sabato 27 settembre 2025

I due poli del pluralismo democratico e del conflitto ideologico sono stati a lungo occupati dalla subcultura rossa e dalla subcultura bianca


“Certamente sono indubbie le responsabilità della Chiesa cattolica nel contrastare la nascita di una cultura politica capace di garantire un adeguato sostegno alle istituzioni democratiche e, in precedenza, alla costituzione di uno stato unitario. Tuttavia il giudizio riportato deforma con un eccesso di schematismo un quadro assai più complesso e differenziato. È una conclusione che peraltro contraddice una delle tesi più care all’autore, che considera l’efficienza delle istituzioni e lo spirito pubblico come benefiche eredità delle reti associative impiantate dai movimenti socialisti e cattolici nelle regioni centro-settentrionali al volgere del secolo scorso” (Cartocci, 1994, p. 31)
Se pure Democrazia cristiana e Pci hanno (ri)animato lo spirito e orientato gli umori dell’elettorato e delle famiglie (ivi, p. 117) per i primi cinquanta anni della Repubblica, di contro, fascismo e antifascismo non vanno sottovalutati per quanto e come hanno inciso nelle dinamiche dello stivale sin dall’epoca pre-repubblicana, e i cui echi sono tuttora udibili nel dibattito pubblico. Le conseguenze di questi fenomeni sociopolitici, insieme agli attori che li hanno cavalcati, possono sufficientemente giustificare la travagliata (r)esistenza democratica contemporanea, ma non integralmente: un’analisi, che si voglia intendere come accurata, non può trascurare altri processi che inderogabilmente hanno
scandito i ritmi del pendolo democratico, alimentato dal progetto di una sostanziale applicazione dei principi costituzionali - progetto il cui compimento, come tipicamente avviene in Italia per le “Grandi opere”, è definito sine die. L’impianto istituzionale rappresenta, a un tempo, l’epicentro in cui si consuma il conflitto ideologico insieme al dialogo democratico, e uno spazio controverso del sistema-paese - in quanto funzionari e garanti son coloro che più mal hanno indossato l’habitus affidatogli il 2 giugno 1946, disattendendo e mal reagendo alle sfide che gli si pararono dinnanzi da quel giorno. Qui e per ora, ci interessa sostanziare quell’aggettivo [controverso] riferito al sistema istituzionale repubblicano, tutto fuorché inavvertitamente o inconsapevolmente attribuito.
Ad esempio, controverso è stato il loro ruolo svolto negli anni di piombo: Questo periodo è stato caratterizzato da un tanto tragico quanto ambiguo terrorismo politico, le cui manifestazioni erano, da un lato, direttamente orientate a minare la stabilità delle istituzioni, ma dall’altro, a queste erano parassitariamente riconducibili evidenziando un’Italia occulta (cfr. Turone, 2018).
“Gli “anni di piombo” si caratterizzavano, come in nessun altro paese, per la compresenza e i conflitti tra gruppi di terroristi di sinistra e di destra. Il primo gruppo aveva lanciato l’assalto allo Stato imperialista delle multinazionali (SIM); il secondo si trovava, in buona misura, dentro lo stato, nei suoi apparati, godeva di qualche sostegno esplicito e implicito, anche internazionale, ne erodeva le capacità operative, mirava a indurire lo stato, se non addirittura a sovvertirlo, aveva come obbiettivo finale il ridimensionamento della sinistra italiana e, in particolare, del Partito comunista (e della CGIL) e una transizione autoritaria.” (Pasquino, 2021 p. 93)
La macchia nelle istituzioni - di quell’habitus precedentemente richiamato - si espande, tramutando da un colorito sanguigno ad uno rosso-fango: così dal terrore degli anni di piombo si passa al pantano morale degli anni di fango, espressione cara a Montanelli (cfr. 2001): le stragi mafiose e l’inchiesta “mani pulite”. Per quanto, anche discutibilmente, le mani siano state (ri)pulite, lo stesso non si può dire delle facciate dei palazzi e del simbolo cui erano tenuti a rappresentare, ma che tristemente hanno (dis)onorato.
