domenica 30 gennaio 2022
Da tutta la massa anonima dei musulmani, Levi ne sceglie uno
La presenza aggiunta [n.d.r.: in Primo Levi, Se questo è un uomo] nel ‘58 di questo personaggio, dimostra non solo la volontà e l’importanza della testimonianza ma anche che Levi ha maturato e “assunto una posizione di testimone” <167 maggiore rispetto alla prima edizione nel ‘47.
Successivamente abbiamo il personaggio di Jean, il Pikolo del Kommando nel quale si trovava Levi. Egli non ha un ruolo importante sul piano oggettivo, nel senso che non aiuta lo scrittore in modo pratico o concreto come per esempio Lorenzo, il quale gli porta da mangiare per sei mesi. Tuttavia ha un ruolo fondamentale sul piano emotivo. Come Steinlauf, è un personaggio importante sul piano della memoria, il sergente dell’esercito austro-ungarico in quanto difende l’importanza della memoria di ciò che è stato e quindi della testimonianza, mentre Pikolo sul piano della memoria come “possibile riscatto” <168. Jean chiede a Levi di impartigli una lezione di italiano e dando così al compagno l’occasione di ritrovare un momento di umanità, ricordando il celebre canto di Ulisse della Divina Commedia di Dante. In questo contesto di inferno Jean, con la sua richiesta, “offriva a Primo una sorta di via per la salvezza” <169
"Ecco, attento Pikolo, apri gli orecchi e la mente, ho bisogno che tu capisca:
Considerate la vostra semenza:
Fatti non foste a viver come bruti,
Ma per seguir virtute e conoscenza.
Come se anch’io lo sentissi per la prima volta: come uno squillo di tromba, come la voce di dio. Per un momento, ho dimenticato chi sono e come sono". <170
La rievocazione della poesia di Dante “rimanda alla civiltà e alla cultura umanistica” <171; con ciò l’autore trova un modo per riscattarsi moralmente. È interessante vedere il ruolo che Pikolo ha in questo contesto, in quanto a differenza di altri personaggi presentati nel libro, Jean è una “spalla, piuttosto che un comprimario”. <172
Un ultimo personaggio molto importante e con una forte connotazione positiva è Lorenzo Perrone, un muratore italiano di Fossano; egli non è un prigioniero ma l’impiegato di un’impresa italiana trasferita nella periferia di Auschwitz. Per questo motivo, egli gode di una certa autonomia in quanto vive in baracche di tipo militare, ha diritto alla libera uscita la domenica, alle vacanze e al salario. Levi e Lorenzo fanno conoscenza quando, dopo un bombardamento alleato, quest’ultimo viene mandato a riparere i danni e lo scrittore ha il compito di aiutarlo.
"In termini concreti, essa [la storia della sua relazione con Lorenzo] si riduce a poca cosa: un operaio civile italiano mi portò un pezzo di pane e gli avanzi del suo rancio ogni giorno per sei mesi; mi donò una sua maglia piena di toppe; scrisse per me in Italia una cartolina, e mi fece avere la risposta. Per tutto questo, non chiese né accettò alcun compenso, perché era buono e semplice, e non pensava che si dovesse fare del bene per un compenso". <173
Lorenzo rappresenta un uomo a parte, non è come le altre figure riportate, infatti egli è “il vero rappresentante dell’umano in mezzo all’abiezione” <174 che si distingue dai “non uomini” <175 del Lager. Possiamo dire che questo civile è la vera allegoria dell’uomo caritatevole e disinteressato che salva l’umanità di Levi: "Ma Lorenzo era un uomo; la sua umanità era pura e incontaminata, egli era al di fuori di questo mondo di negazione. Grazie a Lorenzo mi è accaduto di non dimenticare di essere io stesso un uomo". <176
Del personaggio di Lorenzo, come di molti altri, l’autore ne parla anche nel libro "Lilìt e altri racconti"; è interessante perché si pone la domanda di come poter parlare nel migliore dei modi di persone ‘vere’:
"Lorenzo era ancora vivo quando io stavo scrivendo 'Se questo è un uomo', e l’impresa di trasformare una persona viva in un personaggio lega la mano di chi scrive. Questo avviene perché tale impresa, anche quando è condotta con le intenzioni migliori e su una persona stimata ed amata, sfiora la violenza privata, e non è mai indolore per chi ne è l’oggetto. Ciascuno di noi si costruisce, consapevolmente o no, un’immagine di se stesso, ma essa è fatalmente diversa da quella, o meglio da quelle, a loro volta fra loro diverse, che vengono costruite da chi si avvicina, e trovarsi ritratti in un libro con lineamenti che non sono quelli che ci attribuiamo è traumatico, come se lo specchio, ad un tratto, ci restituisse l’immagine di un altro: magari più nobile della nostra, ma non la nostra. [...] quale poi sia l’immagine “vera” di ognuno di noi, è una domanda senza senso". <177
Appare quindi evidente, quanto sia problematico restituire la figura di Lorenzo, e quindi anche degli altri personaggi, in quanto non solo viene data l’immagine soggettiva che lo scrittore ha della persona ma anche perché questo personaggio ha un ruolo importante nel libro, quello del simbolo della salvezza e della Provvidenza. <178
Tuttavia, il libro di Primo Levi, non presenta solo personaggi positivi, infatti l’autore non manca di mettere in risalto anche le figure negative, ovvero i personaggi, schiacciati dalla storia e dal Lager.
