“Certamente sono indubbie le responsabilità della Chiesa cattolica nel contrastare la nascita di una cultura politica capace di garantire un adeguato sostegno alle istituzioni democratiche e, in precedenza, alla costituzione di uno stato unitario. Tuttavia il giudizio riportato deforma con un eccesso di schematismo un quadro assai più complesso e differenziato. È una conclusione che peraltro contraddice una delle tesi più care all’autore, che considera l’efficienza delle istituzioni e lo spirito pubblico come benefiche eredità delle reti associative impiantate dai movimenti socialisti e cattolici nelle regioni centro-settentrionali al volgere del secolo scorso” (Cartocci, 1994, p. 31)
Se pure Democrazia cristiana e Pci hanno (ri)animato lo spirito e orientato gli umori dell’elettorato e delle famiglie (ivi, p. 117) per i primi cinquanta anni della Repubblica, di contro, fascismo e antifascismo non vanno sottovalutati per quanto e come hanno inciso nelle dinamiche dello stivale sin dall’epoca pre-repubblicana, e i cui echi sono tuttora udibili nel dibattito pubblico. Le conseguenze di questi fenomeni sociopolitici, insieme agli attori che li hanno cavalcati, possono sufficientemente giustificare la travagliata (r)esistenza democratica contemporanea, ma non integralmente: un’analisi, che si voglia intendere come accurata, non può trascurare altri processi che inderogabilmente hanno
scandito i ritmi del pendolo democratico, alimentato dal progetto di una sostanziale applicazione dei principi costituzionali - progetto il cui compimento, come tipicamente avviene in Italia per le “Grandi opere”, è definito sine die. L’impianto istituzionale rappresenta, a un tempo, l’epicentro in cui si consuma il conflitto ideologico insieme al dialogo democratico, e uno spazio controverso del sistema-paese - in quanto funzionari e garanti son coloro che più mal hanno indossato l’habitus affidatogli il 2 giugno 1946, disattendendo e mal reagendo alle sfide che gli si pararono dinnanzi da quel giorno. Qui e per ora, ci interessa sostanziare quell’aggettivo [controverso] riferito al sistema istituzionale repubblicano, tutto fuorché inavvertitamente o inconsapevolmente attribuito.
Ad esempio, controverso è stato il loro ruolo svolto negli anni di piombo: Questo periodo è stato caratterizzato da un tanto tragico quanto ambiguo terrorismo politico, le cui manifestazioni erano, da un lato, direttamente orientate a minare la stabilità delle istituzioni, ma dall’altro, a queste erano parassitariamente riconducibili evidenziando un’Italia occulta (cfr. Turone, 2018).
“Gli “anni di piombo” si caratterizzavano, come in nessun altro paese, per la compresenza e i conflitti tra gruppi di terroristi di sinistra e di destra. Il primo gruppo aveva lanciato l’assalto allo Stato imperialista delle multinazionali (SIM); il secondo si trovava, in buona misura, dentro lo stato, nei suoi apparati, godeva di qualche sostegno esplicito e implicito, anche internazionale, ne erodeva le capacità operative, mirava a indurire lo stato, se non addirittura a sovvertirlo, aveva come obbiettivo finale il ridimensionamento della sinistra italiana e, in particolare, del Partito comunista (e della CGIL) e una transizione autoritaria.” (Pasquino, 2021 p. 93)
La macchia nelle istituzioni - di quell’habitus precedentemente richiamato - si espande, tramutando da un colorito sanguigno ad uno rosso-fango: così dal terrore degli anni di piombo si passa al pantano morale degli anni di fango, espressione cara a Montanelli (cfr. 2001): le stragi mafiose e l’inchiesta “mani pulite”. Per quanto, anche discutibilmente, le mani siano state (ri)pulite, lo stesso non si può dire delle facciate dei palazzi e del simbolo cui erano tenuti a rappresentare, ma che tristemente hanno (dis)onorato.
