mercoledì 13 settembre 2023

Attraverso le elezioni, i cittadini europei avrebbero potuto accrescere progressivamente il loro interesse nei confronti dei temi comunitari


Una curiosa espressione di Jacques Delors, più volte utilizzata nel corso della sua carriera, definì le istituzioni comunitarie come un "opni, oggetto politico non identificato". L'affermazione di Delors appare come un compromesso tra l'interesse a tutela dei diritti degli Stati e la necessità di attribuire al processo di integrazione europea istituzioni stabili e soprattutto autonome.
In realtà, i caratteri di profonda instabilità mostrati dal modello di Comunità ne fecero scaturire due orientamenti interpretativi differenti. Il primo considerò il raggiungimento dell'obiettivo prefissato nella realizzazione di una unione politica; come sostiene Riccardo Perissich, "Ai limitati trasferimenti di sovranità già decisi, altri ne sarebbero seguiti, anche se sempre in modo graduale. Coerentemente con questo approccio, le istituzioni avrebbero dovuto evolvere verso un modello classico. La Commissione si sarebbe trasformata in un esecutivo federale; il Consiglio dei ministri in un "Senato degli Stati"; l'Assemblea parlamentare in un vero Parlamento federale" <490.
Il secondo orientamento si basò sull'idea che il principio di sovranità non potesse essere frammentato e che il conferimento di potere previsto dai Trattati fosse più di carattere tecnico che politico. Questa seconda interpretazione aumentò i dubbi e la diffidenza nei confronti della Commissione e ancor più del Parlamento. C'è da dire inoltre, che gli Stati firmatari dei Trattati si riconobbero più nella prima lettura del modello, con un necessario distinguo per la Francia che, all'epoca dell'entrata in vigore era presieduta dal generale Charles De Gaulle, fortemente contrario, come noto, all'idea di una qualsiasi minima cessione di potere a livello sovranazionale.
A seguito della fusione di CECA, CEE ed EURATOM una sola Commissione unificò l'apparato amministrativo mentre al Parlamento europeo venne assegnato unicamente il compito di esercitare il potere in materia di bilancio, oltre ad una funzione meramente consultiva; l'elezione diretta del Parlamento fu contemplata nell'articolo n. 138 del Trattato istitutivo della Comunità europea nel quale, oltre ad essere indicato il sistema di elezione dei parlamentari europei delegati come provvisorio, venne previsto che il Parlamento avrebbe elaborato progetti volti alla realizzazione di una procedura di elezione uniforme per tutti gli Stati membri.
Di fatto, negli anni che intercorsero tra il 1951 e il 1976, furono presentate numerose proposte orientate all'istituzione della procedura di elezione a suffragio universale diretto che, dopo molte difficoltà, trovarono soltanto nel 1979 la loro attuazione; questo risultato rappresentò l'inizio di una nuova era in cui l'importanza della comunicazione politico-istituzionale giocò un ruolo fondamentale per creare il necessario contatto con i cittadini, in previsione della loro partecipazione al voto europeo.
Ricordiamo come nel 1974, al vertice francese presieduto da Valéry Giscard D'Estaing, venne adottata la decisione di istituire il Consiglio europeo e l'elezione diretta del Parlamento. L'evento avrebbe esercitato una notevole influenza nella dinamica istituzionale europea; nonostante il suo assetto di Assemblea diversa da quelle nazionali, il Parlamento europeo direttamente eletto avrebbe preteso un aumento della propria influenza politica così come del proprio peso istituzionale.
