domenica 14 dicembre 2025

La forza della Marcia dei 40.000 fu nel suo valore simbolico molto più che nei numeri


Fu "La Repubblica" a dare il nome all'evento, il giorno successivo titolò in prima pagina “Torino, 40mila in corteo: «Fateci tornare a lavoro»”, era una delle cifre più alte fornite dalla stampa. Nell'articolo di Salvatore Tropea si leggeva: «qualcuno stamane osservava che il corteo silenzioso era l'immagine di Torino e dell'Italia dei prossimi dieci anni; altri parlavano addirittura di una Waterloo del sindacato. [...] [Dai passanti] isolati commenti di chi esplode in un “finalmente”, “era ora”» <733. Secondo Bonazzi la stessa importanza della marcia «venne enfatizzata [dal PCI, soprattutto torinese, che portò a termine la trattativa quasi sostituendosi ai sindacati] per legittimare l'accordo sulla Cig senza rotazione per 23.000 dipendenti come scelta obbligata, ma anche per coprire le polemiche interne al partito ed al sindacato tra pragmatici ed intransigenti.» <734. Questa l'opinione di Luca Ponzi: "La marcia dei quarantamila ebbe l'effetto immediato e dirompente di dare voce alla maggioranza silenziosa […] Fino al 1980 la maggioranza silenziosa era ai margini del dibattito politico, occupato da altri, da quella classe operaia che nel paese era egemone e riusciva a farsi sentire, con istanze che andavano ben al di fuori dei cancelli delle fabbriche e venivano fatte proprie dagli studenti, dagli intellettuali, dai principali giornalisti". <735
Nella relazione del prefetto di Torino sullo stato della provincia nei mesi post-marcia si denunciavano i danni prodotti nell'indotto e il clima da resa dei conti fra i sindacati: «la conclusione della vertenza FIAT ha fatto emergere i gravi contrasti, da tempo latenti, tra le tre organizzazioni sindacali torinesi nella vana ricerca di assumersi la minor parte di responsabilità nel fallimento della vertenza stessa». La CGIL messa sotto accusa tacciava la UIL di immobilismo e la CISL di un'azione autoreferenziale e barricadiera che scavalcava «a sinistra anche i più facinorosi esponenti dei movimenti extraparlamentari». Poi tutte e tre prendevano di mira l'intransigenza della FLM <736.
La forza della Marcia dei 40.000 fu nel suo valore simbolico molto più che nei numeri. La manifestazione dei capi FIAT fu effettivamente una manifestazione della maggioranza silenziosa a quasi dieci anni da quando questa formula politica venne evocata per la prima volta. I quadri intermedi dell'azienda aggregarono un’area più vasta della loro categoria basandosi sui valori di certo ceto medio. I loro nemici erano gli stessi dell'inizio del decennio, il PCI, i sindacati e la sinistra extraparlamentare, che nella vertenza FIAT si ritrovarono uno a fianco all'altro. Il loro anticomunismo, anche se non sbandierato come quello del CCA di Milano, c'era e si era radicato in anni di contrapposizione in fabbrica. La loro organizzazione si sviluppò come associazione di categoria ma sempre al di fuori dei partiti politici. Non solo perché rifiutavano istintivamente di impegnarsi e perché si identificavano più che altro con l'azienda, ma anche perché si sentivano abbandonati e traditi, sopratutto dall'esperimento della solidarietà nazionale, con i comunisti in area governativa. Eppure dimostrarono di saper interpretare i sentimenti di molti altri, stanchi di un decennio di tensioni e immersi negli anni più duri del terrorismo, o almeno si videro attribuire questo merito. La loro era una manifestazione che vedeva sul tavolo le stesse questioni del 1971: la fine delle violenze da cui si sentivano minacciati, il ritorno ad una vita tranquilla e laboriosa, la denuncia degli effetti di una nefasta e pericolosa egemonia dei comunisti e dei sindacati sulla società italiana; la difesa del proprio ruolo sociale, della propria posizione di potere; la paura del declassamento.