“In termini impietosi veniamo posti di fronte ai limiti della nostra cultura politica: siamo il popolo che è meno soddisfatto della propria vita e, come abbiamo visto, del funzionamento della democrazia; e tutto questo, vale la pena sottolinearlo, emerge dai dati raccolti prima del 1988” (Cartocci, 1994, p.25)
In proposito, la desecretazione attuata dal premier italiano Draghi nel 2021 riguardo documenti sensibili inerenti all’organizzazione Gladio e alla loggia P2, punta un tenue fascio di luce sui legami occulti e sulle figure coinvolte, cercando di far chiarezza su controversie da risolvere necessariamente; come in un gioco a somma zero, questo parziale passo in avanti comporta un’accidentata complessificazione del passato sfortunatamente oscuro che ha caratterizzato la nostra esperienza nazionale. Apprese queste particolari vicissitudini, una pretesa condanna della mancata, se non limitata, realizzazione della polity - e quindi del progetto costituzionale - non legittima il biasimo, fine a sé stesso, di chi da quello spirito costitutivo doveva ispirarsi; lungi da un vittimismo deresponsabilizzante, la nostra società e il suo scudo liberale ha dovuto/deve fare i conti con eventi tanto poco auspicabili quanto, con buona probabilità, difficilmente fronteggiati da un qualsiasi altro stato. Detto ciò, risulta importante delineare gli effetti di questi eventi e le fratture socio-territoriali generatesi, la loro politicizzazione, interpretazione e radicalizzazione - quest’ultima la tendenza forse più influente e caratterizzante - all’interno della più generale cultura politica italiana. Quest’ultima sostanzialmente è vincolata da una doppia tenaglia che ne ostacola la concreta emancipazione, limitando le elaborazioni ideologiche e la prassi politica; questa propensione è condotta: “da una parte dal substrato più profondo di asocialità, costituito dal «familismo amorale» e dal «guicciardinismo», dall’altro lato dal persistere delle apparenze politico-ideologiche (la subcultura marxista e quella cattolica), di origine più ravvicinata nel tempo, e dalle loro proiezioni nel sistema partitico.” (ivi, p. 21)
Prima di definire i contenuti ideologici/ideali, animanti e caratterizzanti la democrazia italiana, e gli attori - imprenditori culturali annessi - che ne hanno interpretato la dialettica e i conflitti, è necessario, in questa sede almeno richiamare, i termini entro cui il pluralismo polarizzato (Sartori, 1982) si è sviluppato. Per procedere con la trattazione, è indispensabile considerare il ruolo socializzante svolto dalle istituzioni, strettamente legato con il senso civico instauratosi e differenziatosi a partire dall’esperienza comunale e repubblicana nel Centro-Nord, dalle dominazioni straniere e dagli stati regionali pre-risorgimentali che, per svariati secoli, hanno diversamente amministrato la Penisola. La cittadinanza, infatti, risulta pervasa dalla «rimozione nevrotica» (cfr. Tullio-Altan, 1986, in Cartocci, 1994) - una sorta di amnesia indotta - di una evidente arretratezza culturale che rimane ancorata a logiche stantie non compatibili con una democrazia matura; Bellah (cfr. 1974 in Cartocci, 1994) descrive il caso italiano come accompagnato da un «basso continuo» radicalizzato che copre la possibilità ad orientamenti innovativi e riformatori di emergere. La consapevolezza della presenza di un pluralismo polarizzato, a controllo del conflitto ideologico italiano fino agli anni Ottanta del secolo scorso, ci impone per giunta di analizzare gli effetti conseguenti allo scioglimento post-democratico della polarizzazione politica: “infatti a differenza del particolarismo familistico, queste appartenenze politico-ideologiche implicano pur sempre una dimensione collettiva, per quanto con un orizzonte più limitato, o alternativo, rispetto a quello della nazione.” (ivi, p. 50)
A questo scopo, risulta vitale l’analisi delle subculture politiche territoriali e la loro influenza nella costruzione delle rispettive identità, negli orientamenti di voto - complici in parte della piaga del voto di scambio e clientelare -, nel divario che su più fronti intacca la frattura tra Sud e Nord Italia, e nelle forme assunte dal capitale sociale con il particolarismo familista, il localismo ecc. Sul tema è offerta da Cartocci (ibidem) e Almagisti (2016) una corposa argomentazione dedicata a descrivere la democratizzazione del capitale sociale - osservandone la sua indispensabilità - coagulato attorno alle subculture bianca e rossa, ai movimenti sociali e aggregativi. Al centro della loro trattazione vengono poste le dimensioni dell’identità - individuale così come nazionale - e i modi coi quali essa si determina e si percepisce (“il sentirsi parte”), quindi la dimensione della