“In termini impietosi veniamo posti di fronte ai limiti della nostra cultura politica: siamo il popolo che è meno soddisfatto della propria vita e, come abbiamo visto, del funzionamento della democrazia; e tutto questo, vale la pena sottolinearlo, emerge dai dati raccolti prima del 1988” (Cartocci, 1994, p.25)
In proposito, la desecretazione attuata dal premier italiano Draghi nel 2021 riguardo documenti sensibili inerenti all’organizzazione Gladio e alla loggia P2, punta un tenue fascio di luce sui legami occulti e sulle figure coinvolte, cercando di far chiarezza su controversie da risolvere necessariamente; come in un gioco a somma zero, questo parziale passo in avanti comporta un’accidentata complessificazione del passato sfortunatamente oscuro che ha caratterizzato la nostra esperienza nazionale. Apprese queste particolari vicissitudini, una pretesa condanna della mancata, se non limitata, realizzazione della polity - e quindi del progetto costituzionale - non legittima il biasimo, fine a sé stesso, di chi da quello spirito costitutivo doveva ispirarsi; lungi da un vittimismo deresponsabilizzante, la nostra società e il suo scudo liberale ha dovuto/deve fare i conti con eventi tanto poco auspicabili quanto, con buona probabilità, difficilmente fronteggiati da un qualsiasi altro stato. Detto ciò, risulta importante delineare gli effetti di questi eventi e le fratture socio-territoriali generatesi, la loro politicizzazione, interpretazione e radicalizzazione - quest’ultima la tendenza forse più influente e caratterizzante - all’interno della più generale cultura politica italiana. Quest’ultima sostanzialmente è vincolata da una doppia tenaglia che ne ostacola la concreta emancipazione, limitando le elaborazioni ideologiche e la prassi politica; questa propensione è condotta: “da una parte dal substrato più profondo di asocialità, costituito dal «familismo amorale» e dal «guicciardinismo», dall’altro lato dal persistere delle apparenze politico-ideologiche (la subcultura marxista e quella cattolica), di origine più ravvicinata nel tempo, e dalle loro proiezioni nel sistema partitico.” (ivi, p. 21)
Prima di definire i contenuti ideologici/ideali, animanti e caratterizzanti la democrazia italiana, e gli attori - imprenditori culturali annessi - che ne hanno interpretato la dialettica e i conflitti, è necessario, in questa sede almeno richiamare, i termini entro cui il pluralismo polarizzato (Sartori, 1982) si è sviluppato. Per procedere con la trattazione, è indispensabile considerare il ruolo socializzante svolto dalle istituzioni, strettamente legato con il senso civico instauratosi e differenziatosi a partire dall’esperienza comunale e repubblicana nel Centro-Nord, dalle dominazioni straniere e dagli stati regionali pre-risorgimentali che, per svariati secoli, hanno diversamente amministrato la Penisola. La cittadinanza, infatti, risulta pervasa dalla «rimozione nevrotica» (cfr. Tullio-Altan, 1986, in Cartocci, 1994) - una sorta di amnesia indotta - di una evidente arretratezza culturale che rimane ancorata a logiche stantie non compatibili con una democrazia matura; Bellah (cfr. 1974 in Cartocci, 1994) descrive il caso italiano come accompagnato da un «basso continuo» radicalizzato che copre la possibilità ad orientamenti innovativi e riformatori di emergere. La consapevolezza della presenza di un pluralismo polarizzato, a controllo del conflitto ideologico italiano fino agli anni Ottanta del secolo scorso, ci impone per giunta di analizzare gli effetti conseguenti allo scioglimento post-democratico della polarizzazione politica: “infatti a differenza del particolarismo familistico, queste appartenenze politico-ideologiche implicano pur sempre una dimensione collettiva, per quanto con un orizzonte più limitato, o alternativo, rispetto a quello della nazione.” (ivi, p. 50)
A questo scopo, risulta vitale l’analisi delle subculture politiche territoriali e la loro influenza nella costruzione delle rispettive identità, negli orientamenti di voto - complici in parte della piaga del voto di scambio e clientelare -, nel divario che su più fronti intacca la frattura tra Sud e Nord Italia, e nelle forme assunte dal capitale sociale con il particolarismo familista, il localismo ecc. Sul tema è offerta da Cartocci (ibidem) e Almagisti (2016) una corposa argomentazione dedicata a descrivere la democratizzazione del capitale sociale - osservandone la sua indispensabilità - coagulato attorno alle subculture bianca e rossa, ai movimenti sociali e aggregativi. Al centro della loro trattazione vengono poste le dimensioni dell’identità - individuale così come nazionale - e i modi coi quali essa si determina e si percepisce (“il sentirsi parte”), quindi la dimensione della cittadinanza; il focus è sull’intreccio di queste dimensioni con la «grande trasformazione» degli assetti politico-economici, emancipatisi dalla crisalide pazientemente costruita dal secondo dopoguerra. Abbiamo già evidenziato come il capitale sociale bridging - inclusivo e unitario - e bonding - escludente e divisorio - siano strettamente legati alle reti di associazionismo generate dai rituali e dalle simbologie istituzionali; tuttavia, questo aspetto formale-procedurale non è l’unico a favorirlo: la definizione di Farneti (cfr. 1971) chiarisce infatti l’apporto delle subculture politiche territoriali nello sviluppo del capitale sociale, intese come “[un] insieme di tradizioni e norme che regolano i rapporti tra gli individui e tra questi e lo stato, espresso anche in linguaggi politici. […] [Ma] la forza delle subculture deriva dal fatto di regolare un insieme di rapporti ben più vasto dei rapporti politici e, primo fra tutti il rapporto associativo, di solidarietà o di interesse. […] [Esse quindi sono] vere forme complesse di legittimazione dell’autorità politica”. (Farneti, 1971 p. 202-204 in Almagisti, 2016)
I due poli del pluralismo democratico e del conflitto ideologico sono stati a lungo occupati dalla subcultura rossa e dalla subcultura bianca e al loro declino corrispose la perdita di magnetismo dei poli stessi. La rilevanza di queste due realtà non è rinvenibile solamente nella capacità che hanno avuto di orientare il voto elettorale: infatti, attorno ad esse si sono strutturati veri propri stili di vita e pratiche sociali, tali da far viaggiare le due subculture su binari paralleli che mai sono riusciti ad intrecciarsi. Trigilia (cfr. 1981, p. 83) illustra come sia fondamentale il legame tra il territorio locale e l’organizzazione partitica, condizione fertile per lo sviluppo di un carattere essenziale quale “l’esistenza di una rete di associazionismo diffusa e orientata ideologicamente”. Considerando come le subculture abbiano assorbito, all’interno dei propri schemi interpretativi e orientamenti politici sedimentati, importanti fratture sociali sin dal processo di state building, lo sgretolamento del dualismo tra forza politica e identità territoriale - quel basso continuo per l’appunto prima richiamato - ha provocato un tale sgomento per cui la cultura politica è rimasta disorientata, tuttora faticando a riorganizzarsi.