Attraverso le elezioni, i cittadini europei avrebbero potuto accrescere progressivamente il loro interesse nei confronti dei temi comunitari riuscendo a percepire meglio l'esistenza di un'istituzione fino ad allora poco conosciuta. Su questo aspetto federalisti e "gradualisti" si collocarono su posizioni discordanti, in quanto i primi da sempre consideravano il Parlamento eletto come "Congresso del popolo europeo" e quindi come il potere costituente della futura Federazione europea. Personalità di spicco sui singoli piani nazionali, costantemente impegnate nella causa dell'integrazione europea (solo per citare alcuni nomi si ricordano Altiero Spinelli, Simone Veil, Helmut Kohl, Jacques Chirac), oltre ad esponenti politici ed intellettuali che interpretarono un ruolo di forte influenza all'interno dei loro partiti riguardo alla scelta europeista (per l'Italia ricordiamo Giorgio Amendola, Enrico Berlinguer, Mauro Ferri, Gaetano Arfè), si impegnarono con l'intento di legittimarne il ruolo rispetto alle altre istituzioni, in particolar modo la Commissione. I parlamentari eletti nel primo suffragio universale diretto si trovarono quindi ad affrontare temi che andavano dalla questione dei Paesi comunisti ai rapporti con il Terzo mondo, alla progettazione di una televisione europea fino alla necessità di redigere una prima bozza di Costituzione europea.
Il ricorso alle candidature di personalità politiche ben note all'opinione pubblica quali Enrico Berlinguer, Simone Veil, Willy Brandt, si pensò potesse offrire un maggiore potenziale all'organizzazione della propaganda.
La campagna elettorale del giugno 1979, così come le altre due successive, fu tuttavia caratterizzata, soprattutto in Italia e Francia, da argomenti troppo spesso collegati alla dialettica politica della propria nazione. In ogni caso l'informazione data ai cittadini europei fu in grado di suscitare un inevitabile interessamento ai problemi comunitari, ma soprattutto alla realtà sovranazionale.
L'affluenza al voto fu comunque inferiore rispetto alle elezioni nazionali. Nei motivi della scarsa partecipazione al voto, oltre l'assenza di dibattito propriamente europeo vi fu anche il fatto che le strategie dei partiti tesero ad una sorta di strumentalizzazione delle elezioni europee, puntando attraverso le campagne elettorali al perseguimento di obiettivi nazionali.
Il primo scrutinio diretto fu in grado comunque di dare una ventata di novità al concetto di democrazia europea. La nuova legittimità consentì al Parlamento di consolidare nel tempo i propri poteri e di interpretare un ruolo all'interno del processo decisionale comunitario che all'epoca poteva dirsi quanto meno "nebuloso".
Una volta fissato il periodo di svolgimento delle prime elezioni, le forze politiche nazionali dovettero sostenere una sfida che le avrebbe costrette a rimettersi in gioco, cercando di rinnovare gli argomenti e i temi individuati per le campagne elettorali nazionali. Una maggiore consapevolezza riguardo alla necessità di allargare l'orizzonte, senza trascurare tuttavia il contatto con i propri elettori e cercando le possibili somiglianze con gli altri partiti europei, avrebbe consentito di conciliare la propria ideologia in un contesto più ampio.
Occorre tener presente come tra il 1975 e il 1979 si fossero create all'interno dell'Assemblea parlamentare non eletta, formazioni politiche rappresentative di partiti accomunati da un orientamento affine a quello nazionale. La diversità di ideologie, tuttavia rendeva queste coalizioni molto deboli, soprattutto per via della tanto difficile integrazione ostacolata dalla predominanza degli interessi nazionali anteposti a quelli comunitari. La primazia dei partiti nazionali ha sempre costituito un ostacolo all'autonomia di azione dei gruppi e delle federazioni lasciando, fino ad oggi, inattuata la costituzione di veri e propri partiti europei.
All'indomani del primo suffragio universale diretto, tuttavia, il nuovo parlamentare europeo avrebbe assunto il ruolo di trait d'union tra il proprio elettorato, il proprio partito, la coalizione europea e il Parlamento stesso.