cittadinanza; il focus è sull’intreccio di queste dimensioni con la «grande trasformazione» degli assetti politico-economici, emancipatisi dalla crisalide pazientemente costruita dal secondo dopoguerra. Abbiamo già evidenziato come il capitale sociale bridging - inclusivo e unitario - e bonding - escludente e divisorio - siano strettamente legati alle reti di associazionismo generate dai rituali e dalle simbologie istituzionali; tuttavia, questo aspetto formale-procedurale non è l’unico a favorirlo: la definizione di Farneti (cfr. 1971) chiarisce infatti l’apporto delle subculture politiche territoriali nello sviluppo del capitale sociale, intese come “[un] insieme di tradizioni e norme che regolano i rapporti tra gli individui e tra questi e lo stato, espresso anche in linguaggi politici. […] [Ma] la forza delle subculture deriva dal fatto di regolare un insieme di rapporti ben più vasto dei rapporti politici e, primo fra tutti il rapporto associativo, di solidarietà o di interesse. […] [Esse quindi sono] vere forme complesse di legittimazione dell’autorità politica”. (Farneti, 1971 p. 202-204 in Almagisti, 2016)
I due poli del pluralismo democratico e del conflitto ideologico sono stati a lungo occupati dalla subcultura rossa e dalla subcultura bianca e al loro declino corrispose la perdita di magnetismo dei poli stessi. La rilevanza di queste due realtà non è rinvenibile solamente nella capacità che hanno avuto di orientare il voto elettorale: infatti, attorno ad esse si sono strutturati veri propri stili di vita e pratiche sociali, tali da far viaggiare le due subculture su binari paralleli che mai sono riusciti ad intrecciarsi. Trigilia (cfr. 1981, p. 83) illustra come sia fondamentale il legame tra il territorio locale e l’organizzazione partitica, condizione fertile per lo sviluppo di un carattere essenziale quale “l’esistenza di una rete di associazionismo diffusa e orientata ideologicamente”. Considerando come le subculture abbiano assorbito, all’interno dei propri schemi interpretativi e orientamenti politici sedimentati, importanti fratture sociali sin dal processo di state building, lo sgretolamento del dualismo tra forza politica e identità territoriale - quel basso continuo per l’appunto prima richiamato - ha provocato un tale sgomento per cui la cultura politica è rimasta disorientata, tuttora faticando a riorganizzarsi.
“Il dato di fondo e di lungo periodo è costituito da una diffusa insoddisfazione nei riguardi della politica e del funzionamento delle istituzioni nazionali, soprattutto del parlamento e dei partiti, non solo i partiti degli altri, ma anche quello che gli elettori sceglievano di volta in volta in mancanza di meglio.” (Pasquino, 2021, p. 143)
Davide Agus, Nell’ideologia, percorsi nella prassi sociale e politica, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2021-2022
Se pure Democrazia cristiana e Pci hanno (ri)animato lo spirito e orientato gli umori dell’elettorato e delle famiglie (ivi, p. 117) per i primi cinquanta anni della Repubblica, di contro, fascismo e antifascismo non vanno sottovalutati per quanto e come hanno inciso nelle dinamiche dello stivale sin dall’epoca pre-repubblicana, e i cui echi sono tuttora udibili nel dibattito pubblico. Le conseguenze di questi fenomeni sociopolitici, insieme agli attori che li hanno cavalcati, possono sufficientemente giustificare la travagliata (r)esistenza democratica contemporanea, ma non integralmente: un’analisi, che si voglia intendere come accurata, non può trascurare altri processi che inderogabilmente hanno
scandito i ritmi del pendolo democratico, alimentato dal progetto di una sostanziale applicazione dei principi costituzionali - progetto il cui compimento, come tipicamente avviene in Italia per le “Grandi opere”, è definito sine die. L’impianto istituzionale rappresenta, a un tempo, l’epicentro in cui si consuma il conflitto ideologico insieme al dialogo democratico, e uno spazio controverso del sistema-paese - in quanto funzionari e garanti son coloro che più mal hanno indossato l’habitus affidatogli il 2 giugno 1946, disattendendo e mal reagendo alle sfide che gli si pararono dinnanzi da quel giorno. Qui e per ora, ci interessa sostanziare quell’aggettivo [controverso] riferito al sistema istituzionale repubblicano, tutto fuorché inavvertitamente o inconsapevolmente attribuito.
Ad esempio, controverso è stato il loro ruolo svolto negli anni di piombo: Questo periodo è stato caratterizzato da un tanto tragico quanto ambiguo terrorismo politico, le cui manifestazioni erano, da un lato, direttamente orientate a minare la stabilità delle istituzioni, ma dall’altro, a queste erano parassitariamente riconducibili evidenziando un’Italia occulta (cfr. Turone, 2018).