“Il dato di fondo e di lungo periodo è costituito da una diffusa insoddisfazione nei riguardi della politica e del funzionamento delle istituzioni nazionali, soprattutto del parlamento e dei partiti, non solo i partiti degli altri, ma anche quello che gli elettori sceglievano di volta in volta in mancanza di meglio.” (Pasquino, 2021, p. 143)
Davide Agus, Nell’ideologia, percorsi nella prassi sociale e politica, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2021-2022

domenica 14 settembre 2025

Tre missioni OSS in Valtellina: Sewanee, Santee e Spokane

Tirano (SO). Fonte: Wikipedia

Le operazioni O.S.S. [Office of Strategic Service] in Valtellina presero avvio il 3 marzo 1945 tramite tre gruppi di OG [Operational Group] che avevano come obbiettivo ultimo quello di rallentare le linee di rifornimento tedesche e creare confusione dietro le linee nemiche.
Il sito di lancio per i paracadutisti fu identificato nel Passo dello Stelvio, zona estramemente importante per le comunicazioni tra Italia e i territori tedeschi; la zona, tuttavia, era priva di una importante rete di resistenza. Per tale motivo e per comprendere la fattibilità delle missioni, inizialmente furono paracadutati pochi uomini. Tra questi vi furono il Capitano Victor Giannino, a capo della missione Santee, e il Maggiore Arnold Lorbeer, capo della missione Spokane.
Ritenuta l’aerea sicura, il 4 marzo vennero paracadutati gli agenti restanti per dar via alla missione Alleata. Gli stessi, purtroppo, vennero accolti da spari erroneamente attivati da parte dei partigiani locali, i quali ignoravano la presenza di una missione Alleata. In parallelo, l’OSS non era a conoscenza dell’esistenza di un gruppo partigiano in Livigno.
La missione Santee, il 10 marzo, giorno nel quale smise di nevicare, si diresse in zona di Fusino, dove si incontrò con un gruppo di partigiani. Nel dettaglio, si trattò di uno spostamento complicato in quanto avvenne in una zona dominata da numerose truppe nazi-fasciste che pattugliavano il passo del Foscagno, il quale, trovandosi a 2.300 metri sul livello del mare, costituiva l’univa strada percorribile tra Fusino e Livigno. Compito principale degli OG fu quello di istruire i partigiani locali in operazioni di imboscata e di attacco contro le forze nemiche. Il percorso fu supportato con diversi lanci di rifornimenti che si realizzarono il 4 marzo insieme agli OG mancanti, il 21 marzo, il 30 e il 31 marzo, il 4 aprile ed infine il 12 aprile. Tutti questi voli, nonostante le avverse condizioni atmosferiche (nevicate e venti fortissimi), vennero completati con successo.
Il penultimo giorno di marzo, per ottenere il controllo ed evitare la ritirata delle truppe tedesche, venne sviluppata con successo la prima incursione, indirizzata contro le installazioni militari lungo il Passo dello Stelvio.
Secondo la testimonianza del Maggiore Lorbeer al Convegno Internazionale di Studi Storici “Gli Americani e la Guerra di Liberazione in Italia”, il passo dello Stelvio era presieduto da circa 300 uomini nemici, mentre le truppe unite di OG e partigiani si limitavano a solo 50. Il successo fu ottenuto poiché nelle difficili condizioni atmosferiche le truppe tedesche non si aspettavano un attacco alleato. I combattimenti sullo Stelvio si protrassero fino alla fine della guerra, con le truppe naziste determinate a riconquistare, in qualunque modo, il medesimo passo. Tuttavia, il valico venne difeso con successo dagli Operational Group e dalla resistenza italiana, tramite l’utilizzo di fucili di precisione, mitragliatrici calibro 50 e mortai da 81 mm.
