 Per una breve analisi del processo alla Pomarici Santoni si veda sotto: “scena quarta”.
430 ASVe, sezione CAS Venezia, busta numero 1, fascicolo 8, anno 1945, cit.
431 Ibidem. Il documento è datato 11 gennaio 1946, e precede cronologicamente un atto che riporta la sentenza della Cassazione datata 24 giugno dello stesso anno (con udienza avvenuta il 17 aprile).
432 ASVe, sezione CAS Venezia, busta numero 3, fascicoli 87-88, anno 1945, cit.
433 Ivi, difesa per la Corte di Cassazione dell’avv. Mario Pittaluga, datato 31 gennaio 1946. Woller sostiene che in talune occasioni la pressione popolare in aula fu così forte da non permettere alla difesa di pronunciarsi. A questi avvocati, sostiene l’autore, non rimase che presentare solamente una difesa in forma scritta. Vedi H. WOLLER, I conti con il fascismo, op. cit., p. 413.
434 Si veda M. DONDI, La lunga liberazione, op. cit., pp. 49-55.
Mauro Luciano Malo, La giustizia di transizione tra fascismo e democrazia. La Corte d’Assise straordinaria e l’amnistia Togliatti a Venezia (1945-1947), Tesi di laurea, Università Ca' Foscari - Venezia, Anno Accademico 2019-2020

lunedì 7 luglio 2025

La rottura frontale e radicale fra Pci, Cgil e movimenti giovanili fa emergere questioni riconducibili solo in parte alla politica


Il Ministro degli Interni Cossiga descrive così, intervenendo al Senato, i fatti di Bologna e di Roma [del 12 mqrzo 1977]: "L’uso di armi da guerra, l’aggressione deliberata alle forze dell’ordine, la sistematica distruzione di negozi e autovetture, gli assalti alle caserme e agli uffici di polizia hanno posto l’autorità di fronte a gravissimi problemi che hanno dovuto essere affrontati anche con l’uso di mezzi pesanti blindati" <915.
Lo stesso giorno a Torino, un commando di Prima linea uccide il brigadiere di pubblica sicurezza Giuseppe Ciotta. Le segreterie torinesi di Pci, Cgil, e Psi reagiscono estendendo un aspro comunicato di condanna: "Questa mattina a Torino il brigadiere di PS Giuseppe Ciotta è stato barbaramente assassinato da un commando terroristico che ha rivendicato, con un linguaggio delirante contro le forze dell’ordine la paternità dell’attentato. Ieri a Bologna, in un clima di violenza quadristica originato da una inammissibile provocazione ai danni di una assemblea studentesca, l’intervento della polizia, sul quale è necessario fare piena luce, ha provocato la morte dello studente di Lotta continua Pier Francesco Lorusso. I partiti democratici chiedono che si faccia piena luce sugli episodi accadute, si rivolgono alle autorità preposte alla tutela della sicurezza dei cittadini affinché la salvaguardia della legalità repubblicana sia garantita. Riaffermano la necessità di un comune impegno delle forze democratiche per la difesa della libertà e della democrazia" <916.
La rottura frontale e radicale fra Pci, Cgil e movimenti giovanili fa emergere questioni riconducibili solo in parte alla politica. La discussione che attraversa la Fgci e il Partito comunista sembra cogliere ben poco di questi elementi, essendo incentrata principalmente a condannare la guerriglia scatenata a Bologna da «squadristi armati» o l’assalto eversivo contro lo stato democratico» <917. Riflettendo sul problema dei giovani Luciano Lama, ad esempio, si affida ad una interpretazione generosa ma chiaramente irricevibile da parte di quei gruppi sociali. Nonostante la costante preoccupazione della Cgil per i disoccupati, per la costruzione di alleanze sociali, la forza della cultura del lavoro operaio e produttivo rimane prevalente. La proposta di Lama è irricevibile da parte di quei gruppi sociali che non possono avere quella cultura operaia e del lavoro e anzi protestano contro quel lavoro visto ora come elemento di negazione di ogni identità: "Non c’è dubbio che in questo campo esiste oggi un distacco, una rottura perché una parte non piccola della gioventù non si riconosce nella tradizione politica del movimento operaio e anche nelle istituzioni democratiche. […] come saldare le giovani generazioni che sono tenute fuori dalle strutture produttive con il movimento operaio che in queste strutture ha le sue basi più agguerrite? Come combattere quello che io chiamerei un esistenzialismo consumistico e l’estremismo, offrendo nel contempo un proficuo terreno di incontro a quei giovani? La sola vera garanzia che noi diamo ai giovani è la partecipazione alle lotte del movimento sindacale per il cambiamento della società italiana e della condizione dei lavoratori e dei giovani" <918.
