lunedì 30 gennaio 2023

Di fatto il documento sanciva l’instaurazione del regime di occupazione nazista di Roma


[...] nel pomeriggio del 10 settembre 1943, più precisamente alle 16.30 a Frascati (dove vi era il comando militare germanico in Italia) il generale Giaccone e il generale Sigfried Wespahl - capo di Stato Maggiore tedesco al servizio di Kesselring - avevano proceduto alla firma del documento di resa della Capitale. Guardando con attenzione le condizioni poste dal Comando Tedesco si rimane sorpresi da quanto queste fossero stranamente morbide per essere delle condizioni di resa a una potenza occupante <82, specie se famosa per la violenza e l’efferatezza delle sue azioni repressive come quella nazista; in base agli accordi le truppe tedesche si impegnavano a rimanere ai margini della città, all’interno della quale il controllo dell’ordine pubblico sarebbe stato affidato a un “Comando della Città Aperta” con a capo il generale Calvi di Bergolo, a cui venne anche promessa un’intera divisione di fanteria. L’accordo prevedeva inoltre il disarmo di tutti gli altri corpi dell’esercito italiano ma i tedeschi acconsentirono a che le armi sequestrate venissero poste sotto una “comune amministrazione italo-tedesca” <83.
Se però ufficiosamente il documento lasciava intendere un rapporto di collaborazione tra forze militari italiane, rappresentanti della tradizione monarchica sabauda, e quelle tedesche, di fatto il documento sanciva l’instaurazione del regime di occupazione nazista nella città; sin da subito infatti i tedeschi non rispettarono affatto gli accordi presi; la comune amministrazione italo-tedesca dell’arsenale sequestrato non venne mai istituita e le armi requisite alle divisioni militari italiane restarono esclusivamente in possesso tedesco. A disposizione di Calvi vennero messi, anziché un’intera divisione come promesso, solo 3 reggimenti della Piave, dotati soltanto di armi leggere, ed egli fu immediatamente affiancato dal generale Stahel nel comando della città <84, il cui libero esercizio era come detto una delle prerogative dell’accordo.
A concorrere alla realizzazione del piano tedesco di “tradire i traditori” e di instaurare il pieno dominio germanico sulla Capitale per 9 mesi fu sicuramente la liberazione il 12 settembre di Mussolini a Campo Imperatore, sulle montagne del Gran Sasso in Abruzzo, dove era stato segretamente nascosto da Badoglio, e il conseguente annuncio via radio da Monaco di Baviera della nascita della RSI (18 settembre); per i tedeschi da quel giorno era venuta meno la necessità, anche solo formale, di mantenere a Roma un comandante militare italiano, per di più legato da vincoli parentali al re traditore. Per mettere in atto il loro piano i tedeschi utilizzarono un furbo espediente: sfruttando come pretesto l’uccisione di 6 militari tedeschi da parte di militari italiani, il 23 settembre disposero come rappresaglia il disarmo e la deportazione in Germania di 1000 soldati della Piave per ciascuno dei loro uccisi. <85
Sebbene poi ne abbiano effettivamente deportati “solo” 1600, ciò causò comunque l’indignazione di Calvi la cui inevitabile protesta portò alla sua destituzione, all’arresto e alla sua deportazione in Germania assieme al generale Riccardo Maraffa, comandante nel Lazio della PAI, Carmine Senise, capo della polizia, il generale Ugo Tabellini e altri esponenti di primo piano delle forze armate italiane. <86
A questo punto, fatti fuori i vertici del Comando della Città Aperta, i nazisti poterono liberamente esercitare un dominio incontrastato sulla città. Dal 23 settembre ’43 essi procedettero a un rimpasto/cambio dei vertici delle istituzioni cittadine; il generale Menotti Chieli, vicino ai tedeschi, e il generale Domenico Chirieleison furono nominati capi del “Comando della Città Aperta”, il generale Presti assunse la carica di capo della polizia della “Città Aperta”, alla cui dipendenze furono poste la Guardia di finanza e la PAI. Venne stabilito che questi due corpi di polizia avessero il compito di fornire i plotoni destinati a eseguire le sentenze di condanna a morte per fucilazione emesse dai tribunali tedeschi e fascisti <87. Per imprimere un capillare controllo sulla città i tedeschi dovevano insediarsi all’interno di essa; a tal proposito il tenente colonnello delle SS Herbert Kappler decise di adibire uno stabile in via Tasso, già sede dell’ufficio culturale dell’ambasciata tedesca, a sede romana della Gestapo e delle SS <88. Questo stabile - che nell’immaginario collettivo verrà da lì in poi sempre associato dai romani a luogo di torture e morte - era composto di due ali; l’ala sinistra, al civico 155, costituì la caserma della polizia nazista, mentre l’ala destra, al civico 145, la prigione dove oltre 2000 antifascisti romani vennero interrogati, torturati e imprigionati in attesa che il tribunale emettesse la condanna a morte. Tribunale che invece venne insediato in via Lucullo 689. Le condanne a morte venivano invece materialmente eseguite nel Forte Bravetta, uno dei 15 forti siti nella città di Roma, che già durante il fascismo era stato utilizzato come luogo di esecuzione delle condanne a morte degli oppositori politici più accaniti.
Per quanto i nazisti a Roma abbiano instaurato un regime di occupazione duro a tal punto da far sviluppare nella popolazione un sentimento di diffusa ostilità nei confronti dell’occupante e si siano resi protagonisti di diversi crimini contro l’umanità, imprigionando, torturando e fucilando partigiani, ebrei, antifascisti o supposti tali, essi non riuscirono a dispiegare appieno il loro apparato repressivo; riscontrarono grandi difficoltà nelle ricerche degli oppositori politici e dei partigiani, che per un buon numero vivevano in clandestinità, e nello scovare i nascondigli degli ebrei che erano sfuggiti al rastrellamento del 16 ottobre. Ciò era dovuto alle sterminate dimensioni di una città come Roma, per controllare la quale erano necessarie forze di polizia che conoscessero bene il territorio, cosa ovviamente impossibile per gli agenti della Gestapo, i quali però non vollero servirsi degli agenti della polizia italiana nei confronti della quale i tedeschi nutrivano una profonda sfiducia.
[NOTE]
82 G.RANZATO, La liberazione, cit., p.89
83 Ibidem
84 Ibidem
85 Ivi, pp.89-90
86 ALDO PAVIA, Resistenza a Roma; una cronologia, p.18
87 Ivi, p.19
88 Ivi, p.15
89 Ivi, p.17
Guglielmo Salimei, Roma negli anni della liberazione: occupazione nazista e lotta partigiana, Tesi di laurea, Università Luiss "Guido Carli", Anno accademico 2020-2021