3.3 I personaggi simbolo della desolazione: Null Achtzehn, Khun, l’Ultimo
"L’intégration du déporté dans l’univers irréel du camp, où tous les points de repère familiers ont disparu, où la morale est renversée et remplacée par la loi de la jungle, ajoute une souffrance supplémentaire, à laquelle beaucoup succombent rapidement". <179
Si tratta della desolazione, un sentimento molto presente nel libro di Levi anche se non viene espresso esplicitamente lo incontriamo spesso e si rispecchia in alcuni personaggi che, al contrario di quelli visti nel capitolo precedente, simboleggiano non solo la desolazione, ma l’annullamento della vita e la vergogna.
[...] Il primo personaggio che rispecchia questo sentimento nel libro è Null Achtzehn, un sommerso di cui non si sa quale sia il suo vero nome: "È Null Achtzehn. Non si chiama altrimenti che così, Zero Diciotto, le ultime tre cifre del suo numero di matricola: come se ognuno si fosse reso conto che solo un uomo è degno di avere un nome, e che Null Achtzehn non è più un uomo. Credo che lui stesso abbia dimenticato il suo nome, certo si comporta così". <181
Nessuno vuole lavorare con lui perché fa tutto ciò che gli viene detto di fare senza cercare di risparmiare le forze; spesso viene messo in coppia con Levi perché, essendo l’autore “debole e maldestro” <182, viene anch’egli rifiutato dagli altri prigionieri. Null Achtzehn, non è considerato manco più come un uomo in quanto la perdita del nome proprio indica anche la perdita dei “valori individuanti, di storia e affettività” <183. Egli rappresenta tutti i sommersi del Lager, quelli schiacciati; l’autore, infatti, quando parla dei musulmani usa l’espressione: “un qualunque Null Achtzehn” <184 per definire coloro per cui non si ha alcun interesse. Zero Diciotto non prova niente, solo indifferenza, non essendo manco più un uomo, “ed è prevedibile che, quando lo manderanno alla morte, ci andrà con questa stessa totale indifferenza”. <185 Tuttavia, notiamo come Levi, attraverso il suo linguaggio molto legato al mondo animale, lo paragona ai “cavalli da traino” con i loro occhi “tristi e opachi” e “ai cani da slitta dei libri di London, che faticano fino all’ultimo respiro e muoiono sulla pista”. <186
Il fatto che questo personaggio non abbia un vero nome proprio gli dona una dimensione allegorica maggiore. Da tutta la massa anonima dei musulmani, Levi ne sceglie uno, perché in questa figura lo scrittore riassume uno stato d’animo e una categoria generale del campo. Rappresenta la “démolition de l’homme” <187: "Primo Levi veut représenter la progressive et méthodique déshumanisation de l’individu, sa transformation en bête de somme fourbue, la destruction de sa personnalité par les brimades, les punitions, la sous-alimentation et le travail, simple moyen de torture". <188
Vediamo la desolazione anche nel personaggio di Khun, a cui Levi dedica poche righe ma molto dure e pregnanti. Khun, nel capitolo «Ottobre 1944», ringrazia Dio per essere stato salvato dalla selezione, e l’autore, vedendolo “viene assalito da un impetuoso sentimento di ribellione” <189.