Sull’esplosione di questa rottura culturale e generazionale pesano anche ragioni specifiche. Come scrive Piero Craveri, “in un paese caratterizzato da un labirinto di aree protette - protette in primo luogo dal sistema pubblico - le fasce di emarginazione sociale rimanevano ancor più prive di plausibile giustificazione” <919. Alla base vi è qualcosa di profondamente diverso rispetto al ’68. “Manca al movimento del ’77 l’ottimismo profondo, la carica psicologica della generazione precedente: una generazione che si sentiva comunque parte di una società del benessere, sia pure segnata da ingiustizie e distorsioni” <920.
È utile a questo proposito analizzare la discussione e le analisi del Pci, di cui si è appena detto. Il dibattito sulla condizione giovanile e sugli eventi di questi mesi viene affrontata dal Comitato centrale che si riunisce dal 14 al 16 marzo 1977. La relazione introduttiva svolta da Massimo D’Alema, segretario nazionale della Fgci, si concentra sui fatti di Bologna dell’11 marzo e sugli episodi di violenza susseguitisi in altre città nei giorni seguenti: "Di fronte a simili episodi il primo punto da affrontare è la necessità di un’azione straordinaria in difesa della democrazia e delle istituzioni. La situazione rischia di diventare incontrollabile perché estremismo politico, sovversivismo e disgregazione sociale vanno ad unirsi all’aggravarsi della crisi economica, morale e ideale. I gruppi estremisti hanno scelto di attaccare con azioni squadristiche il Pci, le forze democratiche e il sindacato per impedire lo sviluppo di un movimento unitario di giovani per il cambiamento della società. […] alcune formazioni, tra cui Autonomia operaia e Lotta continua, organizzano azioni violente e armate contro le manifestazione del movimento democratico, altre, spesso in modo ambiguo e contraddittorio svolgono un ruolo di copertura e complicità" <921. D’Alema conclude la sua relazione lanciando un allarme. Il dirigente comunista vede il rischio di una frattura fra i giovani e il sistema democratico tale da favorire le posizioni estremiste. Paolo Spriano, nel suo intervento, esprime un giudizio ancora più preoccupato sulla situazione e descrive così il corteo autonomo del 12 marzo a Roma: "Un corteo cupo, lugubre, dominato da una estrema carica di violenza, come le parole che più si sentivano, che poi erano le uniche che circolavano. «Bruceremo la città», «Violenza proletaria», «Berlinguer boia», con un’ostentazione di armi, ad esempio di bottiglie incendiarie, di spranghe di ferro, di gesti di vandalismo contro qualsiasi cosa capitasse a tiro, da una vetrina al parabrezza di una macchina" <922.
[NOTE]
915 Cossiga racconta le ore nere di Roma e Bologna, in «la Repubblica», 15 marzo 1977.
916 Il documento approvato dalle segreterie torinesi di Pci, Cgil e Psi del 12 marzo 1977 è in Una Regione contro il terrorismo, cit., p. 55.
917 Inizia così l’intervento di Massimo D’Alema, segretario nazionale della Fgci al Comitato centrale del Pci del 14-16 marzo 1977. I verbali del Comitato centrale sono pubblicati in I comunisti e la questione giovanile, Atti della sessione del Comitato centrale del Pci, Roma, 14-16 marzo 1977, Roma, Editori Riuniti, 1977, p. 11.