“Gli “anni di piombo” si caratterizzavano, come in nessun altro paese, per la compresenza e i conflitti tra gruppi di terroristi di sinistra e di destra. Il primo gruppo aveva lanciato l’assalto allo Stato imperialista delle multinazionali (SIM); il secondo si trovava, in buona misura, dentro lo stato, nei suoi apparati, godeva di qualche sostegno esplicito e implicito, anche internazionale, ne erodeva le capacità operative, mirava a indurire lo stato, se non addirittura a sovvertirlo, aveva come obbiettivo finale il ridimensionamento della sinistra italiana e, in particolare, del Partito comunista (e della CGIL) e una transizione autoritaria.” (Pasquino, 2021 p. 93)
La macchia nelle istituzioni - di quell’habitus precedentemente richiamato - si espande, tramutando da un colorito sanguigno ad uno rosso-fango: così dal terrore degli anni di piombo si passa al pantano morale degli anni di fango, espressione cara a Montanelli (cfr. 2001): le stragi mafiose e l’inchiesta “mani pulite”. Per quanto, anche discutibilmente, le mani siano state (ri)pulite, lo stesso non si può dire delle facciate dei palazzi e del simbolo cui erano tenuti a rappresentare, ma che tristemente hanno (dis)onorato.
“In termini impietosi veniamo posti di fronte ai limiti della nostra cultura politica: siamo il popolo che è meno soddisfatto della propria vita e, come abbiamo visto, del funzionamento della democrazia; e tutto questo, vale la pena sottolinearlo, emerge dai dati raccolti prima del 1988” (Cartocci, 1994, p.25)
In proposito, la desecretazione attuata dal premier italiano Draghi nel 2021 riguardo documenti sensibili inerenti all’organizzazione Gladio e alla loggia P2, punta un tenue fascio di luce sui legami occulti e sulle figure coinvolte, cercando di far chiarezza su controversie da risolvere necessariamente; come in un gioco a somma zero, questo parziale passo in avanti comporta un’accidentata complessificazione del passato sfortunatamente oscuro che ha caratterizzato la nostra esperienza nazionale. Apprese queste particolari vicissitudini, una pretesa condanna della mancata, se non limitata, realizzazione della polity - e quindi del progetto costituzionale - non legittima il biasimo, fine a sé stesso, di chi da quello spirito costitutivo doveva ispirarsi; lungi da un vittimismo deresponsabilizzante, la nostra società e il suo scudo liberale ha dovuto/deve fare i conti con eventi tanto poco auspicabili quanto, con buona probabilità, difficilmente fronteggiati da un qualsiasi altro stato. Detto ciò, risulta importante delineare gli effetti di questi eventi e le fratture socio-territoriali generatesi, la loro politicizzazione, interpretazione e radicalizzazione - quest’ultima la tendenza forse più influente e caratterizzante - all’interno della più generale cultura politica italiana. Quest’ultima sostanzialmente è vincolata da una doppia tenaglia che ne ostacola la concreta emancipazione, limitando le elaborazioni ideologiche e la prassi politica; questa propensione è condotta: “da una parte dal substrato più profondo di asocialità, costituito dal «familismo amorale» e dal «guicciardinismo», dall’altro lato dal persistere delle apparenze politico-ideologiche (la subcultura marxista e quella cattolica), di origine più ravvicinata nel tempo, e dalle loro proiezioni nel sistema partitico.” (ivi, p. 21)
Prima di definire i contenuti ideologici/ideali, animanti e caratterizzanti la democrazia italiana, e gli attori - imprenditori culturali annessi - che ne hanno interpretato la dialettica e i conflitti, è necessario, in questa sede almeno richiamare, i termini entro cui il pluralismo polarizzato (Sartori, 1982) si è sviluppato. Per procedere con la trattazione, è indispensabile considerare il ruolo socializzante svolto dalle istituzioni, strettamente legato con il senso civico instauratosi e differenziatosi a partire dall’esperienza comunale e repubblicana nel Centro-Nord, dalle dominazioni straniere e dagli stati regionali pre-risorgimentali che, per svariati secoli, hanno diversamente amministrato la Penisola. La cittadinanza, infatti, risulta pervasa dalla «rimozione nevrotica» (cfr. Tullio-Altan, 1986, in Cartocci, 1994) - una sorta di amnesia indotta - di una evidente arretratezza culturale che rimane ancorata a logiche stantie non compatibili con una democrazia matura; Bellah (cfr. 1974 in Cartocci, 1994) descrive il caso italiano come accompagnato da un «basso continuo» radicalizzato che copre la possibilità ad orientamenti innovativi e riformatori di emergere. La consapevolezza della presenza di un pluralismo polarizzato, a controllo del conflitto ideologico italiano fino agli anni Ottanta del secolo scorso, ci impone per giunta di analizzare gli effetti conseguenti allo scioglimento post-democratico della polarizzazione politica: “infatti a differenza del particolarismo familistico, queste appartenenze politico-ideologiche implicano pur sempre una dimensione collettiva, per quanto con un orizzonte più limitato, o alternativo, rispetto a quello della nazione.” (ivi, p. 50)