La notte del 13 aprile i tre reparti degli OG, in stretta cooperazione, colpirono le truppe nemiche a Venvio, San Martino e Roncale. Le unità erano composte da 12 membri degli OG e da circa 20-30 partigiani, permettendo così di sorprendere le forze dell’Asse. Tali attacchi furono svolti per evitare i rastrellamenti in programma nei giorni successivi, grazie alle informazioni ottenute dalla SI. Colti a sorpresa dall’attacco notturno, peraltro svolto in pessime condizioni metereologiche, le truppe nazi-fasciste subirono un totale di 50 perdite (30 morti e 20 feriti). I restanti riuscirono a ritirarsi, lasciando libere le postazioni in cima alle valli, permettendo così la loro conquista e il controllo da parte dei partigiani.
Nei giorni finali di aprile i gruppi partigiani combatterono anche in altre battaglie, tra le quali quella di Tirano dove riuscirono a far arrendere, il 29 aprile, insieme ad altri reparti Alleati, 1.200 truppe nemiche. In quegli stessi giorni la città di Bormio venne conquistata, dove vennero catturati 300 uomini tra italiani e tedeschi.
Nel corso dei due mesi di battaglie le tre missioni dell’Office of Strategic Service in Valtellina persero solo tre uomini: i Tenenti Anthony Rocco, Anthony Fantuzzo e il Sergente Bennie Ballone, morti il 13 aprile in un incedente aereo. Oltre a queste tre vittime, tutti gli agenti, fecero ritorno nella base di Siena il 22 maggio del 1945.
Matteo Paglia, Ex pluribus unum. Come l'Office of Strategic Service ha rivoluzionato il sistema d'intelligence statunitense, Tesi di laurea, Università degli Studi di Genova, Anno Accademico 2024-2025

Si compose [la missione Spokane dell'O.S.S.] di quattro lanci dall'inizio di marzo a metà dell'aprile 1945. Gli agenti paracadutisti, quasi tutti italo-americani, assommano a 14 (2 morirono in un incidente aereo nella fase di atterraggio il 13 aprile). La zona prescelta per le operazioni era a nord di Edolo, tra la Val Camonica e la Valtellina, importante per la vicinanza dei due paesi fortificati dello Stelvio e del Tonale. Le direttive erano di allacciare contatti con le locali formazioni partigiane, istruire e programmare azioni di sabotaggio sulle linee di comunicazione (per Lecco, Colico-Tirano, Lago d'Iseo, Edolo, Bolzano, Gargnano, Riva, Trento). Le altre direttive, del resto comuni ad ogni missione, riguardavano il mantenimento di contatti radio col Quartier Generale per informazioni militari (localizzazione di fortificazioni, ponti, depositi, ecc.), e il rapporto completo su ogni aspetto delle formazioni partigiane (entità, armamento, responsabili, nonché il "morale" e il "Political Views", la tendenza politica). Interessante è inoltre la direttiva di "prevenire attriti tra di esse". Le operazioni della "Spokane" riguardano, oltre alla trasmissione di informazioni militari, anche l'addestramento dei partigiani nell'uso di esplosivo nonché la partecipazione a sabotaggi e scontri a fuoco. Il 30 marzo, 7 uomini della missione alla testa di una cinquantina di partigiani delle "Fiamme Verdi" provocano con un'esplosione una frana che interrompe la strada da Tirano allo Stelvio. Contemporaneamente interrompono le linee telefoniche e telegrafiche e assaltano il piccolo presidio tedesco nei pressi del passo. Liberano i lavoratori coatti della Todt, che si trovano lì per i lavori di fortificazione del passo. Distruggono il materiale tedesco (in particolare 300 fusti di carburante). Il mattino del 31 arrivano truppe di rinforzo tedesche. Viene tentato uno scambio di prigionieri, che però si trasforma in uno scontro a fuoco, con morti e feriti da ambe le parti. I partigiani devono lasciare il passo, ma nel mese di aprile continuano azioni di disturbo, tra cui il minamento delle strade che causa l'esplosione di una decina di veicoli tedeschi. Il 26 aprile si arrende il presidio di Sondalo, il 28 Bormio. Vengono salvate, su precise istruzioni alleate, le centrali idroelettriche di Isolaccia, di Sondrio, Grosio e Cancano (appartenenti alla Falck, Edison, Società di Milano, Società Lombarda). Con orgoglio il Major Lorbeer, capo-missione, può scrivere che "la Valtellina è liberata 3 giorni prima della fine della guerra in Italia".
La missione "Spokane" si costituì come A.M.G. (Governo Militare Alleato) il 2 maggio.
[...] Missione "Horrible": francese. Nell'aprile giunge alla Spokane l'ordine del Quartier Generale di impedire l'entrata in Italia di missioni francesi. "Li abbiamo ricacciati in Svizzera".