918 As Cgil nazionale, Organismi dirigenti, Consiglio generale. Verbale della riunione del 12-13 marzo 1977. Relazione di Luciano Lama.
919 P. Craveri, La repubblica dal 1958 al 1992, cit., p. 720.
920 Ivi, p. 722.
921 I comunisti e la questione giovanile, Atti della sessione del Comitato centrale del Pci, Roma, 14-16 marzo 1977, cit., Intervento di D’Alema, pp.14-15.
922 Ivi, Intervento di Paolo Spriano, p. 89.
Francescopaolo Palaia, La Cgil e il Pci fra violenza terroristica e radicalità sociale (1969-1982), Tesi di dottorato, Università degli Studi "Sapienza" - Roma, Anno Accademico 2016-2017

Fra le variabili che contribuiscono a definire la relazione fra Pci e gruppi alla sua sinistra - ferma restando la centralità rivestita dalla congiuntura politica, nello specifico dal percorso di avvicinamento dei comunisti all’area di governo - ve ne sono due di particolare interesse: natura e finalità delle diverse formazioni politiche e presenza o meno di un movimento di massa verso il quale indirizzare l’intervento del partito. Per quel che riguarda il primo aspetto, va rilevato il cambiamento verificatosi con l’affermazione delle organizzazioni autonome a scapito delle altre formazioni della sinistra rivoluzionaria. Laddove c’era stato un rapporto sì conflittuale ma dialogico, aperto a possibili forme di collaborazione (e speculari aperture di credito quali l’indicazione di voto per il Pci data da Lotta continua alle elezioni amministrative del 1975), come sull’antifascismo, subentra una chiusura netta nei confronti di una forma di organizzazione politica sentita come sideralmente distante dai propri riferimenti teorici e culturali.
Per quel che attiene alla seconda variabile indicata, occorre evidenziare un apparente paradosso: il momento di più acuto dispiegamento della “guerra a sinistra” <6 - il ’77 e, nello specifico, la contestazione a Lama all’università di Roma - coincide col più profondo tentativo di comprensione delle istanze del movimento, in rapporto al quale viene avanzata un’autocritica che fa perno sui ritardi di elaborazione e di intervento accumulati negli anni dal Partito comunista <7. Nel mese di febbraio la questione universitaria irrompe prepotentemente nell’agenda politica comunista: compare all’ordine del giorno delle riunioni di segreteria <8, sollecita la presa di posizione degli intellettuali organici al partito <9, impegna la direzione. Nei giorni successivi all’episodio in cui è rimasto coinvolto il segretario della Cgil, viene approvato un documento sulla situazione all’interno delle università. Nel corso del dibattito in sede di direzione quasi tutti gli interventi mettono in rilievo gli errori commessi dal Pci in rapporto alla questione giovanile e, in particolare, alla situazione di sofferenza di ampie parti della società, pur manifestatasi in episodi di intemperanza da condannare <10.
[...] Si fanno spazio due importanti riconoscimenti: da un lato si prende atto che i gruppi la cui azione deleteria penalizzerebbe le ragioni della contestazione, anche se «non rappresentano l’insieme del movimento, […] pure sono presenti e, in alcune realtà, in modo significativo»; dall’altro, si ammette che «è necessario compiere anche una serena e rigorosa autocritica da parte dei comunisti per gli errori e le incertezze che vi sono stati». Se il Pci non ha saputo cogliere i segnali di malessere e intervenire energicamente per evitare che la protesta venisse strumentalizzata dagli estremisti, tuttavia è la Democrazia cristiana ad avere le colpe principali, perché incapace nei suoi trent’anni di governo di affrontare i nodi e le problematiche sottese alla scolarizzazione di massa e alla crisi occupazionale dei giovani.