I tratti caratterizzanti il percorso politico-istituzionale del Parlamento europeo sono stati oggetto di approfondimento nello studio dei casi relativi ai tre Paesi considerati rivelando le differenze che, per la natura stessa del ruolo giocato nel contesto sovranazionale, non hanno risparmiato il processo di integrazione e, nel caso specifico, la partecipazione alle elezioni dirette del Parlamento. Accomunando Italia e Francia, Paesi fondatori della Comunità europea che si dimostrarono troppo intenti a trattare temi nazionali durante le campagne elettorali, nel Regno Unito l'idea di Europa si coniugò con la costante valutazione di tutti gli elementi che sarebbero risultati convenienti per partecipare, senza che tutto ciò costringesse a modificare o rinunciare a quanto già in possesso, atteggiamento che trovò nella linea di governo di Margaret Thatcher una perfetta interpretazione durata per l'intero decennio esaminato.
Se per il primo suffragio universale diretto l'attività maggiore fu quella di approntare nuovi metodi organizzativi per le campagne elettorali, adatti alla ricerca di un consenso più ampio, diretto a legittimare l'istituzione sovranazionale, nella seconda e terza tornata le riflessioni delle forze politiche si resero necessarie per cercare di individuare le cause del progressivo calo partecipativo. I difetti di una comunicazione politica spesso basata su issues nazionali, soprattutto riguardo la Francia, ha di sicuro rappresentato una delle possibili cause, ma l'atteggiamento stesso dei partiti, apparso frequentemente poco incline a credere seriamente nell'importanza delle elezioni, ha lasciato percepire incertezza ai cittadini europei.
Per altro verso, anche le campagne elettorali comunitarie, sebbene abbiano investito molte risorse per cercare di catturare il consenso dell'opinione pubblica, hanno mostrato la parziale efficienza dei mezzi messi in atto.
Elezioni di second'ordine quindi? E' possibile parlarne ancora in questi termini? Da quanto emerso nel corso della ricerca condotta sul versante storico-politologico, il livello delle elezioni europee non risulta affatto secondario. Il dato partecipativo, anzi è inversamente proporzionale alla quantità di lavoro preparatorio sia dal punto di vista politico che amministravo-istituzionale, ben superiore a qualsiasi suffragio nazionale.
Ci si chiede allora perché gli elettori non abbiano risposto con altrettanto entusiasmo. Qui le risposte trovano differenti possibilità da tenere nella giusta considerazione: la poca attenzione ai temi comunitari, la qualità della comunicazione, l'errore di propagandare l'evento troppo a ridosso delle date di svolgimento, l'eccessiva distanza tra istituzioni e cittadini, il livello culturale degli elettori, i giorni della settimana individuati per i suffragi spesso troppo vicini ad elezioni nazionali appena svolte, la classe politica poco convinta.
In realtà tutti questi fattori rappresentano concause della scarsa partecipazione. Il cittadino europeo in mezzo a questo guazzabuglio è il personaggio principale di una performance in cui lui stesso determina la riuscita.
Nonostante i numeri evidenzino una progressiva flessione nei dieci anni esaminati, i cittadini non sono rimasti indifferenti di fronte alle novità introdotte dal processo di integrazione europea. Spesso, soprattutto durante i sondaggi, accanto ad una percentuale di "indifferenti" o "euroscettici", molti intervistati hanno lamentato la poca autorità del Parlamento europeo nel contesto istituzionale comunitario <491 confidando in ulteriori progressi strutturali. Il mancato raggiungimento di questo obiettivo, preannunciato già prima del 1979, insieme alle vicende politiche legate al proprio Paese, ha gradualmente provocato negli elettori reazioni di protesta attraverso il non voto o il voto negativo <492, comportamenti capaci di delineare una partecipazione differente rispetto alla decisione di esprimere la propria scelta. Questo tipo di elettore ha mostrato di essere stato raggiunto dall'informazione diffusa durante le campagne elettorali e, sulla base di quanto appreso, ha deciso consapevolmente di non votare o di esercitare un voto diverso annullando o votando scheda bianca; quindi si è recato ai seggi, non è rimasto inerte disinteressandosi di quanto stava accadendo. L'auspicio di un consolidamento istituzionale del Parlamento e di una maggiore coesione politica della Comunità europea non ancora raggiunti, anche per responsabilità delle politiche nazionali, ha posto l'elettore in condizione di negare il proprio contributo o protestare verso il mancato conseguimento dei risultati.