A questo scopo, risulta vitale l’analisi delle subculture politiche territoriali e la loro influenza nella costruzione delle rispettive identità, negli orientamenti di voto - complici in parte della piaga del voto di scambio e clientelare -, nel divario che su più fronti intacca la frattura tra Sud e Nord Italia, e nelle forme assunte dal capitale sociale con il particolarismo familista, il localismo ecc. Sul tema è offerta da Cartocci (ibidem) e Almagisti (2016) una corposa argomentazione dedicata a descrivere la democratizzazione del capitale sociale - osservandone la sua indispensabilità - coagulato attorno alle subculture bianca e rossa, ai movimenti sociali e aggregativi. Al centro della loro trattazione vengono poste le dimensioni dell’identità - individuale così come nazionale - e i modi coi quali essa si determina e si percepisce (“il sentirsi parte”), quindi la dimensione della cittadinanza; il focus è sull’intreccio di queste dimensioni con la «grande trasformazione» degli assetti politico-economici, emancipatisi dalla crisalide pazientemente costruita dal secondo dopoguerra. Abbiamo già evidenziato come il capitale sociale bridging - inclusivo e unitario - e bonding - escludente e divisorio - siano strettamente legati alle reti di associazionismo generate dai rituali e dalle simbologie istituzionali; tuttavia, questo aspetto formale-procedurale non è l’unico a favorirlo: la definizione di Farneti (cfr. 1971) chiarisce infatti l’apporto delle subculture politiche territoriali nello sviluppo del capitale sociale, intese come “[un] insieme di tradizioni e norme che regolano i rapporti tra gli individui e tra questi e lo stato, espresso anche in linguaggi politici. […] [Ma] la forza delle subculture deriva dal fatto di regolare un insieme di rapporti ben più vasto dei rapporti politici e, primo fra tutti il rapporto associativo, di solidarietà o di interesse. […] [Esse quindi sono] vere forme complesse di legittimazione dell’autorità politica”. (Farneti, 1971 p. 202-204 in Almagisti, 2016)
I due poli del pluralismo democratico e del conflitto ideologico sono stati a lungo occupati dalla subcultura rossa e dalla subcultura bianca e al loro declino corrispose la perdita di magnetismo dei poli stessi. La rilevanza di queste due realtà non è rinvenibile solamente nella capacità che hanno avuto di orientare il voto elettorale: infatti, attorno ad esse si sono strutturati veri propri stili di vita e pratiche sociali, tali da far viaggiare le due subculture su binari paralleli che mai sono riusciti ad intrecciarsi. Trigilia (cfr. 1981, p. 83) illustra come sia fondamentale il legame tra il territorio locale e l’organizzazione partitica, condizione fertile per lo sviluppo di un carattere essenziale quale “l’esistenza di una rete di associazionismo diffusa e orientata ideologicamente”. Considerando come le subculture abbiano assorbito, all’interno dei propri schemi interpretativi e orientamenti politici sedimentati, importanti fratture sociali sin dal processo di state building, lo sgretolamento del dualismo tra forza politica e identità territoriale - quel basso continuo per l’appunto prima richiamato - ha provocato un tale sgomento per cui la cultura politica è rimasta disorientata, tuttora faticando a riorganizzarsi.
“Il dato di fondo e di lungo periodo è costituito da una diffusa insoddisfazione nei riguardi della politica e del funzionamento delle istituzioni nazionali, soprattutto del parlamento e dei partiti, non solo i partiti degli altri, ma anche quello che gli elettori sceglievano di volta in volta in mancanza di meglio.” (Pasquino, 2021, p. 143)
Davide Agus, Nell’ideologia, percorsi nella prassi sociale e politica, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2021-2022