Emerge qui un altro paradosso: il Pci valorizza in queste posizioni la sua condizione di partito rimasto fino al 1977 ai margini della sfera governativa, a differenza del principale avversario a sinistra, il Psi; malgrado ciò, i comunisti sono il principale bersaglio della contestazione, mentre i socialisti, come è stato osservato <12, possono approfittare del loro ruolo di tertia gaudentes nella contrapposizione in atto per muovere le proprie critiche al sistema di gestione politico-economico, di cui pure sono stati compartecipi a partire dagli anni sessanta. Si ripropone sostanzialmente quello schema, di cui si è parlato a proposito della dinamica politica degli anni settanta, per il quale il confronto fra i due partiti avviene all’insegna della contrapposizione fra l’inclinazione compromissoria del Pci e la propensione riformista del Psi.
L’autocritica compiuta in merito all’intervento deficitario dei comunisti nelle università si traduce infine nella discussione al comitato centrale del partito di marzo, incentrata sulla questione giovanile. La relazione introduttiva è affidata al segretario della Fgci Massimo D’Alema che, a posteriori, parlerà di un cc drammatico, nel quale le proposte di apertura si scontrarono con le diffidenze e gli arroccamenti di alcuni dei maggiorenti del partito <13. L’assemblea ha luogo, d’altronde, all’indomani del 12 marzo, quando - nel corso della manifestazione nazionale del movimento, a un giorno di distanza dall’assassinio di Francesco Lorusso a Bologna <14 - la capitale è sconvolta da scontri durissimi fra manifestanti e forze dell’ordine, nei quali non viene lesinato l’uso di armi da fuoco da entrambe le parti <15. Quella che costituisce a tutti gli effetti la dimostrazione caratterizzata dalla maggior carica di violenza organizzata del movimento ha l’effetto di inibire le pur timide aperture e concessioni fatte dal Pci nel mese precedente, frustrando i cauti tentativi di distinguo e le proposte di intervento provenienti dalla Fgci.
[NOTE]
6 Cfr. Roberto Colozza, Guerra a sinistra, cit.
7 «In sintesi, se - a livello di linea politica - la polemica con l’estremismo fu sempre netta, nel momento in cui esso era parte di movimenti reali nella società l’atteggiamento del Pci fu duplice: attenzione alle ragioni dei movimenti, forte polemica con tutte le organizzazioni alla propria sinistra che ne volevano assumere la rappresentanza»: E. Taviani, Pci, estremismo di sinistra e terrorismo, cit., p. 246.
8 Cfr. i verbali delle riunioni della segreteria del Pci dell’8 e del 18 febbraio 1977, in Ig, Apc, 1977 - I bimestre, Segreteria, mf. 288, pp. 0162x e 1065x.
9 Cfr. Aldo Tortorella, Saper vedere il pericolo, «l’Unità», 19 febbraio 1977; A. Asor Rosa, Le convulsioni dell’Università, cit. e Id., Forme nuove di anticomunismo, cit.
10 Cfr. il verbale della riunione della direzione del Pci del 19 febbraio 1977, in Ig, Apc, 1977 - I bimestre, Direzione, mf. 288, pp. 0140x ss.
12 Cfr. R. Colozza, Guerra a sinistra, cit., pp. 99-100.
13 Cfr. Massimo D’Alema, A Mosca l’ultima volta. Enrico Berlinguer e il 1984, Donzelli, Roma, 2004, pp. 130-31.
14 Sui fatti di Bologna cfr. Autori molti compagni, Bologna marzo 1977… fatti nostri…, Bertani, Verona 1977.
15 Cfr. il resoconto della giornata fornito dalla questura di Roma, in Acs, Mi - gab., 1976-80, b. 59, f. «Relazioni mensili», relazione sugli incidenti riguardanti l’ordine pubblico verificatisi nel marzo 1977, redatta dalla Direzione generale di pubblica sicurezza - Servizio ordine pubblico e stranieri - Divisione ordine pubblico.
Salvatore Corasaniti, Quando parla Onda Rossa. I Comitati autonomi operai e l'emittente romana alla fine degli anni settanta (1977-1980), Tesi di dottorato, Sapienza - Università di Roma, Anno accademico 2017-2018