Il fatto che i capi FIAT si sentissero molto più che semplici lavoratori, interpreti della maggioranza silenziosa dei lavoratori dell'azienda e di tutti gli italiani, ultimo baluardo dell'ordine democratico, emerge con forza in alcuni passaggi del discorso che Luigi Arisio lesse al Teatro Nuovo in quel 14 Ottobre 1980: "Ancora una volta, da Torino, capitale dell'operosità e della libera iniziativa parte questo segnale di allarme, [...] è sintomatico ed eccezionalmente significativo, che a mandare questo messaggio sia una categoria di solito restia ad esprimersi, allergica alla piazza, ai suoi clamori, ai roboanti slogan. I Quadri Intermedi, i capi Fiat, hanno oggi finalmente riconfermato la loro funzione trainante, raccogliendo e coagulando intorno a loro i qualificati e responsabili consensi dei dirigenti, degli impiegati e dei loro operai. Non siamo, come dice Lotta Continua, il partito dei capi Fiat, siamo il ben più grande partito della voglia di lavorare, di produrre, di competere con la concorrenza, siamo il partito del rispetto e non della sopraffazione, siamo il grande, universale partito che vuole costruire, per noi ed anche per loro un avvenire migliore". <737 Si ritenevano portatori di valori universali da contrapporre alle divisioni false e nocive della politica che avevano insanguinato le strade e rovinato l'economia. Si dicevano profondamente convinti che "l'auspicato risanamento sociale ed industriale, non possa prescindere dal rafforzamento e dalla diffusione dei valori intrinseci nella cultura industriale, in quanto obiettivi comuni e vitali per tutte le forze sociali. [...] I valori che i quadri intermedi hanno da sempre sostenuto vengono oggi riscoperti, ed il campo viene così sgombrato dagli ideologismi, dai falsi problemi e bisogni e dagli artificiosi schieramenti". <738
Chi erano precisamente i capi? Si trattava di lavoratori dipendenti con un titolo di studio, che però raramente eccedeva il diploma. Una buona parte era di estrazione operaia questo valeva soprattutto per i capisquadra e i capi reparto, che controllavano il processo produttivo e i collegamenti con le altre parti della struttura della loro area di competenza. Più in alto stavano i capiofficina che solitamente non seguivano una mobilità ascendente ma venivano collocati dall'esterno dall'azienda. Esistevano poi i capi intermedi d'ufficio con funzioni tecnico-organizzative o di coordinamento della progettazione, quindi capiufficio e funzionari d'ufficio e di officina, più alti nel grado aziendale <739. Amavano definirsi gli «ammortizzatori del sistema di fabbrica» <740, sottolineando il ruolo di cerniera (e quindi la loro indipendenza) fra operai e dirigenza aziendale. Tuttavia, essi si identificavano molto con l'azienda, la loro etica del lavoro «ruotava intorno a un concetto forte in quegli anni, che in fondo alla FIAT si dovesse riconoscenza. Riconoscenza per lo stipendio a fine mese, ma non solo, anche per tutto ciò che significava lavorare in FIAT, dalla cassa mutua, alle colonie per i figli, al pacco dono a Natale, alle gite domenicali e, in definitiva, a un certo prestigio sociale» <741. Ma ribadivano che «la fonte principale di legittimazione di gruppo e di identità sociale dei quadri[...] [va] ricercata nella specificità del loro ruolo professionale ed aziendale» <742.