L'accrescimento della conoscenza e del coinvolgimento, sebbene presenti, non sono andati di pari passo con la partecipazione. Elementi di insoddisfazione hanno caratterizzato il comportamento dell'elettore realmente europeista.
I cittadini europei possono in realtà collocarsi in tre macro aree nelle quali si ritrovano gli europeisti, gli euroavversi e gli euroscettici. Se le aspettative degli europeisti sono rimaste deluse, gli euroavversi hanno parzialmente esercitato il diritto di voto alimentando quelle liste comunque presenti nella competizione europea. Gli euroscettici, invece hanno rappresentato il punto nevralgico dell'elettorato. Trovandosi in quella parte di popolazione attenta ad osservare quali e quanti cambiamenti sarebbero avvenuti a partire dal 1979 hanno avuto modo di consolidare la loro posizione continuando a percepire la Comunità ancora lontana e prevalentemente scomoda se non inutile. A differenza dell'europeista deluso che comunque ha continuato a partecipare, magari protestando, e dell'euroavverso che ha espresso il suo disappunto preferendo i partiti antieuropeisti, l'euroscettico ha proseguito nell'osservazione, affiancandosi agli incerti che sono rimasti a casa.
A questo punto sono apparse inevitabili ulteriori valutazioni verso quegli elementi che caratterizzano le elezioni in genere. Ciò che attrae il cittadino ai seggi elettorali è prevalentemente il peso che le elezioni possono esercitare sui cambiamenti del governo nel proprio Paese. Il "less at stake" delle elezioni europee ha rappresentato sicuramente uno dei motivi scatenanti i sentimenti appena descritti; lo scenario si profila diverso, "In such ‘marker-setting' elections, voters have an incentive to behave tactically, but in a sense of the word ‘tactical' that is quite different from what we see in National elections, where large parties are advantaged by their size. In a markersetting election the tactical situation is instead characterized by an apparent lack of consequences for the allocation of power, on the one hand, and by the attentiveness of politicians and media, on the other" <493.
La mancanza di conseguenze sul livello nazionale garantita dalle elezioni europee ha "alleggerito" l'elettore della responsabilità di orientare con la propria scelta il corso della politica nazionale. Sebbene nel 1979 vi fosse stata un'attività partitica a livello transnazionale consentita anche dalla disponibilità di fondi in quel periodo, l'attenzione dell'elettorato fu minima. In termini di risultati transnazionali la percezione fu praticamente irrilevante; circa il cinquanta per cento dei votanti ammise di non aver idea di quali gruppi avessero ottenuto maggiori consensi.
Altro aspetto da non sottovalutare si collega allo sproporzionato successo ottenuto dai partiti più piccoli rispetto ai grandi; è in questo caso che si può parlare di voto punitivo nei confronti della politica del governo nazionale.
[NOTE]
490 R. Perissich, L'Unione Europea una storia non ufficiale, Milano, Longanesi, 2008, p. 54.
491 Si vedano a questo proposito i risultati emersi nella pubblicazione della Commissione delle Comunità europee, Eurobarometro - L'opinione pubblica nella Comunità europea, Vol.1, 32/89, Direzione generale Informazione, comunicazione e cultura, Bruxelles, 1989.
492 Cfr. A. Gianturco Gulisano, La fenomenologia del non voto, in R. De Mucci (a cura di), Election day. Votare tutti e tutto assieme fa bene alla democrazia?, cit.
493 C. Van der Eijk, M. Franklin, M. Marsh, What voters teach us about Europe-Wide Elections: what Europe-Wide Elections teach us about voters, in "Electoral Studies", vol. 15, n. 2, p. 157.
Doriana Floris, Le prime elezioni per il Parlamento europeo e la partecipazione nazionale: un confronto tra Italia, Francia e Regno Unito, Tesi di dottorato, Università degli Studi della Tuscia di Viterbo, 2014