Missione "Sewanee" dell'O.S.S., composta da 7 agenti tutti italo-americani, paracadutati presso Livigno il 13 aprile, in appoggio alla "Spokane". La zona di operazioni era pure a nord di Edolo. Collaborarono con la formazione "Tito Speri" delle "Fiamme Verdi", partecipando alla resa di Bormio (27 aprile). Altre missioni collegate con le "Fiamme Verdi" furono l'"Offense" e l'"Elinor", entrambe americane. A Ponte di Legno la Spokane ebbe una volta contatto anche con la "Norma" (cfr seguito). E' da citare infine la "Santee", paracadutata nei pressi di Livigno il 4 marzo, che ebbe un importante ruolo soprattutto nei contatti e nel coordinamento tra le missioni, i partigiani locali (riuniti a scadenze regolari con i comandi), il CLN e i servizi segreti in Svizzera. Ricevette la resa di Tirano.
Carlo Romeo, Missioni O.S.S. nella zona di operazioni della Prealpi: (1944-1945), «Archivio trentino di storia contemporanea» (ISSN: 1120-4184), 42/2 (1993)

Ultimo a destra il partigiano Cesare Marelli. Foto del soldato americano Joseph J. Genco. Fonte: Fondazione AEM cit. infra

La Resistenza in Valtellina ebbe aspetti molti particolari, spesso problematici anche solo per il fatto di attuarsi in zona di frontiera e per la presenza strategica nel territorio dei maggiori impianti idroelettrici del Nord Italia.
Molti dei luoghi di AEM in Alta Valle, rifugi e cantieri, divennero presto area di resistenza partigiana, come il paese provvisorio di Digapoli alla falde delle diga di San Giacomo in costruzione. Il 4 marzo 1945 fu paracadutata a Livigno la missione americana “Spokane”, formata da una cinquantina di ufficiali e militari, in appoggio alle formazioni partigiane “Giustizia e Libertà” che presidiavano parte dell’Alta Valle. Seguirono ad essa altre due missioni: la “Santee” e la “Sewanee” che contribuirono con uomini e mezzi a sostenere la lotta di Liberazione. Le comunicazioni tra Milano e la Valtellina avvenivano tramite le telescriventi AEM con messaggi cifrati trasmessi da e per Cancano, Milano, Grosio e Tirano.
Redazione, 1945. I partigiani Nicola Colturi, Giuseppe Tuana, “Alonzo” Placido Pozzi, Don Angelo Moltrasio e “Tom” Cesare Marelli, Fondazione AEM 

giovedì 4 settembre 2025

Ampio spazio alla presenza di Basile venne dato dalla stampa di sinistra


Il mese di maggio [1960] fu ugualmente caldo, sia dal punto di vista interno che internazionale. Gli sforzi verso la distensione di Eisenhower e Khruscev subirono un brusco arresto a causa della crisi innescata dall’abbattimento dell’aereo-spia americano U-2 nei cieli sovietici. Nonostante ad Ike fosse stato assicurato che, in caso di incidente, del pilota e del mezzo sarebbe rimasto poco o niente, le cose andarono diversamente. Non solo il pilota si salvò, ma venne prontamente catturato dai sovietici. A questo punto, il presidente americano autorizzò una vera e propria «menzogna ufficiale» annunciando che un apparecchio meteorologico era finito fuori rotta. Ma Khruscev non tardò ad esibire le foto dell’aereo e del pilota vivo e in ottima salute <100.
Le conseguenze della crisi furono pesanti. Ne risentì l’importante conferenza di Parigi, dove si discuteva del disarmo e del trattato di pace con la Germania. In tale contesto, il leader sovietico aveva buon gioco nel presentarsi davanti all’opinione pubblica mondiale come «vittima dei tranelli americani». In più, numerose furono le manifestazioni e le mobilitazioni contro “l’imperialismo americano” <101 soprattutto in Giappone, dove il parlamento stava dibattendo il rinnovo del trattato di mutua sicurezza e cooperazione con gli Usa. Circa diecimila giovani assaltarono la Dieta, il parlamento nipponico, e la lotta continuò nelle piazze. La polizia sparò e ci furono cinque morti e centinaia feriti <102. Intanto, Eisenhower dovette rinunciare alla tappa giapponese del suo viaggio asiatico. I fatti di Tokyo furono un chiaro esempio di come la lotta popolare diretta poteva scavalcare la maggioranza parlamentare <103.
In varie città italiane salirono la tensione e il nervosismo <104. I comizi missini nelle città di Reggio Emilia, Parma e Messina furono impediti <105. A Bologna, invece, era stato il discorso di Pajetta, pronunciato in piazza Malpighi il 21 maggio, a provocare l’intervento della polizia <106. Gli scontri durarono quaranta minuti provocando numerosi feriti, tra cui Giovanni Bottonelli, deputato del Pci, che riportò gravi ferite <107. L’episodio, secondo quanto annotava un funzionario del consolato [degli Stati Uniti], rifletteva ancora una volta la «prontezza comunista nello sfruttare gli scontri con le pubbliche autorità» <108. Era questo uno dei tratti maggiormente sottolineati dalle relazioni americane. In più, il giudizio sul partito era a dir poco lapidario. Il Pci non era più in grado di «cavalcare le agitazioni e la propaganda come faceva una volta». La sede dei disordini non poteva che dare credito all’intuizione. Dopotutto, si era trattato di uno scontro in una roccaforte del Pci dove un deputato comunista era stato arrestato e ferito. «Qualche anno fa - ha scritto il segretario d’ambasciata Lister - avremmo assistito a dimostrazioni di massa, scioperi e altre azioni contro il governo in tutta Italia» <109.