Una delle rivendicazioni delle organizzazioni dei quadri era quindi il cambiamento del quadro legislativo, che nei contratti costringeva ad essere inquadrati come impiegati. L'articolo 2095 del Codice Civile infatti riconosceva all'epoca solo tre categorie: operai, impiegati, dirigenti <743. Il periodo ricordato con maggior nostalgia fu quello della gestione Valletta, quando tra l'altro non mancavano di “consigliare” il voto per le commissioni a sindacati aziendali e limitavano la propaganda della FIOM, per non perdere gli aiuti del Piano Marshall alle aziende <744. Il loro nemico principale era il sindacato, ma non solo. Arisio commentava sugli anni Settanta: «Ciò che il Partito Comunista Italiano non riusciva ad ottenere in Parlamento era rimesso in discussione dal suo potente sindacato e rigiocato sulla piazza: in questo ballottaggio non previsto dalla costituzione repubblicana, anomalo e fuorviante, era quindi puntualmente e definitivamente riconquistato!» <745 
Il sindacato ebbe sicuramente problemi di rappresentatività che non esaminò con la dovuta attenzione. Nei primi anni Ottanta Ida Regalia puntualizzava: «Dieci anni fa i criteri di giudizio del grado di “rappresentatività”[...] erano diversi da quelli prevalenti oggi. Allora ci si chiedeva se fossero adeguatamente rappresentati i giovani, le donne, i lavoratori con scarsa o nulla socializzazione politica; oggi ci si chiede se siano sufficientemente rappresentati i quadri e i tecnici,le minoranze sindacali» <746. I capi contestavano la linea economica del sindacato, l'inquadramento unico, l'egualitarismo rivendicativo, la scala mobile, perché tutti questi minavano la loro posizione portando all'appiattimento salariale con le altre categorie, e si ritenevano ulteriormente penalizzati dal sistema fiscale <747. Anche in conseguenza di queste due questioni si faceva largo fra le critiche ai sindacati quella di aver scavato un fossato fra i “garantiti” delle categorie più compatte e numerose, e i “non garantiti” <748. Arisio ne dava un esempio parlando delle assunzioni di «elementi sempre più scadenti ma ormai intoccabili perché tutelati da un movimento sindacale sempre più forte, sempre più aggressivo, che riempiva le linee di montaggio e le officine di finti invalidi, che subito dopo la conferma ottenevano un “posticino” da seduti» <749. A questi si aggiungevano gli assenteisti che aumentavano di giorno in giorno.
[NOTE]
733 La Repubblica, 15 Ottobre 1980, p.2
734 G. Bonazzi, La lotta dei 35 giorni alla Fiat, cit., p.39
735 L. Ponzi, Il giorno dei colletti bianchi, cit., pp.99-100
736 Relazione prefettura Torino 20 Gennaio 1981, in f. 15800 111/10, ACS, Min. Int., Gab., Arch. Gen., fasc. corr., anni 1981-1985
737 L. Arisio, Vita da capi, cit., pp.282-283
738 G. Fardin, Coordinamento quadri e capi intermedi FIAT, I quadri negli anni '80, Torino, Fondazione Giovanni Agnelli, 1983, p.4
739 L. Ponzi, Il giorno dei colletti bianchi, cit., pp.96-98
740 G. Fardin, Coordinamento quadri e capi intermedi FIAT, I quadri negli anni '80, cit., p.3
741 L. Ponzi, Il giorno dei colletti bianchi, cit., p.103
742 G. Fardin, Coordinamento quadri e capi intermedi FIAT, I quadri negli anni '80, cit., p.167
743 Ivi, p.168; T. Giglio, La classe operaia va all'inferno, cit., p.47
744 L. Arisio, Vita da capi, cit., p.78
745 Ivi, p.135
746 I. Regalia, Eletti e abbandonati. Modelli e stili di rappresentanza in fabbrica, Bologna, Il Mulino, 1984, p.88
747 A titolo esemplificativo T. Giglio, La classe operaia va all'inferno, cit., p.90
748 Ivi, p.59
749 L. Arisio, Vita da capi, cit., p.130
Alberto Libero Pirro, La “maggioranza silenziosa” nel decennio '70 fra anticomunismo e antipolitica, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Roma "La Sapienza", Anno Accademico 2013-2014