"Khun è un insensato. Non vede, nella cuccetta accanto, Beppo il greco che ha vent’anni, e dopodomani andrà in gas, e lo sa, e se ne sta sta sdraiato e guarda fisso la lampadina senza dire niente e senza pensare più niente? Non sa Khun che la prossima volta sarà la sua volta? Non capisce Khun che è accaduto oggi un abominio che nessuna preghiera propiziatoria, nessun perdono, nessuna espiazione dei colpevoli, nulla insomma che sia in potere dell’uomo di fare, potrà risanare mai più? Se io fossi Dio, sputerei a terra la preghiera di Khun". <190
In questo brano del libro domina l’“io giudicante, pacato ma severo” <191 di Levi, che attraverso questo personaggio esprime la sua indignazione. <192
Oltre a Null Achtzehn, solo un altro personaggio non ha il nome proprio: L’Ultimo, a cui è dedicato l'omonimo capitolo. Si tratta di due “casi-limite” <193, come li definisce Cavaglion. Zero Diciotto in quanto rappresenta l’annullamento dell’umanità in una persona mentre L’Ultimo raffigura l’ultimo uomo forte: “I russi possono ormai venire: non vi sono più uomini forti fra di noi, l’ultimo pende ora sopra i nostri capi”. <194
L’Ultimo è un uomo che ha partecipato alla rivolta dei crematori di Birkenau e stava progettando la stessa rivolta anche a Monowitz; i tedeschi lo impiccano davanti a tutti i prigionieri “e forse i tedeschi non comprenderanno che la morte solitaria che gli è stata riservata, gli frutterà gloria e non infamia” <195. Levi lo soprannomina in questo modo, L’Ultimo, per la frase pronunciata dal prigioniero stesso: “ - Kameraden, ich bin der Letzte! - (Compagni, io sono l’ultimo!)” <196. Possiamo dire che questo personaggio sia un simbolo della vergogna, non perché egli incarni la vergogna ma perché la sua forza e umanità fa vergognare lo scrittore e gli altri prigionieri per la loro “maledetta rassegnazione”. <197
"Alberto ed io siamo rientrati in baracca, e non abbiamo potuto guardarci in viso. Quell’uomo doveva essere duro, doveva essere di un altro metallo del nostro, se questa condizione, da cui noi siamo stati rotti, non ha potuto piegarlo. [...] Abbiamo issato la menaschka sulla cuccetta, abbiamo fatto la ripartizione, abbiamo soddisfatto la rabbia quotidiana della fame, e ora ci opprime la vergogna". <198
Ci si potrebbe chiedere se si tratti della vergogna di essere sopravvissuti o della vergogna per non aver reagito <199. Questo suo aspetto, gli conferisce una doppia connotazione di persona e di eroe, che incarna un ideale, una dimensione, come quella della dignità e dell’umanità, perciò egli viene definito l’“eroe della dignità”. <200
Possiamo notare come anche la presenza o assenza del nome proprio gioca un ruolo in questo libro, in quanto le uniche due figure senza un nome proprio sono coloro che rappresentano i due poli opposti della condizione umana in Lager.
[NOTE]
167 MESNARD P., cit., p. 100
168 Ibid.
169 ANISSIMOV M., cit., p. 289
170 LEVI P., Opere I, cit., p. 109
171 MESNARD P., cit., p. 101
172 BELPOLITI M., cit., p. 62
173 LEVI P., Opere I, cit., p. 115
174 SEGRE Cesare « Auschwitz, orribile laboratorio sociale », in LEVI Primo, Se questo è un uomo, Einaudi, Collana Super ET, Torino, 2014, p. 201
175 Ibid., p. 202
176 LEVI P., Opere I, cit., p. 118
177 LEVI Primo, Lilìt e altri racconti, in Opere II a cura di Marco Belpoliti, Roma, Gruppo editoriale L’espresso, 2009, p. 59
178 GRASSANO G., cit., p. 31
179 AMSALLEM D., p. 17
181 LEVI P., Opere I, cit., p. 36
182 LEVI P., Opere I, cit., p. 37
183 PORCELLI Bruno, Cerniere onomastiche nei racconti del Lager di Primo Levi, Giornale storico della letteratura italiana, 2003, n° 591, p. 408
184 LEVI P., Opere I, cit., p. 84
185 Ibid. p. 37
186 Ibid.
187 AMSALLEM D., p. 17
188 AMSALLEM D., p. 17
189 ANISSIMOV M., cit., p. 304
190 LEVI P., Opere I, cit., p. 126
191 SEGRE C., cit., p. 58
192 GRASSANO G., cit., p. 30
193 CAVAGLION A., cit., p. 108
194 LEVI P., Opere I, cit., p. 146
195 LEVI P., Opere I, cit., p. 145
196 Ibid.
197 Ibid.
198 Ibid. p. 146
199 BELPOLITI M., CORTELLESSA A., cit., p. 70
200 SEGRE C., cit., p. 60
Cecilia Forlani, Eroi o testimoni. Il problema del personaggio nelle opere di Primo Levi, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, 2017
Etichette:
Auschwitz,
Cecilia Forlani,
ebrei,
lager,
Lorenzo,
musulmani,
Null Achtzehn,
Pikolo,
Primo Levi