Altrettanto attivo era il partito neofascista, galvanizzato dall’appoggio esterno al governo. Il Msi aveva indetto il VI congresso nazionale a Genova, dal 2 al 4 luglio. In quell’occasione, avrebbe dovuto dichiarare fedeltà al metodo democratico e alla Costituzione, anche se la Carta non sarebbe stata accettata come documento intoccabile. Com’è noto, la scelta di Genova, peraltro conosciuta da tempo <110, fu un’opzione poco felice. Molti esponenti missini, negli anni successivi, avrebbero fatto autocritica sia sull’effettiva maturità del partito che sulla scelta della sede <111. A suscitare la protesta del fronte antifascista furono soprattutto due elementi. L’oltraggio di un congresso neofascista in una città medaglia d’oro della Resistenza e la presenza - più vociferata che accertata - dell’ex prefetto della città ai tempi di Salò, Carlo Emanuele Basile. Secondo alcuni avrebbe addirittura dovuto presiedere i lavori. Il nome di Basile bastava ad evocare lo spettro dei non lontani massacri di guerra, rendendo l’affronto missino insostenibile. Sulla scelta di Genova e sulle voci che riguardavano Basile, però, rimangono forti perplessità. Il 15 maggio, quando vennero resi noti i giorni e la sede del congresso le reazioni furono piuttosto blande <112. Genova, inoltre, non era la prima città fortemente legata alla Resistenza in cui il Msi convocava il suo raduno nazionale. Quattro anni prima la sede prescelta era stata Milano. In più, dal 1956, la giunta comunale della città ligure era appoggiata dai voti missini. Certamente Genova era «più contaminata dal Msi con il voto determinante del governo cittadino che con un congresso di tre giorni» <113.
In merito all’invito a Carlo Emanuele Basile, allo stato attuale delle ricerche, non esistono prove. Già iscritto nelle liste dei criminali di guerra, Basile fu protagonista di deportazioni e rastrellamenti, in stretta collaborazione con le autorità naziste. Secondo quanto riporta «L’Espresso», aveva organizzato deportazioni di operai ed era l’uomo più odiato di tutta la Liguria, tanto da essere soprannominato «il boia» <114. Ad ogni modo, gli organi di stampa di destra non avevano accennato alla sua partecipazione. Sul giornale missino, tra maggio e giugno, sono solo due gli articoli da lui firmati <115. Pagine che, per esplicito avvertimento del quotidiano, erano tutt’altro che «ufficiali», ma piuttosto un’iniziativa autonoma del giornale <116.
Nella sua ricostruzione di quegli anni, un esponente missino di primo piano come Gianni Roberti negava nel modo più assoluto sia la partecipazione di Basile che la sua nomina a presiedere il congresso. Oltre al fatto che fosse in quei giorni lontano da Genova - cosa in sé non molto rilevante - Roberti aggiungeva che non era neanche iscritto al Msi, notizia che si trova anche in un rapporto del console generale Joyce <117. Ciò non toglie che i missini non si erano preoccupati di smentire le voci sulla sua partecipazione. Un altro tassello utile a ricostruire la vicenda è l’elenco degli esponenti che effettivamente sarebbero andati a Genova. Dal 25 giugno al 2 luglio il quotidiano neofascista pubblicò nomi, foto e brevissime biografie dei delegati provenienti da tutta Italia. Il 30 compariva Basile. Si trattava però di Michele Basile, avvocato di Vibo Valentia <118. I ricordi di chi scorse l’elenco dei delegati,  probabilmente, si focalizzarono sul ben più famoso e sanguinario Carlo Emanuele. Il coinvolgimento dell’ex gerarca fascista impressionò gli americani per essere stato «un ottimo strumento nelle mani della macchina di propaganda comunista». Ampio spazio alla presenza di Basile venne dato dalla stampa di sinistra e dai frequenti comizi, dove la risposta della folla fu sempre calda. Basti pensare che «L’Unità» del 30 giugno si scagliava contro Basile, che avrebbe intitolato “Torneremo a Genova” un articolo su «Il Secolo d’Italia», alludendo ad una «rivincita sulla città che lo aveva cacciato» <119. Peccato che quell’articolo non sia mai stato scritto, né da Basile né da altri. L’associazione del criminale di guerra al congresso missino divenne prassi consolidata soprattutto dopo l’intervento di Pertini alla Camera, il 1° luglio <120. Questo alimentò le inquietudini degli Usa, che più di tutto temevano un irrigidimento delle posizioni e la polarizzazione del quadro politico.
[NOTE]
100 J. L. Gaddis, La guerra fredda, Mondadori, Milano, 2005, pp. 179-180. Sull’episodio dell’U-2 si veda M.R. Beschloss, Mayday. The U-2 Affair, Harper and Row, New York, 1986.
101 P. Di Loreto, La difficile transizione, cit., pp. 361-362; L. Nuti, Gli Stati Uniti e l’apertura a sinistra, cit., pp. 294-295.
102 G. Baget Bozzo, Il partito cristiano e l’apertura a sinistra, cit., p. 285. Sui manifestanti si veda M. Del Bene, Appunti sulla vicenda del movimento studentesco giapponese, «Passato e Presente», n. 25, a. X, 1991. Per le valutazioni e i timori dei missini si veda I comunisti in Giappone tentano con la forza di rovesciare l’alleanza con il mondo occidentale, «Il Secolo d’Italia», 22 maggio 1960.
103 Da notare che Nenni e Togliatti approvarono le azioni dell’organizzazione Zenga-kuren, si vedano D. Yoshida, 5 milioni di operai giapponesi hanno scioperato contro le basi, «L’Unità», 5 giugno 1960; La nostra solidarietà al popolo giapponese, «L’Unità», 12 giugno 1960; Solidarietà del Pci col popolo giapponese, «L’Unità», 18 giugno 1960.
104 Sul generale inasprimento delle autorità pubbliche nei confronti dell’opposizione di sinistra si veda P. Di Loreto, La difficile transizione, cit., pp. 365-367.
105 G. Roberti, L’opposizione di destra in Italia, cit., p. 138. Per le reazioni sulla stampa missina si veda Preordinate provocazioni dei socialcomunisti a Parma, «Il Secolo d’Italia», 1 maggio 1960.
106 A. Barbato, Da Bologna il primo squillo di tromba, «L’Espresso», 29 maggio 1960, p. 6. Si veda P.G. Murgia, Il luglio 1960, cit., p. 62.
107 Si veda G. Fanti, G.C. Ferri, Cronache dall’Emilia rossa: l’impossibile riformismo del Pci, Pendragon, Bologna, 2001, pp. 67-68.
108 Police breakup of Bologna communist meeting arouses strong reaction, M. Cootes (American Consul General) to the Department of State, May 30, 1960, NARA, RG 59, CDF, Box 1917, 765.00/5-3060.
109 Communists provoke incidents in Chamber June 1 over clash with police in Bologna, G. Lister (First Secretary of Embassy) to the Department of State, June 10, 1960, NARA, RG 59, CDF, Box 1917, 765.00/6-1060. Tuttavia, proprio in relazione ai fatti di Bologna, il parlamentare democristiano Elkan parlò di una grande quantità di armi detenute nelle case di alcuni arrestati o in luoghi vicini. Erano tutti esponenti del Pci e le armi facevano parte, secondo Elkan, di «oscuri e gravi ricordi di guerra civile», si veda AP, CdD, III Legislatura, Discussioni, Seduta del 1° giugno 1960, p. 14423.
110 «L’autorizzazione era stata data da tempo, addirittura da Segni come ministro degli Interni del suo governo», si veda L. Radi, Tambroni trent’anni dopo, cit., p. 105. La notizia del congresso apparve sul quotidiano neofascista a metà maggio, si veda In difesa dello Stato e della nazione insostituibile la funzione del Msi, «Il Secolo d’Italia», 15 maggio 1960. La mozione congressuale fu pubblicata, sempre sul quotidiano neofascista, il 3 giugno.
111 A. Baldoni, La destra in Italia, cit., p. 553; Servello ha scritto di un partito «completamente impreparato», della «sottovalutazione delle capacità di mobilitazione delle sinistre» e della «sopravvalutazione della capacità del governo Tambroni di gestire la situazione». I tempi, comunque, non erano ancora giudicati maturi, F. Servello, 60 anni in fiamma. Dal Movimento Sociale ad Alleanza Nazionale, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2006, pp. 63-68. Sull’autocritica di Almirante si veda A. Pitamitz (a cura di), Tre protagonisti 25 anni dopo, «Storia Illustrata», n. 337, dicembre 1985, p. 47. Particolarmente netto e amaro fu il giudizio di Anfuso, che nel 1962 arrivò a dire che il Msi avrebbe potuto anche sparire, se la Dc si fosse sforzata di comprendere le intenzioni del partito neofascista, A. Del Boca, M. Giovana, I “figli del sole”. Mezzo secolo di nazifascismo nel mondo, Feltrinelli, Milano, 1965, p. 202. La questione delle intenzioni missine è peraltro molto dibattuta. Ne «Il Secolo d’Italia» del 30 giugno ’60 si legge «il Msi rappresenta dunque, e assume apertamente di voler rappresentare, la continuazione del Fascismo». Tarchi ha ricordato la «classica connotazione bicefala del Msi», alla luce della quale l’obiettivo ultimo restava la costruzione di «un regime destinato a richiamare - sia pure in forme che nessuno avrebbe saputo indicare con precisione - quello mussoliniano», M. Tarchi, Cinquant'anni di nostalgia. La destra italiana dopo il fascismo, Intervista di A. Carioti, Rizzoli, Milano, 1995, p. 66
112 P. Cooke, Luglio 1960, cit., pp. 39-41; F.M. Solo la Dc a Genova non protesta contro il congresso dei neofascisti, «L’Unità», 11 giugno 1960; Per le reazioni missine si veda La farsa rossa dell’indignazione popolare contro il Congresso nazionale del Msi a Genova, «Il Secolo d’Italia», 11 giugno 1960. Il console Joyce rimase colpito dalla durezza della campagna che poi iniziò. A tal proposito citò un manifesto con la scritta: «Msi uguale fascismo, fascismo uguale nazismo, nazismo uguale camere a gas», Growing opposition to planned Msi convention in Genoa, R. Joyce (American Consul General, Genoa) to the Department of State, June 27, 1960, NARA, RG 59, CDF, Box 1917, 765.00/6-2760.
113 G. Baget Bozzo, Il partito cristiano e l’apertura a sinistra, cit., pp. 287-288. Pombeni ha scritto che lo «scandalo» per il congresso a Genova «era credibile fino a un certo punto», P. Pombeni, L’eredità degli anni Sessanta, in F. Lussana, G. Marramao (a cura di), L’Italia repubblicana nella crisi degli anni Settanta. Culture, nuovi soggetti, identità, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2003, p. 46. Secondo Cooke le difficoltà sul nascere del governo Tambroni si erano subito riversate a livello locale. Genova fu una delle prime città in cui i missini votarono contro importanti provvedimenti, provocando così la crisi della giunta, si veda P. Cooke, Luglio 1960, cit., pp. 26-27.
114 A. Barbato, “Balilla l’ha impedito”, «L’Espresso», 10 luglio 1960; A. Del Boca, M. Giovana, I “figli del sole”, cit., p. 201; P. Rosenbaum, Il nuovo fascismo, cit., p. 179.
115 C.E. Basile, Una data ferma scolpita nel tempo, «Il Secolo d’Italia», 24 maggio 1960; C.E. Basile, C’è oggi un’Italia che vuol vivere dal ventre ma c’è anche un’Italia che guarda in alto, «Il Secolo d’Italia», 25 giugno 1960.
116 L’avviso relativo alle pagine non ufficiali dedicate al congresso è presente dal 14 giugno 1960.
117 «[Basile] era in tutt’altra località, nella sua abitazione sui laghi, non era neppure iscritto al Msi, e nessuno aveva pensato - né poteva pensare - di nominarlo Presidente del Congresso», G. Roberti, L’opposizione di destra in Italia, cit., p. 140. Il fatto che Basile non fosse iscritto al Msi spiegherebbe la sua collaborazione così saltuaria al quotidiano. Per il resoconto di Joyce, secondo cui faceva parte di un «gruppo neofascista dissidente», si veda Communist-led rioters succeed in causing cancellation of national convention of neofascist Msi party in Genoa, R. Joyce (American Consul General) to the Department of State, July 11, 1960, NARA, RG 59, CDF, Box 1917, 765.00/7-1160.
118 Si veda I delegati delle federazioni d’Italia, «Il Secolo d’Italia», 30 giugno 1960. La presenza «innocua» di Michele Basile venne ricordata anche in una lettera del 2003 scritta da Francesco Ryllo (nel ’60 delegato provinciale missino di Catanzaro) al Corriere, si veda Verità storica. Il governo Tambroni, (lettere al direttore Paolo Mieli), «Corriere della Sera», 18 dicembre 2003.
119 Puntano di nuovo sui fascisti, «L’Unità», 30 giugno 1960.
120 AP, CdD, III Legislatura, Discussioni, Seduta del 1 luglio 1960, pp. 15435-15439. Il fratello di Sandro Pertini venne deportato a causa di uno dei bandi emanati da Basile durante la Rsi. Il giorno seguente «Paese Sera» scriveva che il governo era «alleato e difensore del deportatore e fucilatore dei patrioti Carlo Emanuele Basile», si veda N. Antoni, Genova ha detto no al fascismo, «Paese Sera», 2 luglio 1960; si veda anche F. Monicelli, Genova insegna, «Paese Sera», 5 luglio 1960. La presenza di Basile è citata in numerosi siti web e lavori storiografici. Tra i tanti G. Crainz, Storia del miracolo italiano, cit., p. 166; P. Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi, cit., p. 347; P. Di Loreto, La difficile transizione, cit., p. 377; A. Lepre, Storia della prima Repubblica. L’Italia dal 1943 al 2003, Il Mulino, Bologna, 2004, p. 191; L. Radi, Tambroni trent’anni dopo, cit., p. 106. Baldoni ha definito la presenza di Basile «una falsa notizia che esplode come un ordigno ad alto potenziale», A. Baldoni, Due volte Genova, cit., p. 71.
Federico Robbe, Gli Stati Uniti e la Destra italiana negli anni Cinquanta, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 2009-2010